BS 1880s|1885|Bollettino Salesiano Gennaio 1885

ANNO IX. N. 1.   Esce una volta al mese.   GENNAIO 1886

BOLLETTINO SALESIANO

Direzione nell' Oratorio Salesiano. - Via Cottolengo, N. 32, TORINO

Sommario - Il Sacerdote Giovanni Bosco ai Cooperatori e alle Cooperatrici - La Consecrazione Episcopale di Mons. Giovanni Cagliero - Storia dell'Oratorio di S. Francesco di Sales - Lettera Argentina - Teresa Cagliero - Bibliografia Salesiana - Elenco dei Cooperatori defunti nel 1884.

IL SACERDOTE GIOVANNI BOSCO Ai Cooperatori e alle Cooperatrici.

BENEMERITI COOPERATORI

E BENEMERITE COOPERATRICI,

L'anno che è poc'anzi spirato mi porge occasione d' invitarvi a ringraziare per varie ragioni il Signore. Vi è noto che per alcuni mesi molte città e borgate d' Italia e di Francia furono infestate dal terribile morbo asiatico, il cholera, e migliaia e migliaia di vite furono mietute dalla morte. Ma Iddio benedetto per sua bontà volle preservare dal temuto flagello tutte le Case Salesiane e le persone che le abitavano; anzi mi è dolce il credere che abbia usata la stessa misericordia a voi ed ai vostri cari. Coll' animo adunque compreso dalla più profonda gratitudine ringraziamo l' Arbitro della vita e della morte per averci concesso un cosi ambito favore.

Altro motivo di sciogliere la lingua in vivi ringraziamenti lo abbìamo negli aiuti, che Iddio ci ha prestato di fare un poco di bene ad onor suo e a vantaggio del prossimo. Qui mi è caro di ricordarvi in succinto che mediante il divino favore e la vostra cooperazione la pia Società Salesiana nell'anno passato fu in grado non solamente di sostenere e sviluppare le opere sue per lo addietro già incominciate, ma di dare la vita a non poche altre con grande profitto della povera gioventù e della civile società. Fra le altre cose fatte, abbiamo terminato l' Ospizio di S. Giovannì Evangelista in Torino, già oramai pieno di giovani; abbiamo inaugurato al divin culto una parte considerevole della Chiesa del Sacro Cuore di Gesù a Roma, e dato principio all'annesso Ospizio accettandovi dei giovani abbandonati; abbiamo fatto acquisto di un fabbricato con vasto cortile in Faenza allo scopo di rassodare vieppìù l' Oratorio festivo e le scuole colà esistenti; in memoria del III centenario della morte di S. Carlo Borromeo abbiamo cominciata una chiesa nel collegio di Borgo S. Martino che ne porta il nome; abbiamo provveduta una grandiosa macchina per fabbricare la carta, la quale mette la nostra cartiera di Mathi al livello di ogni altra d' italia, e procura alle nostre tipografie carta a modico prezzo, e ci facilita la diffusione della buona stampa in mezzo al popolo, con molto vantaggio della religione e del buon costume ; abbiamo preso la direzione di un orfanotrofio a Lille, grandiosa città al Nord della Francia, ed acquistato un edifizio in Parigi ad uso di Oratorio festivo, già frequentato da molti giovanetti; abbiamo aperta una nuova Casa di arti e mestieri nella Spagna a Sarrià presso Barcellona.

Non meno provvida e generosa mostrossi la mano di Dio verso le nostre Case americane. Egli non solo le aiutò a mantenersi in vigore , ma le protesse contro alle violenze di forti nemici, che ne avevano giurato lo sterminio. Passo sotto silenzio lo sviluppo delle Missioni della Patagonia, i ripetuti viaggi apostolici e le scoperte di tribù selvagge sin ora ignorate, le molte centìnaia di battesimi amministrati, le migliaia di adulti e di fanciulli istruiti, molti dei quali pur ricoverati ed educati negli Ospizi già fondati negli anni decorsi, e via dicendo.

La stessa celeste protezione esperimentarono le Suore di Marìa Ausiliatrice, le quali non solamente conservarono aperte le loro 45 e più Case , ma ne aprirono parecchie altre , tra le quali una a Candia in diocesi d'Ivrea, una seconda a Lingotto alle porte di Torino, una terza a Marsiglia, una quarta a Carmen di Patagonia, oltre l'impianto di nuove scuole, asili d' infanzia, laboratorii ed Oratorii festivi presso a varii loro istituti già prima esistenti.

Ora se in questo mondo nulla vi ha di più importante e sublime che il cooperare con Dio ad estendere il suo regno tra gli uomini, a strappare anime all' inferno ed avviarle al Cielo, noì abbiamo ragione di rallegrarci di aver potuto compiere tutte le mentovate opere ed altre, e siamo in dovere di darne lode a Dio , il quale si degnò di farci in tal guisa suoi Cooperatori e sue Cooperatrici.

Ma noi non dobbiamo desistere dalle opere nostre; che anzi, a misura che il Signore si compiace di ricavare frutti così preziosi dalla nostra carità e farci strumenti della sua gloria e della salute delle anime , ci conviene crescere di ardore nel bene operare, onde ottenere da Lui nuovi favori, e procacciarci più splendide corone. A quest' uopo io vi prego di continuarmi la vostra benevolenza e il vostro appoggio per due opere principali, che dovremo avere particolarmente di mira nell' anno corrente.

La Lotteria

Or fa un anno io vi diceva che ad ottenere i mezzi necessarii per proseguire e compiere i lavori, che avevamo in corso a Roma, avrei fatto ricorso ad una lotteria, e fin d'allora mi raccomandava a voi per due atti di carità. L' uno si era che cercaste e m'inviaste dei doni, e questo voi avete fatto con lodevole premura, e perciò potemmo ottenere l' autorizzazione e dar principio alla lotteria divisata; l' altro era di aiutarmi poscia a distribuire i

biglietti della lotteria medesima, ritirarne e spedirmene il prezzo. Questo secondo atto di carità voi lo state ora praticando. A molti e molte di voi furono già spedite varie decine di biglietti, e mi consola davvero il vedere come in generale i Cooperatori e le Cooperatrici si diedero e si danno amorevole sollecitudine o di tenere per se i biglietti loro inviati, o di smaltirli presso i loro conoscenti, invitando cosi altre persone a compire con essi un' opera. di così squisita. beneficenza.

Ad onor del vero e a comune edificazione debbo aggiungere che i Cooperatori e le Cooperatrici praticano questo atto di carità con disinteresse, vale a dire non già per la speranza di essere a suo tempo favoriti dalla sorte e cogliere un premio della lotteria, ma bensì pel piacere di cooperare coi Salesiani a fare del bene su questa terra, e in vista del premio preziosìssimo a loro assicurato da Dio colle sue benedizioni in questa vita e colla sua gloria in Cielo. Moltissimi infatti, non paghi di ritenere e smerciare i primi biglietti ricevuti, ne dimandarono ancora. ; non pochi mi fecero tenere il prezzo ed insieme i biglietti medesimi, affnche li distrìbuissi ad altre persone, riscuotendone nuovamente l'importo. Questo disinteresse e questo slancio di tante persone nel porgermi la mano ad operare il bene mi è di grande conforto, e mi fa scorgere l' intervento di Dio; imperocchè stante la critica annata questo sentìmento e questa sincerissima prova di carità non può spiegarsi, senza ricorrere col pensiero a quel Dio , che è padrone dei cuori, li tocca, li muove e li dirige come gli pare e piace, rendendo loro facili le opere stesse, che naturalmente tornerebbero ardue e difficilissime.

Ma la distribuzione dei biglietti quantunque molto bene avviata non è tuttavia ancora finita. Io vi prego pertanto, o Benemeriti Cooperatori e Benemerite Cooperatrici, che non vogliate venirmi meno nell'opera incominciata, ma vi degniate di continuarmi il vostro concorso , onde possiamo condurla a termine colla maggiore prestezza possibile. Quellì, che non ebbero ancora dei biglietti , ne riceveranno tra poco; ed avutili abbiano la pazienza e la carità o di tenerli per sé, oppure di distribuirli tra il popolo inviandomene l'importo; coloro poi, i quali fossero in grado di prenderne od esitarne in maggior quantità , ne facciano dimanda e ne sarà loro fatta una nuova spedizione. Convengo che questo possa a taluno riuscire di qualche aggravio, ma il pensiero che l' aggravio si soffre per amor di Dio, ad onore del Sacro Cuore di Gesù, ed a benefizio di tanti poveri giovanetti, sono sicuro che vi sarà pure di grande conforto e di dolce consolazione.

Il Vicariato Apostolico dalla Patagonia.

La seconda opera, che ho da raccomandare, merita altresi la vostra considerazione e la vostra. carità. Già tutti conoscete l' atto di alta benevolenza usatoci, non è guari, dal Santo Padre Leone XIII. L'augusto e zelantissimo Pontefice , dopo di avere nell' anno 1883 eretto il primo Vicariato apostolico nella Patagonia, ed essersi degnato di affidarlo ai Salesiani nella persona del Sac. D. Giovanni Cagliero, aggiunse nell'anno or ora trascorso un nuovo atto di sovrana bontà. Nel pubblico Concistoro del giorno 13 del passato novembre il Vicario di Gesù Cristo aveva la degnazione di preconizzare Vescovo titolare di Magida il prelodato sacerdote Giovanni Cagliero, primo Vicario apostolico della Patagonia , e di concedere che egli ricevesse la consacrazione episcopale in Torino nella chiesa di Maria Ausiliatrice, ciò che avvenne il 7 dello scorso dicembre. Il nuovo Vescovo partirà tra poco dall'Europa e andrà a prendere cura delle anime, che gli furono affidate dal Rappresentante di Dio. Insieme con lui faranno pur vela per l'America parecchi sacerdoti e catechisti ed alcune Suore di Maria Ausiliatrice, destinate alla istruzione religiosa e alla civile coltura delle fanciulle dei poveri selvaggi. La comitiva sarà composta di circa 25 persone.

Da questo breve cenno voi avrete già compreso quello che ci rimane a fare , o miei buoni Cooperatori e pie Cooperatrici. Lascio a parte le spese di corredo e di viaggio occorrenti al nuovo drappello di operai evangelici , e vi prego a considerare anche solo che Mons. Cagliero in Patagonia non troverà nulla di quanto abbisogna all' esercizio del pastorale ministero e alla formazione di una cristianità ; non chiese nè cappelle, non collegi nè seminarii, e il suo episcopio e la sua cattedrale non saranno che misere capanne, agitate dal vento del deserto e spesso trasportate via e disperse. Egli non troverà che numerose tribù selvagge abbandonate alla inerzia ed allo squallore, perché prive del benefizio della religione, delle scienze, delle arti, dell'agricoltura, del commercio, e di tutto ciò che spetta alla vita civile. Dovrà pertanto fabbricare, se non delle chiese, almeno delle cappelle in varii punti del suo Vicariato e fornirle di sacri arredi ; dovrà nei luoghi più popolati e centrali erigere ospizi per ricoverare giovanetti, onde poterli più facilmente ammaestrare ed incivilire, e per mezzo loro gettare solide fondamenta di una popolazione cristiana, e ridurre alla fede i padri coll' aiuto dei figli ; dovrà crearsi almeno un seminario, per formarsi dei sacerdoti indigeni, che a suo tempo prendano la direzione delle nuove parrocchie, o tengano dietro alle tribù nomadi, quando in cerca di cibo trasportano le loro tende da un capo all' altro di quella terra ; dovrà insomma ordinare il suo Vicariato in modo, che si celebrino con decoro i santi misteri, si cantino con devozione le lodi di Dio, si salvino le anime.

Per effettuare le opere accennate e conseguire il fine bramato richiedonsi, come ognun vede, molti mezzi materiali, e Mons. Cagliero ed i Salesiani non possedono che la buona volontà e la propria vita. Per la qual cosa perdonatemi, se io vi dico che per tutto il resto noi confidiamo nella vostra carità, e facciamo appello al vostro buon cuore. E voi se lungo l'anno sarete in grado di disporre di qualche limosina , o se potrete indurre qualche buona persona a dare una qualsiasi offerta in vantaggio delle nostre Missioni della Patagonia, non vi rincresca di farlo, affinchè coll' opera di tutti possiamo riuscire a condurre presto un buon numero di selvaggi alla fede ed alla civiltà, presentare alla Chiesa nuovi figli, offrire a Dio veraci adoratori, e fare sì che dove finora sorgeva la cattedra di Satana s'innalzi il trono di Gesù Cristo e risuoni applaudito il suo santissimo Nome.

Ricompense promesse alla carità.

Prima di mettere fine a questa mia lettera io non debbo tralasciare di porvi sott'occhio alcune ricompense da Dio promesse alla carità. Per non dilungarmi di troppo mi limito a ricordarvi alcune sentenze uscite dalla bocca di Nostro Signore Gesù Cristo e registra e nel santo Vangelo. - Date, Egli dice, e sarà dato a voi: Date et dabitur vobis. - Misura giusta, e pigiata, e scossa, e colma sarà versala in seno a voi : Mensuram bonam, et confertam, et coagitatam, et superfluentem dabunt in sinum vestrum. - In altro luogo Egli dice: Beati i misericordliosi, per chè questi troveranno misericordia: Beati misericordes, quoniam ipsi misericordiam consequentur. E dunque parola di Dio che coloro, i quali fanno la carità agli altri, e mostrano viscere di compassione nel sollevare , aiutare e consolare gli afflitti e mìserabili, troveranno essi pure carìtà e misericordia. E promessa di Dio e non falla. Non possiamo sapere come, dove, in quale materia Iddio manterrà questa sua promessa; ma è di fede che Egli la manterrà. Talora Iddio la mantiene col risparmiare un fallimento alle persone caritatevoli, o coll'allontanare un disastro dalle loro campagne o dal loro bestiame ; altre volte Egli la mantiene coll'impedire o col troncare una lite dispendiosa ; tal altra la mantiene col conservare o ridurre nel sentiero della virtù una persona cara ; non di rado la mantiene col dare la grazia di vincere una forte passione e superare una grave tentazione ; spesso la mantiene colla sanità o col liberare da una penosa malattia, e in mille altre guise. E se l'anno scorso il cholera-morbus, che infierì orribilmente in varie parti, risparmiò nondimeno tante case dei Cooperatori e delle Cooperatrici, io credo di poter asserire essere ciò avvenuto in premio eziandio della loro carità.

Prendiamo dunque le nostre misure, o miei buoni Cooperatori e virtuose Cooperatrici; e siccome ad ogni istante e per casi imprevisti possiamo avere urgente bisogno della carità e della misericordia di Dio, cosi colle opere nostre di carità e di misericordia verso il prossimo rendiamoci debitore e mettiamo questo ricco ed onnipotente Signore nella dolce necessità di serbare la sua promessa con noi, pel corpo e per l'anima, in vita ed in morte, nel tempo e nella eternità. Oh ! no di certo Iddio non si lascia mai vincere in ancore e in generosità; e se noi daremo per Lui come uno, Egli darà a noi come cento. Darà a noi come cento anche in questo mondo, e infine ci darà la grande ricompensa che tutte le comprende, cioè la stessa sua gloria nella vita eterna: Centuplum accipietis et vitam aeternam possidebitis.

Preghiere pei defunti.

Io conchiudo col darvi il tristo annunzio che, stante il considerevole numero di Cooperatori e di Cooperatrici, nell'anno 1884 la morte ce ne rapi più di settecento! Quantunque siansi già fatte preghiere in suffragio delle anime loro, ciò nondimeno nuovamente io le raccomando alla vostra pietà. Intanto non ci passi mai dalla mente che tardi o tosto ancor noi saremo colti dalla morte ; anzi parecchie centinaia di coloro stessi, che leggeranno questa lettera, di qui ad un anno non vi saranno più, e forse non vi sarà più colui medesimo, che ora la scrive. Stiamo adunque preparati, affinchè in qualunque mese, giorno ed ora Iddio ci chiami a sé, noi possiamo rispondergli con tranquillità di coscienza e con piena fiducia : Ecce venio ; eccomi pronto, o Signore.

Dal canto mio pregherò ogni giorno e farò pregare i nostri giovanetti che Dio benedica voi e le vostre famiglie, e a tutti conceda la grazia delle grazie, che è la perseveranza finale, onde un giorno tutti insieme raccolti in Cielo possiamo godere e lodare Iddio per tutta la eternità.

Colla più profonda gratitudine e con pienezza di stima mi professo

Di Voi benemeriti Cooperatori e benemerite Cooperatrici

Torino, 1 gennaio 1885.

Obbl.mo Servitore

Sac. GIOVANNI Bosco.

LA CONSACRAZIONE EPISCOPALE di Mons. GIOVANNI CAGLIERO.

In sull'alba della Domenica 7 dicembre un al. legro ed armonioso scampanio levavasi dalle torri della Chiesa di Maria Ausiliatrice in Valdocco. Molta gente traeva a quel grandioso tempio di D. Bosco , ove dovea compirsi una nuova solenne funzione, la Consacrazione di un Vescovo, il primo Vescovo che D. Bosco manda in quelle vaste missioni da lui aperte per ordine del Vicario di Gesù Cristo nella Patagonia.

Gli allievi dell'Oratorio Salesiano in numerosa folla assistevano col più vivo interesse alla sacra cerimonia , parecchi Cooperatori Salesiani erano venuti da lontano, tratti dall'affetto e dalla venerazione per Mons. Cagliero ; la folla dei fedeli partecipava alla gioia ed alla divozione dell'Oratorio Salesiano occupando tutta la vastissima Chiesa.

in luogo appositamente preparato, alla sinistra della Cattedra, stava D. Giovanni Bosco e al suo fianco S. E. Mons. De Macedo Costa Vescovo del Para nel Brasile, giunto a Torino pochi giorni prima per pregare D. Bosco a mandare missionari Salesiani in aiuto della sua Chiesa. La presenza di un Vescovo Americano a simile funzione non era certo senza un fine della Provvidenza. In faccia a Don Bosco nello sfondo di una delle porte aperte della sagrestia spiccava , circondata dalla sua famiglia, la veneranda madre di Monsignor Cagliero, curva sotto il peso dei suoi 88 anni e piangente per la consolazione che provava in un giorno si bello.

Magnifico era l' adobbo dell' altare maggiore e delle pareti. Nel Sancta Sanctorum di fronte alla cattedra si ergeva un piccolo altare destinato per l'eletto, secondo le prescrizioni del Pontificale Romano. Il pavimento era coperto dai tappeti, su cui l'eletto doveva prostrarsi e gli altri Vescovi genuflettere.

Alle ore 8 antimeridiane precise entrava in Chiesa l'Eminentissimo Cardinale Arcivescovo Gaetano Alimonda e accompagnato dai due prelati assistenti il Vescovo di Cafarnao ed il Vescovo di Fossano, procedeva all'altare Monsignor Cagliero.

I giovanetti cantori intuonarono allora il mottetto Sacerdos et Pontifex, composto per questa occasione dall'egregio maestro Salesiano Giuseppe Dogliani, che riuscì di magnifico effetto.

Non descriveremo la funzione che fu solenne quanto si potè, per lo sfarzo degli apparati, per la gravità ed imponenza delle sacre Cerimonie , per il numeroso clero che assisteva all'altare. Noteremo soltanto alcune circostanze che maggiormente ci colpirono.

La prima si fu al principio della funzione, quando Mons. di Fossano rivolse all' Arcivescovo consacrante le seguenti parole. - Reverendissimo Padre, la Santa Madre Chiesa Cattolica dimanda che voi innalziate questo prete alla dignità di Vescovo - Il Cardinale Alimonda interrogò - Avete il mandato Apostolico? - E il Vescovo assistente rispose -Lo abbiamo. -Ed il Cardinale Arcivescovo ordinò che ne fosse data lettura dal suo notaio e poiché lo ebbe udito leggere soggiunse: Deo gratias.

L'autorità del Papa che è quella di Gesù Cristo compariva imponente per mezzo del rescritto Apostolico. Il nuovo Pastore entra nell'Ovile per dirigerlo , ma condotto da Pietro. Non sono gli uomini da per sè che si assumono questo onore , ma coloro che sono chiamati da Dio per mezzo del suo Vicario. Così Gesù Cristo in persona insegnava ai suoi Apostoli : « In verità , in verità vi dico : chi non entra nell'ovile per la porta, ma vi sale per altra parte è ladrone ed assassino. Ma quegli che entra per la porta è pastore delle pecorelle. A lui apre il Portinaio, e le pecorelle ascoltano la sua voce, ed egli chiama per nome le sue pecorelle e le mena fuori. E quando ha messo fuori le sue pecorelle, cammina innanzi ad esse; e le pecorelle lo seguono, perché conoscono la sua voce... In verità in verità vi dico che io sono porta alle pecorelle... Io sono porta. Chi per me passerà sarà salvo... » (Joan. cap. X)

Dopo la lettura del mandato Mons. Cagliero prestò il giuramento, fece solenne professione della sua Fede, e il popolo invocò la corte celeste col canto delle litanie dei Santi, mentre il Consacrando prostrato per terra implorava l'aiuto del Signore. Spettacolo stupendo l'imposizione delle mani fatta dai tre Vescovi, bellissime le orazioni che recitò il Vescovo consecrante nell'ungere col santo crisma il capo e le mani del nuovo Vescovo, commovente l' atto del consegnare il pastorale , l' anello , il Vangelo, al Consacrato ; mistero ineffabile di unità il vedere il Consacratore ed il Consacrato celebrare la santa Messa allo stesso altare, comunicarsi colla stessa ostia spezzata, e bere allo stesso calice. Noi eravamo trasportati con questi riti ai secoli primitivi della Chiesa, tanto più che qui si trattava dell'ordinazione di un Vescovo destinato a portare la fede nei paesi che ancora si trovano fra le tenebre dell' errore. Erano in Antiochia , scrive S. Luca negli atti degli Apostoli, Simone chiamato il Nero , Lucio di Cirene, e Manahen fratello di latte di Erode. Erano tre Vescovi. « Or mentre essi offerivano al Signore i sacri misteri e digiunavano , disse loro lo Spirito Santo Mettetemi a parte Saulo e Barnaba per un'opera alla quale gli ho destinati. Allora dopo aver digiunato e orato, imposte loro le mani, li licenziarono. Eglino adunque mandati dallo Spirito Santo andarono a Seleucia ; e di lì navigarono a Cipro, e giunti a Salamina annunziavano la parola di Dio » (Act. Apost. X111, 2). Il Consacrante e l' eletto aveano pur digiunato nel giorno precedente alla funzione , e Monsignor Cagliero dovrà esso pure recarsi in riva al mare, di là navigare oltre l'oceano e giunto ai popoli che gli sono destinati annunziare la parola di Dio.

Sul finir del sacro rito vi fu una particolarità che dolcemente ci sorprese. Monsignor Cagliero aveva già indossati gli abiti Pontificali. Monsignor Arcivescovo gli poneva in capo la mitra simbolo della scienza dei due testamenti , e adattava alle sue mani i guanti , figura della cautela che dee avere il Vescovo nell'operare, quindi sorgeva dal seggio posto sulla predella dell' altare , prendeva il consecrato per la mano destra, mentre uno dei Vescovi lo prendeva per la mano sinistra , e lo conduceva a sedere sul faldistorio dal quale esso era sorto , ponendogli il pastorale nella mano sinistra. Il nuovo principe della Chiesa era collocato sul suo trono. Qualcuno avrebbe potuto credere che il clero ed i fedeli dovessero venire ai suoi piedi per rendergli omaggio. Ma no. Il Vescovo consacratore intuona il Te Deum , il popolo prosegue il canto, il nuovo Vescovo si alza, scende dall'altare , accompagnato dai Vescovi assistenti , s'innoltra benedicendo fino alla porta della chiesa e ritorna quindi all'altare mentre tutta la moltitudine si inchina al suo passaggio. Noi pure inchinandoci pensammo inteneriti : Come la carità impronta e sigilla tutte le parole , tutti gli atti della Chiesa Cattolica ! Il Vescovo che scende dall'altare , è il padre che si pone in mezzo ai suoi figli, è il buon pastore che va in cerca della pecorella smarrita , è Gesù Cristo che scende , che viene per salvare coloro che perìvano della casa d'Israele. Quanto siamo fortunati noi d'essere cattolici , di essere figli di questa Sposa immacolata del Salvatore, di questa Madre amorosissima.

Finita la recita del Vangelo di san Giovanni , deposte le sacre vesti, i cinque Vescovi preceduti dal Clero entravano in Sagrestia. Un popolo fitto si era schierato in due ale dalla balaustra dell'altare maggiore, ingombrando eziandio le due grandi sale che servono di sagrestia. Monsignor Cagliero giunto nella prima sala lasciò il corteggio e si volse a quella parte ove sapeva trovarsi la madre sua. Il popolo indovinò la sua intenzione e fece largo ed ecco comparire la buona vecchia che sorretta da un figlio e da un nipote gli veniva incontro. Essa già facea come atto di inginocchiarsi, ma il nuovo Vescovo la prevenne , strinse quel venerando capo sul suo cuore , le disse una sommessa parola, e la condusse a sedere sulla sua sedia. Fra gli spettatori non vi era uno che non lacrimasse per commossione. Quindi Monsignor Cagliero si avviò alla seconda sagrestia e sulla soglia di quella s'incontrò in D. Bosco il quale col berretto in mano lo attendeva. Fu una nuova scena che nessuno fra coloro che erano presenti dimenticherà giammai. D. Bosco non potè frenare le lagrime e tentò baciar la mano di quel suo caro figliuolo, ma Monsignor Cagliero gettate le braccia al collo di chi gli avea fatto per tanti anni da padre , lo abbracciò amorosamente. Solo dopo sfogata la prima piena degli affetti Monsignor Caglieco cedette all'istanza di D. Bosco e permise che gli baciasse il sacro anello. D. Bosco fu il primo che potesse imprimere questo bacio, poichè Mons. Cagliero ciò prevedendo , avea fino a quel punto tenuta la mano nascosta tra le pieghe dell'abito.

Noi a questo spettacolo d'amore figliale abbiam ripetuto al nuovo Vescovo quell'augurio che esso per tre volte avea cantato all'Arcivescovo consecrante. Ad multos annos! Sì , ad multos annos il Signore ti conservi a D. Bosco , agli amici , ai fratelli, ai figli tuoi sicché tu possa veder coronata la tua missione da una messe abbondantissima di anime, e possa per la tua parola di vita e per le tue fatiche trionfare la Religione e la civiltà ove adesso regna la superstizione e la barbarie.

Questo giorno fu di grande allegrezza per l'oratorio di San Francesco di Sales ed ecco come narra il proseguimento della festa l'egregio giornale il corriere di Torino

« Alle 10 1/2 terminava la funzione religiosa e circa due ore dopo gli invitati e molti de' più riguardevoli della Congregazione Salesiana, da ogni luogo convenuti, si radunarono a banchetto, preparato dalla carità di alcuni Cooperatori , costituendo questo la seconda parte della festa.

« Sedevano a mensa il Cardinale, i 4 Vescovi, Don Bosco, oltre una sessantina fra pregiati ecclesiastici e laici della città. Terminato il banchetto, lauto per il servizio e animato dalla conversazione che tutta e affettuosamente pigliava ad argomento il Cardinale, Don Bosco, il nuovo Vescovo, s'alzò primo a parlare il Rev.mo Teologo Reviglio. Questi, che fu dei primi Salesiani che vestissero l'abito ecclesiastico , tessè le glorie del padre Don

Bosco in cui è manifestamente visibile l'assistenza di Dio, indi considerò il riflesso delle glorie del padre nel figlio Monsignor Cagliero.

« Con pensiero gentile ricordò come molti anni addietro cinque giovani chierici trovandosi una sera adunati attorno a Don Bosco questi avesse loro detto : uno di voi sarà vescovo. Tra questi cinque era il sacerdote Cagliero ora Pastore di Magida. Predizione questa che svolse in rima anche il degnissimo Salesiano e poeta Don Francesia unitamente a mille altri concetti che rivelano il gusto della poesia creatrice, il cuore ben fatto di chi si congratula altamente dell' onore conferito ad un fratello e gli raccomanda anche dall'altezza dell' episcopato di serbar memoria non solo del vate, che gli parla ma altresì di tutta la solenne festa di quei giorno. Si alzò quindi a parlare, con quel brio che gli è proprio, l'illustre Padre Denza, e disse avergli parso d'essere stato lungo il pranzo all' osservazione del Cielo sulla sua terrazza. Egli in cielo avrebbe visto una delle più belle costellazioni, quella del Toro e vicino a questa le Pleiadi e al disotto la costellazione Argo. Ebbene la stella principale del Toro la vedeva dinnanzi nella persona dell' Eminentissimo Arcivescovo di Torino , le 4 stelle che le fanno corona nei quattro Eccellentissimi Vescovi presenti : la stella che ad occhio nudo per la distanza appena si vede ma che pure è grandissima raffigura D. Bosco.

« Le Pleiadi gli rappresentano i collegi di Don Bosco , il numero infinito degli alunni e cooperatori salesiani , e qua e là tra le nebulosa spiccando alcune fulgide stelle in queste ravvisa gli egregi direttori dei collegi , convenuti alla festa.

« In fine l'Argo, così chi muta dalla spedizione degli Argonauti, attribuita da nostri padri a mitica impresa, era rappresentata da Monsignor Cagliero che conquistatore ad un tempo come Giasone e musico come Orfeo, muove intrepido ad una conquista di cui un vello d'oro non potea essere che un pallido simbolo.

« Rispondeva agli egregi oratori il protagonista della festa Monsignor Cagliero e con commossi accenti ringraziava i presenti dell'amorevolezza dimostratagli e narrava questo episodio : Venti anni fa Don Bosco in compagnia di alcuni giovani tra i quali era l'oratore stesso che parlava, dopo faticosa marcia attraverso alla Liguria giungeva al paese di Gavi. Qui in numero di 90. D. Bosco ed i suoi giovani prendevano parte ad un sontuoso banchetto che lor veniva offerto da un pio canonico di Genova che a Gavi passava alcun tempo dell'anno. Sull' imbrunire congedatosi Don Bosco co' suoi si allontanò dal paese. Il pio canonico desiderava ancora una volta vederlo ed accompagnarsi un tratto di via con lui , ma di tanto già D. Bosco si era innoltrato nelle vallate che menano all' Orba che inutilmente accompagnato da D. Giovanni Cagliero tentò rintracciarlo.

« Allora il pio canonico esclamò che ben lo avrebbe ancor visto il provvidenziale Don Bosco perchè solo le montagne in questo mondo non si incontrano. Ebbene quel pio canonico è ora il Cardinale Alimonda che dopo vent'anni si trova nuovamente a fianco il sacerdote D. Bosco.

« Terminava il suo dire coll'assicurare che mai non avrebbe dimenticato così grande festa anche nelle lontane spiaggie dell' America meridionale.

« Aveano parlato Ecclesiastici e doveroso era fosse presentato un saluto, un plauso, un ringraziamento all' Eminentissimo Cardinale, al novello Vescovo e a Don Bosco per parte dal laicato ; e ciò fu fatto dall'avv. Scala che terminò le sue brevi parole con un evviva a Leone XIII in cui s' incontrano come in luminoso presente le glorie del passato e le speranze dell'avvenire.

« I numerosi convitati ripeterono con entusiasmo l'evviva al S. Padre.

« Alle calorose espressioni dell'avv. Scala si uni il conte Cesare Balbo il quale a nome degli insegnanti laici negli istituti Salesiani porse un tributo di plauso e di affetto al sacerdote innalzato al grado dell' episcopato. Poi aggiunse un nuovo affetto agli evviva per Leone XIII, imperocchè il Sommo Pontefice nell'eleggere vescovo un Salesiano metteva uno splendido suggello alla Congregazione salesiana.

« Alle 3 cominciavano i Vespri Pontificali. Poi il molto reverendo canonico Wenck colla gentilezza della sua parola e la potenza del suo dire , prendendo l'ispirazione dall'omelia pronunciata al popolo di Albenga dall'Emin. Cardinale Alimonda allora Vescovo di quella città, svolse il tema: il Vescovo e la Vergine , argomento il più opportuno per l'occasione, dimostrando i grandi benefizi che il Vescovo può largire al popolo e l' ispirazione e l' aiuto che dove prendere dalla Vergine Immacolata ; opportuno perchè per la prima volta funzionava il nuovo Pastore e perché ricorreva la vigilia dell'Immacolata Concezione.

« Indi fu data la benedizione col SS. Sacramento. La Chiesa risuonava di sacre armonie, si devote , sì inspirate al sentimento religioso , si belle e di tanto affetto da far pensare che venissero da grandiosi cori di Angeli.

« Nella sera il cortile fu rallegrato da fantastica illuminazione. Bellissima riusci l'illuminazione della gran cupola che splendente di tanti lumicini a gaz racchiusi in variopinti cristalli aveva un vago contrasto nell'oscurità della notte e involgeva in una luce soave la dorata statua di Maria che domina da quell'altezza.

« Finite le funzioni della Chiesa, Mons. Cagliero, Mons. Macedo-Costa e D. Bosco tra gli evviva e il suono della banda musicale, unitamente ai giovani dell'Oratorio e ad egregi Salesiani e Signori, si recarono in un' ampia sala ove si tenne un'accademia. Furono letti pregiati lavori in poesia ed in prosa, intercalati con pezzi di musica e saggi di canto , scritti appositamente dal maestro Dogliani e dal maestro De-Vecchi, ed eseguiti mirabilmente dai giovani alunni ; e al nuovo pastore furono rivolti indirizzi, e offerti sontuosi doni di arredi di Chiesa pel Pontificale, croci vescovili, anelli, libri e componimenti musicali.

« Di quattro parti si componeva la solennità e ciascuna di queste riuscì tanto solenne che avrebbe bastato a darle il nome di sontuosissima festa. Ma tanto era dovuto a Monsignor Cagliero del quale, come di questo giorno noi terremo imperitura memoria.

STORIA DELL'ORATORIO DI S. FRANCESCO DI SALES

PARTE SECONDA. CAPO XIII.

Maligne instigazioni - Udienze negate - Don Bosco e il segretario Silvio Spaventa - Conferenza importante coi ministri Farini e Cavour - Promesse e speranze di pace.

In tempi normali era da sperarsi che la riferita esposizione di D. Bosco avrebbe potuto assicurare il Governo, e indurlo a cessare dalle molestie contro del nostro Oratorio; ma tale speranza svaniva in quei tempi, e per le quotidiane instigazioni della stampa malvagia, che inventando e spargendo liberamente le più strane accuse cercava di traviare l'opinione pubblica ed eccitare le civili Autorità contro di noi, e pel carattere degli uomini sedenti al timone dello Stato, che non troppo sicuri sull'esito della causa, che avevano a trattare in Italia, si lasciavano facilmente ingannare dai loro agenti, e vedevano sovente nemici e pericoli dove non erano, oppure pieni di paura tentavano d'impaurire coloro, che avrebbero potuto incagliarli.

Violenti erano gli assalti della disonesta stampa. Nella casa di D. Bosco, scriveva un giornale , esistono colpevoli relazioni; si cerchino a dovere e si troveranno - Il Governo mandi colà uomini accorti e spregiudicati e verrà a scoprire le fila dalla trama ordita, scriveva un altro. Fra i periodici la Gazzetta del Popolo mostravasi la più inviperita. - L'Oratorio di S. Francesco di Sales, essa scriveva, è il centro della reazione; il Ministero non riuscirà mai ad allontanare ìl pericolo che gli sovrasta, finché lascia sussistere il coviglio di Valdocco (1). - Sullo stesso tono cantavano piú altri giornali della setta. Non mancavano gli scrittori assennati di segnalare il ridicolo di simili accuse, e l'ingiustizia e viltà di cotali assalti , e varii periodici presero pure a difenderci trionfalmente; ma i perversi seguendo come una parola d'ordine dissimulavano le ragioni e le difese, e andavano ripetendo le loro calunnie, stimolando il Governo a farla finita con noi. Era quindi a temersi che un giorno o l' altro questo prendesse un'estrema misura, ed ordinasse la chiusura del nostro Ospizio e la nostra dispersione.

A scongiurare siffatta tempesta D. Bosco pensò di presentarsi al Ministro Farini, convinto che di presenza avrebbe potuto assai di leggieri fargli rilevare la propria innocenza -A quest'uopo domandò un'udienza. Egli sperava di tosto ottenerla, ma s'ingannò ; ripeté la domanda due e più volte, ma indarno. Pareva che il giudice temesse la presenza del reo; o meglio pareva che in alto consiglio fosse partito preso la distruzione dell' Oratorio. Buon per noi che Iddio in quei critici tempi ci aveva dato a visibile custode, ad avvocato, a padre un uomo, il quale avrebbe spesa non solo la vita, ma messo sossopra il cielo e la terra, prima di permettere che con mano violenta noi gli fossimo strappati dal fianco. Senza di lui ed umanamente parlando tutto sarebbe stato perduto.

Pertanto non potendo riuscire di presentarsi al Farini, D. Bosco si rivolse al Cav. Silvio Spaventa, segretario generale del Ministero dell' interno; ma anche costui ricusava di riceverlo, e a fine di stancarlo ed evitarne l'incontro rimandavalo, per mezzo degli uscieri , da un giorno all' altro, dal mattino alla sera e dalla sera al mattino. Alla perfine lo ricevette ed eccone il modo.

Era il 14 Luglio, e per le ore undici antimeridiane il segretario avevagli fatto sperare di riceverlo in udienza. Per l'ora fissata D. Bosco acompagnato dal chierico Giovanni Cagliero, oggidì Vescovo titolare di Magida in Panfilia e Vicario apostolico della Patagonia Settentrionale, si recò al palazzo del Ministero. Cammin facendo disse tra le altre cose al prelodato chierico nostro compagno : - Quei signori del Ministero hanno una gran voglia di distruggere l'Oratorio; ma non ci riusciranno , perché hanno da fare con chi è più potente di loro, hanno da fare colla Beata Vergine, anzi con Dio medesimo, che disperderà i loro consigli. -

Giunto nella sala di aspetto D. Bosco si fa annunziare; ma lo Spaventa o dimentico o pentito della parola data gli fa dire essere difficile che lo possa ammettere, stanti gravissimi affari, che aveva tra mano. A questo annunzio, - aspetterò, rispose D. Bosco, finché il signor Segretario possa ricevermi ; - e intanto con impareggiabile calma, non badando nè al caldo, nè alla fame, nè alla sete, rimase in aspettazione sino alle ore sei della sera! In quelle 7 ore d'intervallo passarono all'udienza moltissime persone di ogni ordine e condizione e financo gli ultimi arrivati, ma il torno di D. Bosco non veniva mai. La cosa parve cotanto amara che perfino gli uscieri sentivano compassione di lui. Finalmente il Cav. Spaventa preso forse dal rossore di trattare in quel modo un cittadino, che quantunque prete era almeno uguale agli altri in faccia alla legge, si decise di lasciarsi almeno vedere. Laonde fattosi alla porta del suo gabinetto - D. Bosco... Che cosa c'è per tanta insistenza di parlarmi? - disse con voce ed aspetto veramente spaventevole. A quella vista e a tali parole tutti gli spettatori, domestici ed uscieri presenti nella sala, rivolsero gli occhi al povero prete, che così rispose

- Ho bisogno di conferire un momento colla V. S. - Che vuole?

- Vorrei parlarle in confidenza.

- Parli pure anche qui: questa che ci ascolta è tutta gente di confidenza.

Allora D. Bosco, per nulla contando quell'atto, scortese, disse con alta ed intelligibile voce

- Signor Cavaliere, ho 500 ragazzi abbandonati da mantenere; e da questo momento li rimetto nelle sue mani, e la prego di provvedere al loro avvenire.

- Chi sono questi ragazzi

- Sono fanciulli poveri, od orfani o pericolanti, che il Governo mi ha da prima indirizzati, ed ora vuol ricacciati in mezzo allo strade.

- Dove sono presentemente?

- Sono ricoverati in casa mia.

- Chi li mantiene?

- La carità di alcuni benefattori.

- Il Governo non paga pensione per essi?

- Nemmeno un soldo.

A questo dialogo fatto a domande e risposte così brevi, vivaci ed interessanti, tutti i circostanti si fecero più da vicino ed attorno a D. Bosco, maravigliati ed ansiosi di vedere come andava a finire la cosa. Allora lo Spaventa accortosi che non faceva la più bella figura nel condursi in tal modo con un uomo, che teneva gratuitamente in casa sua 500 figli del povero popolo, si ridusse a più savio consiglio e risolse di dargli privata udienza. Invitatolo pertanto ad entrare nel suo gabinetto, lo fece sedere presso di sè, e poscia con vece benigna ed amorevole disse:

- So che lei fa del bene ; mi dica dunque in che cosa la posso servire, che per quanto dipenderà da me il farò volontieri.

- Domando rispettosamente, rispose D. Bosco, la ragione delle perquisizioni, anzi delle persecuzioni, che mi fa il Governo.

- Ma lei segue una politica.... ha uno spirito... Del resto io non sono in grado di dirle tutto. Vi sono più cose riservate al signor Ministro. Sarebbe mestieri parlare con lui. Posso per altro dirle che ogni molestia sarebbe immediatamente finita , se ella volesse parlare chiaro e svelare i segreti.

- Non so quali segreti ella intenda, signor Cavaliere.

- I segreti gesuitici, per iscoprire i quali le furono fatte le perquisizioni, di cui si lagna.

- Ignoro affatto cotali segreti, e sono ansioso di conoscerli, per dare gli opportuni schiarimenti, se ciò è in poter mio. La S. V. mi parli pare con tutta schiettezza, ed io le risponderò con eguale sincerità.

- In questo io non posso immischiarmi ; ne interroghi il signor Ministro, che le dirà tutto.

- Se la S. V. giudica di non potermi dire le cose che dimando, mi faccia almeno un' insigne opera di carità.

- Sarebbe?

- Ottenermi udienza dal signor Ministro.

- Sì, vedrò di ottenergliela; ma a quest'ora è assai difficile. Vado nondimeno a farne richiesta. Lei rimanga qui un istante, ma non parli con altri di questo affare, perché potrebbe essere malamente inteso e peggio interpretato con maggior suo danno.

Ciò detto, il signor Spaventa uscì dal gabinetto, si recò dal Commendatore Farini, e dopo mezz'ora ritornò dicendo a D. Bosco : - Il Ministro è occupato e per ora non può darle udienza, ma di domani le farà tenere avviso, quando potrà accordargliela.

D. Bosco gli rese le dovute grazie e fece ritorno all'Oratorio. Erano le 8 di sera ed aveva ancora da pranzare!

All'indomani infatti D. Bosco ricevette lettera dal conte G. Borromeo, addetto al Ministero, colla quale lo informava che nel giorno seguente verso le ore 11 antimeridiane il Ministro Farini gli avrebbe accordata udienza.

Dopo le orazioni, nel breve sermoncino solito a farsi D. Bosco raccomandò che al domani tutti pregassimo per un affare di alta importanza. ascoltassimo la Messa, e potendo ci accostassimo eziandio alla santa Comunione secondo la sua intenzione ; e la sua parola non cadde invano.

L'indomani 10 luglio era festa della Madonna del Monte Carmelo, e D. Bosco pieno di fiducia nella protezione della Beata Vergine si trovò per tempo al palazzo del Ministero, dove poco prima dell'ora fissata giunse pure il Signor Farini. Da persona, che fin d'allora fu a parte della cosa, abbiamo saputo che il signor Ministro appena vedutolo gli strinse la mano con parole improntate di cortesia, lo condusse in sala, e colà ebbe luogo una conferenza delle più importanti, perché doveva decidere della vita o della morte del nostro Oratorio.

- Lei è adunque l'abate Bosco, cominciò Farini. Noi ci siamo già visti una volta a Stresa in casa dell'abate Rosmini, e godo rinnovare sua conoscenza. Mi è noto il bene che ella fa alla povera gioventù, ed il Governo le è molto tenuto pel servizio, che gli presta con quest'opera filantropica e sociale. Ora mi dica pure quello che desidera da me.

- Desidero sapere la ragione delle reiterate perquisizioni, che mi furono fatte in questi ultimi mesi.

- Sì, gliela dico e con quella schiettezza, colla quale desidero che ancor lei mi risponda. Fino a tanto che la S. V. si è occupata di poveri fanciulli fu sempre l'idolo delle Autorità governative; ma da che lasciò il campo della carità per entrare in quello della politica, noi dobbiamo stare sulle vedette, anzi adocchiare i suoi andamenti.

- Questo appunto mi sta a cuore di sapere, soggiunse D. Bosco. Fu sempre mio vivo desiderio tenermi estraneo alla politica, e perciò bramo di conoscere quali fatti mi possano su tale materia compromettere.

- Gli articoli che lei scrive pel giornale l'Armonia, i convegni reazionarii che tiene in casa sua, le corrispondenze coi nemici della patria, ecco i fatti che rendono inquieto il Governo sul conto suo.

- Se Vostra Eccellenza mel permette farò alcune osservazioni sopra quanto si compiace confidarmi, e parlerò colla schiettezza che mi domanda. Premetto anzitutto che niuna legge , che io mi sappia, proibisce di scrivere articoli nè sull'Armonia nè sopra qualsiasi altro giornale; ciò non di meno posso assicurare la E. V. che io non iscrivo sopra giornale alcuno, e non vi sono neppure associato.

- Lei può negare finché vuole, ma il fatto sta ed è che una buona parte degli articoli inseriti in quel diario escono dalla penna di D. Bosco. Ciò è confermato da tali argomenti, che niuno può mettere in dubbio.

- Argomenti che io non temo, signor Ministro, ed asserisco francamente che non esistono.

- Vuole forse dire che io imputi fatti non esistenti, e che sia un mentitore e calunniatore?

- Non dico questo , perché V. E. relata refert, asserisce quanto le fu deferito; ma se la relazione, che le fu fatta, non è veridica, sono di lor natura non veri i fatti che si deferirono. In questo caso la calunnia cade a vergogna di chi la fece e non di chi in buona fede la ricevette.

- Ma così parlando lei, signor abate, censura i miei subalterni, censura i pubblici e privati funzionarii, censura lo stesso Governo, e io la invito a correggere le sue espressioni.

- Mi ricrederò e correggerò di tutto, se V. E. mi prova non aver io detto la verità.

- Non è da buon cittadino il censurare le pubbliche Autorità.

- Mi scusi, sig. Commendatore, ché io non intendo di censurare Autorità alcuna, ma dire solo la verità colla schiettezza dell'uomo onesto , che si difende da false imputazioni, e col coraggio del buon cittadino, che mette in sull'avviso il Governo, affinché non si lasci menare a giudizi e ad atti ingiusti contro a sudditi fedeli, coprendoli d'infamia presso le genti civili. Or bene per essere uomo onesto e buon cittadino debbo dire, come dirò sempre, che il tradurmi quale autore di articoli di giornali , che non ho immaginato, il chiamare la mia casa di beneficenza luogo di convegno rivoluzionario, il farmi corrispondente coi nemici dello Stato, questo è un calunniarmi. Cotali accuse sono prette invenzioni di uomini maligni deferite allo scopo d'ingannare le Autorità , e spingerle a commettere falli madornali a sfregio della giustizia e della libertà.

Questa franchezza di parlare di D. Bosco non potè non colpire il Farini, il quale stupefatto ed insieme rammaricato giudicò d' intimorirlo prendendo un tono autocratico e un cipiglio minaccevole, e continuò:

- Lei, sig. abate Bosco, si lascia trasportare, da troppo calore e da indiscreto zelo, e non bada che parla al Ministro, da cui dipende il farla chiudere in una prigione.

- Io non temo punto, riprese D. Bosco, quello che mi possano fare gli uomini per aver detta la verità, temo solo quello che mi può fare Iddio, se pronunciassi la menzogna. Del resto poi la E. V. è troppo amante della giustizia e dell' onore , e non sarà mai per commettere l' infamia di far mettere in carcere un cittadino innocente, che da 20 anni consacra vita e sostanze a vantaggio del suo simile.

- E, se io facessi appunto una tal cosa?

- Non credo possibile che l'onestà del Commendator Farini si muti in viltà; ma se contrariamente alla mia opinione ciò avvenisse, saprei ancor io imitare il suo esempio.

- Varrebbe a dire?

- La E. V. ha scritto di storia e segnò alla pubblica riprovazione certi personaggi, che giudicava colpevoli. Or bene se il signor Ministro mi facesse violenza lo prenderei, come dissi , a modello, manderei cotale infamia alla stampa, invocherei la storia in mio testimonio, e chiamerei la presente e le future generazioni ad essere giudici tra lui e me, e a pronunziare sentenza sopra l'iniquità di un tale abuso di potere, mentre Iddio giusto ed onnipotente vendicherebbe a suo tempo l'innocente oppresso.

- Ma Lei è pazzo, signor abate, lei è pazzo (1). E se io la fo mettere in prigione , come potrà ella scrivere e tramandare queste cose alla stampa?

- Ancorchè in prigione crederei che la E. V. mi lascierebbe per mio conforto almeno una penna, un po' di carta con inchiostro; e ove poi fossi privato anche di tali oggetti e financo della vita, sorgerebbero ben altri scrittori a fare in tempo opportuno le veci mie.

- E lei avrebbe forse il coraggio di tramandare fatti alla storia , che potessero infamare un Ministro ed un Governo ?

- Chi non vuole essere infamato non ha che da regolarsi onestamente. Per altro io credo che lo scrivere e pubblicare la verità sia un diritto ed un dovere che spetta ad ogni cittadino, non che un servizio che si rende alla civile società ; e tale cómpito lungi dall' essere biasimevole è anzi commendevolissimo. Dal canto mio sono lieto di pensare che siano pur queste le considerazioni, che indussero la E. V. a scrivere varie sue opere, massimamente Lo Stato Romano.

Qui il Farini pare che si sovvenisse che Don Bosco aveva di corto mandato alle stampe una Storia d'Italia, lodatissima da uomini competenti, e forse temendo che a suo tempo le facesse un'aggiunta a suo riguardo, giudicò miglior partito ripigliare il tono primiero; onde cessando dalle minacce ritornò sulla sostanza della questione e domandò

- Ma lei, signor abate, potrebbe in coscienza affermare che in casa sua non si tengono radunante reazionarie, e non mantiene carteggio coi Gesuiti, coll'Arcivescovo Fransoni e colla Corte Romana a scopo politico?

- Eccellenza, se Lei ama la verità e la schiettezza mi permetta che le dica che io mi sento mosso a sdegno, non contro di lei , che rispetto quale Autorità, ma contro a quei cotali, che le deferirono siffatte menzogne a mio carico; contro a quei miserabili, che per un turpe guadagno calpestano ogni principio di onestà e di coscienza, e fanno mercato dell' onore e della tranquillità di pacifici cittadini. Sì , le ripeto in tutta coscienza, che io non ho fatto nulla di quanto le fu deferito contro di me e del mio Istituto, e attendo da lei anche solo una prova, che smentisca questa mia affermazione.

- Ma le lettere.... - Che non esistono.

- E le relazioni politiche coi Gesuiti e con Fransoni e col Cardinale Antonelli...

- Che non vi sono e non vi furono mai. Dei Gesuiti in Torino ignoro persino la dimora; e con Mons. Fransoni e colla Santa Sede non ho mai avuto altre relazioni fuori di quelle, che un sacerdote deve mantenere co' suoi superiori ecclesiastici per quelle cose, che spettano al sacro Ministero.

- Ma pure abbiamo lettere, abbiamo testimonianze (1).

- Ma se vi sono lettere, se vi sono testimonianze contro di me, e perchè dunque la E. V. non me ne produce alcuna? A questo punto, signor Ministro, io non dimando grazia, ma dimando giustizia. A lei e al Governo domando giustizia, non per me, che temo di nulla: ma per tanti poveri fanciulli, che sono costernati dalle ripetute perquisizioni e dalle comparse di poliziotti nel loro pacifico ospizio , e piangono e tremano pel loro avvenire. A me più non regge il cuore di vederli in tale stato, segnati dalla stampa persino alla pubblica riprovazione. Per essi adunque ripeto giustizia e riparazione di onore, affinchè loro non venga a mancare il pane della vita.

A queste ultime parole il Farini apparve turbato e quasi commosso. Laonde alzatosi in piedi si pose a passeggiare silenzioso per la sala. Dopo alcuni minuti, ecco che si apre una porta e compare il conte Camillo Cavour, allora Ministro degli Esteri e Presidente del Ministero. Con aria sorridente e fregandosi le mani - Che cosa c'è? domandò egli, come se fosse ignaro di tutto. - Oh! si usi un po' di riguardo a questo povero D. Bosco, - proseguì poscia con tutta bonarietà - e aggiustiamo le cose amichevolmente. Ho sempre voluto bene io a D. Bosco e gliene voglio ancora. Che cosa c'è dunque, ripetè egli, prendendolo per mano e invitandolo a sedere.

Alla vista di Cavour e a queste sue benevole espressioni D. Bosco previde che l'affare sarebbe andato a finir bene, non già perchè Cavour in politica fosse migliora di Farini, poiché l'uno valeva l'altro, ma perche era con D. Bosco in amichevole relazione, conosceva la natura e lo scopo del nostro Oratorio, ed eravi stato più volte, prendendo parte financo alle sacre funzioni. E perciò con grand'animo rispose

- Signor conte , quella casa di Valdocco, che fu tante volte da lei visitata, lodata e beneficata, la vogliono distruggere ; quei poveri fanciulli raccolti dalle vie e dalle piazze ed avviati colà ad una vita laboriosa ed onesta , e che furono già l'oggetto delle sue compiacenze , me li vogliono rigettare nell'abbandono o al pericolo del mal fare; quel sacerdote, che V. E. ha sovente portato a cielo colle sue lodi quantunque immeritate, lo si traduce ora come un reazionario, anzi come un capo di ribelli. E ciò che più di ogni altro mi addolora si è che senza addurmi ragione alcuna fui perquisito, molestato, pubblicamente disonorato con grave danno della mia instituzione, sostenuta sinora dalla carità pel suo buon nome. Di più: la moralità, la religione, i sacramenti furono dagli agenti del Governo fatti segni alla derisione in casa mia e in presenza dei giovanetti, che ne rimasero , scandolizzati. Tacio più altre cose gravissime, che mi pare impossibile essere state ordinate di consenso colla Eccellenza Vostra. Io non so che sarà di me; ma questi fatti non possono durare a lungo nascosti agli uomini, e presto o tardi saranno pur vendicati da Dio.

- Si dia pace, soggiunse Cavour, si dia pace, caro D. Bosco, e si persuada che niuno di noi le vuol male. Noi due poi siamo sempre stati amici, e voglio che continuiamo ad esserlo per l'avvenne. Lei per altro è stato ingannato, caro D. Bosco, e taluni abusando del suo buon cuore l'hanno tratto a seguire una politica, che conduce a triste conseguenze.

- Che politica e che conseguenze ! Il prete cattolico non ha altra politica, che quella del santo Vangelo e non temo conseguenze di sorta. I Ministri intanto mi suppongono colpevole e come tale mi proclamano ai quattro venti, senza portare innanzi nè anche una prova delle accuse , che si vanno spacciando contro di me e del mio Istituto.

- Giacchè vuole obbligarmi a parlare, riprese Cavour, io parlerò e dico nettamente che lo spirito da alcun tempo dominante in lei e nella sua instituzione è incompatibile colla politica seguita dal governo; onde ragiono così: - Lei è col Papa; ma il Governo è contro del Papa; dunque Lei è contro il Governo. Di qui non si scappa.

- Eppure io scapperò dal suo sillogismo, signor conte. Anzitutto osservo che, se io sto col Papa ed il Governo sta contro del Papa, non ne segue già che io stia contro il Governo, ma piuttosto che il Governo sta anche contro di me; ma lascio questo a parte e dico: - In fatto di religione io sto col Papa e col Papa intendo di rimanere da buon cattolico sino alla morte ; ma ciò non m' impedisce punto di essere pure buon cittadino ; imperocchè non essendo mio uffizio il trattare di politica io non me ne immischio, e nulla fo contro il Governo. Sono vent'anni che vivo in Torino, ho scritto, parlato, operato pubblicamente, e sfido chiunque a recare in mezzo una mia linea, una parola, un fatto, che possa meritare censura dalle Autorità governative. Se la cosa è altrimenti si provi; se sono colpevole mi si punisca pure; ma se non lo sono mi lascino attendere in pace all'opera mia.

- Ha bel dire, signor abate, uscì fuori Farini, ma lei non mi darà mai ad intendere che divida le nostre idee, le idee dei Governo.

- Ecchè? signor Ministro; in tempo di tanta libertà di opinione vorrebbesi persino dare aggravio ad un cittadino, se in privato la pensa come gli pare e piace? Vorrebbesi portare la tirannia sino ad imporgli o ad incatenargli le idee? E poi non potrà egli un uomo qualunque ritenere nel suo interno che quel cotale opera malamente, e intanto non dire nè fare cosa alcuna contro di lui, o perche l'opporglisi riesce inutile od anche dannoso, o perchè un siffatto uffizio non è di sua spettanza? Or bene qualunque sia la mia privata opinione intorno alla condotta del Governo su certi affari del giorno, io ripeto che nè fuori né dentro di casa mia non ho mai detto nè fatto cosa veruna, che possa dare appiglio a trattarmi quale nemico della patria, e questo deve bastare alle Autorità. Ma io fo di più, Eccellenza; poichè raccogliendo in casa mia centinaia di fanciulli poveri ed abbandonati, ed avviandoli ad una carriera onorata, vo cooperando col Governo al benessere di molte famiglie e delintera società, diminuendo i vagabondi e i fannulloni, ed accrescendo i cittadini laboriosi, istruiti e morigerati. Questa è la mia politica e non ne ho altra.

I due Ministri non poterono non trovar buona: la risposta di D. Bosco, tanto più che era corroborata con fatti ; ma il Cavour piccandosi di re- - ligione e di Vangelo gli fece da buon sofista quest'altro sillogismo

- Senza dubbio D. Bosco crede al Vangelo ; ma il Vangelo dice che colui, il quale è con Cristo, non può essere col mondo: dunque se lei è col Papa e perciò con Cristo non può essere col Governo. Sit sermo vester est est, non non. Siamo schietti : o con Dio o col diavolo.

- Con questo ragionamento, rispose D. Bosco, sembra che il signor conte voglia far credere che il Governo sia non solo contro il Papa, ma contro il Vangelo, contro Gesù Cristo medesimo. In quanto a me stento a persuadermi che il conte Cavour e il comm. Farini siano giunti a tale eccesso di empietà da rinunziare persino a quella Religione, in cui son nati e furono educati, e verso la quale colle parole e cogli scritti si mostrarono più volte pieni di rispetto e di ammirazione. Ma comunque sia, il Vangelo cha, la E. V. mi cita risponde appuntino alla difficoltà là dove Gesù Cristo dice: Date a Cesare quel che è di Cesare, e a Dio quel che è di Dio. Perciò secondo il Vangelo un suddito di qualsiasi Stato può essere buon cattolico, stare con Gesù Cristo, sentirla col Papa, fare del bene al suo simile , e nel tempo stesso stare con Cesare, vale a dire osservare le leggi del Governo, eccettuato il caso che si abbia a fare con persecutori della Religione, o con tiranni della coscienza e della libertà.

- Ma l'est est, non non, non obbliga egli forse un cattolico a dichiarare sinceramente per qual partito tiene, se per Cristo o contro di Lui.

- L'est est, non non è una sentenza del Vangelo, che come sacerdote sono in grado di spiegare alle loro Eccellenze. Queste parole non hanno nulla da fare colla politica; ma significano che sebbene in conferma della verità il giuramento sia lecito, non lo si deve tuttavia usare, se non quando la necessità lo richiede; significano che ad una persona dabbene per essere creduta basta l' asserire semplicemente se la cosa sia o non sia, senza aver punto bisogno di ricorrere al giuramento; significano in fine che le persone oneste e civili devono credere a chi afferma così, senza pretendere che giuri. Il fare altrimenti è indizio o di diffidenza degli uni, o di mala fede degli altri, e di poco e niun rispetto di tutti al Nome santo di Dio, che non va mai invocato vanamente. Ora stando al caso nostro, e non ostanti le mie asserzioni, crede forse il signor conte che D. Bosco sia un cospiratore, un nemico della patria, un mentitore?

- Non mai, non mai. lo ho anzi sempre ravvisato in lei il tipo del galantuomo ; e perciò intendo fin d'ora che tutti i guai siano finiti, e lei sia lasciato in pace.

- Sì, ripetè Farini, tutto sia finito, e D. Bosco vada a casa, si occupi tranquillo de' suoi fanciulli; chè così facendo non solo non avrà più molestie, ma la riconoscenza e la protezione del Governo e del Re. Ma prudenza, caro abate, prudenza, poichè siamo in tempi difficili, ed un moscherino può apparire un camello.

- Posso dunque stare sicuro di non essere più molestato per parte del Governo? domandò Don Bosco. Posso credere che il Governo sia disingannato sul conto mio, e persuaso che nel mio Istituto non vi fu , né vi è cosa alcuna , che possa interessare le viste fiscali ?

- Si, l'assicuriamo, rispose Farini, che niuno più le recherà molestia, e tutti siamo convinti della sua onestà personale e della natura benefica della sua istituzione; ma l'avverto che si guardi da taluni , che le si danno come amici, e intanto sono i suoi traditori.

- Dunque - alzatisi e strettagli ambidue la mano, - noi siamo intesi, couchiuse Cavour, e saremo amici ancora per l'avvenire ; e lei preghi per noi.

- Sì, pregherò Dio che li aiuti in vita ed in morte, - terminò D. Bosco , e se ne ritornò in Valdocco pieno il cuore di gratitudine al Signore per averlo assistito in quel cimento, che avrebbe potuto riuscire funestissimo non tanto a lui, quanto a noi tutti, raccolti all'ombra della sua carità.

(1) Ecco un piccolo saggio della gentilezza ed onestà, con cui questa Gazzetta, che si dice del popolo, trattava i benefattori del popolo. - Il fisco ha proceduto ad una perquisizione al noto D. Bosco direttore di una nidiata di baciapile in Valdocco; si dice nulla siasi trovato di compromettente. E che? non basta al fisco la Storia d'Italia di questo moderno Padre Loriquet per convincerlo quanto possa essere pericoloso un tal precettore? - (N. 151, 31 maggio 1860). Non meno plateali erano le espressioni, di cui infarciva più altri suoi articoli, per aizzane contro di noi il Governo ed i suoi agenti.

(1) Il povero Carlo Luigi Farini, che in quel momento dava del pazzo a D. Bosco e minacciavalo di prigione, non si sarebbe mai aspettato che appena tre anni dopo sarebbe realmente impazzito egli stesso, e sarebbe stato rinchiuso nel Convento della Novalesa convertito in manicomio. Eppure fu così. Dio gli abbia usato misericordia!

(1) A schiarimento di questo insistere del Farini sulla esistenza di lettere compromettenti abbiamo voluto interpellare D. Bosco se ne sapeva qualche cosa, e siamo venuti a conoscere un fatto sinora da noi ignorato. Mons. Luigi Fransoni esiliato in Lione aveva in quei giorni divisato di spedire ai Parrochi una Circolare, e temendo che alla posta venisse intercettata pensava di farla avere a mano per mezzo di persone confidenti. A quest' effetto ne scrisse pure a D. Bosco, domandando che gli volesse in ciò prestare aiuto e lo favorisse di risposta; ma la lettera dell'Arcivescovo a D. Bosco venne aperta e sequestrata per ordine del Ministero. Di una tal cosa D. Bosco non seppe nulla, fino a che passate già le riferite perquisizioni ed avvenuto il presente colloquio col Farini, ricevette altra lettera da Mons. Fransoni, nella quale gli diceva che non avendo da lui avuta alcuna risposta erasi pel chiesto servizio rivolto ad altre persone. Allora Don Bosco venne a scoprire uno dei motivi, per cui il Governo avevalo preso cotanto in sospetto per un fatto, in cui egli non entrava per niente. Il Farini che possedeva la lettera sequestrata avrebbe potuto presentarla a D. Bosco; ma forse il rattenne la vergogna di aver per tal modo violato il segreto postale. Per altra parte quel foglio non provava nulla, perchè non scritto da D. Bosco, ma dall'Arcivescovo. - Il sequestrare poi lettere alla posta era in quel tempo molto in voga, come lo ebbero a provare parecchi fatti; anzi in ogni dipartimento postale era persino stabilito un uffizio apposito detto di verificazione, fra le attribuzioni del quale la più importante era quella appunto di verificare, se partivano o arrivavano lettere dirette a persone tenute, come si diceva, per nemiche del nuovo ordine di cose. E tutto ciò si faceva in barba dello Statuto, e ad onore e gloria della libertà!

LETTERA ARGENTINA.

Boca del Riachuelo (Buenos-Aires) 24 sett. 1884,

Mio VEN. E AMAT. PADRE D. Bosco,

Le scrivo dalla nostra casa di legno della Boca, dove essendo venuto per visitare i fratelli, fui messo in prigione dalle acque che occuparono tutta la casa e perfino la chiesa, nella quale non lasciando intatto che il solo altar maggiore , misero tutto il resto a soqquadro.

Oh se vedesse, D. Bosco, quanta acqua ! quanta acqua! Son ben quattro giorni che il cielo versa torrenti di pioggia , cioè dal sabbato a sera , 20 settembre, a quest'oggi mercoledì mattina, ed appena adesso pare che voglia cessare il terribile castigo di Dio. Il Rio della Plata straripò e le acque devastatrici occupano forse più di diciotto leghe quadrate. Tutta la provincia di Buenos-Aires fu ed è ancora vittima della terribile inondazione. Vi debbono essere molti morti, e le notizie, che incominciano a sapersi accennano a un numero straordinario di vite spente. Moltissimi son rimasti privi di tetti. Grano e bestiame fu strascinato via, e sotto i miei occhi di quando in quando si vedono cavalli e carri travolti dalle onde. Ed il povero cocchiere ?... L'acqua in certi luoghi arriva a più di tre metri di altezza. I danni ascendono a ottanta milioni. Tutte le ferrovie sono intercettate. Poveri abitanti ! La massima parte di essi sono Italiani, e in un punto solo veggono sparire i frutti di più anni di fatiche.

Le sventure degli altri sono pure sventure nostre, poiché è impossibile mirare ad occhi asciutti i dolori e le privazioni dei nostri fratelli , tanto più che queste son di non lieve incaglio alle nostre missioni. Chi non ha non può dare, e tanto anime generose ora si trovano impedite nel soccorrerci, benché ne abbiano vivo desiderio. Nello stesso tempo difficoltà dolorose d'altro genere ha fatte sorgere il demonio, che pare voglia assalirci di fronte con tutto il suo furore, per impedire il frutto delle nostre missioni ; e disgrazia non piccola fu l' incendio che pochi mesi sono distrusse tutta intera la nostra chiesa di Viedma. Tuttavia, non temiamo. Dio è dalla nostra parte. I Cooperatori e le Cooperatrici Salesiane d'Europa non lasceranno senza soccorsi materiali e senza preghiere coloro che essi stessi nella loro carità hanno tante volte confortati a procedere verso le regioni e i popoli ignoti della Patagonia. Abbiamo avuto notizia delle strettezze finanziarie nelle quali si trovano oggigiorno la Francia e l'Italia, sia per i numerosi fallimenti, come per la scarsezza dei raccolti. Sembra che noi non dovremmo aver coraggio di rivolgerci ai nostri benefattori per nuovi soccorsi indispensabili a far progredire l'opera delle missioni. Ma pure... pure... io son sicuro che non la presente miseria, ma la munifica generosità del buon Dio deve essere la norma della loro carità. Dio è colui che toglie , Dio è colui che dà. Esso è il padrone di tutti i tesori della terra e gli dona a chi vuole e come vuole. Tobia era povero e in un istante le ricchezze di Raguele lo resero il più ricco dei suoi concittadini. Il popolo Ebreo si trovava in Egitto nella più deplorevole miseria e a un tratto divenne possessore delle dovizie dei sudditi di Faraone. Giobbe fu ridotto a non aver altro ricovero che un letamaio , e Dio gli restituì duplicate tutte le sue immense perdute possessioni. Ora Dio ha detto; date e vi sarà dato ; e la elemosina è quella che fa trovare grazia e misericordia eziandio temporale. Le offerte di mezzi materiali per cooperare alla salute delle anime è una carità tanto più splendida quanto più meritoria, quando costa alcun sacrifizio. Gesù Cristo ebbe una parola di lode immortale per quella poveretta che mise il suo soldo nel gazofilacio del tempio. E poi siam certi che Dio non si lascia vincere in generosità. Per l'uno che noi daremo a Lui per la sua gloria esso saprà restituirci il cento etiam in hoc mundo. Per queste ragioni io mi rivolgerò ai nostri Cooperatori e alle nostre Cooperatrici sicuro che vorranno sempre assisterci , collo stesso zelo col quale finora costantemente ci confortarono. Dio messo alla prova , si farà vedere verso di essi sempre più munifico. Da lui dipendono le stagioni, da lui le vicende umane. Esso non permetterà che debba soffrire per causa di carità, chi procura sollevare le membra sofferenti di Gesù Cristo nella persona dei suoi Missionarii, chi non guarda a sacrifici per accrescere il numero delle anime nella via della salute.

E grande, immensamente grande è il campo che la provvidenza ci apre dinnanzi. Il Vescovo di Salta ci chiama nella sua diocesi , Monsignor Jabar ci aspetta a Cuzco (Perù), il Canonico Biagio Cañas vuole assolutamente che andiamo a Santiago del Chili a dirigere i suoi cento orfanelli, altri ci vuole a Jujué , altri a Rosario ecc., ecc. Che ne dice, carissimo Padre ? Che devo rispondere loro ? Tosto apriremo l'Oratorio di S. Caterina : glielo raccomando perché lo benedica in nomine Domini.

Con tanto lavoro sulle braccia, con tante altre fatiche che ci sovrastano noi in questo momento non abbiamo consolazione più grande che pensare e parlare dell' arrivo di Monsignor Cagliero. Quando esso muoverà il suo piede benedetto per venire in mezzo a noi? Padre ! ce lo mandi presto... Ce lo mandi senza indugio perchè ci aiuti a superare le difficoltà che crescono ogni dì più... Gli faccia coraggio... gli dica da parte nostra che noi non ne possiamo più dall'impazienza di vederlo qui nelle nostre case... che noi lo aspettiamo in ginocchio come l'inviato del Signore...

Concludo o amatissimo Padre , col pregarlo di volerci essere prodigo di consigli e di aiuti, e soprattutto di volerci raccomandare tanto e tanto al buon Dio.

Le monache Salesiane di Montevideo chiedono a D. Bosco una benedizione di Maria SS. Ausiliatrice per due loro sorelle molto inferme. La prego di compiacere quelle buone Suore perchè furono le benefattrici esimie delle nostre suore, quando sette anni or sono , arrivate queste in America e non avendo un tetto che le ricoverasse , furono dalle Salesiane ricevute a braccia aperte e tenute per più mesi in dolce ospitalità.

Il P. Bourlot qui presente , le domanda pure una benedizione per la sua chiesa nuova, che non sa come terminare a causa della deficiente pecunia.

Anche tutti gli altri confratelli di questa casa mandano a Lei i loro cordiali rispetti. Così pure le suore che ieri potei visitare, portato alle loro case da una barchetta, perche le strade tutte sono diventate altrettanti fiumi. Quivi alla Boca esse fanno un gran bene e come le loro sorelle della altre case, si mostrano degne figlie di Maria SS. Ausiliatrice La loro scuola è frequentata da 250 fanciulle, e alla domenica ne radunano circa 400 alla Messa , al Catechismo ed alla benedizione. Quante anime che non conoscevano ancora il Signore, ora incominciano ad amarlo! Circa 50 di queste ora si preparano alla prima comunione con molto impegno e fervore, e la faranno nel giorno di Maria SS. Immacolata.

Carissimo padre! Abbia cura della sua salute tanto preziosa, poiché l'anno 1891, cinquantesimo anniversario della sua prima messa, è ancor lontano, e noi in qual giorno vogliamo tutti quanti vederlo si Domino placuerit, e ricevere da lei la paterna benedizione. Ci benedica intanto adesso e tenga sempre il povero scrivente per uno dei suoi più affezionati figli in Gesù e Maria.

D. GiacoMo COSTaMaGNA.

TERESA CAGLIERO.

Risus dolore miscebitur, et extrema gaudii luctus occuput.

Il riso sarà mescolato col dolore e il lutto occupa gli estremi dell'allegrezza. (Prov. XIV).

Nell'atto che eravamo per mettere in macchina questo numero un avvenimento improvviso ci faceva sospendere la stampa par aggiungere nel Bollettino una dolorosa notizia. Allo stile festivo col quale abbiamo descritta la gioia dell'Oratorio di S. Francesco di Sales dobbiamo far succedere una mesta pagina. La veneranda Madre di Monsignor Cagliero fu chiamata improvvisamente da Dio agli eterni riposi. Dalle feste della terra passava alle feste del Cielo. Dio in premio del generoso sacrifizio fatto del suo figliuolo Giovanni per la salute delle anime, aveala conservata fino a questi giorni. Vista l'esaltazione di Monsignor Cagliero alla dignità Episcopale , più nulla restava a lei da fare su questa terra. Essa stessa nella sua longevità scorgeva un fine speciale della Provvidenza. In questi giorni fu udita più volte esclamare : « Quanto è buono il Signore ! Allorchè mio figlio partì per le Missioni d'America io aveva ottanta anni, e certamente credeva di non doverlo vedere mai più. Eppure il buon Dio mi conservò acciocchè potessi incontrarlo al suo ritorno e godere nel saperlo vicino a me. Sette anni fa di novembre tornando a casa dalla campagna, mi sdrucciolò il piede in un profondo serbatoio di acqua marcia, che non avea visto, per essere di tarda sera ed io colta da mal d'occhi. In quel burrone stetti svenuta per circa un'ora. Chi mi tenne a galla su quei tre e più metri di putrida acqua ? chi in quell'ora fece scegliere alle persone, che poi mi salvarono, la strada a traverso le erbe dei campi bagnate dalla pioggia, per abbandonare la via battuta e diritta che era a pochi passi di distanza ? Chi al fetore di quell'acqua fece sorgere il sospetto a quei pietosi che forse qualcuno fosse caduto in quel profondo ? Chi con una forza misteriosa li trasse benché contrastanti su quell'orlo scosceso, essendo già fitte le tenebre, cosicché mi scopersero e a stento mi strapparono da certa morte ? Chi mi salvò dalle conseguenze di simile caduta e con un breve sonno mi ristorò le forze, in modo che potei continuare robusta come prima ? Ah il Signore sia sempre benedetto, poiché mi conservava ad essere spettatrice di feste così belle ! »

La vigilia del Santo Natale volle andarsi a confessare. S. E. Mons Cagliero ritornato da Roma la notte precedente le avea recata una speciale benedizione del Santo Padre. Alla sera tutta piena di gioia esclamava alle buone figlie dei dintorni che erano venute a visitarla. Stassera vestitevi pure delle veste più belle, mettetevi gli ornanenti più leggiadri. In questa notte non è ambizione, non è vanità comparire ben vestite. Dobbiamo mostrare esternamente la gioia che ci innonda l'anima.

« E voi, o madre, dicevano le buone figliuole, voi pure desiderate che vi mettiamo un bel vestito ?

» Certamente ! E il più bello che vi sia. Ancor io voglio far la mia figura. Benchè, soggiungeva con un sorriso, posso assicurarvi che in tutto il tempo della mia vita non abbia mai avuto tentazione di far comparse. »

Si era preparata alla festa del Natale eziandio col digiuno prescritto dalla chiesa. Le amiche aveanle fatto istanza perché temperasse il rigore di quell'astinenza. Essa però rispose : «In ottanta anni non ho mai rotto ìl digiuno delle vigilie, della quaresima e dell'avvento. Per quanto mi sapessi dispensata per tanti motivi, mi feci sempre una gloria di osservare con rigore questa legge. Ed ora in questa solenne vigilia volete indurmi a violarla per la prima volta? Mai no. »

In quella notte santissima non volle andare a riposo, non ostante le iterate preghiere delle Suore di Maria Ausiliatrice e delle brave signore che la ospitavano, ma discese nella cappella delle monache per assistere alle tre messe che vi si celebrarono. In tutto il tempo della funzione delle tre messe stette in ginocchio , e benchè invitata non ci fu verso di indurla a sedere. Fatta la santa Comunione in mezzo a centinaia di ragazze dell'Oratorio festivo, non si ristava poi dall'esclamare:

Che fortuna ! che fortuna poter fare la santa Comunione in questa notte ! Quanto è buono il Signore ! Oltre le tante altre consolazioni che mi ha dato, mi avea riserbata anche questa!»

Al mattino del giorno di Natale si alzò dal riposo tutta contenta e fu trovata dalle amiche col rosario in mano. Fu interrogata perchè continuasse così la sua preghiera: « Perché, essa rispose, vi è gente che aspetta il nostro aiuto. Vi sono le anime del purgatorio che attendono i nostri suffragi e tocca a noi muovere in loro soccorso. E poi sapete perchè io prego? Prego perché pur troppo fra i contadini la preghiera è venuta in disuso e reca noia. Nelle belle stagioni non si prega perché ora vi é il fieno, ora il grano, ora le vigne, ora da coltivare, ora da raccogliere. Nell'inverno poi che bella cosa sarebbe vedere i padri di famiglia recitare il loro rosario nella stalla al caldo con tutti i figliuoli intorno ! Per i contadini l'inverno dovrebbe essere il tempo della preghiera. Ma invece essi preferiscono andare in piazza o negli altri loro ritrovi per passare le lunghe ore in discorsi inutili. Quindi è ben giusto che se gli altri non pregano, io preghi per essi. »

In quella stessa mattina vi fu chi le disse: « Chi sa quanti dispiaceri avrete voi sopportati , nella vostra vita così lunga !

« lo, dispiaceri ? ella rispose ; lavorare sì ; ho lavorato molto, moltissimo; a 15 anni morto mia padre dovetti prendermi sulle spalle tutto il peso della famiglia ; far lavorare e lavorare io stessa i campi e una miniera di gesso : dirigere i manuali o condurre io stessa il gesso nei molti paesi dei dintorni. Da mano a sera non ebbi mai un momento di respiro ; ma in tutta la mia vita io non ho mai avuto minimo dispiacere ! » Noi qui osserviamo - Benedetti e fortunati quei figli la cui madre può proferire una così preziosa parola!

Alle 10 antimeridiane si apparecchiava per andare ad assistere al Pontificale del figlio poiché diceva essere una vergogna ascoltare sole tre messe nella festa del Natale. Si arrese però a stento alte istanze delle amiche, le quali le facevano osservare come il tempo minacciasse neve.

Alle tre e mezza del dopo pranzo però volle assolutamente uscire ed andare ai vespri pontificali del figlio. Fu accompagnata alla chiesa di Maria Ausiliatrice. Ma nel salire i gradini che mettono nel grandioso santuario , a un tratto le mancano le forze. Sorretta dai circostanti siede in sulla soglia ed entra placidamente in agonia. Dopo una vita così lunga spesa nella preghiera, nel lavoro, nell'educazione dei suoi figliuoli era giusto che l'ora del suo riposo eterno la cogliesse all'ombra dei manto di Maria SS. Un prete salesiano corse in tutta fretta, e fattala trasportare in una sala a pian terreno nella casa delle Figlie di Maria Ausiliatrice, le amministrava il sacramento dell'Estrema Unzione. Era appena finita l'ultima unzione e la buona Teresa spirava la sua bell'anima. Erano intorno a lei alcuni sacerdoti e salesiani secolari, le suore e le figlie dell'Oratorio festivo. Si spegneva come una lampada cui manca l'olio, e la sua estrema vecchiezza era la causa della sua morte.

In chiesa intanto si cantavano i vespri pontificali e Mons. Cagliero era inconscio di quanto alla soglia del tempio accadeva ! Fra la moltitudine però era corsa come una scintilla elettrica la dolorosa notizia. Gli occhi di tutti erano fissi sul Vescovo e tutti i cuori innalzavano una preghiera per lui e per la defunta madre. Finiti i vespri Monsignor Cagliero dovea assistere alla predica e dare la benedizione col SS. Sacramento, ma il cerimoniere , cui era giunta l' inaspettata novella , credette prudente cosa rompere quegli indugi, temendo che potesse arrivare agli orecchi di Monsignore qualche voce inopportuna. Perciò comandò che i parati col Vescovo andassero in sagrestia. Monsignore chiese il motivo di quella novità. - Una comunicazione importante da dare a V. E. - rispose il cerimoniere.

In sacrestia Monsignore apprese la perdita che avea fatta ! Toltisi quindi gli abiti sacri corse presso la salma della madre , che già era stata composta sul suo letto. Le scoperse il volto, la benedisse, pregò per lei, esclamò : - Sia fatta la volontà di Dio, - e diede il giusto tributo di lagrime a chi tanto l'avea amato e da lui era stata riamata sulla terra.

Il giorno 27 dicembre avean luogo i funerali solenni nella chiesa di Maria SS. Ausiliatrice e Sua Eccellenza Mons. Cagliero riserbava a sè il mesto ufficio dell' assoluzione del cadavere. I numerosi amici di Monsignore che circondavano la bara a stento frenavano le lagrime. Sopraggiungeva intanto il Rev.mo Parroco e processionalmente trasportava il cadavere alla chiesa parrocchiale di S. Gioachino.

Non possiamo descrivere l'irresistibile e tenera commozione che invase la nostra anima in quel momento, e dal fondo del cuore abbiamo esclamato Salve, o buona madre. Presso Dio colle tue preghiere lenisci il dolore del figlio tuo , confortalo nelle ardue prove che dovrà incontrare , feconda di ricche messi la sua missione. Quel Dio che ti ricondusse al fianco il tuo Giovanni dalle lontane plaghe dell' America , te lo ricondurrà un altro giorno da questa terra d'esiglio, ed allora con esso e con tutti gli amici suoi vi sarà un'eterna inseparabile unione d'amore e di felicità. Et sic semper cum Domino erimus.

Concludiamo col raccomandare alle preghiere dei Cooperatori e delle Cooperatrici Salesiane l'anima della Teresa Cagliero.

BIBLIOGRAFIA SALESIANA

CRISTINA QSSIA un Tesoro all'imminente bancarotta sociale.

Scene contemporanee pel sac. ILARIO MAURIZIO VIGO, curato di Santa Giulia in Torino. - Un bel volume di 247 pagine in-16. Prezzo L. 1 franco di posta. Rivolgersi alla Tipografia Salesiana in Torino o all'Autore.

Ecco una sorella della Marietta, che ha riportato il premio ad un concorso ; sorella minore , diciamo , perchè nata dono di essa, ma in realtà sorella maggiore perchè tratta un soggetto più elevato e in modo più erudito.

La Cristina, come lascia capire il titolo medesimo, parla del Nome Santissimo di Gesù Cristo. Ha preso occasione dal giornaletto, che pubblicavasi l'anno, scorso col titolo Gesù Cristo, e da varie profanazioni, che commettavansi allora contro questo adorabile Nome, e per via di conferenze famigliari, ma dotte ed erudite, intessute di parole della Sacra Bibbia e dei Santi Padri, sotto la similitudine di un tesoro, viene a stabilire l'eccellenza e le glorie del Nome medesimo, la storia di esso e del suo culto , la ragionevolezza di questo stesso culto e i mezzi più efficaci a diffonderlo maggiormente.

L'Autore, impensierito della decadenza e del deperimento della presente società, avviata inevitabilmente ad una bancarotta certa, propone il Nome Santissimo di Gesù Cristo, vero tesoro, come rimedio efficacissimo simo ai mali sociali.

Divide il suo libro in due parti : nella prima scava. e pubblica il Valore di questo Tesoro, nella prima sezione il Valore intrinseco. - I. Valutazione del Tesoro. - II. Il vero perno centrale di tutta la storia - III. Un Profeta che non ha bisogno d'ispirazione. - IV. Il Re Universale. - V. Il giro del mondo in 24 ore. - Nella seconda sezione della medesima prima parte scava e pubblica il Valore estrinseco del Tesoro. - I. Il vero oro che fa miracoli. - II. Un miracolo vivente. - III. Largo alla giustizia ? - Nella seconda parte poi I cercatori del Tesoro dà la storia del Nome Santissimo di Gesù Cristo e del suo culto. - I. L'universo appiè del Tesoro. Dimostra la ragionevolezza di questo culto. - Il. E con ragione! Dà i mezzi per propagare largamente questo culto. - III Chi vuole aver parte al Tesoro? - Sia negativamente : § 1o Non sprecate it Tesoro. - Sia positivamente : § 2° Godete e fate godere il Tesoro. - Conchiude con una passeggiati alla Sagra di S. Michele in Val di Susa in una conferenza intitolata Cristo vince. E finalmente conchiude il racconto spiegando il perché del titolo del libro.

Ha egli ragione l'Autore? Noi camminiamo verso l'ignoto. - La bancarotta è inevitabile, sia materialmente, sia moralmente e religiosamente, qualcuno lo dice, ognuno lo vede. La società presente va sfasciandosi come un mucchio di sabbia. Ebbene? In tali pericolosi frangenti il primo Papa, S. Pietro, lo diceva - ai Pontefici dei Giudei e l'ultimo Papa , che gli sia succeduto finora, il sapientissimo Leone XIII, lo proclama alto ai re e ai popoli : Non havvi sotto del cielo altro nome dato agli uomini (fuorchè quello di Gesù Cristo) mercè di cui abbiamo noi ad essere salvati. Ecco il perché il presente racconto venne intitolato Un Tesoro all'imminente bancarotta sociale.

Di esso scrive il Revisore ecclesiastico, un dotto e pio canonico, dottore aggregato alla facoltà di teologia : Ho letto la Cristina, e, senza adulazioni, la stimo utile a ricordare la dottrina cristiana nelle prime verità della fede, ed anche un po' di storia sacra ed ecclesiastica. Essa farà molto bene e sarà letta con molto frutto.

Chiamiamo l'attenzione dei Cooperatori sopra la pubblicazione periodica

LETTURE DRAMMATICHE

indicata nella copertina di questo numero.

IL LIBRO PER TUTTI.

Quest'opera, approvata e raccomandata da parecchi reverendissimi Vescovi d'Italia, chiamata dalla Civiltà cattolica una piccola biblioteca contenente la materia di parecchi volumi, dei quali non v'è classe di persone che non possa giovarsene, diversifica notabilmente da altre cinque edizioni anteriori. Esse erano distribuite in tre parti: una d'istruzioni corredate di esempi; l'altra di esercizi divoti e pratiche di pietà; la terza di meditazioni. Questa invece, ommessa la parte che abbracciava le preghiere e gli esercizi di divozione, venne ampliata notabilmente nelle istruzioni e moltiplicata negli esempi che giovano tanto a conferma ed illustrazione delle dottrine, e rendono altresì più varieggiata ed amena la lettura.

L'Autore la dice scritta senza fioritura di stile, ed artifizio di concetti, ma semplice e liscia, perchè portando il titolo di Libro per tutti, deve essere di facile intelligenza e alla portata di ognuno, anche nel basso popolo, poco istruito e colto. La mancanza però che l'Autore accenna è largamente compensata, come scrisse la Civiltà Cattolica, dalla dottrina veramente sicura e da quel fervore di pietà che vi stilla nei lettori e della lucida , vibrata e breve istruzione che dà alla mente del lettore.

Sarebbe desiderabile che questo libro diventasse una piccola biblioteca di famiglia da leggersi in comune, specialmente nelle lunghe serate invernali , in cui di sovente si stà in ozio, e si leggono libri che fanno per nessuno.

Sono pubblicati il primo il secondo ed il quarto volume, ì quali verranno spediti franchi di porto dietro ricevuta dell'importo,

L'Autore con liberalità degna di ammirazione, non solo si affaticò grandemente in preparare la materia d'un libro che possa illuminare la, mente con istruzione lucida, vibrata e breve, ma fece di più; il frutto delle sue fatiche offre a benefizio della Chiesa del Sacro Cuore di Gesù in Roma e dell'annesso Ospizio a costruzione. Il suo libro sarà quindi un vero libro per tutti, cioè tutti ne godranno gli effetti, i lettori che verranno illuminati ed educati direttamente e la gioventù abbandonata, la quale, dal provento del libro verrà accolta, mantenuta ed educata nell'Ospizio del Sacro Cuore.

Raccomandiamo ai nostri benemeriti Cooperatori e benemerite Cooperatrici dì voler far conoscere e diffondere questo libro quanto più sarà loro dato, poichè è questo uno dei migliori mezzi di cooperare all' erezione del monumento salesiano al Sacro Cuore di Gesù in Roma.

L'opera consta di 4 volumi di circa mille pagine ciascuna vendibili a L. 3 al volume ed a L. 10 l'opera intiera. Legati L. 4 ciascun volume ; L. 14 l'opera intiera.

Rivolgersi alle Librerie Salesiane.

Ringraziamo l'egregio giornale L'Eco d'Italia della cortese menzione che ha fatto del nostro periodico e lo raccomandiamo ai nostri Cooperatori per i sani principi, la ricchezza di notizie, e le belle incisioni umoristiche. L'abbonamento costa lire 18 annuali e si riceve in Genova alla Libreria Arcivescovile, Piazza Nuova, 43.

LA FESTA E LA CONFERENZA DI S. FRANCESCO DI SALES.

Il 29 di questo mese, giorno di giovedì, occorre la festa del nostro glorioso Patrono S. Francesco di Sales.

La funzione religiosa nella Chiesa di Maria Ausiliatrice avrà luogo col solito orario. Con apposita lettera renderemo noto ai Sigg. Cooperatori e Cooperatrici il luogo , il giorno , e l' ora della Conferenza.

Intanto facciamo umile preghiera ai signori Capi e Decurioni, che nella stessa occasione vogliano raccogliere a Conferenza i proprii Cooperatori e le proprie Cooperatrici, a norma del Regolamento, sia per acquistare il tesoro spirituale della Indulgenza plenaria , sia per trattare di quegli argomenti, che giudicheranno più conducenti al benessere della religione, e al vantaggio dell'umile Società di S. Francesco di Sales.

Fra le opere da raccomandare non si dimentichi l'Ospizio del Sacro Cuore di Gesù in Roma, e le nostre missioni della Patagonia.

ELENCO DI COOPERATORI E COOPERATRICI DEFUNTI NEL 1884.

1 Abbene dam. Ifigenia - Torino.

2 Abbo Lorenzo - Villatalla (Porto-Maurizio).

3 Accorsini dottore Giuseppe - Paglianella (Lucca).

4 Adami Innocente - S. Floriano (Verona).

5 Adriani Giovanni - Fossato di Vico (Perugia).

6 Agostini D. Giuseppe , parr. - Capugnano (Bologna).

7 Aiachini D. Giulio, can. - Alessandria.

8 Aina D. Pietro - Cerano (Novara).

9 Aldrighetti D. Giuseppo -- Nago (Tirolo). 10 Alessandri Alessandrina - Mornico al Serio (Bergamo).

11 Alfarè D. Pietro, vicario - Treviso.

12 Allara Clementina - Casale Monferrato.

13 Allegri D. Erminio, arcipr. - Breda (Mantova).

14 Aloazzi D. Michele, parr. - Coimo (Novara). 15 Alzoni Maria - Oristano.

16 Ambrogi D. Carlo, arcip. - Ziano (Piacenza). 17 Ambrogio Domenica - Saluzzo. 18 Amigo Michele - Varazze. 19 Andreo cav. D. Martino, can. - Ivrea.

20 Angerilli D. Pacifico - San Ginesio (Macerata).

(continua)