Bollettino_Salesiano_202002

Bollettino_Salesiano_202002

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Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
FEBBRAIO 2020
“Si dia ampia libertà
di saltare, correre,
schiamazzare”
Don Bosco

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LE COSE DI DON BOSCO
B.F.
La caraffa
S ono una splendida caraffa (o
se preferite una brocca) di
origine francese. Sono fatta
di ceramica pregiata bianca, cerchia-
ta d’oro e argento. Sono elegante e
molto chic, nonostante la mia età
più che centenaria.
Facevo una magnifica figura sulla to-
vaglia del tavolo da pranzo di Mada-
me Adele Clément a Saint-Rambert
d’Albon, nella Francia del Sud.
Quel giorno, il 14 ottobre 1878, nella
casa della signora entrò un prete sco-
nosciuto, che parlava francese e non
volle dire il proprio nome, ma alle
reiterate insistenze rispose: «Di qui ad
alcuni anni il mio nome sarà stampa-
to nei libri e quei libri vi capiteranno
tra mano. Allora saprete chi sono io».
L’aveva condotto in casa il marito
della signora, negoziante di olio e
carbone. Stava tornando da Chanas,
un paesino distante mezzo chilome-
tro da Saint-Rambert, dove aveva
trasportato un carico di merce. Im-
provvisamente aveva scorto sul ciglio
della strada un prete che camminava
a fatica. Preso da compassione, il
buon uomo si era fermato e gli aveva
parlato: «Signor curato, mi ha l’aria
di essere molto stanco».
«Oh, sì, monsieur» rispose il prete.
«Ho fatto un lungo viaggio».
«Reverendo, io le offrirei ben volen-
tieri di accomodarsi qui sopra, ma è
proprio una carretta».
«Oh, voi mi fate un gran piacere. Io
accetto: non ne posso proprio più».
Giunti alla casa, il signor
Clément corse dalla moglie
per avvertirla. La signora,
donna caritatevole e pia, andò
subito a offrirgli di pranzare
con loro. Egli accettò e du-
rante la refezione ascoltò amo-
revolmente il racconto delle sue
disgrazie, la più dolorosa delle quali
era quella di un figlio diventatole per
un malore improvviso cieco, sordo e
muto. La poverina non sapeva darsi
pace; aveva pregato tutti i Santi, ma
nulla veniva a lenire la sua pena. Il
prete le disse: «Pregate, buona signo-
ra, e sarete esaudita».
Io ero lì, accanto alla bottiglia di
vino e il prete mi prese in mano e
disse: «Conservate questa caraffa per
mio ricordo». Poi si alzò ed esclamò:
«Una voce mi chiama e bisogna che
io parta». E partì.
La signora si precipitò dal marito,
attaccarono in fretta e gli volarono
dietro, sicuri di raggiungerlo presto;
ma più non lo videro e credettero che
fosse andato fuor di strada. Qual non
fu invece il loro stupore, quando,
arrivati dalla balia del piccolo, questa
disse loro che era venuto un prete e
aveva guarito il figlio! La balia abi-
tava a Coinaud, villaggio distante tre
chilometri da Saint-Rambert, e dai
calcoli fatti risultò che il momento in
cui il prete era entrato là coincideva
con quello in cui era uscito da casa
Clément.
Per sette anni, quella brava famiglia
cercò di indovinare chi fosse quel
prete misterioso. Un giorno, una
delle persone che avevano visto il
prete guarire il bimbo e ne ricordava
benissimo la fisionomia, si recò dai
coniugi Clément con un libro che
parlava di don Bosco e ne portava il
ritratto. «È lui il prete che vi ha gua-
rito il figlio!» Lo riconobbero senza
alcun dubbio.
Ma il 14 ottobre 1878 don Bosco era
certamente a Torino.
LA STORIA
Il 10 aprile 1888 la signora Clément, guarita prodigiosamente da un’infermità
per intercessione di don Bosco, spedì una relazione del fatto a don Rua. Gli di-
ceva fra l’altro: «Vivono ancora testimoni, che si possono interrogare: parecchi
sono in grado di darle informazioni». La caraffa è a Valdocco nel Museo Casa
Don Bosco.
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Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
FEBBRAIO 2020
“Si dia ampia libertà
di saltare, correre,
schiamazzare”
Don Bosco
FEBBRAIO 2020
ANNO CXLIV
NUMERO 02
Mensile di informazione e cultura
religiosa edito dalla Congregazione
Salesiana di San Giovanni Bosco
La copertina: Don Bosco incomincia da un prato.
È uno spazio libero, senza confini tranne il cielo. Uno
spazio per la vita. Un cortile in cui i ragazzi possano
giocare, divertirsi, incontrarsi, lasciar esplodere le
energie. (Fotografia di Cherry-Merry / Shutterstock)
2 LE COSE DI DON BOSCO
4 IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
6 SALESIANI NEL MONDO
Uganda
10 TEMPO DELLO SPIRITO
12 STORIE DI GIOVANI
La Don Bosco Green Alliance
14 LE CASE DI DON BOSCO
Chieri
18 L’INVITATO
Stefano Vanoli
22 SALESIANI
Don Baldina
26 SOGNI
Musu e Juan Bosco
28 SGUARDO SALESIANO SUL MONDO
30 FMA
Mor...Nizza
32 CASA MADRE
34 COME DON BOSCO
36 LA LINEA D’OMBRA
38 LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
40 I NOSTRI SANTI
41 IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
42 RELAX
43 LA BUONANOTTE
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Il BOLLETTINO SALESIANO
si stampa nel mondo in 66
edizioni, 31 lingue diverse
e raggiunge 132 Nazioni.
Direttore Responsabile:
Bruno Ferrero
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Il Bollettino Salesiano
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Hanno collaborato a questo
numero: Agenzia Ans, Eugenio
Baldina, Pierluigi Cameroni, Roberto
Desiderati, Emilia Di Massimo,
Ángel Fernández Artime, Claudia
Gualtieri, Carmen Laval, Cesare Lo
Monaco, Natale Maffioli, Alessandra
Mastrodonato, Francesco Motto, Pino
Pellegrino, Giampietro Pettenon,
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IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
Don Ángel Fernández Artime
La forza dell’amore
Quanto è inesprimibile, unico,
creatore di pace e tranquillità
l’Amore di Dio, se le nostre
piccole esperienze umane di
amore hanno tanta forza da
cambiare la vita delle persone.
Il mese che incominciamo è segnato dall’inizio
della Quaresima, in preparazione alla Pasqua
del Signore. Dopo l’intervallo gioioso del Car-
nevale, la Chiesa ci propone i segnali stradali
che ci guidano nel nostro cammino verso la Pasqua:
la preghiera, il digiuno e la carità.
In questo mio saluto, vi propongo una riflessione
che ha molto a che fare con un ottimo modo di
prepararsi alla Pasqua. Il modo di vivere sempre,
di più e meglio, amando, ma amando veramente,
come si dice in modo colloquiale, “finché fa male”.
C’è un pensiero efficace attribuito a Santa Madre
Teresa di Calcutta: «Diffondi amore ovunque vai,
prima di tutto nella tua casa. Dà amore ai tuoi fi-
gli e alle tue figlie, a tua moglie o a tuo marito, al
vicino della porta accanto... Non lasciare mai che
qualcuno, dopo essere venuto da te, se ne vada sen-
za sentirsi meglio e più felice. Sii l’espressione viva
della bontà di Dio; bontà nel tuo volto, bontà negli
occhi, bontà nel tuo sorriso, bontà nel tuo caldo sa-
luto».
Non c’è dubbio che si tratti di un programma sem-
plice e molto concreto. La prima lettera enciclica
di papa Benedetto XVI è stata “Deus Caritas est”
(Dio è Amore). Quell’amore che abbiamo ricevuto
e conosciuto nel nostro incontro personale con Cri-
sto. Papa Benedetto ci dice nella sua lettera: «(un
amore) che dà alla vita un orizzonte (...). La pas-
sione di Dio per ognuno di noi si concretizza in un
Amore personale e prediletto che dà senso alla no-
stra esistenza. Dio ama l’uomo e tutti gli uomini e
le donne, e il suo amore è visibile nel volto di coloro
con cui viviamo».
E penso a quanto l’Amore di Dio sia indescrivibile,
unico, creatore di pace e tranquillità, se le nostre
piccole esperienze umane di amore hanno tanta
forza da cambiare la vita delle persone. Un cambia-
mento che quando sgorga dall’amore è sempre per
rialzare, per elevare, per rincuorare, per animare,
per stimolare, per liberare e consolare.
Un bell’episodio realmente accaduto conferma
quanto sto dicendo.
In una facoltà universitaria di sociologia un profes-
sore chiese agli studenti della sua classe di fare una
ricerca nelle periferie della grande città dove vive-
vano, per raccogliere le storie di vita di duecento
ragazzi. Agli studenti era stato chiesto di fornire
una valutazione del futuro di ogni intervistato.
Gli studenti di sociologia diedero per tutti i ragaz-
zi esaminati la stessa infausta diagnosi: «Non ha la
minima probabilità di riuscita».
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Venticinque anni dopo, un altro insegnante di so-
ciologia trovò per caso questo studio precedente e,
incuriosito, chiese ai suoi studenti di proseguire il
progetto iniziato molti anni prima, per vedere che
cosa era successo nella vita di quei ragazzi e ragaz-
ze, se era possibile ritrovarli.
Ad eccezione di venti di loro, che si erano trasferiti
in altre città o erano morti, gli studenti scopriro-
no che dei 180 restanti, 176 avevano raggiunto un
buon successo nella vita: erano riusciti ad avere una
vita ordinata, stabile e ragionevolmente felice.
Il professore si stupì e decise di approfondire la ri-
cerca. Fortunatamente, molti degli intervistati vi-
vevano relativamente vicino all’università e fu pos-
sibile chiedere a ciascuno di loro come vedevano il
viaggio della loro vita, trascorso in quei quartieri
degradati e in contesti familiari difficili che non
lasciavano certo molto spazio alla speranza.
In tutti i casi, la risposta piena di commossa grati-
tudine fu: «Ho avuto una maestra».
La maestra era ancora viva e il professore riuscì a
rintracciarla. Era anziana, in splendida forma e con
gli occhi vivacissimi. Il professore le chiese quale
formula magica avesse usato per «salvare quei ra-
gazzi e quelle ragazze dalla durezza della periferia
e guidarli lungo il cammino di una vita onesta, or-
dinata e stabile».
Sorridendo, l’anziana donna rispose: «È stato molto
facile: io semplicemente li ho amati».
Questa storia vera, mi richiama alla mente un fatto
analogo della vita di don Bosco.
«Un eminente Rettore di un grande istituto gesuita
portoghese era venuto a Torino per chiedere consi-
glio a don Bosco» racconta don Ricaldone. «Giunto
infatti alla sua presenza, espose al santo educatore
i suoi quesiti circa il modo di educare gli alunni
del suo Istituto. Don Bosco lo ascoltò con grande
attenzione, senza interromperlo mai. Al termine
del suo dire, il Padre Gesuita sintetizzò in una sola
domanda ciò che desiderava sapere: “In che modo
riuscirò a educar bene i giovani del mio collegio?”
E tacque. Don Bosco, al Padre che si aspettava
forse un lungo discorso, rispose quest’unica parola:
“Amandoli!”».
Sono sicuro che anche noi potremmo raccontare
tante storie simili. Sono numerosissime nella storia
educativa salesiana in tutto il mondo. È una gran-
de verità: l’amore ha una forza che trasforma tutto.
L’amore guarisce e cura. L’amore dà fiducia in se
stessi e dà forza. L’amore smuove i cuori e l’esisten-
za e ha la forza di scuotere il mondo e con esso la
nostra vita. È bello ricordare anche quello che af-
ferma don Bosco: «Chi ama sarà riamato».
È un peccato che spesso ci dimentichiamo di que-
sta energia!
Perché ci sono tanta ferocia e tanta disumanità in
questo nostro mondo?
Perché viviamo così spesso nel risentimento, nella
rivalità, nella concorrenza e non nella creazione di
spazi di comprensione e di pace?
Sarà che il nostro Dio ci ha lasciati imperfetti, per
cui anche se sappiamo che l’Amore può fare tutto,
troviamo difficile vivere con Amore ogni minuto,
ogni ora, ogni giorno... o ci ha semplicemente crea-
ti per l’Amore e siamo noi che perdiamo di vista
l’orizzonte e ci smarriamo nell’oscurità e nella con-
fusione di troppe altre cose...?
Auguro a tutti voi, amici e lettori del Bollettino Sa-
lesiano, di unirvi a noi e di far parte di quel grande
gruppo di milioni di persone che credono nella forza
dell’Amore, perché «
» (1Gv 4, 8).
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SALESIANI NEL MONDO
Giampietro Pettenon
Uganda
Terra dei martiri, dove ogni
giorno fioriscono miracoli.
La casa-
famiglia dei
salesiani
accoglie i
bambini
perché
possano
crescere in
un luogo
protetto.
Siamo arrivati in Uganda, un paese della
zona centrale dell’Africa, ricco di acqua e
di grandi laghi, tra i quali primeggia il lago
Vittoria dal quale nasce, come emissario, il
Nilo bianco.
Siamo alla fine della stagione delle piogge e la ve-
getazione è particolarmente rigogliosa. Ogni gior-
no ci regala una pioggia, a volte leggera leggera,
altre volte invece un diluvio che in pochi minuti
riempie le strade sterrate di una poltiglia fangosa,
rossa come la terra di questo continente, con buche
che sembrano piscine.
Nei pochi giorni di permanenza in Uganda, ab-
biamo visitato quattro opere salesiane, tutte molto
belle, a servizio dei giovani poveri di quella terra.
Namugongo
La prima tappa del nostro viaggio è Namugongo,
un quartiere periferico dell’immensa distesa urba-
na di Kampala, la capitale del paese. Questo luogo
è tristemente famoso per il martirio di san Carlo
Lwanga e i compagni martiri ugandesi, arsi vivi a
metà nel diciannovesimo secolo, in odio alla fede
cristiana.
A Namugongo noi salesiani abbiamo “ereditato”
dai padri comboniani, una quindicina d’anni fa, un
orfanotrofio che tutt’ora funziona molto bene come
casa-famiglia per sessantaquattro ragazzi e giova-
ni, orfani o in difficoltà familiari. Accanto a questa
prima attività rivolta ai più svantaggiati abbiamo
costruito, proprio grazie ai benefattori di Missio-
ni Don Bosco, una scuola primaria ed ora anche
una scuola materna per i bambini e i ragazzi dell’e-
norme quartiere che rapidamente sta popolandosi
sempre di più.
Le strade del quartiere sono contorte e senza un
piano regolatore. Non c’è la fognatura pubblica, e
la corrente elettrica ogni tanto va e viene. Per fa-
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cilitare la frequenza al nostro centro scolastico
abbiamo due pulmini che al mattino e al pome-
riggio fanno un lungo giro, quasi fossimo in un
labirinto, andando a prelevare e poi a riconsegna-
re vicino a casa questi ragazzini dai sei ai dodici
anni (la scuola primaria in Uganda dura sei anni).
Ci hanno invitati a salire in pulmino per fare il
giro... delle consegne pomeridiane! Su un automez-
zo che ha circa 35 posti a sedere salgono il doppio
dei bambini. Pigiati, pigiati, cominciamo a girare e
rigirare le strade sterrate della zona. A tappe bene
conosciute da Faustino, il giovane autista di origi-
ne burundese, scarichiamo alcuni ragazzi che con
pochi passi sono già a casa loro. Faustino li conosce
tutti per nome e ricorda perfettamente dove abita-
no. I ragazzi giocano e chiacchierano lungo tut-
to il percorso, ma lui li chiama per nome quando
devono scendere. Accanto a sé ha fatto sedere un
bambino di prima elementare, piccolino, e triste
perché si è fatto male ad un piede. Effettivamen-
te giocando, Ervin ha grattato seriamente tutta la
pelle del collo del piede. Deve bruciare parecchio
quella ferita aperta, ma lui non piange. Si succhia
però il pollice, come fosse il ciuccio, per consolarsi.
Arrivati molto vicino a casa di
Ervin, Faustino parcheg-
gia il pulmino, si prende
in braccio il piccolino
e percorre i pochi
metri che lo separano
dal cancello di casa.
Arriva la mamma e
Faustino, l’autista edu-
catore, consegna Ervin
in braccio a lei.
Che bel gesto di
amore paterno,
e quanta umanità in questo emigrato del Burundi
che in Uganda ha trovato lavoro dai salesiani.
Bombo e Gulu
La seconda opera che visitiamo, dirigendoci verso
nord, è Bombo. Qui siamo in un paese a circa qua-
ranta chilometri da Kampala. La casa salesiana di
Bombo è la madre di tutte le sette attuali presenze
salesiane dell’Uganda. I salesiani arrivarono più di
trent’anni fa dal Kenia nella terra ugandese e fu-
rono invitati dal vescovo a fondare una
scuola professionale nella sua dio-
cesi. Oggi a Bombo c’è un vero
e proprio campus scolastico: la
scuola primaria è frequentata
da 1800 bambini, altri 500 fre-
quentano la secondaria e 200
il centro di formazione profes-
sionale. Il convitto scolastico
ne accoglie complessivamente
700 dei 2500 totali. Accanto
alla grande scuola ci sono an-
La scuola
salesiana per
loro è l’unica
speranza
di una vita
felice e
dignitosa.
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SALESIANI NEL MONDO
che la parrocchia e alcune cappelle in periferia.
Proseguiamo il cammino ed arriviamo a Gulu, la
grande città del nord Uganda, dove fa più caldo per-
ché siamo vicini al confine con il Sud Sudan e con
le praterie aride di questa parte di Africa. Anche a
Gulu abbiamo costruito una grande nuova scuola
con annesso il convitto scolastico ed una bella chie-
sa parrocchiale, in campagna a circa quindici chi-
lometri dal centro cittadino. Serviamo un territorio
molto vasto e povero. Mi ha colpito il dipinto del
presbiterio di questa chiesa perché rappresenta una
tavola imbandita con Gesù e gli apostoli (un’ultima
cena) in cui però sul tavolo insieme al pane e al vino
ci sono i prodotti locali, frutta e animali domestici,
che gruppi di giovani e adulti ugandesi portano al
Signore come offerta.
Palabek
Infine siamo arrivati alla quarta ed ultima tap-
pa della visita in Uganda: il campo profughi
di Palabek. Qui i figli di don Bosco sono arri-
vati all’inizio del 2018 abitando all’inizio nel-
le tende e nelle baracche, come i profughi del
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Febbraio 2020
Anche sotto il cielo ugandese, attraverso i suoi figli,
don Bosco veglia sui piccoli.

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Sud Sudan che qui hanno trovato rifugio.
Ora invece, a meno di due anni dall’arrivo, abbiamo
già la casa della comunità salesiana, la scuola ma-
terna, un grande e bellissimo centro di formazione
professionale ed una chiesa in costruzione. Il pro-
getto di consolidamento della presenza prevede di
aprire anche la scuola superiore all’inizio del 2021.
Il fondatore di questa nuova presenza salesiana è
padre Arasul, indiano di origine ma missionario
in Africa da oltre trent’anni, che ora è anche il di-
rettore dell’opera. Sprigiona energia ed entusiasmo
come un ragazzino!
È lui, insieme ai confratelli della comunità salesiana,
che ci accoglie e ci porta ad incontrare i ragazzi e
i giovani che frequentano il centro di formazione
professionale appena inaugurato, ma già con più
di 200 allievi nei sei settori professionali attivati:
sartoria, parrucchiera, agricoltura, elettricità,
edilizia e meccanica auto. Commoventi e bellissime
le giovani mamme, non hanno più di 16 o 18 anni,
che frequentano i corsi di formazione professionale
portandosi in laboratorio il proprio bimbo con sé,
stretto alla schiena se piccolissimo oppure seduto a
terra su una coperta se un po’ più grandicello.
Il superiore salesiano di questa parte di Africa, pa-
dre Célestin (ruandese), che ci accompagnava nella
visita all’Uganda salesiana, davanti a tanti giovani
che imparano un lavoro e guardano al futuro con
speranza e fiducia anche dentro un campo profu-
ghi, ha esclamato: “Questo è un autentico miracolo.
Non cerchiamo i miracoli dove non ci sono! Qui a
Palabek stiamo assistendo ogni giorno ai miracoli.
Venite a vedere, e dateci una mano affinché conti-
nuino a compiersi!”.
Il “grazie”
è negli occhi.
Volontari e
benefattori
di Missioni
Don Bosco
“vedono” i
loro piccoli.
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TEMPO DELLO SPIRITO
Carmen Laval
Quattro virtù
per prevenire la rabbia
Viviamo in un tempo di arrabbiati.
Il rancore domina nei social, sugli schermi,
nelle piazze, per la strada. Possiamo
far qualcosa per ritrovare l’istintiva
gentilezza della nostra umanità?
L a scintilla che accende la no-
stra rabbia è fuori di noi, ma
il materiale che prende fuo-
co è dentro di noi. L’incendio
dell’ira divampa spesso all’improvvi-
so e provoca di solito una catena di
grossi guai, rotture e ferite insanabili.
Esiste anche una rabbia “buona” che è
l’indignazione, l’impulso a cambiare
le cose che non vanno. Qui riflettia-
mo solo sulla rabbia aggressiva, in-
sensata, quella che fa male agli altri
e a noi stessi.
Per prevenire l’esplosione è necessaria
la conquista di quattro virtù, cioè di
modi di agire abitudinari, che contri-
buiscono all’autocontrollo: temperan-
za, pazienza, indulgenza e mansuetu-
dine.
La rabbia è “il risveglio della tigre”,
quell’animale selvaggio e sanguinario
che sta da qualche parte dentro di noi.
L’uomo arrabbiato sembra incontrolla-
bile e incapace di rispettare qualsiasi
regola o di fissare qualsiasi limite. Per-
de la lucidità, cioè la capacità di vedere
e capire che cosa sta accadendo.
Se dura nel tempo, la rabbia può tra-
sformarsi in odio. Agisce nei rapporti
umani come la nitroglicerina. Il suo
uso, anche a piccole dosi, provoca
sempre una deflagrazione i cui effetti
sono difficili da controllare, soprattut-
to perché, come le altre emozioni, è
contagiosa. Se ti arrabbi, fai arrabbiare
gli altri.
Ma, come afferma papa Francesco,
«Il cuore dell’essere umano aspira a
cose grandi, a valori importanti, ad
amicizie profonde, a legami che si ir-
robustiscono nelle prove della vita an-
ziché spezzarsi. L’essere umano aspira
ad amare e ad essere amato».
Vi propongo di esercitarvi in ciascuna
di queste virtù un giorno alla settimana.
La temperanza
La prima virtù di cui abbiamo biso-
gno per prevenire la rabbia è una virtù
che impedisce l’insorgere di ostacoli e
ci permette di stare lontani dal “fiam-
mifero”. È l’eleganza dell’anima: la
temperanza.
In latino, temperantia significa “mo-
derazione, misura, sobrietà” e “auto-
controllo”.
Consiste nell’essere “signori” di se
stessi. Significa imporci la più vigo-
rosa delle decisioni: nessuno può farci
arrabbiare senza il nostro permesso.
Diventando temperati, padroneggian-
do il desiderio di avere di più, apparire
di più, essere più importanti, ponendovi
dei limiti, evitate una folla innumerevo-
le di frustrazioni che portano all’invidia
e, di conseguenza, alla rabbia.
Nel giorno dedicato a coltivare la tem-
peranza, si tratta di sentirsi felici di
quello che si ha. Scegliere di rinunciare
a ciò che è eccessivo o superfluo lascia
intimamente soddisfatti. Le principali
tradizioni religiose raccomandano il
digiuno e l’astinenza come strumenti
per controllare le proprie passioni e
quindi per salire spiritualmente.
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2.1 Page 11

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La pazienza
La seconda virtù di cui abbiamo biso-
gno per prevenire la rabbia ci permet-
te di resistere alle contrarietà quan-
do si presentano. Rende sostenibile
il dolore causato dalla privazione e
dalla frustrazione. Questa virtù è la
pazienza.
In latino, pazienza significa “l’atto di
sostenere, di resistere”. Diventando
pazienti, si può tollerare la sofferen-
za e, così facendo, evitare di usare la
rabbia per cercare di alleviarla. La
pazienza è la virtù del legame. Dis-
semina le sue tracce nei gesti quoti-
diani dell’ascolto, dell’accoglienza,
della solidarietà, del dialogo, della
tenerezza; ma anche nelle situazioni
di incomprensione, di sconfitta o di
sofferenza. Pazienza significa anche
saper sempre ricominciare.
Nel giorno dedicato a coltivare la
pazienza, si tratta di disarmare la
rabbia, cercando di mantenere sve-
glia e fredda l’intelligenza davanti
a qualsiasi ostacolo o difficoltà. Se
questo sembra difficile, ricordate un
episodio della vostra vita in cui avete
beneficiato della pazienza degli altri,
dei vostri genitori magari, sentite la
gratitudine nei loro confronti e que-
sta gratitudine vi invogli a mostrare
pazienza a vostra volta.
La tolleranza
La terza virtù di cui abbiamo biso-
gno ci permette di uscire dalla prova
delle ferite (e dell’incontro con il loro
autore) senza risentimento e deside-
rio di vendetta. Deve permettere di
perdonare l’ostacolo o il suo autore.
Questa virtù è la tolleranza. Diven-
Disegni di Fano
tando tolleranti e indulgenti, si riesce
a non incolpare chi ci fa soffrire e,
così facendo, si evita di usare la rab-
bia come mezzo di vendetta. La tol-
leranza vissuta in profondità diventa
compassione e perdono. Se volete non
arrabbiarvi mai con qualcuno, pensa-
te: «Ma questa persona sta morendo,
e anch’io sto morendo. Allora…?»
Nel giorno dedicato alla coltiva-
zione dell’indulgenza, si tratta di
essere comprensivi e premurosi nei
confronti di chi ti infastidisce, ac-
cogliendo volentieri i suoi difetti e le
sue debolezze e perdonando i suoi er-
rori e le sue offese. Se questo sembra
difficile, ricordate un episodio della
vostra vita in cui avete beneficiato
dell’indulgenza degli altri, sappiate
come essere loro grati e usate questa
gratitudine per mostrare l’indulgen-
za in cambio.
La mansuetudine
La quarta virtù di cui abbiamo bi-
sogno per prevenire la rabbia ci im-
pedisce di attaccare chi ci ferisce; in
altre parole, una virtù che ci disarma.
Questa virtù è la mansuetudine.
È definita anche “la dolcezza serena
e immutabile dell’anima”. In latino
mansuetus, significa “calmo, gentile,
tranquillo (non agitato) e addomesti-
cato”. La dolcezza richiede quindi ne-
cessariamente temperanza e pazien-
za, poiché ha l’effetto di domare. È
la disposizione morale che tende alla
dolcezza, alla pazienza, al perdono.
Gesù è venuto ad insegnarci che cosa
significa essere “umani” e ha det-
to chiaramente: «Imparate da me, che
sono mite e umile di cuore, e troverete
ristoro per la vostra vita».
Nel giorno dedicato a coltivare la
mansuetudine, si tratta di lasciarsi
indebolire dalla dolcezza, di rendersi
veramente innocui, incapaci di ferire
qualcuno ricordando che un atto di
gentilezza neutralizza quasi sempre
la rabbia altrui. Agire per malanimo
provoca solo danni. Agire per amore
significa essere innocui e probabil-
mente portare felicità. Vale per chi
ama come per chi è amato.
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11

2.2 Page 12

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STORIE DI GIOVANI
Claudia Gualtieri con Macson Almeida, Segretario Esecutivo Don Bosco Green Alliance
La Don Bosco
Green Alliance
La generazione del Laudato si’
La DBGA è una piattaforma
globale, che riunisce attualmente
più di 80 istituzioni salesiane
presenti in 27 Paesi, per
contribuire alle azioni, al pensiero
e alle politiche ambientali.
I membri
dell’Alleanza
partecipano a
varie attività
dalla pulizia
delle città alla
piantumazione
di alberi.
L a “Don Bosco Green Alliance” è un’organiz-
zazione internazionale di giovani, apparte-
nenti ai vari istituti della Famiglia Salesiana,
che contribuisce all’azione, al pensiero e alla
politica riguardanti l’ambiente a livello globale. La
Don Bosco Green Alliance è nata dalla necessità
di creare una rete globale di organizzazioni salesia-
ne che fungesse da piattaforma attraverso la quale
condividere idee e una generale collaborazione tra
le diverse organizzazioni salesiane, con l’intento di
ottenere un’azione a favore dell’ambiente. Questa
rete è particolarmente rivolta a creare la prossima
generazione di cittadini interessati all’ambiente e
leader nell’assicurare un mondo che sia sicuro per
tutte le forme di vita presenti. Nel momento in cui
la crisi ambientale che stiamo affrontando ha ini-
ziato a crescere in maniera esponenziale, e le mi-
nacce che il nostro pianeta sta affrontando sono di-
ventate sempre più imponenti, la società ha iniziato
a rendersi conto della necessità di un’azione imme-
diata. Abbiamo anche riconosciuto l’importanza di
focalizzare l’attenzione verso il ruolo dei giovani
riguardo questi problemi ambientali, poiché sarà la
loro generazione a essere maggiormente colpita dal
cambiamento climatico e dalle altre complicanze
legate all’ambiente.
Come indicato da papa Francesco: “I giovani esigo-
no un cambiamento. Si chiedono come sia possibile
sostenere di star costruendo il loro futuro, senza che
ci si preoccupi della crisi ambientale”. Il principale
obiettivo, che pone le basi alla creazione dell’Allean-
za, è quello di coinvolgere i giovani del mondo nel
contribuire all’azione, al pensiero e alla politica ri-
guardanti l’ambiente. Mentre continuiamo a indul-
gere in attività rovinose che stanno distruggendo la
vivibilità del nostro pianeta, sono i giovani coloro
i quali saranno sproporzionatamente influenzati ed
è il loro futuro a essere in precario equilibrio. Per
questo motivo, è diventato imperativo per i giovani
avere un futuro che sia sostenibile, e dunque devo-
no essere loro a influenzare l’azione ambientale e a
determinare le normative per proteggere la Terra.
Il 27° Capitolo Generale Salesiano, tenutosi nel
2014 a Roma, sintetizzando la via da seguire per
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2.3 Page 13

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REBECCA PETZ, 24 ANNI, GERMANIA
Membro della Don Bosco Green Alliance da aprile 2019
«Non rappresento il miglior esempio di paladina del clima. I
grandi supermercati sono semplicemente più convenienti del
negozietto di alimenti salutari – e poi dormire dieci minuti in
più mi invoglia a comprare il caffè al chiosco. Tuttavia, le mie
debolezze non sono un buon motivo per tacere. Il cambia-
mento climatico non è una teoria cospirativa, ma una realtà.
La nostra Terra ha scarse risorse e, causa della nostra avidità,
le stiamo completamente sfruttando. Per esempio, Egitto, Su-
dan ed Etiopia discutono da tempo per la diga del Nilo, ma
una soluzione non c’è ancora. Come possiamo essere d’accor-
do su chi guadagna di più dall’acqua come risorsa, quando co-
munque già scarseggia? Le ricerche tracciano collegamenti tra
la scarsità delle risorse e un poten-
ziale aumento di conflitto. Quando
i giovani scendono in strada per le
manifestazioni note come “Fridays
for Future”, il loro intento non è
quello di irritare gli automobilisti,
vogliono invece creare un mondo
per cui valga la pena vivere, che sia
il più pacifico possibile. Secondo i diritti umani, ogni essere
umano ha il diritto di vivere dignitosamente. Questa promes-
sa può essere mantenuta solo se le condizioni esterne sono
giuste. Sostenere la protezione del clima è quindi una lotta
per la giustizia – e l’educazione ai diritti umani senza un argo-
mento di sostenibilità è impensabile».
l’intera comunità Salesiana, ha affermato: “Ci im-
pegniamo a sensibilizzare la comunità e i giovani al
rispetto per il creato, educando alla responsabilità
ecologica attraverso attività concrete che salvaguar-
dino l’ambiente e il progresso sostenibile”. Dalla sua
fondazione nell’Aprile 2018, l’Alleanza si è espansa
fino a includere 222 Istituzioni Salesiane presenti
in 51 paesi. Attraverso l’Alleanza, aiutiamo i no-
stri membri a contribuire alle campagne globali ri-
guardanti l’ambiente. Attraverso l’Alleanza, ci as-
sicuriamo che le varie organizzazioni della società
salesiana facciano dei passi verso i grandi obiettivi
ambientali del mondo. Inoltre, incoraggiamo i no-
stri membri a definire il proprio impegno a favo-
re dell’ambiente e i propri obiettivi in linea con le
principali aree d’interesse prioritario: combattere
l’inquinamento, ridurre il riscaldamento globale ed
eliminare la plastica monouso. Nell’ultimo anno e
mezzo dalla nascita dell’Alleanza, i nostri membri
hanno partecipato a varie attività tra cui pulizia
delle spiagge, piantumazione di alberi, laboratori
di tecniche “green” per i giovani, eventi formativi
sull’energia solare e sullo sviluppo di competenze
solari. I giovani membri della nostra organizzazio-
ne hanno anche partecipato alle proteste sul clima
per Climate Action, alle Giornate Mondali per
l’Ambiente, alle Giornate Mondiali della Pulizia.
L’Alleanza ha anche partecipato ad eventi inter-
nazionali organizzati dalle Nazioni Unite in varie
città tra cui New York, Nairobi, Bonn e Madrid.
Mentre la Don Bosco Green Alliance progetta il
futuro e muove i suoi prossimi passi, miriamo a
diventare una rete dinamica per i giovani, accom-
pagnati dai Salesiani e dai loro collaboratori, con
l’intento di proteggere l’ambiente.
Homepage: https://donboscogreen.org/
Aderisci qui: https://donboscogreen.org/join-the-alliance/
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2.4 Page 14

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LE CASE DI DON BOSCO
La comunità del San Luigi
Chieri
“I dieci anni più belli della mia
vita” ... Così don Bosco descrive
la sua felice esperienza di
vita a Chieri, splendida città
adagiata ai piedi della collina
di Superga, caratterizzata
dall’industria del tessile e dallo
spirito imprenditoriale dei suoi
36 000 abitanti.
Isalesiani arrivarono nel 1891, con un Orato-
rio quotidiano. Pochi locali, un piccolo cortile
ed un salone che veniva utilizzato nello stesso
giorno da Chiesetta e da sala giochi. La cronaca
del tempo narra: il Direttore don Davico ed il suo
aiutante don Dadone, uniti e concordi nel lavoro e
nel sacrificio, seppero rendere il luogo attraente ai
giovanetti, il cui numero cresceva ogni giorno spa-
ventosamente. Un avverbio insolito ma che rende
l’idea della crescita vertiginosa. Un nuovo fabbrica-
to, imposto dalle necessità, permise di istituire un
convitto liceale. La Prima guerra mondiale causò
un periodo di sosta, ma dopo la vita riprese ancor
più rigogliosa di prima con il Catechismo, pietà cri-
Una vera
fiumana di
bambini,
giovani e
persone di
ogni età
partecipa alla
Via Crucis
cittadina.
stiana, teatro, vita d’allegria. Nel 1927, all’Oratorio
si affiancò lo studentato teologico salesiano e quan-
do questo fu trasferito, un aspirantato che oggi si è
trasformato in scuola media.
L’Oratorio, durante la Seconda guerra mondiale fu
oasi di speranza, di salvezza e di carità per i giovani.
Tre esempi: in piena Guerra diedero alle stampe il
giornalino Bimestrale “D. Bosco a Chieri” che rag-
giungeva le case di tutti e a volte gli ex-oratoriani al
fronte, per loro era un tuffo al cuore che dava respi-
ro all’animo nel non senso della guerra; la salvezza
fu sperimentata all’Oratorio: un giorno giocando
a pallone Angelo si fece male. Venne portato al
Pronto Soccorso, appena medicato venne arrestato
e condotto in caserma perché disertore. Don Qua-
rello, direttore dell’Oratorio, sapendo che il giovane
sarebbe stato deportato in Germania, immediata-
mente si recò alla Caserma e, non si sa come, riuscì
ad ottenere la sua liberazione che avvenne in modo
discreto e senza conseguenze. Il terzo esempio è un
atto di carità particolare: gli americani stavano en-
trando in Chieri. Arrivavano da Riva presso Chieri.
Don Quarello, sapendo che la povera gente ormai
stremata per la fame e l’estrema povertà era andata a
saccheggiare i depositi militari appena abbandonati,
mandò i suoi ragazzi a farli scappare e fece deviare
la colonna dell’esercito americano per il percorso più
lungo dando così a quelle povere persone la possibi-
lità di scappare.
Finita la Guerra aumentarono i giovani che fre-
quentavano ed i parenti di Angelo non si dimen-
ticarono dell’atto di carità e riconoscenti aiutarono
i salesiani a costruire la parte nuova dell’Oratorio.
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Una benedetta novena
Dal dopoguerra fino al nuovo Millennio l’Oratorio
fu sempre florido. Nei primi anni del 2000 comin-
ciò a faticare e situazioni tristi l’affaticarono ulte-
riormente, al punto da sembrare ormai smarrito.
Le presenze dei ragazzi erano diminuite notevol-
mente. Non si svolgevano più le Olimpiadi e anche
la Società Sportiva si era trasferita. Durante
l’estate la presenza dei bambini/ragazzi era molto
diminuita e l’oratorio estivo si limitava a propor-
re attività per sole 5 settimane a poche decine di
ragazzi. Niente più colonia in montagna e la pre-
senza domenicale alla Messa si era ridotta a una
decina di fedelissimi. Fu la visita del Rettor Mag-
giore don Ángel Fernández Artime a incoraggiare
e a scaldare i cuori dei salesiani e di un manipolo di
giovani animatori. “Non vi scoraggiate, disse don
Ángel, pregherò per voi”. Si decise di fare una no-
vena “sui generis” alla Madonna delle Grazie: ogni
secondo lunedì del mese quello che rimaneva della
Famiglia Salesiana del San Luigi, animatori, adulti
e salesiani, si riuniva in Chiesa a pregare. Quella
novena si concluse il secondo lunedì di settembre
del 2015, con la festa della Madonna delle Grazie.
La fede dei giovanissimi animatori e della Famiglia
Salesiana toccò il cuore di Maria e i risultati non si
fecero attendere manifestandosi come doni inequi-
vocabili.
Il Catebus e l’oratorio
Il primo dono è stata una nuova consapevolezza
dell’immenso patrimonio storico-spirituale legato
al travaglio vocazionale del giovane studente-la-
voratore Giovanni Bosco. Le iniziative intraprese
per il Bicentenario della sua nascita favorirono una
riscoperta della perla preziosa che è l’esperienza
di don Bosco a Chieri. Dalle poche centinaia di
quegli anni siamo arrivati a circa 20 000 pellegri-
ni all’anno, un numero davvero straordinario per
la nostra piccola realtà. Ecco così creato il terzo
ambito pastorale dell’Opera l’accoglienza-accom-
pagnamento propositivo ai gruppi che arrivano. Le
visite e i volontari sono coordinati attraverso un sito
di prenotazioni che ormai è in funzione da 6 anni:
www.donboscochieri.info.
Il secondo dono è stato il catechismo “appassiona-
to”. Un catechismo che prevede il coinvolgimento
dei ragazzi attraverso molteplici attività, svolte in
sinergia con gli animatori dell’oratorio. Tra le tante
si è inventato il Catebus. Molti genitori erano oc-
cupati dal lavoro e non potevano portare i bambi-
ni. Ecco allora che gli animatori con l’ausilio degli
scuolabus vanno a prendere i bambini.
Il terzo dono: i salesiani cooperatori, i volontari e gli
amici di don Bosco. Dopo alcuni anni senza nuove
entrate ecco 5 promesse nel 2017 e 15 quest’anno.
Il Duomo
di Chieri.
Mattino
e sera qui
entrava a
pregare
l’adolescente
Giovanni
Bosco.
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LE CASE DI DON BOSCO
La visita
del Rettor
Maggiore
incoraggiò
e scaldò i
cuori dei
salesiani e di
un manipolo
di giovani
animatori.
Tutti giovani mamme e papà coinvolti in infiniti
servizi ai ragazzi, ai pellegrini e agli ultimi.
Il quarto dono: un meraviglioso Oratorio sem-
pre aperto, estate e inverno. In estate, quest’anno,
aperto per 10 settimane! I giovanissimi animatori
si sono preparati con un lungo cammino di forma-
zione.
Il quinto dono: la Chiesa totalmente piena. Non ci
stavamo più nella nostra chiesa di Santa Margheri-
ta e così ci siamo trasferiti nella più capiente chiesa
dei Templari dove, stretti stretti, ci stiamo quasi
tutti. In quella Messa con i capelli bianchi siamo
meno di una decina. Il ritmo della batteria, l’accor-
do della chitarra o l’intonazione del canto non sem-
pre sono precisi ma ci arriveremo. I piccoli di pochi
mesi fanno i loro discorsi e i chierichetti suonano
volentieri più volte la campanella. Sono anche que-
ste e altre piccole e umane imperfezioni che fanno
sentire l’aria di casa, dove il vicino di banco, o chi
legge, o chi suona, ha un nome, una storia. Ci sono
anche periodi dell’anno che non ci stiamo tutti e
quindi abbiamo installato un tendone esterno.
La scuola, lo sport e una statua
Il sesto dono: la Scuola che ha ritrovato il suo vigo-
re. A partire da quest’anno formeremo 3 classi di
prima media, mai successo nella storia della Casa.
Lo storico prestigio, il clima educativo sereno, i
programmi sviluppati in modo puntuale, la trasfor-
mazione in modalità internazionale con insegnanti
madre lingua e alcune lezioni in parte fatte con
una seconda lingua l’hanno resa ancor più appeti-
bile. Il corpo docente, evidentemente accogliente
e appassionante, sereno e coeso, ha favorito l’affi-
damento fiducioso dei ragazzi, tranquillizzando i
genitori, riportando così la presenza numerica di
allievi come nei tempi migliori. In altre parole la
scuola è ritornata ad essere propositiva come nel-
le migliori tradizioni salesiane. È una scuola dove
la musica è anche far partecipare tutti i ragazzi
all’European Day of Early Music facendo suonare
e cantare ai ragazzi brani di Bach con molteplici
strumenti, dove lo studio del mondo animale aiuta
a riconoscere le nostre radici, dove c’è chi ti aiuta
a trovare un amico in ogni libro, dove l’insegnante
ti dimostra che si può conciliare l’essere architetto
insegnando e giocando in una squadra di pallavo-
lo, dove la spiegazione di educazione civica si può
concretizzare facendo l’assessore comunale, dove
la meraviglia delle meraviglie: “Il Truciolo” dà sfo-
go alla tua manualità e creatività realizzando vere
e proprie opere d’arte fatte da te in un laboratorio
da favola. Tutto questo, insieme all’accompagna-
mento spirituale, discreto e propositivo, e i gruppi
di ricerca vocazionale Samuel, hanno reso la nostra
scuola unica e bellissima ed il servizio scuolabus
con le rette contenute l’ha fatta diventare alla por-
tata di tutti.
Il settimo dono: la ripresa della dimensione spor-
tiva: 5 squadre di calcio e 2 di mini volley. Un
ottimo strumento pastorale per poter dare una
buona parola anche ai più lontani, ai ragazzi di al-
tro credo. Per chi legge sembra nulla a confronto
agli anni d’oro della (società calcistica che era
presente all’Oratorio dagli inizi del ’900 al 2012)
dove vi erano solo per il calcio 300 atleti. Nel 2015
alcuni coraggiosi giovani allenatori sono ripartiti
da zero e, con fatiche e pene, in cinque anni è sta-
to rifatto il campo in erba sintetica. Si sono rifatti
i tornei giovanili. Quest’anno per la prima volta
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sono stati realizzati i corsi per allenatori di calcio e
pallavolo. Per adesso hanno superato di poco i 100
atleti, ma la loro fede e tenacia saranno premiate
generosamente.
L’ottavo dono è la nascita di un gruppo di giova-
nissime animatrici che si sta organizzando per un
piccolo sostegno alle giovani mamme con bimbi
molto malati. L’occasione per la nascita di questo
gruppo è stata la testimonianza di alcuni giovani
dell’ . Dopo questo incontro due giovani se-
dicenni hanno chiesto al direttore dell’Oratorio se
fosse possibile fare un gruppo di animatrici e ani-
matori per i malati. Sono un manipolo che come
prima esperienza è andato con l’
a Lourdes
ad accompagnare i malati anziani e giovani. Questa
esperienza è stata folgorante sia per il servizio di
carità sia per il cammino di fede propositivo adat-
to a loro. Insomma le abbiamo viste ritornare da
Lourdes gioiose e trasformate.
Il nono dono: i Gex e l’ . Il naturale andamen-
to delle cose fa sì che un gruppo come gli exallievi
se non viene rincalzato dalle nuove leve fisiologi-
camente diminuisca non per abbandono ma perché
con l’andare degli anni le forze vengono meno, la
deambulazione più difficile e quindi la partecipa-
zione come presenza viene ridimensionata a nume-
ri di anno in anno sempre più contenuti. Accan-
to alle iniziative promosse per il consolidamento/
mantenimento della fede indirizzate ai 30-50enni,
il vero miracolo è la nascita di un
gruppetto di Giovani Exallie-
vi che con le loro votazioni
interne si sono strutturati
eleggendo il Presidente,
il segretario e l’economo.
Hanno messo a punto
un regolamento per il
gruppo e, coinvolgendo i
compagni più giovani,
stanno cercando di
dare continuità a
fronte di probabi-
li difficoltà. La meraviglia è che hanno 13/14 anni.
Il dono dell’
non nasce come un fungo ma
trova le sue radici in quelle mamme e quelle nonne
buone che tutti i giorni da anni dopo la Messa delle
nove, si fermano a pregare per i ragazzi dell’Ora-
torio e della Scuola, per i salesiani e volontari, per
i malati e per chi cerca lavoro. L’Opera Salesiana si
è affezionata a loro che sorridono e gioiscono per i
progressi fatti. È bello ed edificante constatare la
loro consapevolezza di partecipare pienamente alla
missione salesiana a Chieri.
Il decimo dono l’abbiamo fatto noi. Abbiamo fatto
fare da un artista una statua di Maria Ausiliatrice.
È bellissima ed è unica. È semplice, ma è in grado
di affrontare qualsiasi tipo di clima. Da quest’anno
infatti la processione di Maria Ausiliatrice a Chieri
la faremo con qualsiasi tempo, con la pioggia, la
grandine, la neve. La sta-
tua è scolpita nel legno,
ma i colori sono stati
trattati in modo da
resistere alle intem-
perie.
D’altronde Maria
Ausiliatrice per noi
c’è sempre ed è pronta ad
aiutarci in qualsiasi stagio-
ne della vita, e come ha
detto don Bosco, “ha
fatto tutto Lei”!
Un
laboratorio,
“Il Truciolo”,
dà sfogo alla
manualità
e creatività
realizzando
vere proprie
opere d’arte
fatte in un
laboratorio
da favola.
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2.8 Page 18

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L’INVITATO
O. Pori Mecoi
Il Regolatore
A Valdocco il 16 febbraio,
domenica, comincerà
il ventottesimo Capitolo Generale
della Congregazione Salesiana.
È il principale segno dell’unità
della Congregazione nella sua
diversità. Ne parliamo con don
Stefano Vanoli che è il Regolatore
del Capitolo, colui che sta nella
“cabina di pilotaggio”.
Puoi autopresentarti?
Mi chiamo Stefano Vanoli sono nato a Varese il 1°
marzo 1968. Sono salesiano dal 1988 e prete dal
1996. Dopo una splendida infanzia e fanciullezza
vissuta nelle case delle Figlie di Maria Ausiliatri-
ce della mia città – scuola materna e scuola ele-
mentare – ho frequentato i tre anni della scuola
media inferiore (oggi secondaria di primo gra-
do) presso i Salesiani di Varese e, successiva-
mente, la scuola secondaria di secondo
grado presso l’Istituto Tecnico Statale
per Geometri “P.L. Nervi” di Varese
conseguendo il diploma di geometra.
Terminata la scuola, sono entrato nel
noviziato di Pinerolo (TO) l’8 settembre
1987 e sono diventato salesiano al Colle
Don Bosco nell’anno centenario della
morte di san Giovanni Bosco l’8 set-
tembre 1988. Ho seguito il cammino
formativo nelle case salesiane di Nave
(postnoviziato), Parma (tirocinio), Torino Crocetta
(teologia), Nave (anno di diaconato).
L’obbedienza mi ha poi inviato a Milano come aiu-
to al delegato ispettoriale per la pastorale giovanile,
a Bologna come catechista della scuola secondaria
di secondo grado e animatore vocazionale ispetto-
riale per la regione Emilia-Romagna, ancora a Mi-
lano per sei anni come delegato ispettoriale per la
pastorale giovanile e per due anni come direttore
della casa “Don Bosco” (scuola professionale e li-
ceo scientifico tecnologico). Sono stato direttore a
Lugano (Svizzera) per tre anni e a Chiari (Brescia)
per due anni.
Nel mese di giugno del 2013 il Rettor Maggiore
don Pascual Chávez mi ha chiesto di assumere il
compito di direttore della procura missionaria di
Torino. Quindi, sono stato a Torino-Valdocco dal
settembre 2013 all’agosto 2014. Sono rientrato nel-
la mia Ispettoria di origine – Ispettoria Lombardo-
Emiliana ( ) – nella casa di Parma come catechi-
sta del liceo e come incaricato dell’oratorio.
All’inizio dell’anno educativo pastorale a Parma,
nel mese di novembre del 2014, sono stato raggiun-
to da una e-mail del Rettor Maggiore, don Ángel
Fernández Artime, il quale mi chiedeva la dispo-
nibilità di diventare Segretario generale della Con-
gregazione. Così dal 24 agosto 2015 svolgo questo
compito.
Nel mese di aprile 2018 il Rettor Maggiore con il
consenso del Consiglio generale mi ha nominato
Regolatore del Capitolo generale 28.
Nella mia breve vita salesiana ho avuto la grazia
di partecipare ad altri due capitoli generali: il 25°
nel 2002 e il 27° nel 2014 sempre come delegato
dell’Ispettoria e anche di svolgere il compito di
regolatore di due capitoli ispettoriali. Tra gli inca-
richi svolti, oltre a quello di direttore e di delegato
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Febbraio 2020

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ispettoriale per la pastorale giovanile, sono stato
per dodici anni consigliere ispettoriale.
Qual è il compito del Regolatore?
I compiti affidati al Regolatore sono indicati nei
Regolamenti generali della Congregazione e ri-
guardano essenzialmente due momenti: la fase
preparatoria e la fase della celebrazione/svolgimen-
to del Capitolo generale. Diventa il punto di riferi-
mento per l’espletamento di una serie di incomben-
ze giuridiche che ciascuna ispettoria deve onorare:
raccolta dei documenti delle ispettorie, cataloga-
zione dei contributi di singoli o gruppi di confra-
telli, verifica dei partecipanti al Capitolo generale,
coordinamento della commissione preparatoria del
Capitolo generale, preparazione dei vari calendari
del Capitolo generale, preparazione degli ambienti
in cui si svolgerà il Capitolo, conduzione delle riu-
nioni e dell’intero Capitolo generale d’intesa con il
Presidente (Rettor Maggiore) ecc.
Una responsabilità che fortunatamente può contare
sull’esperienza di chi ha già ricoperto questo ruo-
lo prima di me e su altri validissimi collaboratori
che, fin dal giorno della mia nomina, hanno dato e
stanno dando il loro prezioso apporto.
Da molti confratelli, inoltre, ho ricevuto espressio-
ni di stima e riconoscenza e l’assicurazione, per me
molto importante, di un ricordo quotidiano nella
loro preghiera.
Perché il Capitolo è così importante
per la vita della Congregazione?
La risposta è contenuta nell’art. 146 delle no-
stre Costituzioni: «Il Capitolo generale è
il principale segno dell’unità della
Congregazione nella sua diversità.
È l’incontro fraterno nel quale i
salesiani compiono una riflessio-
ne comunitaria per mantenersi
fedeli al Vangelo e al carisma
del Fondatore e sensibili ai bi-
sogni dei tempi e dei luoghi.
Per mezzo del Capitolo generale l’intera Società,
lasciandosi guidare dallo Spirito del Signore, cer-
ca di conoscere, in un determinato momento della
storia, la volontà di Dio per un miglior servizio alla
Chiesa». Questo articolo esprime molto bene l’im-
portanza del Capitolo generale.
Che cosa chiede il tema?
«Quali salesiani per i giovani di oggi?» è il titolo
dato al Capitolo generale 28°. Si tratta di un tema
unitario ma articolato in tre nuclei: la priorità della
missione salesiana tra i giovani di oggi, il profilo
del salesiano per i giovani di oggi, la missione e
la formazione condivisa tra salesiani e laici. Si
tratta, dunque, di analizzare in profondità questi
aspetti al fine di definire e ridefinire il “volto”
del salesiano consacrato del 2020. Per conseguire
questo obiettivo necessariamente partiamo dai
giovani che sono il “luogo teologico” nel quale,
come don Bosco, anche noi siamo chiamati da
Dio. Don Bosco ha scoperto e risposto alla propria
vocazione stando con i giovani, impegnandosi per
loro e con loro “fino all’ultimo respiro”. Pertanto,
se noi vogliamo ri-comprendere la nostra identità
e la nostra missione oggi, dobbiamo tornare ai
giovani, a Dio che ci parla nei giovani.
Don Stefano
Vanoli con
il Rettor
Maggiore,
chiamati
ad essere
l’anima del
Capitolo
generale.
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2.10 Page 20

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L’INVITATO
Oggi, inoltre, non è pensabile comprendere o defini-
re la figura del salesiano senza un diretto riferimento
alla grande valorizzazione che, dal Concilio Vatica-
no II in poi, è stata data ai laici. Questa “scoperta”
è stata accolta ufficialmente dalla Congregazione in
occasione del CG 24° del 1996, ma ha bisogno anco-
ra di essere approfondita. Di fatto in numerose zone
del mondo salesiano ci sono comunione e condivi-
sione tra salesiani e laici come ha chiesto il CG 24°.
Tuttavia, è necessario sviluppare le enormi potenzia-
lità che questa relazione permette e riserva ancora.
La missione e la formazione condivisa con i laici non
è una novità di questi ultimi anni. Fin dalle origi-
ni, già con don Bosco, era sentita, anche se non con
l’impellenza di oggi. Con gli strumenti e le espe-
rienze sorte in questi ultimi decenni, si vede la ne-
cessità di un ulteriore approfondimento e sviluppo.
Del resto, come scrive anche il Rettor Maggiore nel-
la lettera di convocazione, «solo condividendo la mis-
sione potremo dare le migliori risposte senza delude-
re gli adolescenti e i giovani di oggi e domani, che
tanto hanno bisogno di noi». Vale anche qui il detto,
più volte ripetuto: «per educare un uomo ci vuole un
villaggio». Per noi questo “villaggio” è la comunità
educativa pastorale: salesiani e laici insieme.
I due “poli” – missione giovanile e missione e for-
mazione condivisa con i laici – fanno emergere il
profilo del salesiano che, tra le altre cose, domanda
a. un chiaro e costante riferimento alla figura di
don Bosco che vada al di là dei soli aneddoti e che
giunga a penetrare nuovamente il senso del da mihi
animas coetera tolle, il senso del suo essere educa-
tore e pastore dei giovani per annunciare a tutti,
specialmente ai giovani, il vero volto di Dio e la
vocazione filiale di ogni uomo. Questo domanda di
imparare ancora da don Bosco non solo che “cosa”
fece, bensì “come” lo fece;
b.una formazione di qualità garantita dalla pre-
senza di équipe qualitativamente costituite, spe-
cialmente nella formazione iniziale, e dalla risposta
continua alla chiamata del Signore; aiutati e ac-
compagnati da una attraente e solida vita di comu-
nità nella quale rinnoviamo il nostro essere “segni e
portatori dell’amore di Dio ai giovani”;
c. qualità, ossia persone che hanno la capacità di
vivere la vocazione salesiana consacrata con gioia e
che sanno trasmettere quella stessa gioia e felicità;
confratelli che hanno imparato l’arte di discerne-
re la voce dello Spirito nella vita quotidiana e che
sanno riconoscere la presenza di Dio nella vita dei
giovani; uomini che sanno accompagnare i vissu-
ti: l’esperienza della vita comunitaria, la preghiera,
l’apostolato, l’esperienza dei consigli evangelici ecc.
Chi sono i partecipanti?
Possiamo distinguere due ordini di partecipanti.
Un primo gruppo formato dai confratelli che han-
no un ruolo di governo a livello mondiale o ispetto-
riale. Si tratta del Rettor Maggiore, del Consiglio
generale e degli ispettori o superiori delle diverse
circoscrizioni.
Un secondo gruppo formato da confratelli “delega-
ti” dalle ispettorie.
Infine, un terzo gruppo detto degli “invitati”: confra-
telli o laici che sono chiamati a partecipare al Capi-
tolo generale su invito esplicito del Rettor Maggiore.
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SALESIANI
Don Eugenio Baldina
«I miei primi novant’anni
con Maria e don Bosco»
“Vorresti dirmi che cosa
ti hanno insegnato i tuoi
68 anni di vita salesiana
e i 58 anni di sacerdozio?”
mi ha detto a bruciapelo
un giovane amico.
Non ho rifiutato la proposta, ma ho pensato
che per fare memoria del mio passato mi
sarebbe stato di aiuto dire Grazie al Dio
della Vita e della mia vita; invitando tutti
quelli che verranno a conoscere questa “memoria”
ad aggiungere al mio “piccolo e solitario grazie” il loro
“Grazie”. Così formeremo insieme una meraviglio-
sa e splendida sinfonia per lodare il Signore.
Ecco alcune, tra le tante cose che ho imparato e
che gradualmente mi hanno aiutato a vivere la mia
missione con gioia e fedeltà.
Nella storia della mia vocazione tutto è andato in
un crescendo graduale e si è sviluppato come una
piccola semente che germoglia, forma il primo ste-
lo, mette le foglie, si arricchisce di fiori e alla fine
offre i frutti maturi. Ho imparato che con Cristo o
senza Cristo, tutto cambia nella vita. Il Signore ha
detto che chi rimane in Lui produce “molto frutto”.
E non ha detto: “senza di me potete far poco”, ma ha
detto “senza di me non potete far nulla”… nel poco o
nel molto! Nella mia vita l’ho sperimentato molte
volte, sia nella buona sia nella cattiva sorte.
Ho capito che…
1. Ho capito che la vita mi è data per cercare, cono-
scere e amare Dio; la morte per incontrare il Signo-
re; l’eternità per goderlo per sempre.
2.Ho capito che Maria mi ha preso per mano fin
da piccolo. Non fu puro caso l’essere stato battez-
zato il 25 marzo, e 31 anni dopo essere stato consa-
crato prete il 25 marzo, Festa dell’Annunciazione.
Avevo poi 17 anni quando mi sono consacrato a
Lei il 25 marzo 1947. Il 7 ottobre 1945 (Festa del-
la Madonna del Rosario) lasciavo i miei genitori per
iniziare gli studi presso i Salesiani di Ivrea.
Il 7 ottobre 1949 partivo come aspirante salesiano
da Genova per il Perù.
Il 15 settembre 1957 (Festa dell’Addolorata) sbar-
cavo a Genova rientrando dal Perù per lo studio
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della Teologia a Monteortone (PD). Lei mi ha ac-
compagnato fino al presente e sono certo che, te-
nendomi per mano, mi accompagnerà all’incontro
con il Signore alla fine della vita.
È la Mamma che per prima in casa accende il fuoco:
è Lei che ha acceso in me il fuoco dello Spirito. Ora
La prego affinché mi aiuti ad attizzare ogni giorno
la legna e questo Fuoco-Presenza del Signore non si
spenga. Sicché io continui ad accenderlo in altri.
Sempre di più mi sono convinto che Maria è dav-
vero Madre dei sacerdoti e Aiuto dei cristiani e non
abbandona chi si affida continuamente a Lei.
3. Ho capito che se sono felice di essere quello che
sono, lo devo all’aiuto di alcuni sacerdoti. Per esempio
don Gelindo Rizzolo, cappellano a Brugine (la mia
parrocchia) ed exallievo salesiano: dissi a me stesso
“nella vita vorrei fare come faceva don Gelindo!”; e
così ho scoperto in me il primo germe di vocazione.
La presenza di don Gelindo nella nostra parrocchia la
paragono a una goccia di miele che attira le mosche.
Così era quel santo sacerdote per noi ragazzi e i giova-
ni: quando appariva Lui, Gli eravamo tutti attorno.
Poi conobbi il direttore dell’Aspirantato salesiano
di Ivrea, don Lorenzo Chiabotto; ed ancora ricordo
con gratitudine don Pietro Ciccarelli, insegnante nel
Ginnasio e in seguito mio Ispettore per due anni.
In Perù l’indimenticabile don Ambrogio Tirelli, il
P. Maestro del noviziato che aveva conosciuto don
Bosco. Don Alcide Fanello, mio Confessore nei pri-
mi sette anni di vita salesiana in Perù; padre Jerardo
Juge che degli otto anni passati in Perù fu mio Di-
rettore per sette.
Ritornato in Italia fui accolto da don Giuseppe
Manzoni, Direttore dello Studentato teologico di
Monteortone e per altri 25 anni mio confessore. Io
lo definisco “il mio secondo papà” perché è stato co-
lui che mi ha aiutato a risolvere il lungo travaglio
affettivo durato tutto il terzo anno di teologia. Non
dimenticherò mai il colloquio del dopocena del 12
giugno 1960. Avevo fatto la domanda per essere am-
messo al Suddiaconato e nella domanda non dicevo
una parola della mia lunga incertezza. Dato che al
mattino seguente don Giuseppe doveva incontrar-
si con il Consiglio Ispettoriale per l'ammissione
all’Ordine, quella sera mi disse “Nella domanda non
dici niente del tuo travaglio interiore. Se parlo io ti
bocciano, e questo non lo ritengo giusto. Tu che ri-
sposta mi dai? La risposta me la porterai domattina
prima che parta per Verona” e ci lasciammo. Prima
di andare in camera, andai in Chiesa e facendo quei
tre gradini per entrare risuonò chiara in me la con-
vinzione “io rimango con don Bosco”. Non mi ri-
cordo quanto tempo rimasi in Chiesa, so solo che
andai subito a cercarlo per dargli
la risposta. Lo trovai che prega-
va il Rosario passeggiando lungo
il corridoio e gli dissi “Rimango
con don Bosco”. Mi rispose sor-
ridendo “lo sapevo già!”.
Da quel momento neanche per
l’anticamera del cervello mi
passò mai il minimo dubbio di
non essere al mio posto. E quel-
la sera, dal profondo del cuore è
riemerso in me tutto quel feli-
cissimo periodo degli otto anni
passati in Perù che ancor oggi
rivivo con grande riconoscenza
sentendoli come la musica di
sottofondo che accompagna la
mia vita.
In questi anni della mia giovi-
nezza quello che mi ha sempre aiutato ad andare
avanti è stata la grande apertura d’animo e la doci-
lità che ebbi con tutti questi miei amati “Superiori”
Sacerdoti. Ho sempre notato in loro il grande ri-
spetto per la mia libertà.
Tutto questo parla dell’importanza e del valore del-
la Direzione spirituale. Nel campo spirituale diffi-
cilmente si è autodidatti e le decisioni grandi della
vita sono sempre frutto del confronto e della Grazia
di Dio.
4.Superate le difficoltà giovanili per la confessione
grazie all’amatissimo don Gelindo, in essa ho sem-
Don Eugenio
Baldina ieri
(sopra) e oggi
(a pagina
precedente):
il cuore non
invecchia.
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SALESIANI
Una
passeggiata
nel porto di
Lima (Perù),
agosto 1954.
pre trovato, nella frequenza regolare, luce, forza e
coraggio e la medicina giusta per ogni caso della
mia vita. Sono convinto che la Confessione rego-
lare ed accurata salverà il mio sacerdozio dalla su-
perficialità, dalle illusioni, dalla tiepidezza e dalla
catastrofe.
Nella frequente Confessione, sia come penitente sia
come ministro della misericordia di Dio, ho capi-
to che nessun’altra Persona mi ha amato e mi ama
tanto come il Signore Dio. E mentre scoprivo la
mia incoerenza e infedeltà, ho capito e conosciuto
sempre di più la sua Fedeltà. Ed è per questo che
non ho mai esitato a consegnargli tutta la mia vita.
5. Ho capito la verità delle parole di Mamma Mar-
gherita a don Bosco nel giorno della sua prima
Messa: “Dici la messa. Da qui in avanti sei dunque
più vicino a Gesù. Ricordati però che incominciare
a dir Messa, vuol dire incominciare a patire. Non
te ne accorgerai subito, ma a poco a poco vedrai che
tua madre ti ha detto la verità.”
Ispirato da queste parole scelsi come motto della
mia vita sacerdotale: “Per loro santifico me stesso
affinché siano anch’essi santificati nella verità” (Gv
17,19). E l’esperienza di 58 anni di sacerdote mi ha
fatto capire che senza la croce non c’è salvezza e
che io prete per primo ogni giorno devo accogliere
e portare la mia croce e, per tantissime volte, anche
quella dei giovani e dei penitenti, se voglio esse-
re solidale e coerente. E questo anche se non mi
dovesse piacere. È come bere l’acqua – diceva don
Giovanni Fedrigotti – non ha grandi sapori, ma
mantiene la vita.
6. Ho capito che don Bosco non è solo un perso-
naggio storico, ma un vero Padre e Maestro, che si
è preso cura di me fin da quando ero giovanissimo.
Sotto la guida di don Gelindo, ho incominciato a
conoscere e amare don Bosco che fin da allora l’ho
sentito potente intercessore. Per questo quando si
trattò di scegliere la mia strada, non ho esitato a
desiderare di essere prete: uno che, per primo, in-
voca e gusta la misericordia per essere testimone in
mezzo ai fratelli; insomma, prete come don Bosco
e prete con don Bosco dedicando la mia vita ai gio-
vani.
7. Ho capito che le vie del Signore non sono le mie
vie, e i suoi tempi e le sue stagioni sono diverse dal-
le mie. Da ragazzo avevo altri progetti e Lui un po’
alla volta li ha modificati (mai imponendomeli, ma
rispettando la mia libertà e aspettando i miei “sì”,
a volte detti a denti stretti dopo dolorosi momen-
ti di discernimento). Ho capito che la mia serenità
e felicità spirituale non consistevano in ciò che io
desideravo. E progressivamente con l’Aiuto di Dio,
cercando di fare la Sua Volontà, ho trovato il corag-
gio di andare contro corrente per scoprire la strada
che porta alla Sorgente della gioia vera.
8. Ho capito che… il detto di Gesù riportato da san
Paolo: “Vi è più gioia nel dare che nel ricevere” è una
grande verità. La sperimento un’infinità di volte
lungo le mie giornate. Il dire “sono a tua disposizio-
ne quando vuoi” mi fa essere dono e apre sempre la
porta del cuore del giovane o del fratello o sorella; mi
rende utile alla sua vita. “Il Figlio dell’uomo infatti
non è venuto per essere servito, ma per servire e dare
la propria vita in riscatto per molti”.
9. Ho capito che essere nato in una famiglia cri-
stiana, da un Papà e una Mamma, insieme ad altri
sei fratelli è stato il modo più ordinario con cui il
Signore mi ha amato fin dall'inizio.
Io sono il terzogenito. Ripensando alla mia espe-
rienza familiare posso dire che la serenità e la fe-
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licità della propria vita sta nello scoprire, per poi
viverlo, il progetto pensato dal Signore per la vita
di ciascuno. È per questo che non ho badato a fa-
tiche, (e ne sono felice) nel mio lavoro salesiano per
aiutare i giovani e le giovani a scoprire, attraverso
la direzione spirituale e la confessione, il progetto
che Dio ha sognato per loro per una vita matrimo-
niale oppure totalmente donati a Lui nel sacerdozio
o come religiosi.
10.Ho capito che il senso profondo della mia pic-
colezza e inadeguatezza si può accompagnare con la
convinzione serena che al Signore è piaciuto servirsi
di me per fare del bene. Non sono mai stato “una
cima” (eccetto fisicamente per 1,90 di altezza). Mio
papà, vedendomi contento e soddisfatto della mia
vocazione sempre in mezzo ai giovani, un po’ iro-
nicamente, più volte mi ha ricordato una frase del
nostro vecchio parroco a mio riguardo: “Eugenio è
una testa dura e non arriverà mai a essere un prete
decente”. Decente o no, ora con la gioia e consape-
volezza del lavoro di 68 anni di vita salesiana e 58 di
sacerdote, posso solo dire:
, Signore, che hai
avuto grande fiducia in “una testa dura” come me.
Grazie, Signore, per il dono della vita, della vo-
cazione cristiana, della vocazione salesiana e
della vocazione sacerdotale. Tutto a Lode e Glo-
ria del tuo Nome, per il bene della Chiesa e della
Congregazione, dei giovani che spontaneamente
mi hanno avvicinato… e di quelli che sono andato
io a cercare.
LE BIBLIOTECHE UMANE
Un'esperienza sorprendente è quella delle biblioteche uma-
ne, dove invece dei libri si possono consultare persone che
raccontano quello che hanno imparato dalla vita.
Come funziona una biblioteca umana? Gli utenti che vi acce-
dono e consultano il suo catalogo invece di trovare i libri tra-
dizionali troveranno persone con storie da raccontare e con
cui potranno sedersi faccia a faccia per mezz‘ora, non solo per
ascoltare ma anche per parlare. Sono persone anziane, nor-
malmente “condannate” a passare il loro tempo in una specie
di solitudine e invece sono un tesoro inestimabile di storie,
esperienze, sapienza.
Il bello è che tutti possiedono in casa una biblioteca umana:
sono i nonni, le persone che portano il tesoro prezioso della
memoria.
Un anziano è come una vite. I tralci, sembra che se ne restino
lì inerti, a godersi pigramente i benefici della stagione dora-
ta. Ma essi continuano a maturare giorno dopo giorno, fino al
tempo della vendemmia, per poi caricarsi di nettare delizioso.
Così è per l‘anziano: non deve più affannarsi a operare, non ha
più bisogno di attendersi riconoscimenti per le sue prestazio-
ni. Il suo “esserci” semplicemente non è tuttavia sinonimo di
passività; la sua energia inferiore continua ad animarlo, man-
tenendo feconda la sua esistenza. Molti anziani – gente sem-
plice o artisti di fama mondiale – hanno ancora parecchie cose
da dire e da offrire a chi voglia valorizzare le loro esperienze di
vita, a chi non disdegni di attingere alle ricchezze del loro spi-
rito, alla saggezza della loro visione del mondo e della storia.
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SOGNI
ANS
Se don Bosco sognava alla grande, i Salesiani continuano a realizzare
i sogni di migliaia di persone, ogni giorno, in tutto il mondo.
La storia di Musu e
del piccolo “Juan Bosco
La ragazzina si voltò a cercare
qualcosa accanto a sé e mise nelle
mani del salesiano un bambinetto
di tre settimane.
Il missionario
salesiano
non esitò un
momento: “Il
suo nome è
Juan Bosco,
Juanito
Bosco”.
Musu era una bambina quando il mis-
sionario salesiano don Jorge Crisaful-
li la trovò per strada sotto un tavolo,
nel centro di Freetown. Pioveva molto
ed era freddo per chi è abituato al caldo tropica-
le. “Come ti chiami? – le chiese – Sei ammalata?”
Tossiva senza sosta, ma i suoi occhi e il suo volto
annunciavano dolori più profondi di quelli fisici.
Don Crisafulli le mise una mano sulla fronte e si
accorse che scottava per la febbre. Quello fu l’inizio
di una grande storia di speranza.
La piccola Musu gli raccontò che era andata in
ospedale, ma non avendo 15 000 leones (circa 1,5
euro) per poter entrare, non era stata curata.
“Ti porterò subito in ospedale”, disse il
salesiano; ma in quel mo-
mento Musu si voltò a
cercare qualcosa ac-
canto a sé e mise nel-
le mani del religioso
un bambinetto di tre
settimane, indifeso,
scheletrico, quasi mo-
rente e senza nome.
Don Crisafulli accompagnò Musu all’Ospedale
Generale, dove le diagnosticarono la tubercolosi
e la polmonite. Quanto al piccolo, poiché lì non
avevano i mezzi per curarlo, lo portò al “Cotta-
ge Hospital”, dove gli riscontrarono tubercolosi,
disidratazione e malnutrizione. Quando il medi-
co chiese un nome per registrare il bambino nel
centro sanitario, il missionario salesiano non esitò
un momento: “Il suo nome è Juan Bosco, Juanito
Bosco”.
Quando tornò all’Ospedale Generale rassicurò
Musu che il bambino stava bene e che sarebbe so-
pravvissuto. Don Crisafulli dovette anche dirle che
gli era stato chiesto il nome del bambino per poter-
lo registrare in ospedale e che gli aveva dato nome
Juan Bosco.
Musu cambiò espressione e sembrava contrariata.
Il salesiano le chiese se non le piaceva il nome Juan
Bosco e lei gli rispose: “avrebbe dovuto dargli il suo
nome, Jorge Crisafulli!”.
Oggi, Musu e Juan Bosco sono in buona salute.
Entrambi hanno superato i loro problemi. Musu ha
ormai 18 anni, studia come parrucchiera e vende
sandali, mentre il piccolo Juan Bosco è un ragaz-
zo sano e sorridente, che rende onore al suo nome,
corre dappertutto ed è un segno di resistenza, so-
pravvivenza e speranza di fronte alle avversità.
Musu e Juan Bosco sono due tra i tanti casi di suc-
cesso del lavoro che i Salesiani compiono in Sierra
Leone e in molti Paesi del mondo per togliere i bam-
bini dalle strade e offrire loro un’educazione.
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SGUARDO SALESIANO SUL MONDO
B.F.
Sia benedetto il cortile!
L’80% degli adolescenti nel
mondo non fa l’esercizio minimo
raccomandato, malnutrizione e
obesità giovanile colpiscono nei
paesi ricchi e in quelli poveri.
La soluzione vincente è quella di
don Bosco: «Si dia ampia libertà
di saltare, correre, schiamazzare
a piacimento…». Per questo
occorre un cortile.
«Il mondo fa schifo e le persone là fuori mi
fanno schifo, perché non hanno valori.
E tanto la società non punisce nessuno».
È la frase che Luca, 16 anni, ripete più
spesso. Nel suo piano personalizzato di studi, il neu-
ropsichiatra ha scritto che questo ragazzone alto e ro-
busto è un hikikomori. Da settembre a oggi è andato
a scuola sì e no un mese. Luca studia nella sua came-
retta, da solo. Legge, sottolinea. E si fa interrogare
concordando il giorno con i professori. Non è mai
stato bocciato. Nemmeno nel periodo più buio. Per
mesi Luca è rimasto chiuso in camera con le tappa-
relle delle finestre abbassate e senza uscire neanche
per mangiare. La mamma gli preparava un vassoio
da portare nel suo rifugio fatto di quattro pareti.
Casi come questo sono in aumento. Che cosa suc-
cede ai ragazzi, oggi?
Abulici, svuotati, passivi. Gli esperti hanno avver-
tito a lungo che i giovani non fanno tutto l’esercizio
fisico che dovrebbero. Ora abbiamo la conferma:
l’80% degli adolescenti di età compresa tra 11
e 17 anni in tutto il mondo non svolge l’attività
giornaliera minima per essere in buona salute. E gli
specialisti non parlano solo di sport, ma di azioni di
base come camminare per andare a scuola o giocare
a pallone con gli amici nel parco. Le norme dell’Or-
ganizzazione mondiale della sanità ( ) parlano
di un’ora di movimento giornaliera. Questi dati ora
acquisiscono una nuova rilevanza, se prendiamo
in considerazione l’epidemia di obesità che ha
raggiunto praticamente tutti i paesi del mondo.
Quattro scienziati hanno appena pubblicato il più
grande studio fino ad oggi, sia per il periodo che
copre sia per la popolazione che esaminano, sull’at-
tività fisica in questa fascia di età. Il gruppo di ri-
cercatori guidato da Regina Guthold ha analizza-
to l’evoluzione dal 2001 al 2016 di 1,6 milioni di
giovani che vanno a scuola in quasi 300 sondaggi
nazionali in 145 paesi e territori. Ne traggono tre
conclusioni principali: negli ultimi 15 anni sono
Il «ritiro sociale grave»
La freddezza dei numeri racconta il disagio di
bambini e ragazzi. Sempre più fragili, tanto da farsi
del male, se non addirittura decidere di farla finita.
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stati compiuti progressi tra poco e nulla, le ragazze
fanno meno esercizio ed è un flagello comune per i
paesi poveri e ricchi.
La ricetta “salesiana”
Per questo oggi c’è più che mai bisogno della ricetta
di don Bosco. Lui non incomincia da un edificio o
una chiesa, incomincia da un prato. È la sua prima
grande intuizione: uno spazio libero, senza confini
tranne il cielo. Uno spazio per la vita. Un cortile,
uno spazio in cui i ragazzi possano giocare, diver-
tirsi, incontrarsi, lasciar esplodere le energie. Perché
i bambini in cortile urlano? È il rumore della vita.
Il gioco non è passatempo e l’oratorio non è un ri-
trovo per buontemponi perché il gioco è il lavoro
più serio dei bambini e dei ragazzi. Occorrono spa-
zi e fonti di energia per caricare le batterie dell’en-
tusiasmo. Il cortile diventa il luogo della vera ri-
creazione.
Questo aspetto della pedagogia salesiana è geniale e
vitale. Basta con i “bambini d’appartamento”, oggi
i bambini vivono soprattutto in spazi chiusi. In so-
litudine a parlare e giocare con delle macchine. Un
salesiano lo esprimeva così, con semplicità: «I ra-
gazzi sono come i passerotti, in gabbia muoiono».
Don Bosco ha chiara l’idea del “rinforzo sociale” e
vuole fornire ai ragazzi un ambiente e degli amici e
coetanei che vivono secondo valori cristiani e uma-
ni, neutralizzando così le “cattive compagnie”. Ma
non vuole solo che i ragazzi siano protetti e abbiano
un rifugio caldo e accogliente. Vuole che i giovani
abbiano un futuro e una vita realizzata e felice.
Per questo intorno al cortile sorgeranno una chie-
sa, un convitto, una scuola, dei laboratori. Scuola,
chiesa, cortile. Una casa salesiana è tutto questo
realizzato nella pietra. Ma l’oratorio di don Bosco
è molto di più. È un arsenale di stimoli e creativi-
tà: musica, teatro, sport e passeggiate che sono vere
immersioni nella natura.
La sua ricetta è: «Si dia ampia libertà di saltare,
correre, schiamazzare a piacimento…». Nelle Me-
morie dell’Oratorio sono tante le parole che indicano
movimento e allegria: «Schiamazzi, canti, grida;
fare applausi e ovazioni gridando, schiamazzando
e cantando; stanchi dal ridere, scherzare, canta-
re e direi di urlare; la maggior parte se la passava
saltando, correndo e godendosela in vari giuochi e
trastulli. Tutti i ritrovati dei salti, corse, bussolotti,
corde, bastoni erano messi in opera sotto alla mia
disciplina». Don Bosco è modernissimo. Conside-
ra gioia, gioco e movimento bisogno fondamentale
dei giovani. Oggi sono una necessità vitale.
L’ultimo dei sette ‘secreti dell’Oratorio’, registra-
ti da don Barberis nel giugno 1875, è: ‘Allegria,
canto, musica e libertà grande nei divertimenti’. Il
cortile, fiore all’occhiello di ogni casa salesiana, è
per i salesiani un’insostituibile realtà pedagogica e
spirituale.
Il gioco è il
lavoro più serio
dei bambini
e dei ragazzi.
Occorrono
spazi e fonti
di energia
per caricare
le batterie
dell’entusiasmo.
Il cortile è il
luogo della vera
ri-creazione.
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FMA
Emilia Di Massimo
«Mor…Nizza»
Una marcia per ricordare
il cammino di Madre Maria
Domenica Mazzarello e le prime
Figlie di Maria Ausiliatrice da
Mornese a Nizza Monferrato.
Due giorni di spiritualità salesiana,
immersione nella natura, sport,
cultura e buon mangiare.
L o scrittore Bruce Chatwin affermava che
“La vera casa dell’uomo non è una casa, è la
strada. La vita stessa è un viaggio da fare a
piedi”. Forse è anche per tale motivo che un
celebre cammino/pellegrinaggio è giunto alla sua
terza edizione ed ancora una volta la manifestazio-
ne è stata resa possibile con l’aiuto del patrocinio
dei comuni di Nizza Monferrato ed Acqui Terme,
con il sostegno dei comuni di Castel Boglione, di
Castel Rocchero e di Mornese, con la collaborazio-
ne di molte Istituzioni tra cui gli Alpini di Nizza
Monferrato e Castel Boglione e mediante tanti altri
preziosi sostenitori dell’evento.
Ideato da Maurizio Martino, appassionato di na-
tura, storico del territorio, in stretta collaborazio-
ne con le Figlie di Maria Ausiliatrice che ne fan-
no parte, in particolare con suor Paola Cuccioli,
l’evento trova una positiva risposta ed una vasta
partecipazione. Ci stiamo riferendo al cammino/
pellegrinaggio annuale Mor…Nizza, il quale ha
come obiettivo quello di ripercorrere il cammino
che Madre Maria Domenica Mazzarello e le prime
Figlie di Maria Ausiliatrice hanno intrapreso per
venire a stabilirsi, nel 1879, in quella che sarebbe
diventata la Casa-madre della Congregazione.
Partire da Mornese verso Nizza Monferrato, nel
1878, è stata un’avventura ma soprattutto uno sra-
dicamento e un trapiantarsi, d’altronde non c’è vita
che cresce senza essere trapiantata! Ma proprio
questo ha rafforzato il carisma salesiano.
Il passaggio da Mornese a Nizza Monferrato è sta-
to voluto da don Bosco e accolto da Madre Maz-
zarello, dalle prime sorelle che hanno fatto crescere
l’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice fino a
raggiungere tutto il mondo. È stato un primo pas-
so, e nessuno avrebbe potuto prevedere che rag-
giungesse i confini del mondo.
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4.1 Page 31

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Andare a Nizza Monferrato è stato cambiare, muo-
versi, ricominciare una nuova vita con lo stesso
spirito che, a sua volta, si sarebbe diffuso in tutto
il mondo. Un viaggio che non ha avuto paura della
novità e del coraggio di rinascere più forti, più grandi
e più vivi; sono queste le orme sulle quali i pellegrini
continuano a camminare; Mor…Nizza non è solo la
commemorazione di un momento storico: è anche
un segno e una chiamata che invita a continuare
ad essere oggi capaci di spostarsi, di rispondere alle
emergenti necessità delle nuove generazioni e ancora
partendo da Mornese per raggiungere ogni confine,
anche se in parte simbolicamente, ma effettivamente
si percorrono ben 54 chilometri vissuti nello spirito
di famiglia, tipico della spiritualità salesiana.
Come le passeggiate autunnali
di don Bosco e dei suoi giovani
Le origini del pellegrinaggio sono molteplici, pre-
valentemente sono ricordi che, per il carisma sa-
lesiano, continuano ad esserne le radici. Ecco il
programma del cammino/pellegrinaggio carico di
evocazioni storiche che hanno segnato positiva-
mente la diffusione dell’opera salesiana.
“In occasione dei 145 anni della fondazione della
Congregazione delle Figlie di Maria Ausiliatrice,
dei 140 anni dell’acquisto da parte di don Giovanni
Bosco della casa di Nizza Monferrato, ricordan-
do le passeggiate autunnali che egli faceva con i
suoi ragazzi anche nel Monferrato, ed in occasio-
ne dell’inaugurazione dell’Archivio Storico delle
Figlie di Maria Ausiliatrice dell’Ispettoria Pie-
montese “Maria Ausiliatrice”, evocando la prima
spedizione missionaria che ha portato il carisma
salesiano nei cinque continenti, ricordando suor
Teresa Valsè Pantellini nel 110° anniversario della
sua nascita al cielo, si propone un cammino, del-
la durata di 2 giorni, all’insegna: della spiritualità
salesiana, dell’immersione nella natura, ma anche
dello sport, della cultura e del sano divertimento,
caratteristiche delle famose passeggiate autunnali
di don Bosco e dei suoi giovani!”
Il cammino/pellegrinaggio è ricco anche di cultura:
visite a biblioteche, a musei, spettacoli teatrali ai
quali poter assistere, dunque è un poliedrico evento
che ricorda i passi compiuti da donne audaci, quali
Maria Mazzarello e le prime suore, inoltre fa ri-
flettere circa la prodigiosa capacità di don Bosco
nell’anticipare i tempi, infatti aveva colto il valore
educativo del viaggiare e del conoscere realtà diver-
se dalla propria, ciò che per i giovani (e non solo)
ha una valenza formativa di incredibile importan-
za. Inoltre è un’esperienza che apre al rispetto reci-
proco e rende cittadini del mondo.
L’organizzazione delle “Passeggiate autunnali” di
don Bosco non sembra molto lontana dal cammino/
pellegrinaggio Mor…Nizza, considerati il periodo
storico e i mezzi disponibili, i viaggi intrapresi dal
santo, frutto di un’organizzazione grandiosa: coin-
volgevano fino ad un centinaio di giovani e duravano
anche 15 giorni. Gli spostamenti tra i paesi avveni-
vano a piedi o con i pochi trasporti pubblici esistenti,
in base a collegamenti previ, ad una complessa orga-
nizzazione, si riusciva a garantire pasti e alloggio per
tutti. Ad ogni tappa si allestivano feste, spettacoli,
momenti di spiritualità, incontri con le autorità del
paese e momenti conviviali, senza far mancare un’a-
deguata informazione storica e culturale dei luoghi
visitati. Le “Passeggiate autunnali” continuano ad
essere parte fondante dello spirito di Valdocco, che il
cammino/pellegrinaggio Mor…Nizza continua a far
rivivere oggi.
Non è solo la
commemorazione
di un momento
storico: è anche
un segno e
una chiamata a
continuare ad
essere oggi capaci
di spostarsi,
di rispondere
alle emergenti
necessità
delle nuove
generazioni
partendo da
Mornese.
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31

4.2 Page 32

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CASA MADRE
Natale Maffioli
L’altare della Basilica
Don Bosco aveva semplicemente
fatto appendere il quadro di
Maria Ausiliatrice senza cornice
di rilievo. Quando l’immagine
cominciò a diffondersi nel mondo
si pensò a qualcosa di più
prestigioso. Il primo progetto
fu di Crescentino Caselli.
Il modello
dell’altare
progettato da
Crescentino
Caselli.
Ne restano
piccole tracce.
Non tutti sanno che il marmoreo altare mag-
giore della basilica di Maria Ausiliatrice,
quello che contiene la grande tela dipinta
da Tommaso Lorenzone, non è più quello
voluto da don Bosco. Probabilmente la collocazione
originaria del dipinto era estremamente semplice, il
quadro non aveva una cornice di rilievo come l’at-
tuale ed era sobriamente fissato alla parete di fondo
del presbiterio; questa soluzione non era gradita ai
salesiani che, certamente, apprez-
zavano la povertà dell’apparato,
ma desideravano una prestigiosa
sottolineatura per il dipinto, di-
venuto famoso in tutto il mondo.
Un’ulteriore aspirazione, certa-
mente presente nella mente di
don Michele Rua primo suc-
cessore di don Bosco, era quella
di fare di Maria Ausiliatrice un
monumento al nostro Santo e la
pala maggiore, così appesa, non
conferiva certamente lustro alla
chiesa: “Abbiamo più volte parlato
del monumento che stiamo dedican-
do alla cara memoria del veneran-
do D. Bosco, decorando riccamente il Santuario da lui
eretto a Maria SS. Ausiliatrice in Torino”.
Dopo la decorazione della facciata e le pitture della
cupola e della volta principale, si decise di rivol-
gere le attenzioni più sollecite all’altare maggiore
e ai due altari laterali, e si decise, da subito, di far
realizzare una nuova cornice per il quadro dell’Au-
siliatrice e per le tele di san Giuseppe e di san Pie-
tro. I progetti per questi importanti lavori furono
affidati all’architetto Crescentino Caselli.
L’architetto Crescentino Caselli
L’architetto era nato a Fubine (AL) nel 1849, dopo
il diploma all’Istituto Tecnico di Alessandria, fre-
quentò corsi di matematica, di ornato e di figura
all’Accademia Albertina di Torino, infine studiò
architettura presso la scuola di applicazione per
ingegneri del Castello del Valentino. Divenuto
l’allievo favorito dell’architetto Alessandro An-
tonelli (1798-1888) si addottorò in ingegneria nel
1875; fu poi a Roma, dove fu assistente della catte-
dra di Architettura. Viaggiò molto e soggiornò in
Svizzera, Francia e Germania. Nel 1881 fu nomi-
nato ordinario di architettura presso l’Accademia
torinese di Belle Arti e, contemporaneamente, si
dedicò all’attività di progettista. La sua fama è le-
gata alla progettazione dell’Istituto di Riposo per
la Vecchiaia (comunemente detto “poveri vecchi”)
di Torino; nel 1896 vinse, con Annibale Rigotti, il
concorso per il Palazzo del Governo di Cagliari, la
cui architettura, diffusasi in Sardegna, divenne un
tipico stile liberty italiano. Lavorò per molte locali-
tà del Piemonte, per edifici importanti e anche per
piccole costruzioni; si dedicò infine al restauro di
Palazzo Madama e al completamento della Mole
Antonelliana a Torino. Fu anche attivo pubblicista
e divulgatore scientifico nei campi dell’ingegneria e
dell’architettura; un suo lavoro importante fu: Cen-
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4.3 Page 33

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ni sulla vita e sulle fabbriche dell’architetto Alessandro
Antonelli. Morì a Bagni San Giuliano nel 1932.
Marmi e mosaici
Il nuovo monumento ideato dal Caselli era ricco
di marmi pregiati, mosaici e sculture e il Bolletti-
no Salesiano ne pubblicò il bozzetto nel numero di
agosto del 1890. “Il grande quadro della Beata Vergi-
ne, che misura metri 7 in altezza e 4,24 in larghezza,
viene compreso in una cornice marmorea tenuta assie-
me da un apparato architettonico che, serve di sfondo
all’altare attuale, occupa in larghezza poco più della
larghezza dell’altare stesso e si innalza in guisa che il
triangolo del frontispizio emerge tutto fuori del piano
superiore del cornicione della chiesa”.
Realizzata, la struttura dell’ancona era grandiosa
e complessa: una base di granito portava la prima,
importante, decorazione all’altezza dei gradini supe-
riori dell’altare; due plinti avanzati rispetto al fondo,
sempre in granito, racchiudevano una piccola gal-
leria fatta di sette arcatelle con colonnine di mar-
mo rosso antico, capitelli corinzi e archi in bianco
di Carrara (con filettature dorate), nei triangoli di
risulta erano inserite teste alate di cherubini, dipinte
su lastra di rame dal pittore Enrico Reffo, la galle-
ria era replicata, con lo stesso materiale e identiche
modalità, anche sul retro, verso il coro. Questi plinti
reggevano due colonne in marmo di breccia fiorita
con capitello corinzio elaborato in marmo bianco di
Carrara: la base del capitello era fatta da un giro di
foglie di acanto, i vertici dell’abaco erano sorretti dai
quattro simboli degli evangelisti (fortemente agget-
tanti) ed erano frammezzati con elementi desunti
dallo stemma salesiano: il busto di san Francesco
di Sales, la stella, il cuore infiammato e l’ancora. Al
fianco di queste, ma arretrate, altre due colonne, del-
lo stesso marmo e con capitelli simili, creavano uno
spazio dove avrebbero dovuto essere collocate due
statue. Alle colonne si appoggiava una trabeazione
con mensole e su questa si appoggiavano quattro
pilastrini scanalati con capitelli corinzi, e i due che
affiancano il dipinto erano avanzati come le colonne
che li reggevano.
Per l’ancona si impiegarono materiali di qualità:
oltre al bianco di Carrara si fece uso di marmi pre-
giati “breccia fiorita, giallo Verona, diaspro di Sicilia
e lazzolite”.
Non solo marmi ma pure bronzi e mosaici furo-
no impiegati per decorare questa imponente mac-
china d’altare: sugli architravi, a diverse altezze,
erano collocati clipei in bronzo con la figura dei
più importanti fondatori di ordini e congregazio-
ni religiose. Nel timpano e nei triangoli di risulta
della centina del dipinto erano inseriti dei mosaici
realizzati su cartoni del pittore Enrico Reffo: nel
timpano era raffigurato l’Eterno Padre, a braccia
allargate, quasi a voler estendere la sua protezione
non solo sulla Vergine Maria ma anche su tutti i
devoti che avrebbero pregato nel santuario; i due
angeli, a ridosso della centina, reggevano uno un
giglio, l’altro una rosa.
Il magnifico
altare di oggi.
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4.4 Page 34

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COME DON BOSCO
Pino Pellegrino
Il bel garbo
Non possiamo arrenderci
allo spirito volgare del tempo.
Le buone maniere sono “Un ramo
dell’albero della carità” diceva
san papa Giovanni XXIII.
Sono l’amore in abito feriale.
Amore fatto di mille piccoli gesti.
Èspiegabile che il ritorno del bel garbo debba
essere tra le prime mosse adatte a formare
l’uomo-umano. Dire ‘garbo’, infatti, è dire
cortesia, gentilezza, delicatezza, amabili-
tà, grazia. Non sono forse proprio questi i Valori
ai quali pensiamo quando di un individuo diciamo
che è ‘umano’?
Insomma, è ovvio il bel garbo come ingrediente es-
senziale dell’umano.
Alcuni anni fa, in vista delle vacanze estive,
i giornali europei hanno condotto un’in-
chiesta per sapere “a quale na-
zione appartengono i ragazzi
più maleducati d’Europa”.
La risposta unanime fu
l’Italia”. Bel primato da
sconfiggere al più presto
con il ritorno alle buone
maniere.
Non possiamo arrender-
ci allo spirito volgare del
tempo. Le buone maniere
sono “Un ramo dell’albe-
ro della carità” diceva san
papa Giovanni XXIII.
EMERGENZA UOMO
Il tempo si è fatto breve: o l’uomo
torna ad essere umano o i dinosauri
torneranno a trotterellare sulla Terra.
Se l’emergenza ecologica è allarmante,
l’emergenza antropologica è drammatica.
Urge fermare lo scardinamento
dell’uomo con proposte concrete
come quelle che, di mese in mese,
offriamo ai lettori.
Sono l’amore in abito feriale. Amore fatto di mille
piccoli gesti:
salutare tutti, spazzini compresi;
chiedere scusa;
bussare prima di entrare, sia pure nella cameret-
ta del bambino;
scrivere il codice d’avviamento postale con il
proprio indirizzo;
non dare del “tu” a tutti;
non buttare carta per terra, né rifiuti fuori dei
cassonetti;
essere puntuali.
Le buone maniere sono la grammatica della civiltà.
Se i soldi fanno ricchi, le buone maniere fanno si-
gnori, fanno ‘umani’.
Ecco perché concordiamo con la giornalista scrit-
trice Elena Loewenthal quando sostiene che «le
buone maniere non sono state inventate per caso,
ma per convivere con gli altri senza urtarsi a vicen-
da: un bambino cui nessuno ha imposto di salutare
il vicino d’ombrellone, non sarà mai un adulto più
libero ma soltanto più screanzato».
Ed allora, che fare perché si ritorni ad incartare
tutto nel bel garbo? La risposta è immediata e sicu-
ra: praticare le varie forme che proprio il bel garbo
può assumere.
Intanto, possiamo avere:
Il bel garbo dei sentimenti
Il bel garbo dei sentimenti ha poche norme, ma so-
stanziose:
ringraziare;
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4.5 Page 35

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ricordarsi sempre del compleanno e dell’onoma-
stico;
fare una sorpresa;
regalare gentilezze;
superare il livello della simpatia per arrivare a
quello dell’empatia.
Il bel garbo della convivenza civile
Altra forma che può assumere il bel garbo è quel-
la della convivenza civile. Tale aspetto ci invita a
non usare il misurino per spargere parole di seta.
Nella lingua italiana sono almeno cinque: ‘Grazie!’.
‘Buongiorno’. ‘Ciao’. ‘Scusa’. ‘Arrivederci!’
Offrire tali parole è alzare il livello di umanità. È
mantenere il tepore in casa, anche con i termosifoni
spenti.
Il bel garbo della convivenza civile vuole che non si
scherzi mai dei difetti fisici di nessuno, che si eviti-
no i discorsi con parole equivoche e battute luride,
vuole che non ci si accorga che l’ospite ha versato
la salsa sulla tovaglia, vuole che non si familiarizzi
troppo con le autorità e le persone che non si co-
noscono.
Il bel garbo telefonico
Il bel garbo può assumere anche la forma del gala-
teo telefonico. Antonio Meucci con la sua preziosa
invenzione (1871) ha introdotto alle buone maniere
un nuovo capitolo che la persona garbata rispetta
applicandone le norme:
evitare le chiamate nelle ore di riposo;
presentarsi sempre con nome, cognome ed una
frase di saluto;
non alzare la voce;
non tenere conversazioni chilometriche;
tenere spento il telefonino negli ambienti pubblici;
non collocare il cellulare sul tavolo da pranzo.
Il bel garbo automobilistico
Terminiamo con il galateo automobilistico, non
meno indispensabile per il vivere umano.
Il garbo automobilistico ci invita:
a non rispondere ad un in-
sulto con un insulto;
a non trasformare la stra-
da in una pista di Formula
Uno;
a non inveire con chi, per
un attimo, ci ha soffiato il
posto nel parcheggio;
ad abbassare i fari per non
accecare la vista di chi ci sta
innanzi.
In chiesa
La chiesa è la casa di Dio, una presenza che non è
solo simbolica. Entrando in chiesa è logico quindi
salutare: può essere un segno di croce (che non sia
uno scarabocchio indecifrabile) o un leggero inchi-
no. La genuflessione è una tradizione antichissima:
è il saluto riservato al Signore e Creatore, deve per-
ciò essere eseguita con dignità, non con l’andatura
traballante di un ubriaco.
Non si può entrare in chiesa correndo, urtando e
spingendo il prossimo, chiacchierando o scherzan-
do. Neppure quando si è in gita turistica e si en-
tra in chiesa semplicemente per ammirare qualche
opera d’arte.
Durante le funzioni non si parlotta con i vicini,
non si protende il collo per vedere come è vestita
la signora X, è irriverente sgranocchiare caramelle,
salutare a destra e a sinistra, tenere le mani in ta-
sca, mettere ordine nella propria borsetta durante
la predica, far alzare tutta una fila di persone per
raggiungere un posto a sedere, occupare cocciuta-
mente solo gli ultimi banchi anche quando sono
vuoti quelli davanti.
Particolare attenzione ci vuole per gli abiti, ci siano o
non ci siano cartelli che raccomandano «abiti decen-
ti». La vera educazione non ha bisogno di cartelli.
Per favore, nessuno dica che queste sono cose da
poco. Il bel garbo non fa rumore, ma cambia la fac-
cia della Terra; rende più vivibile la società, la fa più
umana.
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LA LINEA D’OMBRA
Alessandra Mastrodonato
Il diritto di
essere tristi
«Non essere triste! Liberati dalla tri-
stezza e guarda avanti! Scrollati
di dosso quella malinconia... e
ridi che ti passa!». Benché sia or-
mai appurato che tutte le emozioni che proviamo
sono importanti e ugualmente fondamentali per
il nostro benessere interiore e per comprendere gli
stati d’animo degli altri attraverso quella delicata
quanto cruciale abilità interpersonale che è l’em-
patia, di fronte alla tristezza non possiamo fare a
meno di avvertire un certo imbarazzo.
Forse perché la società in cui viviamo ci vorrebbe
sempre proattivi, competitivi e performanti e non
incoraggia la libera espressione di emozioni che,
invece, mettono in luce tutta la nostra fragilità e
debolezza. O forse perché abbiamo sempre la sgra-
devole sensazione che mostrarsi tristi equivalga a
La malinconia ha le onde come il mare,
ti fa andare e poi tornare,
ti culla dolcemente.
La malinconia si balla come un lento,
la puoi stringere in silenzio
e sentire tutto dentro.
È sentirsi vicini e anche lontani,
è viaggiare stando fermi,
è vivere altre vite.
È sentirsi in volo dentro agli aeroplani,
sulle navi illuminate,
sui treni che vedi passare,
alla luce calda e rossa di un tramonto,
di un giorno ferito che non vuole morire mai...
Puoi scambiarla per
tristezza, ma /
è solo l’anima che sa /
che anche il dolore servirà.
/ E si ferma un attimo a
consolare il pianto /
del mondo ferito che non
vuole morire mai...
mettere a nudo una parte estremamente intima
di sé, esponendola allo sguardo impietoso e giu-
dicante degli altri. O, più semplicemente, perché
la tristezza ci fa sentire impotenti, vulnerabili, di-
sarmati, sopraffatti da qualcosa di più grande di
noi, al punto da toglierci la capacità di esprimerla
a parole. Fatto sta che l’esperienza della tristezza si
accompagna spesso alla convinzione di essere “ina-
deguati”; tanto più quando a manifestare tale stato
d’animo è un adulto, dal quale invece ci si aspet-
terebbe maggiore impassibilità e una più matura
capacità di rielaborare la sofferenza prima che la
malinconia prenda il sopravvento. Da cui lo sforzo
di nasconderla, mascherarla, dissimularla, nel ten-
tativo – che non di rado si rivela fallimentare – di
lasciarsela quanto prima alle spalle, senza che nulla
del proprio stato emotivo trapeli inavvertitamente
agli occhi degli altri.
Ci si dimentica, tuttavia, che la tristezza è un’emo-
zione basilare, che riveste un ruolo essenziale non
solo rispetto alla dimensione dell’interiorità, ma
anche nell’ambito delle relazioni con gli altri. Essa
promuove, infatti, il raccoglimento e la riflessione,
ci spinge ad un’analisi profonda e priva di infingi-
menti degli eventi della nostra vita e dei nostri stati
d’animo di fronte ad essi, ci consente di rielaborare
gli avvenimenti spiacevoli e ci chiama ad interrogar-
ci sul senso di ciò che ci accade e del nostro dolore.
È, inoltre, attraverso la tristezza che impariamo a
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4.7 Page 37

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misurarci con la nostra fragilità e con le nostre paure
ed è nei momenti di malinconia che arriviamo a di-
scernere ciò che è davvero importante per la nostra
vita e, sperimentando la dolorosa nostalgia per la fe-
licità perduta e perennemente desiderata, troviamo
la forza per reagire e rimetterci in gioco, in direzione
di un cambiamento che possa darci nuovi stimoli e
invertire la rotta della nostra esistenza.
Ma, soprattutto, la tristezza rappresenta un segna-
le, indirizzato alle persone a noi vicine, che abbiamo
bisogno del loro sostegno, della loro presenza e del
loro affetto per superare un momento di difficoltà,
è il nostro modo di chiedere aiuto agli altri senza
timore di mostrare loro anche la nostra vulnera-
bilità; ed è su queste basi che possiamo costruire
relazioni autentiche, ammettendo il nostro bisogno
della cura e della protezione degli altri, superando
la paura di essere giudicati per i nostri punti deboli
e imparando a nostra volta a comprendere in pro-
fondità la tristezza di chi abbiamo accanto.
Ecco, dunque, che il cammino verso l’adultità non
può prescindere dalla capacità di passare attraverso
la tristezza e le sue oscillazioni, di abbracciarla e
È perdersi tra le dune del deserto,
tra le onde in mare aperto,
anche dentro a questa città.
È sentire che tutto si può perdonare,
che tutto è sempre uguale,
cioè che tutto può cambiare.
È stare in silenzio ad ascoltare,
sentire che può essere dolce
un giorno anche morire,
nella luce calda e rossa di un tramonto,
di un giorno ferito che non vuole morire mai...
Sembra quasi la felicità,
sembra quasi l'anima che va,
sogno che si mischia alla realtà.
Puoi scambiarla per tristezza, ma
è solo l'anima che sa
che anche il dolore servirà.
E si ferma un attimo a consolare il pianto
del mondo ferito che non vuole morire mai...
(Luca Carboni, Malinconia, 2006)
farle posto nella nostra vita, riconoscendone l’im-
portanza e rivendicando, di tanto in tanto, il diritto
di essere tristi.
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4.8 Page 38

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LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
Francesco Motto
Anche don Bosco ha
circumnavigato il mondo
“Ma un prete e un marinaio
che cosa possono avere in comune?”
“I sogni”, rispondo io.
“Come sarebbe a dire?”
“Tutti e due sono stati dei sognatori”.
“Di notte o di giorno?”
“Di notte e di giorno, ‘vedevano’
sempre i luoghi prima di arrivarci
con le navi o mandare missionari”.
M agellano e don Bosco intorno al mon-
do. La memoria dei luoghi (
2019). Un altro libro su don Bosco.
Ce n’era proprio bisogno? Direi di sì
e sarete d’accordo con me, cari appassionati di que-
sta rubrica, appena avrete letto il volumetto che da
Natale è in libreria.
Già il titolo indica l’originalità. Che
c’entra don Bosco con Magellano? A
prima vista niente. Ed anche il sotto-
titolo: La memoria dei luoghi di Ma-
gellano nella sua circumnavigazione
del mondo che cosa ha a che vedere
con don Bosco, che in mare ha solo
fatto il viaggio Genova-Civitavec-
chia-Genova e in terra ha messo
piede solo in Italia, Francia ed uno
spicchio di Spagna e Austria?
Ma il fantastico esergo che apre
la prima parte del volume – una
conversazione avvenuta nella casa salesiana di Rio
Gallegos nel maggio 2018 – ci mette immediata-
mente sulla strada giusta:
«Che bellezza se a bordo della nave di Magellano
ci fosse stato come cappellano don Bosco» dice a
cena il direttore della Casa che ha un nome tedesco.
«Ma è proprio quello che sto cercando. Magellano
e don Bosco in Patagonia».
«Davvero?»
«Del resto, cos’è la Patagonia senza don Bosco».
«E senza Magellano!»
Un triplice viaggio
La storia. Uno scrittore di oggi, Nicola Bottiglieri,
viaggia nei luoghi di mare toccati da Magellano nel
suo giro intorno al mondo e dovunque trova case
salesiane. Gli sorge allora spontanea la domanda:
ma che rapporto c’è fra il grande navigatore porto-
ghese del cinquecento con i salesiani di don Bosco
del duemila? Nessuno, risponde. C’è però un fat-
to che accomuna il marinaio lusitano e l’educatore
piemontese: in quei posti Magellano ci è veramente
andato, ma quegli stessi posti il fondatore dei sa-
lesiani prima li ha sognati e poi vi ha mandato i
suoi figli. Un completo giro del mondo, compresa
l’Australia.
Fra Magellano e don Bosco, a pensarci bene, vi sono
molte altre analogie: ambedue volevano arrivare in
Cina, ambedue erano dei visionari che “pensavano”
i luoghi come se li conoscessero da sempre. Ambe-
due ebbero un seguito: nello stretto di Magellano
si lanciarono dopo di lui tanti altri marinai, con al-
terne fortune (lo stretto è costipato di relitti di navi
inabissatesi lungo i secoli); i sogni profetici e coin-
volgenti di don Bosco presero per mano decine di
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giovani, maschi e femmine, e li portarono alla cieca
a sud del sud, quasi fuori della carta geografica, là
dove aprirono scuole e laboratori, organizzarono
oratori con bande musicali, fondarono chiese e col-
legi, insomma diedero origine ad una società vera e
propria. Ambedue, Magellano e don Bosco, porta-
rono il vangelo alla fine del mondo. Infatti la prima
messa nello stretto di Magellano fu celebrata nel
novembre del 1520. E al centro dello stesso stret-
to, nel punto più a sud del continente americano,
nel 1913 i salesiani collocarono una grande croce di
ferro a suggello del fatto che la parola di Dio “da
mare a mare” era giunta “fino agli estremi confini
della terra”. Erano passati esattamente 1600 anni
dalla proclamazione della libertà religiosa da parte
di Costantino (Milano 313).
Il libro di Bottiglieri intreccia in
un costante avvicendamento tre
viaggi, anzi quattro, tutti di diversa
lunghezza: quello di tre anni quan-
to mai avventuroso e drammatico
di Magellano e di Elcano (1519-
1521), quello onirico di don Bosco,
suddiviso in qualche modo a tappe dal
1872 al 1886, quello per terra, per mare,
per cielo della sua urna del sessennio 2019-2015
e infine quello reale di pochi mesi nel biennio
2018-2019 dello scrittore.
Storia e geografia fusi insieme, storia e attualità in un
solo racconto. Per l’attualità non mancano i salesiani
e le Figlie di Maria Ausiliatrice di oggi di Roma, di
Siviglia, di Argentina, Cile e Filippine, così come
la figlia ventenne dello scrittore; ma per la storia ci
sono anche Mamma Margherita, i primi eroici mis-
sionari della Patagonia, i martiri della Cina, i primi
missionari nelle Filippine, gli astronauti sulla luna.
Vari secoli, il Cinquecento, l’Ottocento, il Novecen-
to e l’inizio del Duemila continuamente associati in
un unico avvincente reportage di pionieri, di ieri e
di oggi, avventuratisi in acque e terre sconosciute.
Pagine poetiche, evocative, suggestive si alternano a
pagine di estremo realismo, di intensa drammatici-
tà, a loro volta alleggerite da descrizioni di panorami
unici nel loro genere. Un libro insolito, geniale.
La cappella
monumento
della Croce
di Magellano
nell’isola
di Cebu
(Filippine).
UN BEL LIBRO PER CHI?
Per tutti, giovani e adulti, dotti e meno dotti; per chi ama la
letteratura di viaggio e le avventure marinare di Magellano e
non ha tempo e voglia di leggere il diario cinquecentesco di
Pigafetta. Un volume per chi ama aggirarsi nei meandri della
storia per riscoprire il filo di continuità tra il progresso tecnolo-
gico, scientifico, artistico dell’umanità e la non corrispondente
crescita di giustizia, solidarietà, pace, “civiltà dell’amore”.
Il volumetto è pensato anche per i giovani delle scuole e degli
oratori, per i loro professori ed animatori, per gli “amici di don
Bosco”, per i membri della Famiglia Salesiana che in questo
viaggio del loro fondatore, durato un secolo e mezzo, potran-
no trovare le ragioni del loro “essere ed operare” di oggi e di
domani.
Ovviamente non mancano cartine orientatrici sia del viaggio
di Magellano sia dei cento paesi visitati dall’urna di don Bo-
sco. Una breve postfazione del sottoscritto invita poi il lettore
ad approfondire il dialogo con le pagine del volume appena
letto, onde ricavarne utili suggerimenti per il proprio vivere.
Chi non riuscisse a trovare il volume nelle librerie, me lo può
chiedere per mail (fmotto@sdb.org)
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4.10 Page 40

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I NOSTRI SANTI
A cura di Pierluigi Cameroni postulatore generale
Coloro che ricevessero grazie o favori per intercessione
dei nostri beati, venerabili e servi di Dio, sono pregati
di segnalarlo a postulazione@sdb.org
Per la pubblicazione non si tiene conto delle lettere
non firmate e senza recapito. Su richiesta si potrà
omettere l’indicazione del nome.
IL SANTO DEL MESE
In questo mese di febbraio
preghiamo per la Causa di
Beatificazione dei Servi di
Dio Rodolfo Lunkenbein,
salesiano sacerdote, e Simão
Bororo, martiri, di cui il 31
gennaio 2020 si è chiusa
l’Inchiesta diocesana a Barra
do Garças (Brasile).
Rodolfo Lunkenbein nacque
il 1° aprile 1939 a Döringstadt
in Germania. Fin da adolescen-
te la lettura delle pubblicazioni
salesiane destò in lui il desi-
derio di essere missionario.
Fu mandato in Brasile come
missionario e fece il tirocinio
pratico nella missione di Me-
ruri, dove rimase fino al 1965.
Venne ordinato sacerdote il 29
giugno 1969 in Germania, sce-
gliendo come motto: “sono ve-
nuto per servire e dare la vita”.
Quindi ritornò a Meruri, accolto
con grande affetto dai Bororo,
che gli diedero il nome di Koge
Ekureu (Pesce dorato). Parteci-
pò nel 1972 alla fondazione del
Consiglio Missionario Indigeno
(CIMI) e lottò per la difesa del-
le riserve indigene. Il 15 luglio
1976 venne ucciso nel cortile
della missione salesiana.
Simão Bororo, amico di don
Lunkenbein, nacque a Meruri
il 27 ottobre 1937 e fu battez-
zato il 7 novembre dello stesso
anno. Era membro del gruppo
di Bororo che accompagnarono
i missionari don Pedro Sbardel-
lotto e il salesiano coadiutore
Jorge Wörz nella prima resi-
denza missionaria tra gli Xavan-
tes, nella missione di Santa Te-
resina, negli anni 1957-58. Tra
il 1962 e il 1964 partecipò alla
costruzione delle prime case di
mattoni per le famiglie Bororo
di Meruri, diventando un mu-
ratore esperto e dedicando il
resto della sua
vita a questo
mestiere. Fu
mortalmente
ferito nel tenta-
tivo di difende-
re la vita di don
Lunkenbein il
15 luglio 1976.
Prima di morire
perdonò i suoi
uccisori.
Ringraziano
Volevo ringraziare Maria Au-
siliatrice, don Bosco, san
Domenico Savio e Mamma
Margherita per la grazia rice-
vuta. A mia mamma in seguito
ad un normale controllo ema-
tologico è stata riscontrata
una severa anemia. Ho tanto
pregato e con mio grande stu-
pore quando mia mamma ha
ripetuto le analisi la situazione
era notevolmente migliorata.
Io sono sicurissima di aver ri-
cevuto l’aiuto della Famiglia
Salesiana così come sono sicu-
ra che non mi abbandoneran-
no mai. Non li ringrazierò mai
abbastanza.
Caterina
Preghiera
Dio della vita e dell’amore, in unione con tutti i martiri della Chiesa,
ti lodiamo e ti ringraziamo per la forza che hai infuso nei loro cuori
per donare la vita versando il loro sangue come tuo Figlio Gesù,
testimone fedele.
Egli disse ai suoi discepoli: “Non esiste amore più grande che
dare la vita per gli amici” (Gv 15, 13). Glorifica con la corona del
martirio i tuoi servi padre Rodolfo Lunkenbein e Simão Bororo.
Essi hanno dato la vita come prova di un amore più grande
e seguendo Gesù radicalmente,
sono rimasti fedeli fino alla fine!
Effondi anche su di noi il tuo Santo Spirito,
affinché sul loro esempio possiamo percorrere la via del bene e
della giustizia.
Concedici, per loro intercessione, la grazia che ti chiediamo. Amen!
CRONACA DELLA POSTULAZIONE
Il 22 dicembre 2019, 50° anniversario della nascita al cielo
di Vera Grita (1923-1969), è stato ufficialmente presentato
al vescovo di Savona-Noli, monsignor Calogero Marino, il
Supplex libellus, con il quale si chiede l’apertura dell’In-
chiesta diocesana sulle virtù, la fama di santità e di segni di
Vera Grita, Laica, Salesiana Cooperatrice.
Desideriamo ringraziare san
Domenico Savio per esserci
stato accanto in maniera del
tutto speciale nella nostra vita
di coppia. Il 20 settembre 2017
abbiamo visitato il Colle don
Bosco, e in quella circostanza
Barbara ha sentito il desiderio
di richiedere un abitino da in-
dossare e, dopo 16 anni di ma-
trimonio, il 24 maggio 2018,
festa di Maria Santissima Ausi-
liatrice, un piccolo cuore inizia-
va a battere nel grembo di mia
moglie.
Eppure, non tutto era ancora
compiuto: una grande prova
di fede ci veniva richiesta. L’11
luglio abbiamo saputo che la
vita del nostro piccolo si era
interrotta.
Il 2 gennaio 2019 siamo ri-
tornati a Colle don Bosco per
ringraziare san Domenico Sa-
vio per il nostro figlio in Cielo.
Nell’occasione abbiamo visi-
tato le frazioni di Morialdo e
di Mondonio, rientrando poi
a casa con la promessa rivolta
a san Domenico di tornare per
visitare la sua casa natale, con
il nostro bimbo in braccio: quel
bimbo che lui, ne eravamo cer-
ti, ci avrebbe ottenuto in dono
dal Cielo.
E nostro figlio ora è qua, ac-
canto a noi: l’11 febbraio 2019,
Memoria della Beata Vergine
di Lourdes, abbiamo saputo
che Barbara era in attesa e il
10 ottobre è venuto alla luce,
dopo 17 anni di matrimonio,
Domenico Maria.
Tazzari Federico, Barbara e Domenico
Maria - Massa Lombarda (RA)
40
Febbraio 2020

5 Pages 41-50

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5.1 Page 41

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IL LORO RICORDO E` BENEDIZIONE
Cosimo Semeraro
Don Mario Cimosa
biblista con il “cuore oratoriano”,
morto a Caserta, il 22 novembre 2019 a 79 anni
Don Cimosa oppure don Mario.
Usavano tutti chiamarlo così. E
non è che gli mancassero ti-
toli accademici e di alto peso:
licenze, lauree, diplomi di con-
sulenze e significativi gradi
accademici. Varie università,
molti enti culturali lo avevano
membro istituzionale, consu-
lente o “visiting professor”. Lui
rimase sempre e semplicemen-
te “don Mario Cimosa”. Fino al
saluto finale fattogli lo scorso
22 novembre nel bel Santuario
della Casa salesiana a Caserta.
Il 29 aprile in questa stessa Co-
munità aveva trascorso il suo
ultimo 79° compleanno.
Discreto anche nella sua na-
poletanità. A Napoli era nato e
ne viveva appieno il respiro. Il
napoletano è accogliente: ti fa
sentire subito a tuo agio. Non
importa da dove tu proven-
ga, il napoletano “ti stringe la
mano e ti sorride”. Don Mario
era fatto così, nonostante il di-
stacco dal luogo d’origine per
studi o impegni assunti. Visse
a Torino-Crocetta, a Torino-
Leumann, a Gerusalemme e
Cremisan (Israele), a Göttin-
gen e a Kronach (Germania), a
Londra, a Philadelphia, in Ca-
nada a Toronto e, soprattutto,
a Roma, per oltre trent’anni,
presso la facoltà di teologia
dell’Università Salesiana (dal
1981 al 2014). È rimasto sem-
pre felicemente “partenopeo”,
pregi e difetti compresi.
La sintesi più riuscita è stata la
sua vocazione salesiana dedica-
ta agli studi biblici e a disposi-
zione dei giovani e dei colleghi
con l’insegnamento e tanti con-
vegni e pubblicazioni. Viene a
proposito la confidenza appena
fattami da un vescovo, monsi-
gnor dal Covolo: «Don Cimosa
mi donò un’ampia appendice
alla mia primissima pubblica-
zione. Era il 1987. Lo conoscevo
appena (ero all’UPS da pochi
mesi), ma lui non esitò a dar-
mi una mano. Uscì così il libro
Letture bibliche per la preghie-
ra e per la vita, prefazione del
cardinale Saldarini e, appunto,
il lavoro di Mario Cimosa sulle
pubblicazioni bibliche di don
Bosco, con una ricca bibliografia
di carattere catechetico-biblico.
Tutto questo – ribadisce l’ex Ret-
tore dell’Università Lateranense
poligrafo ora ben noto – mi ha
dato la spinta giusta per le mie
successive pubblicazioni».
Così don Mario si è pienamen-
te realizzato come uomo, come
sacerdote, come figlio di don
Bosco. Almeno due settori lo
hanno contraddistinto: quello
educativo e quello pastorale.
Penso, infatti, che, tra i tanti,
gli incarichi più amati siano
stati quelli di “Direttore dell’I-
stituto Superiore di Scienze
Religiose” e quelli, apparen-
temente meno accademici, di
“Guida Ufficiale” per i viaggi di
studio in Terra Santa per giova-
ni studenti e docenti del Dipar-
timento di Pastorale Giovanile
e di Catechetica dell’Università
Salesiana. In questi ruoli aveva
la possibilità di scoprire il suo
“cuore oratoriano”: dedizione,
preparazione, occhio per i più
bisognosi di “doposcuola e di
ripetizioni”… Il suo ufficio, al
primo piano del Palazzo di Teo-
logia all’UPS, potrebbe riferire
gli innumerevoli incontri per
studenti giovani e meno giova-
ni che lì, a tu per tu, ritrovava-
no il bandolo della matassa dei
loro piani di studio… Spesso
quel corridoio risuonava della
voce squillante e della risata
aperta e rassicurante del diret-
tore dell’Istituto Superiore di
Scienze Religiose. Ero, in que-
gli anni, docente di metodolo-
gia scientifica e ricordo ancora
con quanta sollecitudine egli
mi segnalava studenti e lavori
scritti da rivedere e “ripulire”
prima degli esami finali.
Chi ha avuto il privilegio di vi-
sitare i luoghi della Terra Santa
con la “guida ufficiale” potrà
confermare lo stesso clima di
familiarità unito alla serietà
della preparazione e dei risul-
tati dell’esperienza vissuta sul
piano culturale, come su quel-
lo umano e religioso. L’escla-
mazione più usata al rientro di
questi viaggi era: “Fantastico,
mi è stato davvero utile!” Per
don Mario non c’era rimborso
migliore.
Così nell’attività pastorale extra
accademica. Ampia disponibi-
lità per ritiri e conferenze, so-
prattutto a favore di comunità
religiose femminili. Consueta
nella portineria dell’UPS la sce-
na di un compassato don Mario
prelevato e riportato a casa in
auto da suore sempre sorriden-
ti. In tali frangenti, la sua carat-
teristica barba a punta, che ne
ingentiliva il mento, si anima-
va particolarmente nel riferire
dove andava o da dove tornava.
Un angolo, sconosciuto, della
sua attività pastorale, rimane
quello vissuto nei dintorni di
Kronach in Germania. Vi anda-
va, nel mese di agosto, per so-
stituire il parroco. Allora diven-
tava “Herr Pater Mario” o “der
italienischer Pfarrer”: il prete
italiano. Ho avuto modo di par-
larne spesso con lui quando,
prima di partire, preparavamo
in anticipo le omelie in tedesco.
Non avevo difficoltà a capire
quanto fosse contento di fare
– come lui diceva – il “curato di
campagna”. Confessare, visitare
gli ammalati, ridiventare “chieri-
co tirocinante” con i ministranti
e i giovani del posto...
Il raffinato studioso del Pen-
tateuco, l’erudito docente di
Bibbia trovava a Kronach il suo
essere prete e la sua vissuta sa-
lesianità. E ne godeva come un
bambino.
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5.2 Page 42

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IL CRUCIVERBA
Roberto Desiderati
Scoprendo don Bosco
DEFINIZIONI
ORIZZONTALI. 2. Mettere da parte
come scorta - 8. Bilancia il contro
- 10. Un color terra - 12. Il regista
Antonioni (iniz.) - 13. Carpiscono se-
greti per riferirli ad altri - 15. Raven-
na (sigla) - 16. Valutati sulla bilancia
- 20. Malata per difetti fisici perlopiù
ereditari - 22. XXX - 25. Una com-
pagnia che fornisce elettricità - 26.
Delfino di fiume - 27. XXX - 29.
Fatta di una mescolanza di cose, ete-
? rogenea - 31. L’arte del parlare - 32.
Noto romanzo di Stephen King - 33.
Un po’ di ospitalità - 34. Le hanno
pari gli italici - 36. Il titolo di Pam-
?
La soluzione nel prossimo numero.
purio personaggio dei primi fumetti
- 37. Terso e chiaro - 39. Un gruppo
ARDORE CRISTIANO E GENIO ARTISTICO
di versi - 41. Sanità senza vocali -
42. Si percepisce con il naso - 43. Lo
Don Bosco, come ben sappiamo, era un ottimo conoscitore di anime e
sapeva intravedere il buono che c’era in ogni individuo. Intorno a lui, dun-
que, in quegli anni c’erano persone straordinarie che si adoperarono insie-
spiazzo della fattoria - 44. L’inverso
di minor - 45. L’organizzazione se-
greta che operava in Algeria.
me al Santo per far sviluppare la Congregazione. Persone come Giovanni
Cagliero, da Castelnuovo d’Asti, orfano di padre che, conosciuto don Bosco a 12 anni, fu da
questi voluto e accolto nell’Oratorio. Partì alla volta di Torino nel 1851 al seguito del suo edu-
catore quando era appena tredicenne, fu tra i primi quattro che aderirono all’idea di formare
la Società Salesiana per l’educazione della gioventù (1854) e all’età di 24 anni fu ordinato sa-
cerdote ed eletto Direttore Spirituale dell’Oratorio di Valdocco. Don Bosco capì di quale tempra
era fatto il giovane Cagliero e, ritenendo di aver trovato in lui la persona giusta per guidare le
missioni del Sud America, nel 1875 lo inviò in Patagonia. Girò il Centro e il Sud America per
moltissimi anni con eccellenti risultati. Il presidente argentino gen. Roca lo definì civilizzatore
VERTICALI. 1. Negazione - 2. Uno
dei tre moschettieri - 3. A Venezia
c’è la Foscari - 4. Piacevole, ridente
- 5. Possono essere aquilini - 6. Alto
Adige - 7. Prefisso che vale sei - 8.
Le fermate dell’ascensore - 9. La get-
ta il pescatore - 11. Vanno a caccia
della Patagonia e disse che era «il più abile dei diplomatici perché non usava alcuna diploma- di notizie - 14. Ecclesiastico - 16.
zia». Tutto ciò per oltre 30 anni, durante i quali fondò 15 parrocchie, 14 chiese, scuole, ospedali
e persino 5 osservatori astronomici, fino a quando divenne vescovo (primo dei Salesiani ad as-
sumere l’episcopato) e, successivamente, elevato al ruolo di cardinale dal papa Benedetto XV.
Per la sua spiccata propensione alla musica frequentò
Soluzione del numero precedente la “scuola di armonia” e scrisse musica sacra e ricreati-
va, che don Bosco considerava un valido strumento di
educazione nei suoi istituti. Furono molto conosciuti i
suoi XXX e celebri le sue romanze: Lo spazzacamino,
Il figlio dell’esule, L’orfanello, Il marinaio ecc. Tanto che
Nasce dal Monviso - 17. Accettata -
18. Antico popolo germanico - 19.
Rivoltoso, ribelle - 20. Bagna Pavia -
21. Respiro, fiato - 22. Bordo di tes-
suto - 23. Accordo - 24. Viene detto
bisonte della strada - 28. Corrode i
metalli - 30. Viene prima della beta -
32. Un parto della mente - 35. I con-
anche Giuseppe Verdi riconobbe nel giovane composi- fini del Canada - 38. Il mendicante
tore grande fantasia e potenza creativa.
di Itaca percosso da Ulisse - 40. Il
dio del sole egizio.
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5.3 Page 43

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LA BUONANOTTE
B.F. Disegno di Fabrizio Zubani
La Bibbia murata
U n giovane muratore lavorava
alla demolizione di una casa
che doveva essere ristruttu-
Bibbia?».
«La riconoscerei, perché l’avevo
segnata».
rimase turbato.
Era proprio la Bibbia che aveva mu-
rato, dicendo ai compagni di lavoro:
rata. Ad un tratto, staccando un
Il giovane muratore porse al compa- «Voglio proprio vedere se uscirà di
pezzo d’intonaco, vide che un
gno la sua Bibbia: «Riconosci il tuo qui sotto!».
mattone era stato sostituito da un
segno?».
Il giovane muratore sorrise: «Come
libro. Un grosso volume che era stato L’altro prese in mano il volume e
vedi, è tornata da te».
murato.
Incuriosito, lo tolse.
Era una Bibbia. Chissà com’era
finita là...
Il giovane muratore non aveva mai
?
avuto molto interesse per questioni
religiose, ma durante la pausa del
pranzo cominciò a leggere quel libro.
Continuò alla sera, a casa, e per
tante altre sere. A poco a poco scoprì
le parole che Dio indirizzava proprio
a lui. E la sua vita cambiò.
Due anni dopo, l’impresa del mura-
tore si trasferì per lavoro in Arabia.
Laggiù, gli operai condividevano
piccole camerette.
Una sera, il compagno di stanza del
muratore lo osservò mentre comin-
ciava tranquillamente a leggere la sua
Bibbia.
«Che cosa leggi?», gli chiese.
«La Bibbia».
«Uff! La Bibbia! Tutte balle! Pensa
che io, una volta, ne ho murata una
nella parete di una casa vicino a Mi-
lano. Sarei curioso di sapere se il dia-
volo è riuscito a farla uscire di là!».
Il giovane muratore, sorpreso, guar-
dò il suo compagno.
«E se io ti facessi vedere proprio quella
Febbraio 2020
43

5.4 Page 44

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TAXE PERÇUE
tassa riscossa
PADOVA c.m.p.
In caso di mancato
recapito restituire a:
ufficio di PADOVA
cmp – Il mittente si
impegna a corrispon-
dere la prevista tariffa.
Senza di voi
non possiamo
fare nulla!
Senza la vostra carità io
avrei potuto fare poco
o nulla; con la vostra
carità abbiamo invece
cooperato con la grazia di Dio
ad asciugare molte lagrime e
salvare molte anime.
Nel prossimo numero
Il messaggio
del Rettor Maggiore
L’invitato
Don Maurizio Rossi
Don Bosco nell’Oceano Indiano
Le case di don Bosco
Valsalice
Scommettere tutto
sull’educazione
Salesiani nel mondo
India
Il futuro passa di qui
I nostri eroi
Nino Baglieri
La croce come altare
Figlie di Maria Ausiliatrice
Celeste
I miracoli accadono ancora
Tempo delle Spirito
Cinque cose che
non puoi cambiare
nella tua vita
Il segreto della serenità
PER SOSTENERE LE OPERE SALESIANE
Notifichiamo che l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino, avente personalità
giuridica per Regio Decreto 13-01-1924 n. 22, e la Fondazione Don Bosco nel mondo
(per il sostegno in particolare delle missioni salesiane), con sede in Roma, riconosciuta
con D.M. del 06-08-2002, possono ricevere Legati ed Eredità.
Queste le formule
Se si tratta di un Legato
a)
Di beni mobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma) a titolo di legato la somma di € ……………..,
o titoli, ecc., per i fini istituzionali dell’Ente”.
b)
Di beni immobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma), a titolo di legato, l’immobile sito in… per i fini
istituzionali dell’Ente”.
Se si tratta invece di nominare erede di ogni sostanza l’uno o l’altro dei due enti
sopraindicati
“… Annullo ogni mia precedente disposizione testamentaria. Nomino mio erede universale
l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o la Fondazione Don Bosco
nel mondo con sede in Roma) lasciando a esso/a quanto mi appartiene a qualsiasi titolo,
per i fini istituzionali dell’Ente”.
(Luogo e data)
(firma per esteso e leggibile)
N.B. Il testamento deve essere scritto per intero di mano propria dal testatore.
INDIRIZZI
Istituto Salesiano per le Missioni
Via Maria Ausiliatrice, 32
10152 Torino
Tel. 011.5224247-8
e-mail: istitutomissioni@salesiani-icp.net
Fondazione Don Bosco nel mondo
Via Marsala, 42
00185 Roma
Tel. 06.656121 - 06.65612663
e-mail: donbosconelmondo@sdb.org
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un’offerta.