BS 1910s|1919|Bollettino Salesiano Agosto 1919

BOLLETTINO SALESIANO

PERIODICO MENSILE DEI COOPERATORI DI DON BOSCO

ANNO XLIII - N. 8   AGOSTO 1919

SOMMARIO

Nel nome di Don Bosco, tutti al lavoro? - Le Vocazioni Ecclesiastiche.

Per i più giovani dei nostri Ex-Allievi - Un convegno all'Oratorio - L'importanza delle Sezioni-Giovani Ex-Allievi.

Nel Pese di Gesù - Solenne processione eucaristica a Betlemme - L'Orfanotrofio Cattolico di Betlemme Una preghiera.

Tra gli Italiani all'Estero: Imponenti cerimonie religiose nell'Argentina (Lettera del Sac. Michele Tonelli, Salesiano).

Escursioni apostoliche di Mons. Giordano, Prefetto Ap. del Rio Negro (Brasile): I) Lungo il Rio Cayarí.

I Missionari Salesiani del Cuantung sul campo dei lavoro (Note del Dott. D. Sante Garelli).

Il Culto di Maria Ausiliatrice: Pel 24 corrente - Grazie e graziati.

Riconoscenza al Ven. Don Bosco.

Tra gli orfani di guerra: Una visita alla Scuola pratica d'agricoltura aperta dai Salesiani a Roma.

Note e Corrispondenze: L'Em.mo Card. Cagliero - Per l'onomastico del S. Padre - Nel Consiglio Superiore della Pia Società Salesiana - Tra i figli del popolo - Notizie varie: in Italia: all'estero.

Necrologio e Cooperatori defunti.

REDAZIONE E AMMINISTRAZIONE - VIA COTTOLENGO, 32 - TORINO

Nel nome di Don Bosco, tutti al lavoro !

La società non è al termine dell'affannosa via in cui venne sospinta dalla guerra: ne ha percorso il tratto più disastroso, non il più difficile e il più oscuro, e la corsa continua convulsa in cerca di pace. Per grazia di Dio l'umanità intera ha intuito la dolcezza e il diritto della pace: ma è lungi dal raggiungerla benchè ne senta vivo il desiderio. Finchè non si leverà dal basso in cui è discesa trascurando il soprannaturale e immergendosi nel materialismo, non avrà pace e sarà sempre irrequieta, come il cuore d'ogni uomo che non riposa in Dio. Bisogna condurre la società in braccio a Dio: bisogna che i buoni lavorino a questo fine: a dilatare il regno di Dio sulla terra.

Il compito, santo e sublime, è insieme arduo, lungo, e pieno di ostacoli. Lo ha iniziato, e a qual prezzo! Gesù Cristo; l'hanno continuato gli Apostoli, i santi e tanti buoni cristiani, sorretti e avvalorati dalla grazia perenne di Lui. Cooperatori, voi pure dovete portare a quest'opera il vostro contributo. Nessuno di noi è capace di grandi cose: ma ogni cristiano, con la grazia di Dio, può tutto; e guai a noi, se lasciandoci spaventare dalle difficoltà, rimanessimo inoperosi. Non riusciamo a conquistare a Gesù Cristo una nazione, un popolo, una città? Vediamo di guadagnargli una famiglia, un'anima Un'anima sola, un sol giovanetto guadagnato a Lui pur in mezzo a mille altre anime che non Lo servono, è una nuova colonia aggiunta al Regno dì Gesù Cristo.

Riprendiamo adunque il lavoro, o cari Cooperatori, e con fede.

Seguaci di Don Bosco, che compì il più fruttuoso apostolato in tempi non meno difficili, non spaventiamoci nel veder molte opere rovinate o interrotte, che urge ristorare e condurre a compimento: tante altre, che reclamano uno sviluppo maggiore: ed altre ed altre ancora, di cui per il passato non si vedeva il bisogno, mentre oggi s'impongono in ogni parte.

Dappertutto s'impone un immenso lavoro di restaurazione, che la Religione e la Patria domandano agli uomini di buon volere con le suppliche più commoventi. Guardate quante famiglie son rimaste senza capo e quante schiere di orfani reclamano pane e sana educazione. Guardate qual fermento gonfia e solleva tante masse di lavoratori, che minacciano di ritardare a lungo l'assetto del consorzio civile. Guardato quali e quanti errori annebbiano le menti del popolo e quanto fango riempia i cuori della gioventù, mentre il numero dei sacerdoti, dei banditori del verbo sacro, dei dispensatori della grazia di Dio, si è tanto assottigliato sui campi di battaglia e al letto dei colpiti dal morbo influenzale, e le nuove reclute del Santuario d'un tratto disperse e poco alla volta ridotte quasi a zero, non possono dar presto nuovi sacerdoti.

L'ora è difficile, ma non diffidiamo. Sull'esempio di Don Bosco non piangiamo sulla tristezza dei tempi, ma prendiamone argomento a scendere animosamente in campo tra i primi, affinchè l'esempio del nostro coraggio sproni altri a seguirci e così, moltiplicate le energie, possiam vincere al più presto più di una santa battaglia.

Una delle estreme raccomandazioni del Ven. Don Bosco fu questa: « Lavoro, lavoro, lavoro!» e il carattere dell'Opera Salesiana e della Cooperazione Salesiana è e dev'essere una perenne attività per il bene a gloria di Dio.

Un giorno si presentò al Venerabile un chierico salesiano per confidargli il timore in cui era di dimenticar se stesso per giovare caritatevolmente ai suoi alunni. Il buon Padre amabilmente lo ascolta, lo ammonisce, e in fine sollevando gli occhi al cielo, e posando a quel suo figliuolo le mani sulle spalle.. - Figlio di Don Bosco! - esclama con dolcezza piena di umiltà e sodisfazione - Figlio di Don Bosco!

Oh! non per nulla tra gli ultimi ricordi ai suoi il Venerabile lasciò scritte queste parole: « Quando avverrà che un Salesiano soccomba e cessi di vivere lavorando per le anime allora direte che la nostra Congregazione ha riportato un gran trionfo, e sopra di essa discenderanno copiose benedizioni celesti. »

Cooperatori carissimi, riprendiamo il lavoro, riprendiamolo con fede - e compatti, e subito. Non aspettiamo di discutere in congressi nazionali, o internazionali, un ampio programma d'azione. Abbiamo il nostro Regolamento, ci stanno dinanzi i bisogni locali: applichiamo lo spirito del Regolamento ai bisogni più urgenti, e cominciamo a lavorare. Ricordiamo il sapientissimo ammonimento di Don Bosco: « Non rimandate a domani quel poco di bene che potete far oggi: sarebbe tanto bene perduto. Il bene va fatto subito, e come si può, perchè l'ottimo è nemico del bene. »

Ora i Cooperatori Salesiani possono far tutti un gran bene, individualmente e collettivamente, in ogni tempo. Ecco un programma:

I) - INDIVIDUALMENTE:

a) Curino l'educazione cristiana dei loro figliuoli e di quei giovanetti cui possono rivolgere le loro sollecitudini.

b) Offrano e prestino l'opera loro in servigio ai Parroci, ai Presidenti di Circoli giovanili, ai Direttori di Oratori festivi, per rendere più frequentati, più regolari, più fruttuosi i Catechismi, e favorire ogni opera diretta alla formazione cristiana della gioventù.

c) Sostengano tutte le buone iniziative, massime quelle dirette a promuovere gli interessi di N. S. Religione, come la santificazione delle feste, la frequenza alla chiesa e alla parola di Dio e ai SS. Sacramenti, la guerra alla bestemmia e al turpiloquio, la diffusione della buona stampa, la propagazione della fede, il zelare nuove vocazioni religiose e sacerdotali, ecc.

In somma siano praticamente cristiani zelanti, secondo lo spirito di Don Bosco.

II) - COLLETTIVAMENTE:

a) Introducano o riprendano o proseguano l'usanza di raccogliersi ogni mese a conferenza, in occasione del ritiro mensile, per dare un indirizzo pratico e ben determinato alla cooperazione salesiana locale.

b) Abbracciata un'opera, la sostengano con sacrifizio costante, e le procurino adesioni e favore presso ogni ceto di persone.

e) Partecipino ai Direttori Salesiani locali o all'Ispettore Salesiano regionale, i loro voti e suggerimenti per orientare, ove occorra, l'azione dei Cooperatori d'una diocesi o d'una provincia a sostegno di opere regionali d'eccezionale interesse.,

d) Moltiplichino le cure migliori per venire in aiuto, con le loro oblazioni, al Successore di Don Bosco, affinchè non gli manchino i mezzi necessari per sostenere le molteplici Opere Salesiano già fondate, e perchè possa sodisfare ogni anno le più urgenti delle numerose domande di nuove fondazioni.

Quanto lavoro in poche parole!

Cari Cooperatori, che volete il bene della Chiesa e della Civile Società, avanti nel nome di Don Bosco, tutti al lavoro!

Per le Vocazioni Ecclesiastiche.

Mentre a Valsalice - in questi giorni medesimi, dal 13 al 17 agosto - un nucleo di Cooperatori Salesiani si raccoglie in ritiro spirituale per ritemprarsi, accanto le venerate tombe di Don Bosco e Don Rua nella rievocazione delle loro sublimi virtù, a un lavoro più fecondo per la salvezza dell'anima propria ed altrui, ameno; che tutti i Cooperatori si stimolassero realmente ad un'azione costante e volenterosa in conformità del programma della Pia Unione.

Un bisogno particolarmente grave vorremmo che fosse da tutti meditato: - quello di nuove vocazioni al Sacerdozio.

Come abbiamo accennato e come tutti vedono, mentre si è assottigliato tanto il numero dei Sacerdoti, la guerra ha anche allontanato dai Seminari i chierici prossimi agli ordini sacri, e molti son quelli che non han fatto e non faranno più ritorno all'ombra del Santuario.

Urge riempire sollecitamente questi vuoti: urge moltiplicare il numero dei Ministri di Dio in modo che alcuni possano esclusivamente dedicarsi all'apostolato tra la gioventù, da cui dipende la salvezza della società.

Conoscete, cari Cooperatori, qualche buon ragazzetto, che abbia inclinazione al Sacerdozio? Aiutatelo a conseguire il suo intento con rafforzargli nell'anima la santa vocazione con un'amorevole vigilanza, e col soccorrerlo materialmente

Conoscete qualche giovanotto, dai 15 ai 20

che, dopo aver fatto un po' d'esperienza della vita, senta chiara la voce del Signore che lo chiara ; al Santuario? Date una mano anche a lui, sorreggetelo con il consiglio e con l'opera, e avrete facilmente assicurato alla Chiesa e alla Società un nuovo ministro di Gesù Cristo.

È su questo argomento che richiamiamo l'attenzione dei nostri cari Cooperatori in questo mese, che ricorda anche la nascita dell'umile pastorello dei Becchi, il quale, incamminato con l'aiuto di alcuni buoni laici e sacerdoti e dalla fede viva e generosa della mamma per la via del Santuario, nel breve giro di mezzo secolo operò tanto bene in ogni parte della terra.

Animo, o cari Cooperatori, lavoriamo per dare alla Chiesa nuovi Sacerdoti!

Chi conosce qualche buon giovane, desideroso d'intraprendere gli studi ecclesiastici, lo raccomandi al nostro Superiore Don Albera.

Per i più giovani dei nostri ex-allievi

Un convegno all'Oratorio.

A corona della Cinquantesima Dimostrazione filiale degli ex-allievi dell'Oratorio Salesiano alla cara memoria del Ven. D. Bosco, la domenica 6 luglio si raccoglievano a Valdocco circa trecento dei più giovani ex-allievi interni dell'Istituto, tra cui non pochi ufficiali e studenti dei corsi superiori e molti artigiani aventi già un posto onorato in società.

Il baldo nucleo giovanile, in breve adunanza tenuta dopo le funzioni religiose del mattino sotto la presidenza del teologo D. Giulio Barberis, in rappresentanza del successore di Don Bosco, rev.mo don Albera, dell'Ispettore salesiano dott. don Alessandro Lucchelli, di vari direttori dell'Oratorio e del rev.mo can. Antonio Berrone, Presidente della Commissione Ex-Allievi, ha entusiasticamente acclamato la creazione d'una Sottocommissione, che agevolerà ai giovani ex-allievi dell'Oratorio, nei primi anni dalla loro uscita dall'Istituto, ogni miglior assistenza morale e materiale.

L'idea è ottima e colmerà un vuoto, cui da molto tempo si voleva porre un rimedio; e la notizia tornerà carissima ai molti giovani ex-allievi dell'Oratorio, massime a quelli residenti in Torino e che non poterono prender parte al convegno.

Ove la Sottocommissione riesca ad esplicare il laborioso programma assunto, non v'ha dubbio che tanto la Commissione della prima Associazione degli Ex-Allievi dell'Oratorio Salesiano, quanto il Circolo Giovanni Bosco, fiorente da tredici anni qui a Torino, potranno allietarsi di nuovi membri ben allenati a diffondere in mezzo alle famiglie e alla società lo spirito del Ven. Don Bosco.

Il ben riuscito convegno si chiuse con una splendida gara ginnastica educativa militare, data dalle due squadre, studenti ed artigiani dell'Oratorio Salesiano, che presero parte al concorso d'orrore di Roma.

L'importanza di « Sezioni-Giovani » tra gli ex-Allievi.

Ci piace segnalare l'accennata iniziativa per l'efficace lavoro che è destinata a compiere nel campo delle Associazioni dei nostri Ex-Allievi, dalle quali - lo diciamo con fede altissima - sorgeranno i nostri più convinti e zelanti Cooperatori.

L'Unione degli Ex-Allievi dell'Oratorio di S. Francesco di Sales, cioè la Primaria delle Associazioni degli Ex-Allievi degli Istituti Salesiani che ha ispirato col suo esempio le altre Associazioni consimili sorte nei nostri Istituti, non poteva commemorare in miglior forma l'anno 50° di sua fondazione.

Già nel 19o6 essa diè prova della sua saggia previdenza fondando - mercè un nucleo di soci volenterosi -- il Circolo Giovanni Bosco con -uno statuto ispirato alle molteplici finalità, cui gli ex-allievi di qualunque Istituto Salesiano residenti in Torino possano aspirare.

Or avendo durante la guerra, per la lontananza dei più anziani, potuto avvicinare più frequentemente i più giovani e constatare il bisogno d'aiutare e assistere questi cari figliuoli perchè, nei primi anni dal loro ingresso alla vita sociale, non facciano getto dei sani principii in cui furono educati ma vi si confermino in modo saldo e duraturo, ecco, in seno all'Unione degli Ex-Allievi dell'Oratorio di S. Francesco di Sales, sorgere provvidenzialmente l'accennata Sottocommissione, che sotto gli auspici della Commissione, cioè del Consiglio direttivo dell'Unione, di proposito si occuperà dei più giovani tra gli ex-allievi aderenti all' Unione medesima.

Opera più santa o provvidenziale non poteva idearsi. Il proposito d'aiutare i più giovani fra gli ex-allievi con assisterli nella formazione d'un carattere schiettamente cristiano e tra le difficoltà che comunemente incontrano dal lato economico e sociale, risponde a un bisogno già largamente sentito in ogni parte. Difatti anche i Circoli degli Ex-Allievi degli Istituti Salesiani di Buenos Aires pensano, di questi stessi giorni, ad occuparsi degli Ex-Alunnos menores, o dei più giovani degli ex-allievi.

Perchè - dappertutto - specie nelle grandi città dove gli ex-allievi sono numerosi, non si pensa a formare in seno alle Associazioni già esistenti altrettante Sezioni-giovani, cui gli anziani, con la propria esperienza, possono dare un aiuto prezioso?

Si domanderà: - il miglior modo d'istradare i giovani ex-allievi alla vita, sociale è quello di chiuderli ancor per vari anni (quanti?) in un ambiente esclusivamente giovanile, o quello di accomunarli subito con gli adulti, i quali, avendo ricevuto la stessa educazione in gioventù e raggiunta l'esperienza della vita possono essere i loro esemplari ?

L'uno e l'altro metodo, presi separatamente, offrono dei vantaggi, ma hanno anche delle lacune. Utile la sezione giovanile con programma proprio e vita propria: utile l'accomunamento dei più giovani cori gli adulti. Ma com'è insufficiente per completare l'educazione cristiana dei più giovani il fonderli e metterli insieme con i più adulti, perchè non basta la forza indiretta del buon esempio senza speciali cure dirette, ma è d'uopo raccoglierli periodicamente per dir loro la buona parola e dar loro quella formazione che esige il loro stato di passaggio dalla vita di collegio alla vita in società ; così non conviene chiudere i giovani ex-allievi in un secondo nido esclusivamente giovanile, perché sarebbero privi di tutta la buona esperienza che può dare la comunanza con gli anziani, che dev'essere la scuola pratica dell'educazione impartita oralmente.

Quindi il miglìor metodo è di contemperare l'una cosa con l'altra: esigere cioè che anche i più giovani facciano parte dell'Unione o dell'Associazione comune e vivano normalmente della vita comune dell'Associazione, e in pari tempo abbiano in seno all'Associazione un nido particolare, dove trovino in abbondanza gli appoggi morali e materiali di cui abbisognano.

Così concepite e inquadrate, le Sezioni-Giovani-Ex-Allievi non richiedono dispendiosi locali, nè implicano le gravi difficoltà che proverrebbero dall'assicurare ad esse la necessaria serietà d'indirizzo, qualora fossero completamente isolate : perchè tutta l'Associazione n'è responsale.

Noi insistiamo pertanto perchè nelle grandi città, come a Milano, Genova o San Pier d'Arena, Firenze, Bologna, Roma, Catania, e dappertutto, dove esistono fiorenti Associazioni di ex-allievi - si fondino le accennate Sezioni giovanili.

Il loro programma potrebbe essere, in linea di massima, il seguente:

I) Per l'assistenza morale:

a) Offrano comodità ai gìovani ex-allievi di un corso di lezioni settimanali, il cui tema deve variare periodicamente, ma converrà che si aggiri sempre sulla morale o sull'apologetica o sulla sociologia cristiana;

b) Li invitino ogni prima domenica del mese a compiere, nella cappella dell'Istituto, la pia pratica del ritiro mensile o dell'Esercizio della Buona Morte;

c) Ogni anno li preparino all'adempimento del precetto Pasquale con un triduo d'istruzione religiosa;

d) Provvedano perchè in tempo di carnevale e, occorrendo, in altre circostanze, abbiano lo svago di onesti divertimenti ;

e) Li iniziino praticamente allo svolgimento del programma della Pia Unione dei Cooperatori Salesiani, alla quale sono invitati a dar il nome tutti i nostri allievi quando escono dagli istituti.

II) Per l'assistenza materiale:

a) Largheggino fraternamente, mediante l'interessamento personale degli ex-allievi aventi un posto già influente in società, nel procurare ai giovani quel miglioramento di condizione che è nell'aspirazione di tutti; procurino loro sollecitamente un'occupazione o un impiego, quando sieno disoccupati ; s'interessino perchè trovino pensione presso oneste famiglie e a prezzo conveniente; diano loro tutte quelle cure di cui ogni fratello maggiore va sollecito per un caro fratello minore.

b) Ove non bastasse questa gara di carità solidale, deleghino - anche con retribuzione - alcuni ex-allievi a costituirsi, all'uopo, in vero Segretariato o Ufficio di collocamento.

Questo, in linea di massima, dev'essere il programma di ogni Sottocommissione, o Sottopresidenza, o Sottodirezione che voglia chiamarsi, a seconda degli Statuti delle singole Associazioni, in seno alle quali va diligentemente, formata, perchè rimanga composta di membri seri e zelanti, capaci di assolvere il grave e complesso mandato.

Torneremo volentieri sull'argomento, quando potremo dire quali siano stati i frutti raccolti da questa umile semenza.

NEL PAESE Di GESU'

Solenne processione eucaristica.

Ci scrivono da BETLEMME:

Il venerdì dopo l'ottava del Corpus Domini, 27 giugno u. s. festa del SS. Cuore di Gesù, alle ore 16 1/2 dalla chiesa dell'Orfanotrofio Salesiano, dedicata al Divin Cuore, moveva per le vie Betlemme la solenne annuale processione eucaristica. L'Ostia Santa era portata da S. Ecc. Rev.ma Mons. Luigi Barlassina, Vescovo Ausiliare di S. B. il Patriarca di Gerusalemme, assistito da due canonici della Cattedrale, sotto baldacchino sostenuto da distintissimi membri dell'Unione Cattolica di Betlemme.

La moltitudine grandissima dei fedeli, che dopo aver atteso con ansia questo giorno solenne, ora s'accalcava sul passaggio del suo Sacramentato Signore; la partecipazione dei PP. Francescani, dei parroci delle parrocchie vicine, dei PP. del S. Cuore di Betharram, dei Fatebenefratelli, dei fratelli delle Scuole cristiane, dei Salesiani delle Case di Gerusalemme e di Cremisan, delle Suore di Maria Ausiliatrice, delle Figlie della Carità, delle Suore di S. Giuseppe dell'Apparizione, del S. Rosario e delle Francescane di Maria Immacolata; le lunghe schiere di alunni e di alunne delle varie scuole; la confraternita di Maria SS. della nostra chiesa e l'Unione Cattolica di Betlemme, già accennata; l'intervento dei Regi Carabinieri Italiani col loro Tenente Sig. Micheletta, che in Gerusalemme montano la guardia al S. Sepolcro, e la presenza di Sua Ecc. il Governatore di Betlemme Cap. Gladstone, resero grandiosa, commovente e indimenticabile la bella funzione. Al suo felice esito contribuirono anche la nostra banda musicale (piccola banda, perchè pochi sono gli strumenti che si poterono salvare dalle requisizioni continue ed inesorabili del passato governo turco), il piccolo Clero e la piccola Schola Cantorum, fiorenti tra gli alunni delle Scuole Esterne Salesiane. La popolazione con grande slancio pavesò le vie ed adornò gli altari dove doveva sostare il SS.mo per la Benedizione.

Lungo tutto il percorso regnarono la calma, l'ordine ed anche l'universale rispetto, benchè una parte importante del popolo appartenga allo scisma greco e non manchino i seguaci di Maometto; e alla vista dell'immensa moltitudine dei devoti, bisognosa di uno spazio più ampio, avremmo desiderato, che il giro trionfale di Gesù non si fosse ristretto ad un quartiere, ma avesse abbracciato tutta Betlemme.

Questa processione riveste una singolare importanza, poichè è l'unica, se non erriamo, che in questa Terra benedetta, ove fu istituita la Divina Eucaristia, percorra vie e piazze pubbliche; chè altrove tutte le altre, benchè splendide e solenni, s'aggirano nei recinti delle chiese o nei chiostri dei conventi, perchè l'opposizione ancor viva delle comunità acattoliche e infedeli impedisce alla Chiesa Cattolica della Palestina di mostrare liberamente lo splendore del suo culto e di fare pubblico omaggio al Divino suo Sposo alla luce aperta del sole.

Mentre ci auguriamo che il culto a Gesù Sacramentato si diffonda e s'accresca ognor più nel popolo di Betlemme, facciamo voti altresì che questa festa per bontà del Divin Cuore segni il rifiorire dell'Orfanotrofio, ora desolato e pressochè vuoto per le sciagure piombategli addosso durante la guerra, sì che torni, qual fu creato dal Can. Antonio Belloni fin dal 1863, a essere, sicuro asilo di un gran numero di poveri orfanelli.

L'Orfanotrofio Cattolico di Betlemme.

Il direttore dell'Orfanotrofio Cattolico di Betlemme, Sac. Mario Rosin, Salesiano, accompagnava la suesposta relazione con una lettera che crediamo di dover comunicare, ai lettori:

Betlemme, 12 luglio 1919. ... Alcuni anni fa da noi per i primi si osò uscire in processione col SS. Sacramento per le pubbliche vie di Betlemme, consentendolo le autorità turche del paese. Le prime volte s'ebbe a lamentare qualche piccolo inconveniente da parte sopratutto della popolazione greca scismatica, ma in seguito le cose procedettero sempre meglio. Durante la guerra italo-turca, la processione non si potè fare per l'opposizione del Mudir (Governatore) di Betlemme, il quale, essendo noi italiani, la rappresentò alle autorità superiori come una dimostrazione politica contro il governo ottomano. Ripresa dopo la pace d'Ouchy, si dovette nuovamente interrompere, quando l'Italia entrò nel conflitto Europeo testè cessato.

L'anno scorso, per la stessa occasione, essendo padroni del paese gli Inglesi, si potè ristabilire la bella usanza, e mi dicono che la processione col SS. riuscì bella e grandiosa anche per il favore e l'intervento del sig. Harrington, cattolico, governatore della città.

Ho detto mi dicono, perchè, com'ella ricorderà, in quel tempo io era con altri dieci, tra confratelli, famigli ed alunni (il Bollettino ne ha già parlato), in ternato in Keskin d'Angora, nel cuore dell'Asia Minore.

Quest'anno si voleva fare qualche cosa di più e in parte ci si riuscì. Monsignor Vescovo Barlassina accettò di portare il SS.; la nostra banda, benchè ristretta di numero per mancanza di musici, riprese a suonare; intervennero Associazioni Cattoliche ed il canto fu sostenuto dalla nostra scuola, mentre l'anno scorso, per mancanza di personale, quell'impegno se l'addossarono gentilmente i PP. Francescani.

Edificante fu il contegno del Governatore in questa festa, poiche non solo prese parte alle funzioni solenni del mattino nella nostra Chiesa, una nel pomeriggio, col cerco in mano, seguì il SS. Sacramento, pregando ed unendosi talvolta al coro dei nostri giovanetti nei canti che si eseguirono.

I Betlemiti avvezzi a non vedere altre autorità civili sopra di sè, che le turche, trasecolavano, non avendo mai sognato che sarebbe spuntato un giorno in cui avrebbero avuto un Governatore Cattolico.

Nel modesto ricevimento che si fece in casa, al termine della pia funzione, il Governatore si congratulò con noi della riuscita della processione e ci promise che l'anno venturo si amplierebbe il giro in modo da percorrere tutta la città. Faxit Deus!

- E l'Opera nostra a Betlemme?

Quest'anno l'Opera Salesiana a Betlemme si ridusse alle Scuole Esterne, alle funzioni del culto in Chiesa ed all'Oratorio festivo. Dell'Orfanotrofio propriamente detto non sussistono per ora che i locali e della Scuola Professionale i soli laboratorii dei calzolai, sarti e legatori; chè gli altri, quello dei fabbri e dei falegnami, ebbero tanto a soffrire delle conseguenze della guerra, che non so quando potranno riaversi. Le requisizioni militari e civili turche li vuotarono completamente: asportarono macchine, banchi, utensili, materiale. Non furono risparmiati neppur quelli dei calzolai e dei sarti: anche questi perdettero macchine da cucire, stoffe e strumenti d'ogni genere, proprii dei mestieri, ma naturalmente ci fu più facile riattivarli.

Gli stessi dormitorii vennero vuotati delle lettiere, dei materassi e delle coperte per rifornirne ospedali e specialmente i collegi, che il Direttore dell'Istruzione pubblica turca aveva aperto in Gerusalemme, in sostituzione delle Scuole Cattoliche, che una dopo l'altra venivano soppresse. Questo Direttore aveva bisogno di banchi di scuola, lavagne, tavoli, carta, quaderni; e anche tutto questo, come tutto il resto, venne asportato dal nostro Orfanotrfio.

Venne in fine il giorno che dovemmo sgombrare anche i locali, perche l'esercito turco ne aveva bisogno per farne una caserma. Una trentina di orfanelli che ancora ci rimanevano si rifugiò nella nostra Scuola Agricola di Beitgemal e l'Orfanotrofio fu occupato dai militari, che vi dimorarono per parecchio tempo, guastando porte e finestre, strappando serrature, imbrattando pareti, inquinando cisterne, ecc. ecc.

Avessero almeno lasciato nel loro ultimo asilo i nostri giovani! Ma no! Infatti competenti Autorità ottomane si presentarono a Beitgemal, posero su carri i nostri orfanelli e li condussero a Gerusalemme, ove vennero internati in un orfanotrofio turco, aperto nell'edifizio tolto alle Suore di Carità.

Mi perdoni, se non so far altro che evocare tristi ricordi... ma i tristi effetti della guerra perdurano ancora. Qui c'è veramente tutto da rifare: e perciò abbiamo bisogno di particolari benedizioni di Dio e d'aiuto da parte dei nostri benefattori...

Una preghiera.

Le Case Salesiane Alla Palestina, in special modo l'Orfanotrofio Cattolico di Gesù Bambino a Betlemme, furono particolarmente care al I° Successore di Don Bosco, l'indimenticabile Don Rua, che nella vivezza della fede, nell'ardore della carità e nell'amor grande che aveva per la gioventù, ebbe per esse una predilezione, fatta delle più sollecite cure paterne e delle più vive raccomandazioni ai Cooperatori.

Tali sono pure i sentimenti del nostro venerato Superiore Don Albera, il quale, non appena fu possibile, mandò a quelle Case un Visitatore straordinario per conoscerne appieno i bisogni e i mezzi più urgenti per farle risorgere.

Cooperatori amatissimi, volete far cosa gradita al nostro Superiore?

Mettetelo in grado, mercè la vostra carità, di far rifiorire tutte le Case aperte dai Salesiani nel Paese di Gesù, particolarmente l'Orfanotrofio Cattolico di Betlemme. Coloro che accoglieranno questo invito, godranno di speciali preghiere. Una nuova schiera di giovanetti beneficati, ogni giorno, innalzerà al ciclo i più fervidi voti per la loro felicità temporale ed eterna, e quei voti saranno particolarmente cari al Signore, perchè gli giungeranno dalla terra benedetta, santificata dai primi vagiti di Colui che disse ai Cristiani di tutti i tempi: « Ciò CHE FARETE AD UNO DEI

Più PICCOLI DEI VOSTRI FRATELLI, LO TERRÒ COME FATTO A ME!...»

Le offerte per le Opere Salesiane di Terrasanta, particolarmente per la regolare riapertura dell'Orfanotrofio Cattolico di Betlemme, sieno inviate al rev.mo Sig. D. Paolo Albera, Via Cottolengo n. 32, Torino.

TESORO SPIRITUALE.

I Cooperatori Salesiani, i quali confessati e comunicati divotamente visiteranno qualche Chiesa o pubblica Cappella, o se viventi in comunità la propria Cappella privata, e quivi pregheranno secondo l'intenzione del Sommo Pontefice, possono lucrare Indulgenza plenaria dal 10 agosto al 10 settembre:

1) il 15 agosto, Assunzione di M. V. 2) il 16 agosto, S. Rocco. 3) l'8 settembre, S. Nome di Maria.

Tra gli Italiani all'Estero.

Imponenti cerimonie religiose nell'Argentina

(Lettera del Sac. Michele Tonelli, Salesiano).

Buenos Aires, 24 maggio 1919. REV.MO SIG. DIRETTORE,

Ricevo oggi la sua gentile e insistente domanda e voglio subito sodisfarla. Ella ha colto nettamente nel segno, quando dice che la guerra ha sovraccaricato di lavoro anche noi, e che da buoni figli di Don Bosco noi pure abbiamo serenamente continuato a lavorare, pur rinunziando alla sodisfazione di presentare ai benemeriti Cooperatori un ragguaglio del bene raccolto con la grazia di Dio. Mi perdoni, o meglio, ci perdoni tutti, perchè è proprio così: il lavoro è grande, molteplice, quotidiano; e, se presto non ci vengono nuove braccia in aiuto, non tarderà il giorno in cui dovremo cedere le armi forzatamente.

Ella adunque vuol sapere qualcosa di quello che si è fatto durante la guerra tra questi italiani. Le è già noto il nostro interessamento per i richiamati e per le loro famiglie, massime per i figliuoli; e le inviammo dei dati che Ella pubblicò nel caro « Bollettino». Quindi, se non le spiace, questa volta mi astengo dal venire agli stessi particolari e preferisco metterle insieme, coi resoconti dei giornali, un po' di relazione di ciò che abbiamo fatto per tener desto il sentimento religioso e patrio nella Colonia.

ll Cinquantenario di „ Mater Misericordiae ".

Il 7 ottobre 1917 segnò la data di un grande risveglio religioso tra i nostri connazionali. Ricorreva il cinquantenario della fondazione della Chiesa di Mater Misericordiae, aperta nel 1867 ed affidata da Mons. Aneyros ai primi Salesiani nel 1875, la Chiesa detta degli Italiani, perchè a vantaggio della loro colonia. Si celebraronò solenni feste religiose, precedute da una novena predicata da Mons. Nicolàs Saa; S. E. Mons. Alberto Vassallo de Torregrossa, Nunzio Apostolico, presiedette un'imponentissima processione; e a tutte le sacre funzioni, accompagnate da scelta musica, presero parte, con vero slancio, innumerevoli italiani.

Solenne funzione religiosa „ pro Italia ".

Alla fin del mese, le assillanti notizie giunte dalla nostra Patria carissima ci consigliarono a indire, per il 4 novembre, una solenne funzione religiosa pro Italia. L'appello trovò subito l'adesione più concorde. Trascrivo dalla Patria degli Italiani:

Magnificamente splendida riuscì la annunciata cerimonia patriottica religiosa di ieri nella Chiesa italiana di via Moreno 1669, diretta dai R. R. Salesiani. I numerosi vessilli tricolori fraternamente intrecciati alla bandiera argentina, sventolanti su in alto, ben in alto, sulla facciata del tempio, dicevano meglio di ogni voce potente l'orgoglio della straordinaria concorrenza di sentirsi italiana in quest'ora grave di prova. Nella Chiesa, un grandioso arco dai drappeggiamenti ricchi e gentili ostentava i colori nazionali, italiani e argentini, colla scritta in oro: Maria, proteggi l'Italia!

Mirabilmente fusi i due grandi amori di Dio e di Patria: e quell'onda di popolo orante si sentiva vera erede di quella fede e di quell'eroismo coi quali gli avi nostri attorno al Carroccio, sui piani lombardi, sconfissero il Barbarossa...

Alle 10,30 ant. precise arrivarono S. E. il Comm. Vittor Cobianchi, R. Ministro, il Comm. Carlo Nagar, Regio Console Generale, il cav. Uff. V. Cerrutti, Segretario della Legazione, il Generale A. Costantino, il Cav. Uff A. Vinci, Regio Commissario d'Emigrazione, il cav. Uff. Dr. Cobianchi.

Le signore del Comitato di guerra, colla distinta presidentessa, erano quasi al completo. Il superiore dei Salesiani, Sac. Giuseppe Vespignani, assente per imprescindibili motivi, era rappresentato dal Rev. Sac. Valentino Cassini. La Società Cattolica Popolare Italiana di M. S. assisteva in corpo. Una compagnia di Esploratori di Don Bosco rendeva gli onori all'ingresso del tempio.

All'entrar nella Chiesa delle Autorità scoppiò, improvvisa e spontanea, una generale ovazione alla Patria amata. Il Reverendo Sac. Michele Tonelli, rettore della Chiesa, celebrò la Messa per la Patria, mentre l'orchestra svolgeva uno scelto programma

La calca straordinaria di gente non permise che la colletta e pro Italia » potesse effettuarsi comodamente. Ciò non ostante la graziosa bambina Biby Mazzucchelli, accompagnata dalla buona mammina Maria Berrino in Mazzucchelli e le gentili signorine Gilda e Giuseppina Scarinci riuscirono a raccogliere pezzi 349,05, che saranno rimessi al R. Ministro. Non mancarono episodi commoventi: fra gli altri, una bambina offrì il suo anellino d'oro...

Pellegrinaggio italiano a Lujàn.

L'entusiasmo scuscitato dall'imponente cerimonia servì mirabilmente a diffondere l'appello del pellegrinaggio italiano a Lujan, per implorare le benedizioni della Vergine sulla patria diletta.

Ella sa, che, da qualche anno, i cattolici italiani residenti nell'Argentina, si fanno un dovere di pellegrinare al massimo Santuario di quest'ospitale Repubblica, quasi per ritemprarsi nelle stesse dolci emozioni provate un tempo pellegrinando ai maggiori Santuari d'Italia.

E il pellegrinaggio italiano a Lujàn, dell'11 novembre 1917, superò di gran lunga tutti i precedenti: poichè ben diciottomila furono quelli che vi presero parte.

Che spettacolo! A darle un'idea della grandiosità della cerimonia, preferisco trascrivere ancora dal resoconto (sebbene poco ispirato a quegli schietti sensi religiosi ond'è grande il popolo d'Italia) che ne pubblicava il 12 novembre la citata Patria degli Italiani. Scelgo il passo che descrive la cerimonia solenne al Santuario.

Alle dieci abbiamo la messa pontificale ufficiata da Monsignor Nunzio Apostolico di Sua Santità. Si presenta in abito paonazzo e la vestizione per la messa solenne ha luogo alla presenza dei fedeli col rituale stabilito.

L'immensa chiesa è zeppa.... A brevi intervalli arrivano nuove schiere di pellegrini provenienti da la Plata, Quilmes, Avellaneda ed altri punti del sud. Tutte entrano cantando e con le rispettive bandiere.

Monsignor Vassallo di Torregrossa prende parte alla processione, che si effettua attorno alla piazza a suon di banda e cantando l'inno alla Vergine:

Mira il tuo popolo, bella Signora, che pien di giubilo oggi ti onora.

Anch'io festevole ricorro a Te, o Santa Vergine, prega per me.

Quando la processione sta per rientrare in chiesa, la banda intona l'Inno Argentino, che viene applaudito, e subito dopo la Marcia Reale Italiana, accolta con delirante ovazione e con grida di «Viva l'Italia ! ».

Il momento è davvero impressionante. Monsignor Torregrossa resta solenne, impassibile, conservando una correttezza eminentemente diplomatica.

Siamo al numero del programma, che mi sembra debba essere il più interessante, la predica in italiano. Lo aspettavo con ansia, perche quella marcia reale e quegli applausi spontanei, entusiasti, mi facevano prevedere qualche cosa di. simpatico, un discorso veemente di quelli che sollevano, trasportano gli uditori e fanno più che tutti i trattati e gli scritti che possano buttar giù filosofi e pensatori.

Monsignor Torregrossa prese posto alla destra dell'altar maggiore, sotto il baldacchino destinato ai pastori della chiesa; dall'altra parte sedette il Capitolo della Basilica.

Riuscii a mettermi proprio di fronte al pulpito, a pochi passi dall'oratore. Ero attorniato da una selva di donne di ogni età, coperte di medaglie ed abitini...

Il sacerdote che prese la parola in italiano incominciò in una forma che mi fece pensare: - Se seguita così, quest'uomo finisce per strappare una selva di applausi entusiastici, come li ha ottenuti la marcia reale!

« Siamo venuti - disse - un'altra volta ai piedi di Maria Santissima, la consolatrice degli afflitti, l'usbergo nostro, ai piedi di Colei, che abbiamo appreso ad invocare quando eravamo ancor fanciulli nella nostra bella Italia, quando le buone madri nostre ci insegnavano a balbettare il nome della Augusta Madre di Dio.

» E siamo venuti quest'anno più numerosi che mai, perchè anche per la Patria nostra è suonata l'ora della prova, l'ora del dolore, dello schianto; perchè quando le lagrime scendono dal nostro ciglio, istintivamente sentiamo la necessità di nascondere il viso nel seno della Madre dolcissima di Misericordia, la quale comprende lo strazio nostro, perchè tutto Ella sofferse in grado sommo, nè v'ha dolore umano che non abbia trapassato il suo cuore ! Noi Cattolici, noi figli di Maria, ci raccogliamo sotto il suo manto, perchè in questi momenti di ansia e di tristezza, noi che amiamo la Patria nostra, invochiamo dalla Vergine forza e possanza, per respingere gl'invasori dalle terre italiche ».

I singhiozzi cominciano a farsi sentire, specialmente fra le donne che si soffiano il naso nervosamente e si passano le dita sulle palpebre come se volessero schiacciare quella prova di sentimento e cancellarne le tracce...

E l'oratore prosegue con riflessioni, forti, sacre, convincenti.

Fu davvero una cerimonia imponente, che lasciò in tutti i più dolci ricordi.

Lungo il percorso, in tutti i carrozzoni si recitò il Santo Rosario e si innalzarono altre preghiere per l'Italia, e si fece pure una colletta per le famiglie delle vittime della guerra, specie per gli orfani.

Cotesta spontaneità di sentimento patrio, indissolubilmente unito a tutte le pratiche religiose, continuò per tutto l'anno a tener alto il morale della Colonia, che fu mirabile nel corrispondere a tutte gli appelli ricevuti a vantaggio delle famiglie dei richiamati e delle più provvidenziali iniziative, sorte per i nuovi bisogni creati dal prolungarsi della guerra nella dolce Patria lontana.

Per la "Vittoria " italiana.

Passò così, un anno intero di lavoro, di preoccupazioni e di speranze: e finalmente giunse l'annunzio della vittoria. Potevamo non festeggiare il lieto annunzio, se avevamo pianto e pregato, nell'ora tremenda, ai piedi degli altari? Convinti di compiere un sacro dovere, lanciammo senza indugio a migliaia di copie, e in grossi manifesti, affissi su tutte le vie della città, il seguente proclama:

Italiani!

La nostra fede ha trionfato.

Anche nelle ore più gravi, sempre credemmo che Dio - da noi sinceramente invocato e pregato - avrebbe dato alle nostre armi la vittoria tanto meritata, ed all'Italia, colla vittoria, il diritto di giungere a quei confini che Egli - con segni ineludibili - tracciò alla nostra stirpe.

Un'era nuova si dischiude alla Grande Italia„ che si stende, ormai per sempre, sovrana attraverso a tre mari per collegare colla sua civiltà, coi suoi commerci, l'Europa Centrale - redenta ai popoli finora giacenti nelle inerte barbarie musulmana.

Dal Brennero, da Trento, da Trieste, per le venete coste della Dalmazia, per Lissa, per Vallona, per Rodi, per Tripoli, la voce solenne di Roma - cristiana ed, italiana - echeggerà un'altra volta evocatrice delle glorie e della civiltà che Venezia e Genova per lunghi secoli diffusero e difesero in tutto l'Oriente.

E la nuova grandezza che la Vittoria assicura al nostro nome anche nel mondo che il genio cristiano del nostro Cristoforo Colombo scoprì e diede a Cristo ed alla Vergine Santissima, agevoleranno, nella gara di tutti i popoli, al nostro la conquista di quel prestigio che ci spetta e che molteplici circostanze avverse fino ad ora ci contesero.

Italiani!

Or fa un anno - il 4 novembre 1917 - nell'ora del maggior lutto, perche inmeritato, le sacre mura della Chiesa degli Italiani chiamavano e vedevano per impulso dei figli del grande piemontese Sac. Giovanni Bosco, prone in fervida preghiera a Maria Ausiliatrice, le nostre Autorità ed il nostro popolo.

A quell'atto di fede risponda quest'anno altro non meno grandioso.

E dopo aver reso grazie a Dio ed alla Vergine SS.ma per aver ascoltata la nostra invocazione e per aver dato alle nostre salde armi la vittoria, chiediamo Loro che ancora e sempre assistano la nostra Patria, nel suo eroico Re e in tutto il suo Popolo, nella nuova impresa che la Provvidenza ci assegna, sotto tutti i soli, di essere i nobilissimi araldi della millenaria civiltà che da Roma - cristiana ed italiana - emana.

Italiani!

Nobilitiamo e consacriamo il nostro grande giubilo trasfondendolo nell'inno di ringraziamento che sarà cantato la Domenica 10 corrente, alle ore 10,30 nella chiesa Italiana « Mater Misericordiae », di via Moreno 1669.

Ai piedi di quel Crocifisso, al quale attinse il cattolico Foch l'ispirazione vittoriosa, domandiamo anche un'altra volta la pace eterna dei martiri ai nostri fratelli che col loro sangue fecondarono l'albero della nostra gloria.

Il Rettore della Chiesa Italiana: « Mater Misericordiae » Moreno 1669.

Immagini Lei, signor Direttore, che conosce a fondo la fede sincera e l'anima schietta del popolo italiano, a quale imponenza assunse l'annunziata cerimonia. Scriveva il Giornale d'Italia di Buenos Aires, dell'11 novembre:

Fu un inno alla grandezza d'Italia cantato da migliaia e migliaia di cuori, tra il tripudio dei vivaci colori nazionali e delle bandiere alleate svolazzanti al sole sul pinnacolo del tempio, attorno alla cancellata d'ingresso, da ogni parte.

La chiesa prima delle 10 già era piena, e dovette più volte essere sgombrata, sopratutto nella parte riservata al corpo diplomatico ed alle rappresentanze...

Alle 10,30 la Banda del Collegio Salesiano « Leone XIII », dopo le note dell'Inno Argentino intonava la Marcia Reale: arrivava S. E. il Comm. Vittore Cobianchi, R. Ministro d'Italia, insieme al Comm. Carlo Nagar R. Console Generale, al geni. Costantino e al personale della Legazione.

Gli evviva all'Italia e al Re coprivano le note della musica. Attendevano al ricevimento dei diplomatici l'ispettore generale dei Salesiani, sac. Giuseppe Vespignani, e il Consiglio Direttivo della Società Cattolica Popolare Italiana.

Subito dopo arrivarono i signori Ministri delle Potenze alleate, essendo ognuno salutato al suo ingresso nel tempio col rispettivo inno nazionale, seguito da fragorosi battimani ed evviva. Presero posto alla destra del Ministro d'Italia i Ministri di Portogallo, Francia, Giappone e Brasile, nonchè il Console Generale e il generale Costantino. Dietro a loro le signore di alcuni Ministri e il personale delle rispettive Legazioni. Intervennero pure le rappresentanze del Comitato Italiano di Guerra, della Croce Rossa, e di molte società italiane ed alleate.

Celebrò la santa messa il cappellano sac. Michele Tonelli, salesiano, direttore del Segretariato per gli Emigranti dell'« Italica Gens ».

Correttissima l'esecuzione della musica del Capocci, Guilmant e Franch, eseguita da egregi professori.

Terminata la messa, il Sacerdote celebrante con poche, vibranti ed alate parole strappò un lungo, entusiastico applauso di evviva all'Italia.

Mons. Francesco Vagni, Uditore della Nunziatura, si rivestiva intanto all'altare per il canto solenne del Te Deum. La musica era del maestro Zaninetti e dirigeva il nutrito coro di ottimi cantori il sac. F. Zaninetti, salesiano.

Dopo il Te Deum Monsignor Vagni con i signori Ministri, preceduti dalle bandiere argentina e italiana uscirono di chiesa, salutati all'uscita dalla Banda

La colonna seguì fin nel cortile del Collegio Don Bosco, dove si sciolse al suono della Marcia Reale.

25.000 italiani in pellegrinaggio a Lujàn.

All'indomani - 11 novembre - si ripetè il grande pellegrinaggio annuale a Lujàn.

Si temeva che il caldo e gli urgenti lavori agricoli avrebbero diminuito sensibilmente il numero dei concorrenti, specie dai paesi circonvicini; invece, sebbene si abbiano dovuto sospendere alcuni treni provenienti dalla campagna, la città diede un contingente di pellegrini forse doppio degli anni scorsi, tanto che, cosa davvero stupefacente, nel pomeriggio del sabato, non si trovava più in nessuna parrocchia un sol biglietto disponibile.

E veramente l'appello lanciato dalla Commissione in nome dei due grandi ideali - Dio e Patria - sempre vivi, sempre profondi nel cuore dei nostri connazionali, specialmente nelle attuali circostanze, non poteva, non doveva trovare minor corrispondenza.

Noli intendo ripetere ora, a più di sei mesi di distanza, la cronaca della memoranda giornata: ne hanno parlato ampiamente i giornali cittadini, in modo speciale « El Pueblo » tra i cattolici e « La Nación » tra i liberali: a tutti il nostro grazie riconoscente. Mi limito a dire che ben 25.000, dico venticinquemila, furono gli italiani che andarono a Lujàn a svolgere un programma religioso ed altamente patriottico!

La pioggia torrenziale che Dio ci mandò in quel giorno ed il numero assolutamente eccedente ogni previsione della Commissione Direttiva e della Impresa Ferroviaria creò degli inconvenienti che non si poterono evitare, tra cui il principale fu questo che non tutti quelli, che avrebbero voluto unirsi alle numerose comitive, poterono farlo.

Durante il viaggio si fece una colletta a beneficio degli orfani di guerra, che diede un totale di 1755,90 pesos.

Pel bilancio morale, un dato solo che lo compendia eloquentemente: più di 4000 si calcolarono le S. Comunioni che si distribuivano ancora alle 2 pomeridiane, mentre moltissimi altri, dovettero forzatamente rinunziare al pio desiderio, non avendo potuto scendere dai treni fermatisi in Lujàn, causa la pioggia.

I grandi quotidiani pubblicarono i telegrammi inviati dalla Commissione al Sommo Pontefice e alle altre dignità ecclesìastiche locali e le relative risposte: io mi limito a trascrivere il telegramma inviato a S. E. il Ministro di Italia in Buenos Aires:

« Sua Eccellenza Cobianchi, Ministro d'Italia. 25.000 italiani, oggi pellegrinanti Santuario Lujàn, vibranti amore Dio Patria, elevano voti perchè la concordia che ci diede vittoria si avveri e perpetui fra poteri spirituale e civile a maggior grandezza d'Italia ».

S. E. il Ministro rispose alla Commissione:

« Riconoscente nobili espressioni, patriottici sentimenti, ringrazio di gran cuore ».

L'ho voluto riprodurre perchè in esso è il nostro voto, vivo e ardente, per la Patria in quest'alba di pace feconda, poichè, come italiani, noi vogliamo una Italia più grande per il bene di lei; e come cattolici, vogliamo un'Italia più grande per la gloria di Dio. Chi esamina la storia, vede subito che l'Italia, come, nei tempi antichi rappresentò e diffuse la civiltà romana, oggi ha il mandato di rappresentare e diffondere nel mondo la civiltà cristiana: e questa è la missione che noi vogliamo che compia.

A questo e a null'altro - oltrechè al bene spirituale e materiale dei singoli connazionali - lo diciamo altamente, tendono le povere fatiche dei Salesiani che lavorano nell'assistenza degli Emigrati nella Repubblica Argentina.

Mi creda, con fraterno affetto, di Lei, rev.mo sig. Direttore,

dev.mo in G. C.

Sac. MICHELE ToNELLI, Salesiano.

LETTERE DEI MISSIONARI

RIO NEGRO (Brasile).

Escursioni apostoliche sugli affluenti del Rio negro.

(Relazione di Mons. Lorenzo Giordano, Prefetto Apostolico) (1).

Lungo il Rio Cayarì. Le tribù che lo abitano e i loro linguaggi. -

Un'avvertenza. - In viaggio.

Lungo il Rio CAYARI e i suoi affluenti vi son sette tribù, sparse e frammischiate, così distribuite: dalla foce del Rio CAYARI al TIQUIE si trovano i Dessanos, i Tucanos e i Piratapuyos: - dal TiQUIÉ al PAPORI', i Piratapuyos, i Tucanos e gli Arapassos: - lungo il PAPORI' i Tarianos, i Piratapuyos e i Tucanos: - dal PAPORI al KERARI', i Tarianos e Uabanos con pochi Cubeos.

Il Rio ISSANA ha la sola tribù dei Baninas. Nel XIÉ esistono anche famiglie di Bares I Macús vivono nelle foreste, facendo appena delle comparse sulle rive dei fiumi.

Ogni tribù parla il suo dialetto. Questi linguaggi sono così distinti da non lasciar quasi apparire nessuna somiglianza fra loro, nè per la radicale, nè per la desinenza. Prendendo ad esempio la parola figlio, in Nhengatù si dice « tahíra » - in Tucano, « magkè » - in Arapasso, « kinimí » - in Dessano, « notàní » - in Pyratapujo, « Kíjída » - in Tariano, « nirí » - in Banina, « bustúiu » - in Cubeo, « uesthque » - in Barè « idòri ».

Siccome i Tucanos sono i più numerosi nel Cayarí e negli affluenti, il loro dialetto la vince sugli altri ed è il più universalmente conosciuto in quella regione vastissima. I Tuchàna poi (cioè i capi) e molti dell'aristocrazia indigena capiscono e parlano più o meno il Nhengatù e, un poco, anche il portoghese.

Un'avvertenza. Per restringere quanto mi è possibile la mia narrazione, metterò sovente fra parentesi la data e il nome della tribù visitata e non accennerò se non rare volte alla S. Messa, che, fedele al mio programma, celebrava ogni mattina dove passavamo la notte, dirigendo sempre qualche parola ai pochi od ai molti che vi assistevano.

A questo proposito nel risalire Cayarí avvertiva o faceva avvertire tutti, affinchè si preparassero a presentare i bambini da battezzare al nostro ritorno, possibilmente in centri determinati.

Partiti il 18 settembre 1917 da Bella-Vista col sig. Emanuele Antonio di Albuquerque, passammo per Assahi-parana-miri (malocca di Pyratapuyos) e fummo a dormire in Tupanaruca, in casa di estrattori di gomma elastica.

Il dì seguente (19) partimmo per Umbauba, Tatapunha, Cururú, fermandoci la notte in Japurd-igarapé (Tucanos). L'indomani (20) attraversammo le foci del Tanà e del Uaimí, andando a pernottare in un luogo denominato Tucandira in faccia -all'imboccatura, del Tiquié.

Nel regno degli indii. - Loro ospite e commensale. - I pasti. - Difficoltà superate.

Fino a questo punto s'incontra ancora qualche indizio di civilizzazione, rare casupole sullo stile di quelle dei civilizzati: al di là è il regno dell'indio puro sangue, con le sue malocche e con i costumi primitivi.

Inoltrandomi in tali paesi mi vidi nell'obbligo di farmi ospite arrendevole e amico con tutti, adattandomi al loro tenore di vita, per quanto me lo concedeva il mio carattere sacro.

Cominciai decisamente a dormire nelle malocche, facendomi una cella improvvisata con lenzuola e vestiti, possibilmente in un angolo appartato, dormendo nella mia rete. Con tutto ciò più volte dovetti passar la notte in canoa o nell'aperta campagna.

Malgrado però ogni buon mio volere, parevami impossibile di potermi adattare al loro genere e metodo di alimentazione. Il genere lo conosceva fin dalla mia prima escursione al Tiquié; il metodo venni a conoscerlo praticamente ora. Eccolo in quattro parole.

Le donne depongono in mezzo alla malocca, per terra, alcuni recipienti di terra cotta di colore oscuro, ricolmi di kinha-pira (pimenta bollita con pesce e sale) collocando a lato il curadà (polenta fatta con farina di mandioca) abbastanza consistente, che non tagliano a fette, ma stracciano a pezzi. All'intorno dei recipienti accorrono a dieci, a quindici, e a venti e più, gli uomini. Siccome manca ogni servizio di tavola, cioè posate, bicchieri, salviette, sedie, e manca la tavola stessa, tutti si seggono spigliatamente sulle calcagna, e, senza tanti complimenti, ognuno straccia il suo gran pezzo di curadà (e se gli aggrada, torna a stracciarne un secondo e un terzo pezzo, e a bocconi lo intinge nel kinhà-Pira. Avviato il desinare, ecco giungere poco dopo un gran recipiente, di zucca secca o di legno, capace di due, tre e fino ad otto litri di manicuera o caribé o di altre bevande, or fresche, or tiepide, or calde. Questo bicchierone di nuovo genere passa di mano in mano, o meglio di bocca in bocca, e tutti ne assorbono larghi sorsi.

Quando, girando verso destra, il recipiente arriva al punto di partenza, riprende immediatamente il giro verso sinistra. Trovandosi vuoto è tosto riempito, e, immediatamente ricomincia il viaggio ininterrotto di andata e ritorno.

Il kinha-pira ed il curadà servono di antipasto, minestra, pietanza e frutta in tutte le refezioni, in tutti i giorni, per tutto l'anno, in tutte le malocche, fra tutte le tribù.

Non si fanno inviti. Non vi è il posto d'onore. Non si perde tempo. È un assalto ad arma bianca (coi denti) che dura dai dieci ai dodici minuti.

Soddisfatto l'appetito, ognuno si raddrizza e si ritira per cedere il posto a una seconda turma di uomini e di donne.

Conoscendo per esperienza il bruciore che produce al palato, alla lingua ed alla gola il kinha-pira, io mi sentiva poco disposto a un tal genere di alimentazione. Al veder poi quelle dita, di gente nuda, entrare e uscire da quei recipienti, e quel curadà venir così stracciato da tante mani, e a quel bicchierone accostarsi tutte quelle labbra... sentiva tale ripugnanza da mettere in forse la possibilità di adattarmi a siffatto metodo. Ma pensando al programma di S. Francesco di Sales, adottato dal nostro Ven. Don Bosco «farsi tutto a tutti per la salvezza delle anime », e insieme (perchè non dir tutta la verità?) spinto un poco dalla fame, volli provare a farmi anche commensale degli indii... E con un po' di mortificazione vi riuscii, e poco alla volta mi ci abituai così bene, da sentirne, alla fine delle escursioni, un certo distacco. Però l'addio al kinha-pira e al curadà non doveva durar molto tempo: mi ritrovai ancora e mi troverò sovente tra i miei buoni amici indigeni, e sarò sempre felice di farmi loro commensale. Purchè possa guadagnarli a Dio!

Con questa convivenza fra loro, nei viaggi, nelle malocche e nei campi, a poco a poco potei entrare nelle segrete cose delle loro usanze, principalmente in quelle riguardanti la gioventù che più mi sta a cuore.

Costumi degli indii. = Il battesimo dei figliuoli. - La vita dei giovanetti. = Loro uscita di minorità. = La festa del Cariamà. = Precauzioni sapienti. = Come si fanno gli sponsali.

Nessuno ricusa di far battezzare i propri figliuoli. Qualcuno dimanda solo di ritardarne il tempo, per assenza dei padrini.

Fino al giorno del Battesimo il fanciullo è detto sera-hima (innominato, senza nome). Dopo che è stato battezzato vien chiamato col nome proprio.

Fino ai 10 anni i ragazzi son mantenuti dai genitori, poi cominciano a procacciarsi il vitto con la caccia e la pesca, che mettono in comune.

Giunti alla pubertà, verso i 14 o i 15 anni, vengon sottoposti alla prova d'una luna, cioè di un mese. Formano un gruppo di ragazzi della stessa tribù di diverse malocche, con almeno un figlio di un Tuchana, e li internano nelle foreste a far esercizi di caccia e di pesca ed addestrarsi in tessere reti, ceste, stuoie, e simili lavori manuali.

Passato il tempo della luna, ognuno è sottomesso alla prova dell'« adabi » (delle vergate). Se le soffre con coraggio, non lasciando sfuggir alcun gemito, è giudicato degno del nome di uomo e da quell'istante partecipa dei privilegi virili, e può vedere e maneggiare le trombe del Juruparí, che alle donne è sempre proibito di vedere, sotto pena di morte.

Per dare tutta la solennità alla cerimonia dell'investitura dei diritti virili ai giovani, s'indice la festa del « Cariamà ». Essa è annunziata con l'enorme tamburo, detto trocano, che è un gran tronco d'albero, vuoto, battuto con un pesante martello di legno, foderato di pelli. Solo il Tuchana d'ogni circoscrizione può maneggiarlo per chiamare i guerrieri alle armi, o in caso di specialissima solennità. La festa del Cariamà è una di queste.

Il rimbombo del trocano percorre dunque i fiumi ed echeggia nelle rimote foreste, invitando i vicini e i lontani alla festa.

Davanti ad un bel nucleo di convenuti da tutte le malocche della stessa tribù, diventano solenni le vergate applicate sulle spalle dei giovani iniziandi: solenne l'atto di far loro assorbire una speciale bevanda preparata col succo delle carni di vari animali: solennissime le danze notturne e diurne, con rinfreschi inebrianti del caxirí e del capi.

A tutela e a svolgimento della robustezza fisica è rigorosamente proibita ogni immoralità.

Allo scopo di non degenerare la razza con eventuali unioni coniugali fra parenti, son proibiti anche i matrimoni fra persone della stessa tribù.

Il figlio del Tuchana, che pretende la mano di una ragazza di un'altra tribù, ne fa la domanda ai parenti di quella. Se gli è negata, il Tuchana, con altri dei suoi, prende d'assalto la malocca della sposa prescelta e porta via la fanciulla a viva forza, lasciando qualche, donativo ai parenti. Non è dunque raro, nel Cayarí, il rinnovarsi del ratto delle Sabine dei primordi di Roma!

La ragazza è però trattata con tutto il rispetto, e le si concede una settimana di tempo per decidere: o rimanere, accettando; o ritornare alla sua malocca, fuggendo. Rimanendo, dà prova del suo volontario consentimento al proposto matrimonio, e allora, fra le danze diurne e notturne, e copiose libazioni del caxiri e del capí, si celebrano le feste nuziali.

I contraenti vengono collocati nel mezzo della malocca e vengon loro appiccicate, mediante il latte delle bananiere, tante penne svariatissime d'uccelli, da coprirli in tutta la persona.

Tre cascate degne di nota. = Visita a una malocca. = Un buon giorno per il cacciatore. L'incontro di un meraviglioso „ Sucurujú ".

Il 21, imbarcatici di buon mattino, passammo per Suassú-igarapé (PirataPuyos), andando a pernottare a Ipanoré (Tarianos). Son degne di nota le tre cascate di Ipanoré, del Pinú-pinú e d'Urubuquara. Quantunque non siano delle peggiori, presentano dei grandi pericoli per la violenza delle correnti, che formano vortici e voragini, fra macigni sporgenti e nascosti sott'acqua.

Le attraversammo il 22, e fummo obbligati a discendere nei passaggi più pericolosi, e a farci portare il carico per un buon tratto di strada, nel valicare una collina.

Il viaggio fu felice, malgrado una pioggia dirotta e prolungata che ci sorprese fra la seconda e la terza cascata, la quale non c'impedì però di fare la nostra allegra colazione, sotto il parapioggia, con pesce fritto e farina più bagnata del solito.

Mentre si trasportava la canoa a forza di braccia, su per la roccia della terza cascata, io visitai la vicina malocca dei Tarianos, che avevano ancora sul viso i segni di pittura per un

Dabucuri che avevano fatto, e li invitai a recarsi il giorno dopo ad Urubuquara per far battezzare tre bambini. Me lo promisero e furon di parola.

Dal piazzale della malocca mi additarono Urubuquara, che appariva nel lontano orizzonte. Vi giungemmo alle 13, essendo ricevuti dai pochi Indii (Tarianos-mirití) che vi erano rimasti, essendo molti di loro discesi al Basso Rio Negro per i lavori dell'estrazione della gomma elastica.

Qui vidi lo scheletro di una malocca di 6o metri di lunghezza per 25 di larghezza, distrutta da un incendio. Le famiglie si erano separate, innalzando piccole malocche.

Questo luogo meriterà di essere scelto come uno dei centri di missione nell'Alto Cayarí, per la bella posizione e per le buone disposizioni degli abitanti ad abbracciare la vita civile e cristiana.

Il 23 fu giorno avventurato pel nostro cacciatore. Poco dopo d'aver lasciato Urubuquara, scoprì, quasi a fior d'acqua, un jacaretinga (piccolo coccodrillo) che, ferito mortalmente, tagliato a pezzi e cotto, ci servi di piatto saporito per la colazione. E questo non fu che il preludio della caccia.

Coricati su cespugli lungo la riva, a poche centìnaia di metri l'uno dall'altro, incontrammo tre «Sucurujú », ancor piccoli, di pochi metri di lunghezza, che dormivano il loro sonno tranquillo, o facevano il chilo dopo di aver trangugiato qualche buon boccone. Il nostro valente cacciatore ferì il primo anfibio, che, poveretto, contorcendosi, si lasciò cadere e scomparve nella profondità delle acque. Più felìce fu il colpo diretto alla testa del secondo: il suo corpo galleggiante, a mia richiesta, fu pescato e lasciato a poppa per esser conservato. Un terzo ebbe una fucilata che gli squarciò il ventre e lo lasciò tra la vita e la morte.

Durante il viaggio fummo serviti talvolta di eccellente carnagione di araras e tocani (uccelli), papagalli, e persino d'uno scimmiotto, ecc.

Arrivati verso sera a Busina-rapecuma (Tarianos), vi passammo la notte.

Il 24 fummo a Roca-pinima ed a Jauaraté-raPecuma (Arapassos).

Circa le 16 io stava sulla tolda scribacchiando, a punta di lapis, un principio di Catechismo Portoghese-Nhengatú al suono unisono in cadenza di dieci remi, quando mi sento chiamare: « Pahi, yurí, yurí (Padre, venga, venga) ». Esco, ed ecco al mio sguardo uno spettacolo mai visto in vita mia. Un Sucurujù di 12 a 13 metri di lunghezza, discosto da noi poco meno di 40 metri, discendeva in mezzo al fiume, alto il capo, ondeggiando il corpo sulle acque leggermente increspate dalla brezza vespertina.

Orrida maestà nel fiero aspetto

Terror accresce e più superbo il rende:

avrebbe detto il buon Tasso. A nessuno venne il ticchio di affrontare quel mostro. Ferito, poteva assalirci e far terribile vendetta. Anche solo col sommergersi d'un tratto, poteva aprire un vortice e formare tali onde da mettere in pericolo la nostra imbarcazione.

L'enorme anfibio non parve prendersi pensiero della nostra vicinanza, nè deviò menomamente dal retto cammino: e noi, silenziosi, lo seguimmo collo sguardo, finchè non ci si tolse dalla vista.

Il Sucurujú: come caccia - come prepara i bocconi - come li digerisce. - Nel Rio Negro il Sucurujú è frequente. - Arrivo a Jauaraté.

Il Sucurujú non è un serpente velenoso, ma non per questo è meno temuto per la sua lunghezza enorme e per la forza de' suoi anelli, le armi potenti che sa ben maneggiare. Assalito per terra da qualche animale feroce, si procura tosto un punto di appoggio avvinghiandosi a un tronco d'albero con la coda, si mette sulle difese formando una spirale, e lancia colpi sull'avversario cercando d'addentarlo.

Il Sucurujú è un esperto cacciatore.

Sulle sponde dei fiumi, con la coda attortigliata alle radici di qualche grosso albero, egli sta in agguato, aspettando buoi, cervi, tigri, cinghiali e altri animali, che scendono al fiume per abbeverarsi. Quando arriva la preda, l'adocchia, calcola la distanza, e di scatto l'assalta inanellandola con le sue spire. Il mal capitato animale cerca di svincolarsi e fuggire, ma il gran serpente, con l'astuzia propria della sua razza, concede al prigioniero un'apparente libertà, lasciandolo allontanare quanto glielo permettono la lunghezza e l'elasticità del corpo, poi, contraendosi repentinamente, lo trascina di nuovo presso di sè. Con questa manovra di allungamento e di contrazione stanca la vittima finchè cade esausta ed immobile. Allora egli se le attortiglia attorno e ne stritola le ossa, formandone una massa compatta che copre con la sua bava. Preparato così l'enorme boccone, il mostro comincia ad assorbirlo. La sua bocca, relativamente piccola, si dilata, essendo il cranio un prolungamento della spina dorsale ed avendo la mandicola slegata dal cranio in modo da poterla aprire indefinitivamente. In questo modo la bocca offre il passaggio a un corpo di molto superiore alla grandezza della stessa testa. E il boccone, com'è trangugiato, s'inoltra sempre per assorbimento fino ad arrivare alle viscere, dove comincia la putrefazione delle carni assorbite. Allora, per completare la lenta digestione, l'animale deve passare otto, dieci e fin anche quindici giorni in profondo letargo, divenendo innocuo e prestandosi ad essere facilmente ucciso.

Questi anfibii enormi vivono dove più profonde sono le acque dei fiumi e dei laghi. Dicesi che i maggiori escono rare volte dagli abissi, e che si fanno servire dai minori in determinati tempi di caccia.

Nel Rio Negro non è raro trovare un Sucurujù attortigliato a un albero, ovvero col corpo mezzo galleggiante e mezzo sepolto nelle acque: e pur disponendo delle migliori armi da fuoco, a nessuno basta l'animo d'assalirlo, non sapendo se egli è in istato di letargo o di semplice riposo.

Nella sua stessa immobilità questo serpente gigante ispira terrore. Che non sarà quando in piena vitalità e sibilando in segno di guerra, mette in movimento l'enorme ma elastico volume di un corpaccio di oltre un metro di circonferenza per trenta e quaranta metri e più (al dire di persone degne di fede...) di lunghezza? Meraviglie di Dio Creatore !

Sull'imbrunire arrivammo a Juquara-rapecuma (Tucanos). Il giorno appresso (25) passammo ad Amana-rapecuma, Jacitara, Popunha rupità (Pyratapuyos). Dì lontano udimmo il rombo d'una cascata del Jauaraté, che andò aumentando a misura che ci avvicinavamo, finchè le giungemmo ai piedi.

Sbarcando in Jauaraté, fummo accolti dal Tuchana Gioanni e da un bel numero di ragazzi e uomini e donne delle tre malocche che formano il nucleo principale, e di altre poco lontane al di là del fiume. Consegnammo nelle loro mani il Sucurujù, pregandoli a sventrarlo, conservandone intiera la pelle che avremmo ripresa al nostro ritorno. Essi però, ghiotti delle carni, non la perdonarono alla testa, rispettando solo la pelle del resto del corpo di quasi quattro metri di lunghezza, che noi abbiam deposto nel nostro incipiente Museo della Missione a S. Gabriele.

Jauaraté in tempi remoti fu un grande aldeamento di Indii, che si videro obbligati a disperdersi per fuggire la persecuzione dei Carina, ossia dei Bianchi civilizzati. La sua posizione topografica e geografica è una delle migliori. Siede sul declivio d'una collinetta in terreni adatti ad ogni coltivazione, alla destra del Cayarí (che di lì in avanti prende il nome di Uaupés) presso la foce del Paporí, sui confini del Brasile colla Colombia.

(Continua).

MOnS. LORENZO GIORDANO

Prefetto Apostolico del Rio Negro (Brasile).

CINA. I Missionari Salesiani del Cuatung sul campo del lavoro.

(Note del Missionario Dottor D. Sante Garelli). II (1).

Lo studio del cinese - Un cuoco improvvisato - Un impeto di rabbia e perdono cristiano - Tra i cristiani di Ciún-Fúen - Il Padre « non capisce »!

La sera del terzo giorno fummo a Lok-Cion, dove ci aveva preceduti D. Olive, per riceverci alla residenza di Pe-Scion: una discreta residenza in aperta campagna, lungi da ogni disturbo, e atta quanto mai allo studio della lingua. Il medico del villaggio, cinese, manco a dirlo, e per di più buon cristiano, ci divenne maestro. E che studio! Fatto da noi italiani, con maestro cinese, interprete francese, vocabolario inglese: a dir vero, era qualche cosa di meraviglioso!

Ben presto però la Missione del Leon-San reclamò la partenza di D. Olive. Così restammo senza interprete, e, per giunta, senza cuoco, perchè era proprio il suo servo che ci faceva cucina, e quello che avevamo con noi il giorno dopo si ammalò.

Eravamo negli imbrogli: ma trovammo allora un cuoco inaspettato. Uno dei nipoti del nostro maestro, un bel ragazzo sui sedici anni, sveglio, intelligente e buono, lascia in disparte studi e libri, mette in un canto i profumi e gli eleganti vestiti di seta, indossa il grembiule della mamma, e diventa per i Padri, cuoco, sguattero, cameriere e maggiordomo.

E poichè parlo di lui, un piccolo episodio per voi, o giovani, che siete sempre i miei vecchi amici.

Un dopo pranzo, il signorino divenuto cuoco, Iosà, stava scopando l'atrio di casa: uno degli altri ragazzi cristiani, Filippà, con un grosso strumento di lavoro, veniva tagliuzzando un pezzo di legno, e naturalmente sporcava. Iosà gli fece dapprima qualche osservazione, e poichè Filippà sembrava non dargli ascolto, usò qualche tratto un po' energico per farlo desistere. Ma Filippà, piccoletto e ben tarchiato, era di natura selvaggia come il suo bufalo, il più forte, il più rissoso di tutti i bufali della contrada. All'urto si accende, si volge rabbioso, e non badando che ha un grosso ferro tagliente nelle mani, assale Iosà, che non si aspetta una simile risposta. Alle alte grida interrompiamo la scuola di cinese e corriamo spaventati. Iosà è ferito alla bocca, alla fronte e alle mani: ma chi grida come un disperato è Filippà, che ha un occhio insanguinato, ed un pugno fortemente serrato e pure intriso tutto di sangue. Trascino via Josà, lo lavo tutto con sublimato, e constato che non ha nulla di grave; ma tutto tremante egli alza la mano al cielo, e: - Padre, mi dice, Iddio mi ha protetto: se Filippà mi colpiva bene, io era morto.

Poi corro dall'altro, che grida ancora come un pazzo, atterrito dal sangue: tutti gli sono attorno, ma a nessuno riesce di calmarlo. Mi avvicino, e pian piano gli sussurro all'orecchio : «Filippà, ami Gesù?» Rimase sorpreso alla domanda: ed io ripeto: « Filippà, ami o non ami Gesù?» Pur tra le grida ed i singhiozzi mi risponde: «Sì, padre, amo Gesù».« Se ami Gesù, non pianger più».

E quella natura selvaggia si sente colpita, a forza si frena, si calma, non manda più un gemito, mi mostra gli occhi ed apre quindi lentamente la mano. Lo lavo, lo pulisco, e constato con piacere che non c'è nulla di grave.

La mattina seguente vedo innanzi alla Chiesa una scenetta d'affetto: due ragazzi: uno ha un bambino in braccio e l'altro accarezza il piccino. È Josà, che accarezza il piccolo fratellino di Filippà, che ha portato in Chiesa a pregare Gesù, e tutti e tre sorridono in un affetto comune. Aveva vinto l'amore.

Non è vero, cari giovani, che la Religione di Cristo rende i figli della Cina degni vostri fratelli? Pregate per loro, e se Dio nel segreto del cuore vi chiama a salvarli, accettate e venite.

Intanto si avvicinava il Natale. D. Olive ritornando alla sua Missione, era passato per Kon-Kési nel distretto di Jin-fà e aveva lasciate sperare a quei buoni Cristiani d'avere un Padre per la festa di Natale se fossero andati a prenderlo a Pè-Scion. Ciò bastò. Venerdì 18 dicembre, giunsero due cristiani, di Kon-Kéi, a prendere un Missionario, per celebrare, confessare e comunicare nella notte di Natale. Ci guardammo in faccia. Chi si sente di andare? Non sono ancor due mesi che siamo in Cina. Non è temerità di avventurarci soli, senza interprete, per incominciare la vita di ministero? Eppure rimandare quei due cristiani senza nessuno non si poteva. Il più anziano dovette rassegnarsi e mettersi in cammino quel giorno stesso.

Passai la notte a Ton-Shion, presso Père Lévéque, l'ultimo dei Missionari Francesi, che gentilmente attende che siamo in grado di ricevere la consegna della Missione.

Il giorno appresso mi rimisi in viaggio. Dopo un'ora di cammino per la pianura, attraversammo un'ampia catena di montagne, incontrando spesso spesso gruppi di portatori, carichi di carbon fossile, di cui è ricca quella regione.

Con due ore di cammino, per un sentiero tutto selciato giungemmo nuovamente alla pianura, interamente coltivata a risaie.

Alle cinque di sera eravamo alla prima residenza del Jin-là, quella di Ciun-Fuén. Tre stanze: la prima per la Cappella, povera, sprovvista di qualsiasi arredo sacro, finchè qualche anima pia d'Europa vorrà mandarci il necessario e assicurare all'anima sua un'eterna preghiera; la seconda divisa in due piani da un solaio, su cui deve dormire il Missionario esposto a tutti i venti, forma tutto l'alloggio della Missione; la terra è la scuola, che ha 2o alunni, di cui però due soli sono cristiani; ma ben presto ve ne saranno di più, perchè è cristiano il maestro.

Non tardarono i pochi fedeli del piccolo villaggio a venirmi a salutare. Il giorno dopo, domenica, avrebbero potuto non solo ascoltare la messa, ma anticipando la festa di Natale, accostarsi ai Sacramenti, poiche il Padre aveva portato l'occorrente. Tutto questo dicevano tra di loro, ed io mi rallegrava in cuor mio delle buone disposizioni di quella piccola cristianità di 64 battezzati.

Ma era impossibile che il diavolo non ci mettesse la coda. Non ero certo troppo esperto nella lingua e per quanto mi destreggiassi, dovetti restare indeciso davanti a qualche domanda; e lì mi aspettava il diavolo per tentare di mandare in fumo ogni più bella speranza.

- « Um ton! » disse ad un tratto uno di loro tutto sconcertato. « Um ton! » « non capisce ». Fu un piccolo scoppio di fulmine. Vidi subito il cambiamento dei loro volti, e dall'insieme intravvidi il senso delle loro parole: « il Padre non capisce e allora come possiamo confessarci? »

Ma questa volta il Padre aveva capito quanto bastava per rompere le corna al nemico di ogni bene.

« Se i Cristiani parlano adagio e chiaro », dissi subito rivolto a chi aveva detto che non capivo, allora il Padre capisce: e quando poi non capisce, il Padre interroga, e basta che i Cristiani rispondano si o no ».

La prontezza salvò la posizione; prima gli uomini, poi le donne, tutti si confessarono. Quando alla Messa sentivo quei buoni Cristiani a pregare in un ben compatto coro di voci virili e femminili, e quando li vedevo poi accostarsi con esemplare divozione alla Mensa Eucaristica, non potevo fare a meno di sentirmi commosso. Eppure essi vedono così di rado il Missionario, e così di rado possono ricevere una parola d'istruzione e di incoraggiaomento!

Quanti giovani, studiando che de' quattrocento milioni di Cinesi solo un milione e mezzo sono cristiani, si domandano meravigliati: Come mai? Nessuna meraviglia, carissimi amici. Mancano i Missionari. Quei 64 battezzati sono il frutto di poche evangelizzazioni, fatte solo di passaggio dai nostri predecessori zelanti. Venite, o giovani, e la Cina avrà presto la vostra fede, e voi avrete la gloria di averla resa cristiana.

Logica cinese - Tra i cristiani di « Ton=Ton » -A « Kon-Kéi » - Cordiale ricevimento - L'allegria dei ragazzi - La preghiera della sera - I fiori per l'altare - « Gesù Bambino » - Presso una morente: la fede del figlio.

Dopo la Messa si prese un po' di cibo: quindi ci rimettemmo in viaggio. Uno stretto sentiero in mezzo alle acque: acqua delle risaie, acqua che quel giorno ci regalava il cielo per attutire gli ardori apostolici. Per buona sorte aveva portato l'impermeabile, che mi fece un ottimo servizio. Marciammo due ore un po' faticosamente, rallentati di quando in quando da piccole carovane di portatori. Allora, su quei stretti sentieri, bisognava giuocare d'equilibrio, sia per non urtare contro le pesanti ceste, sospese alle due estremità di una lunga asta, recata a spalla dal portatore cinese, sia per non cadere nell'acqua melmosa della risaia.

Potei in quella circostanza ammirare tutta la logica cinese. Noi ci ripariamo dalla pioggia, coprendoci ben bene da capo a piedi. A che prò? pensa il cinese. Il vestito si bagna e, cessata la pioggia, voi avete indosso ancora tutto il bagnato dei vostri vestiti. Dunque? Dunque via scarpe, via calze; i larghi calzoni arrotolati su fino al cavallo, lasciando la gamba interamente nuda: il largo cappello di paglia dalla falda di un 40 cm. di raggio penserà a riparare la parte superiore del corpo, così si sfida la pioggia dal popolano cinese.

Il saluto rispettoso e cordiale di due giovani che nella mia barba avevano riconosciuto il Sen-fu (Padre spirituale) mi fece intendere che era ormai prossimo alla seconda cristianità, quella di TonTon. Vi fummo infatti dopo mezz'ora.

La residenza di Ton-Ton è un po' migliore di quella di Ciún-Fùen. Mi fermai meno di un'ora: il tempo necessario perchè i miei due cristiani si rifocillassero, e potessi anch'io prendere qualche cosa, più per accontentare gli offerenti, che per bisogno che ne avessi. Promisi che sarei tornato in settimana, e che la domenica seguente avrei celebrato la Messa tra di loro.

Ripresi tosto la via, che era ancor lunga, e per di più resa difficile dalla pioggia crescente. Altre cinque ore di marcia, attraversando non saprei dire quante belle vallette, divise da colline di piccola altezza e di dolce discesa. Di tratto in tratto la via attraversa piccoli rifugi, che all'aspetto sembrano entrate di castelli medioevali, sotto il cui arco passi il sentiero: lì ci ristoravamo con tè caldo, sempre pronto a pochissimo prezzo nei giorni freddi e piovosi.

Alle cinque di sera fummo finalmente a Kon-kéi. I due Sieh-San e il notabile della piccola Cristianità mi ricevettero come si raccoglie una persona lungamente desiderata. Ma il primo complimento fu l'attenzione migliore che possa augurarsi chi ha fatto sette ore di marcia sotto la pioggia: cioè un largo bacino di acqua calda per lavarsi i piedi. Mi valse più di qualunque complimento e di qualsiasi bibita spiritosa: ritornai così fresco di forze che avrei potuto continuare altrettanta via.

Dopo le cure, i saluti: un dopo l'altro vennero presto tutti i cristiani e tutti mi chiedevano notizie di « Lui Sen-Fu », D. Versiglia, che si era già preso la cura di quella cristianità. Si quietarono alla promessa che sarebbe tornato tra di loro, appena gli fosse stato possibile.

Intanto la piccola sala risuonava tutta dal vocio dei ragazzi, una dozzina, dai 10 ai 14 anni, vispi, allegri, coll'ingenuità stampata sul volto: una vera nidiata di passerotti. Quel che ci voleva per mettere un po' di brio: festa senza gioventù è pranzo senza vino.

Ero ancora seduto a mensa, e li vidi entrare ehiassosi a chiedermi qualche cosa, che, a dir vero, non capii: compresi solo che mi domandavano se era permesso. Ma che cosa... se non intendevo? Non ci fu però bisogno di rispondere si o no: avevano chiesto permesso e per loro bastava. Stavo ancor pensando che cosa volessero, quando mi sentii improvvisamente stordire le orecchie da un fracasso dell'altro mondo, che voleva essere una musica nell'intenzione dei suonatori. Due larghi piatti di metallo, due dischi di ferro di diverso timbro, un tamburro fatto con una grossa canna di bambù, e qualche altro strumento trovato lì per lì dall'ingegnosità di fanciulli vivacissimi, e il concerto fu improvvisato. Dapprima stordì ben bene il Missionario, poi girò il piccolo villaggetto cristiano, e fu l'avviso di richiamo alla preghiera della sera, alla quale assisteva anche il Sen-fu.

Vi andai di fatti, ma commisi l'imprudenza di recarmi in Chiesa senza pastrano. Non mi aspettava l'improvvisata di una chiesetta avente appena le quattro mura e l'altare, senza pavimento, e quel che è peggio, senza alcun riparo alle quattordici lunghe finestre. L'aria fredda e umida girava da tutte le parti, e il sudore che aveva ancora in dosso, me lo sentiva ghiacciarsi tutto alle spalle e ai fianchi. Durò più di mezz'ora la preghiera: mezz'ora di dolcezze spirituali, perche divisi come erano i Cristiani, in due cori, uomini e donne, sentiva nella maschia energia degli uni e nella soave delicatezza delle altre, la fortezza della fede e la tenerezza della pietà di quel fervente centro cristiano: ma anche mezz'ora di brividi di freddo.

Il missionario però è come il soldato; i disagi lo rafforzano invece di recargli nocumento; non riportai neppure il più piccolo raffreddore. E forse la causa sta nella sovraeccitazione dello spirito, destatomi da uno di quei marmocchi, al quale, nella preghiera comune, sono riservate le Litanie della Madonna. Seguendo, con ingenua spontaneità, la natura della propria lingua, la sua voce argentina prendeva ad ogni breve invocazione tante nuove dolsissime inflessioni, da sembrare il gorgheggio di un usignuolo... Gustavo allora la schietta poesia della natura, nel fedele sprigionio vocale di un sentimento religioso teneramente vissuto.

Il giorno appresso pensai per prima cosa ad adornare l'altare.

Quando chiesi a quei ragazzi se c'erano fiori freschi, me li vidi in un istante sparire. Dove erano andati? Lo compresi quando li vidi giungere, carichi ciascuno di un mezzo alberello fiorito, che gli pesava sulle spalle. « Padre, scegli! »Sorrisi di compiacenza, e da tutti presi il meglio per farli tutti contenti. Per buona sorte trovai i resti di un Gesù Bambino di gesso, di cui rimaneva intatta solo la testa. Bastò. Questa volta Gesù si compiacque di lasciarsi ricorpire di fiori, per mostrare ai suoi redenti il solo suo volto sorridente.

L'anno venturo speriamo che qualche anima devota di Gesù Bambino ci mandi dall'Italia una sua migliore effigie, e allora questi Cristiani potranno meglio ricordare la grotta di Betlemme.

Aveva appena finito di adornare l'altare, quando venne un cristiano a pregarmi di andare ad amministrare l'Estrema Unzione alla sua vecchia mamma, gravemente inferma. Andai subito.

Un misero tugurio, dove le tenebre erano appena rotte da pochi raggi, discendenti giù da un solo finestrino senza vetri. La vecchia inferma giaceva su un lettuccio cinese: tre duri assi ricoperti da una semplice stuoia di foglie di bambù. Volle sedersi, confessarsi, e ricevere l'olio santo.

Ammirai la fede di quella cristiana, ma più ancora mi commosse la pietà filiale di quell'uomo, che non solo aiutava la madre in tutti i movimenti, ma parola per parola la guidava in tutte le preghiere, con tale unzione di sentimento, da confondere me, povero sacerdote. Qua non c'è ricchezza, non c'è neppure quello che tanta gente giudica necessario alla vita: ma che giova? e che nuoce? c'è quello che vale più di tutto, l'amore vero santificato dalla fede. Oh! quante mancane d'Europa piangerebbero lagrime dolcissime di consolazione, se potessero prevedere di essere così assistite in punto di morte dai propri figliuoli!

(Continua)   Sac. SANTE GARELLI Missionario Salesiano.

Vi raccomando la cristiana educazione della gioventú, le vocazioni allo stato ecclesiastico e le missioni estere.

IL CULTO DI MARIA AUSILIATRICE

Rammentiamo la raccomandazione fatta dal rev.mo sig. Don Albera nella Lettera del 1° gennaio, riportata nelle prime pagine del Bollettino di quest'anno, di continuare pubbliche e private preghiere a Maria SS. Ausiliatrice:

« È mio desiderio che si continui, privatamente e pubblicamente, a supplicare questa nostra dolcissima Madre secondo l'intenzione del Papa come s'è fatto ogni giorno durante la guerra, e insieme che il 24 del mese o la domenica seguente, tutta la gioventù che frequenta i Collegi, gli Ospizi, gli Educandati e gli Oratori di Don Bosco, sia invitata e debitamente disposta ad una Comunione generale per il buon esito della Conferenza per la pace. Affido ai Salesiani, alle Figlie di Maria Ausiliatrice e anche a voi, o zelanti Cooperatori, il fissare quelle norme che si riterranno localmente più opportune per rendere imponenti le proposte funzioni eucaristiche ».

GRAZIE E FAVORI (*)

A Te il mio grazie !

Ricordo sempre i tristi giorni del Carso, quando mio fratello e un suo compagno, ambedue giovani forti e generosi, combattevano lassù, dove non meno vicina era la morte che la gloria. I loro pericoli nel maggio del '17 trovarono eco dolorosa nell'attesa angosciosa dei nostri cuori; ma ci attendevi Tu, o Maria, nella Tua Valdocco, nel centro della Tua gloria... e il Tuo Santuario fu la nostra oasi che confortò i nostri cuori smarriti e il faro luminoso che orientò le nostre menti sconvolte!

Là, nella vigilia della Tua Festa, l'anima mia davanti al tuo altare sentì, come in chiara visione, che lassù nelle stesse ore si svolgeva una lotta furiosa, a corpo a corpo, da cui furon salve le due vite ma sarebbero state travolte nella furia dell'azione gloriosa, ma cruenta.

Più tardi mio fratello ebbe a lottare con una tremenda malattia contratta in trincea, e la Tua bontà si fece di nuovo manifesta col ridonarglì piena salute.

Riavuti dalle ansie del maggio e del luglio, quand'egli tornò presso la Bainsizza, giunse l'ottobre del 1917 che ogni cuore ricorda con schianto. La bufera, scatenatasi fulminea, travolse nei suoi gorghi non solo il fratello ma altri soldati a me cari: e io pregai, pregai... ed ebbi la soddisfazione di sapere che i loro petti cooperarono con energia a frenare la furia nemica...

Le tristi giornate tornarono ancora, e il 19 novembre, nell'azione del Fagaré di Piave, mio fratello e un suo compagno di collegio erano accerchiati dai nemici e disarmati e fatti prigionieri tre volte nel giro di poche ore, nelle stesse ore che io, o Maria, pregava per loro, cresciuti all'ombra del Tuo tempio, e Tu desti loro forza e aiuto nella fuga, rendendo vano ogni tentativo di vendetta nemica, adducendoli incolumi alla linea del dovere, disarmati, sfiniti, laceri, ma felici e sorridenti alla Tua dolce figura, cui anch'essi avevan chiesto soccorso.

Venne il 3o novembre, per me indimenticabile, quando il fratello, avvistato dal nemico mentre con i suoi uomini attendeva a fare dei reticolati, fu fatto segno a un fuoco micidiale. Quattro proiettili caddero sulla casa dove si rifugiarono, abbattendola e seppellendo sotto le macerie quei miseri. Ed anche questa volta, tornata la calma, dalle macerie dove si credeva fosse scesa a regnare la morte, balzarono fuori, serene ed illese, le vite a me care.

Non posso ricordare tutto quello che vorrei, nè tutti i fatti, o Maria, dove la Tua potente bontà si fece manifesta. Basti il dire che i dodici soldatini che costantemente e fiduciosamente raccomandai durante quasi quattro anni, furon tutti salvi e un solo leggermente ferito a un braccio. Sì, questi prodi soldati e bravi ufficiali di tutte le armi e su tutti i fronti, dal Carso insanguinato al Trentino forte, dai Campi di Francia alla foce del Piave leggendario, dalla bella sognatrice delle lagune alla cara ed invocata Trento, tutti tutti, muniti della tua medaglia, il fratello, i cugini e gli amici carissimi,

ebbero il Tuo appoggio, la Tua protezione, la Tua difesa

Per questo tornando ai tuoi piedi, o grande Ausiliatrice, io non posso frenare il mio grazie riconoscente e voglio gridare a tutti la tua bontà, perchè il mio grido si ripercuota in tutti i cuori e vi dèsti, gigante e incrollabile, la fiducia in Te, dolce e cara protettrice!

Torino, 24 maggio 1919.

MARGHERITA GRASSA.

TORINO. - 24 - VI - 1919. -- Sian rese le più vive grazie alla Potente Ausiliatrice, che mi ha ridonata la salute. Mi ammalai nel luglio del 1917. I sanitari sul principio mi ritennero affetta da infezione intestinale, e per tale mi curarono, ma senza risultato; che anzi, dopo parecchi mesi di cura, mi vidi in condizioni peggiori di prima. Vi fu persino un tempo in cui dovetti lottare terribilmente tra la vita e la morte.

Solamente la fede viva nell'aiuto potente di Maria Ausiliatrice mi fece superare la dolorosa crisi, e la malattia si risolse lentamente.

Senonchè, trascorsi alcuni mesi di convalescenza, al sopraggiungere della stagione calda del 1918, la febbre mi assalì nuovamente; e medicine, visite, e consulti dei più celebri medici della città, a nulla valsero, ed io mi era rassegnata ai voleri di Dio, quando tornai a ricorrere a Maria, Ausiliatrice, fiduciosa nel suo potente aiuto.

Col cuore pieno di gratitudine ora posso dire che anche questa volta non ricorsi a Lei invano, e che, più dei sapienti professori, valsero le preghiere che con me rivolsero a Maria SS. Ausiliatrice tutti i componenti la mia famiglia. Dal giorno in cui s'incominciò una novena e io indossai la medaglia dell'Ausiliatrice, presi subito a migliorare e finalmente ora mi trovo in grado di riprendere le mie occupazioni tanto in famiglia quanto nell'esercizio della mia umile professione.

In attestato di sincera gratitudine verso Maria Ausiliatrice, invio colla presente una tenue offerta per la celebrazione d'una S. Messa al suo Altare.

CAMILLA SEGLIE RAVETTI.

VENEZIA. - 25 - v - 1919. - Mi ammalai il giorno 2o aprile, festa di Pasqua. Chiamato il Dottore, mi dichiarò affetto da bronco-polmonite doppia. Nei giorni seguenti andai sempre peggiorando: il giovedì il medico mi trovò peggiorata e disse che non avrei potuto sopravvivere fino alla sera: perciò mi fu portato il Santo Viatico e amministrato l'Olio Santo. Seguitai per tutta la mattinata in quello stato. Nel pomeriggio i parenti mi posero una medaglia di Maria Ausiliatrice sotto il capezzale e mi raccomandarono più fervorosamente a questa buona Madre. Un'ora dopo giungeva il medico. Sorpreso nel trovarmi ancora in vita, fu ancor più sorpreso e meravigliato nel ravvisare in me un notevole miglioramento. Dopo due giorni io entrava in convalescenza, ed ora sono guarita. Viva Maria Ausiliatrice!

CAROLINA GHEZZO.

BORGO VALSUGANA (Trento) - 14 - V - 1919.

Ritornata dopo quasi tre anni di angosciosa aspettativa al paese natìo, alla casa che ogni più rosea illusione non poteva che rappresentarmi abbattuta dalla furia della guerra, il mio primo pensiero è di gratitudine alla Vergine Ausiliatrice. Già nel maggio 1915 nell'abbandono improvviso e tumultuoso di ogni cosa e persona più cara, Maria Ausiliatrice aveva raddoppiata in me la fiducia nel potente aiuto, e nel lungo periodo di incertezze ci volle proteggere più validamente di quello che potessi aspettare dalla mia poca fede. Oggi tutta la famiglia, riunita attorno al suo capo, ringrazia pubblicamente d'averlo conservato sano e salvo ne' quattro lunghi anni di guerra, di averlo ridonato ai figli che tante volte ne avevano temuta la perdita e quasi disperata l'incolumità.

Inviando l'offerta promessa, prego la Vergine Ausiliatrice che voglia mantenere ed accrescere nella nostra famiglia la fiducia nella sua materna protezione e in noi tutti aumentare quell'ardore nella preghiera che ci ha impetrate tante grazie.

SIMONI MARIA in DIVINA.

VERONA. - 15 - VI - 1919. - Sento il bisogno di rendere pubbliche grazie a Maria SS. Ausiliatrice che per intercessione del Venerabile Don Bosco ha ascoltate le preghiere d'un povero peccatore.

Aveva il figlio gravemente infermo per ricaduta, sicchè il pericolo eccitò la viva fede, pregai, feci celebrare una Santa Messa all'altare della Madonna di Don Bosco nell'Istituto Salesiano della città, ed ottenni la grazia sospirata.

Evviva dunque, ora e sempre, la Madonna di Don Bosco.

SALVATORE PONCHIERO.

TORINO. - 24-VI-1918. - In questi giorni l'immagine benedetta di Maria Ausiliatrice ha operato miracoli. Un soldato moriva all'ospedale, bestemmiatore, irriverente, perverso. Una mia amica, consigliata da devota persona, mise sotto il cuscino del morente l'immagine di Maria Ausiliatrice. L'indomani mattina il soldato disse di voler confessarsi e comunicarsi. La Madonna ora compie il miracolo avviandolo a guarigione e il soldato promette di festeggiare il primo giorno di guarigione con una pia comunione.

Impressionata da questo fatto, pregai la suora che assisteva una carissima persona, a volerle mettere sotto' il capezzale una medaglia di Maria Ausiliatrice stata sul corpo di Don Bosco. Dopo 4o anni che non si era confessata, questa ricevette i sacramenti con infinita devozione e conforto.

Sia gloria a Maria Ausiliatrice.

S. M. S.

VIGEVANO. - 7-vII-1918. - Il due maggio u. s. fui improvvisamente chiamata al letto di mia madre che, colpita da grave malore, doveva inevitabilmente sottoporsi a difficile operazione chirurgica.

Indescrivibile fu la mia angoscia quando seppi che, mentre si giudicava necessaria l'operazione per salvare la vita alla mia cara mamma, si temeva assai dell'esito dell'operazione stessa, data l'età e le condizioni fisiche della paziente.

Oppressa da questo angosciante timore, mi rivolsi fiducioso all'intercessione della potente Ausiliatrice, invitando l'unica mia sorella e la cara inferma a fare con me, una novena alla Vergine Santa, promettendo di rendere pubblica la grazia, se avesse condotta a felice esito, l'operazione. Oh! bontà di Maria! durante la novena venne meravigliosamente eseguita l'operazione ed in venti giorni mia madre fu completamente ristabilita.

Grazie sieno rese a Te, o dolce e cara Ausiliatrice, per tanta tua visibile bontà verso questa tua figlia che ti promette eterna riconoscenza.

Sr. P. G. F. di M. A.

Ottennero pure grazie da Maria SS. Ausiliatrice e alcuni pieni di riconoscenza inviarono offerte per la celebrazione di Sante Messe di ringraziamento, per il nuovo Santuario dei Becchi, per le Missioni Salesiane o per altre opere di D. Bosco, i seguenti:

A) A. A. di Poirino, A. B. di Torino, A. G. A. di Rodallo, A. G. M. di Rodallo, A. M. di Asti, A. M. di Torino, Actis-Grosso D., Agosti B., Aidala C., Aimone V., Alberghini P., Albertengo I., Alessandri G., Alexandre D., Aliiney S., Amadori L., Amerio G., Amico C., Angelini R., Anichini -M., Annard R., Antonielli G., Armas A., Arona F. in Mendonco, Arrigoni S , Arsero B., Arti Q., Artisi G., Audano M., Aureli M., Avesani B.

E) B. C. di Chieri, B. G. di Locarno (C. T.), B. I. di Aless::ndria, B. M. di Castelnuovo d'Asti, Bacigalupo M., Bagatta C., Balestra R., Balestrero D., Bamaverain C., Barbero M., Barbero M., Barbero R., Barbieri T., Barrengo T. in Piretto,-Baresi L., Barile B., Bassetti G. G., Basti; nana F., Basso R., Becattini A., Beccherle E., Bechis M., Belgrano A., Bellono N., Berardo A., Bergamini I., Bertolino A. di Caluso, Bertolino A. di Foglizzo, Berva F., Bessone C., Bianchetti P. G., Bianconi .B., Binelli E., Blocchi U. Biscaldi A. e V., Bitetto T., Bocchio G., Boero P. in Garbatti, Bollo G., Bongiovanni G., Borelli D., Borrano ch. P., Borselli sorelle, Bortolotti M., Bottini E., Botto M., Bottussi.M., Broggini C., Brovia C., Bruno G., Bruseghin S., Brusghelli L.

C) C. C. di Sarmato, C. G. di Torino cooperatrice salesiana, Caberlon A.. Cali M., Caltabiano A. in Grassi, Canevali V., Canziani A., Careddu d. M., Casalegno F., Cattaneo M. di Genova, Cattaneo M. di Cavaglio d'Agogna, Ceschini A, Ceschini O., Ceschini R., Chabert E., Chiastellaro G., Chies T., Chinea S., Chistè T., Cicognolo M., Cimolin O., Civallero M., Civean A., Clerico C., Coatto M., Collegina suor V., Collarini S., Colletti G. in Scartatta, Collina R., Colombo E., Cont V., Corallini T., Corradini A. in Bartoli, Corrias B., Corselli A., Cortassa N., Cotronei A., Cuffolo d. V., Curti R. in Blandini.

D) D. M. di Cordovado, Daldossi P., Deandrea M., De Giorgis M. L., De Martin C. in Pinter, Demichelis prof. A., De Regibus M., De Simone A., Dezzani G., Di Benedetto A. in Petrosino, Di Buono A. in Jacoponelli, Di Prima in Pontello, Distefano ch. A. salesiano, Di Fede M. A., Direttrice Figlie Maria Ausiliatrice di Caltanisetta, Direttrice Orfanotrofio Immacolata di Biancavilla, Donalisio G., Donalisio M., Donati D., Donini E., Doyen M., Draghetti M., Dutto M.

F) F. F. P. A. di Ferrara, Fabris G., Famiglie Avalle, Berti, Casetta, Giovara, Lotti, Mina, Savoldelli, Teseo, Falchi N. farmacista, Fatalini G., Fatica G., Ferrari M., Ferraro S., Ferrè G., Feruglio L., Ferrero F., Figlia di Maria in S. Miniato di Toscana, Filippini A. M., Fiorito d. L. salesiano, Pormia G., Fortunati E., Fracchioni G., Franceschini L., Franco d. A., Franzolini G., Frattoni G., Frigerio O., Fresta M., Frissolo R., Frola M.

0) G. R. di Bergamo, G. S. di Legnano, Gabellini M., Gabetti S. in Secondino, Gaffuri L., Galati M., Galli P., Galliano A., Galliano S., Gallo M. in Filippetti, Gallo G.,

Galvano R. Gamberoni O., Gandolfo A., Gai bellini F., Garione S., Gasparolo C., Gavinelli F., Gennero M., Gerbi V., Ghiglione S., Giacobino coniugi, Giacometti T., Gillone M., Giordano M., Girardi A., Girola B., Giuglardo- M., Giustiniani marchesa E. vedova Picedi, Giussano C. Givogri C., Gontero L., Grassa M., Grassi G., Grattarola O., Graziano M., Greglio F., Guanella C., Guazzone D., Guerrini A., Guglielmotti C., Guidese R.

R) Hintermann A. in Camusso.

I) Ieans T., Imeroni G., Increta G., Induni G. in Pedrazzini, Invertini C., Isnardi M., Isola A., Isola S.

L) L. S. di Torino, Ladurini A., Lago A., Lamperti C., Lanteri B., Landoni suor A. O. Figlia di M. A. a S. Ambrogio Olona, Laurenti P., Lazzari C., Lecca A., Leggè D., Leggero M., Leone C., Leoni S., Levreri A , Licci A., Lidestri T., Longo B., Lovera G., Lusso G:, Luzzi M.

M) M. C. di M. G. di Torino, M. S. di ***, Maccario G., Macciò R., Madeddu V., Maffiodo C., Magnano M., Mairone C., Malvicino G., Manara M., Manzoni M. in Combi, Maquignaz G., Meravigna I. in Musumeci, Marazzi A. in Nenni, Marcello M. in Grimani, Marchet M., Marchisio G., Marchisio F., Marciano S., Mariani B., Marini d. P., Marzotto G., Maschio B., Massidda A., Massidda P., Mazzoleni d. F., Mazzoni V., Mazzucchi R., Meschini G., Metti T., Miglio F., Mignocco G., Minella L., Minetti B., Minguzzi S., Minussi M., Misere F., Mistè. AI., Mocci M., Modesti N., Mogliano M., Montalbetti G., Morandini P., Mottola C., Mussi C., Musso L., Musso L. maestra, Musa M.

N) Natta N., Nebbia d. S., Nicosia G., Ning G., Novelli B., Noberini F., Novallet d. A., Novarese G.

0) Occhiena C., Oddone A., Oddone F., Ori C., Orrù NI., Ortiz A., Ostan A.

P) P. A. di Torino, P. F. M. di Valguarnera, P. G. dì Foglizzo, P. G. L. di Torino, Paderi F. in De Lipari, Paderi N., Padre Ludovico Cappuccino, Palestro S., Palestro V., Pane G., Panelli B., Pantaleone R., Paoletto C., Parodi P., Pascut G., Pasini A., Pasino E., Passalacqua D., Panciera dott. d. D., Pauciera G., Pavese N., Pedrazzi A. in Benati, Pellizzoni A. in Finato, Persi T., Pessina T., Pession Can. Petris M., Pezzotti P., Picconi G., Piconi L., Pie persone di Alassio, Bagnacavallo, Bardonecchia, Bognanco Dentro, Bordighera, Borgomanero, Bricherasio, Cortina d'Ampezzo, Domo Lomellina, Gavirate, Giarole, Lu Monferrato, Milano, Multedo, Parma, Pedara, Quarto d'Asti, Quistello, Rivarolo Ligure, S. Benigno Canavese, Varazze; Pignatelli T, Piras M. in Melis, Pischedda M. I., Pischedda S., Poggi L. ved. Rettagliata, Pontiero S., Porcile V., Prade G.. Prato V., Preti A.

Q) Quaglia B., Quaglia E.

R) R. T. di Foglizzo, Ragazzo A., Raspini G., Rebuffo B., Renzi R., Revelli O., Reviglio C., Riccardi A., Riccardi F., Ricci T., Riggio M. A. in Provenzano, Rigotti M., Rimoldi P., Rissone G., Rizzolo d. G., Robatto M., Roberti G., Rocca G., Rocchetti A., Rocchia N., Eomero M. in Varino, Ronchini D., Rondano L., Rondoletti B., Rosa Suor M., Rosset A., Rossetto F., Rossi L., Rossi G., Rossotti G., Roveda M., Ruffier A.. Ruggeri G. ved. Sbarra.

S) S. C. di Locarno (C. T.), S. T. di Torino, S. V. di Torino, Sacchetto G., Sacerdote Pinerolese, Sacco C., Sala M., Saletta M., Sandrone A., Santini G., Sanna d. P., Santopadre E., Santuliana R., Sappa d. L., Saracco R., Sarasino A. ved Alloatti, Sarzi S. in Sartori, Sassudelli A., Saviotti A., Savoye P., Scardovi I.., Schiapparelli M., Sereno V., Sigifredo P., Signorelli E., SiSimondi M., Simoni M. in Divina, Solinas D., Sorelle Borda-Bossana, Spandri M., Speri A., Spinola C. in Sertorio, Spotorno M., Spreafico P., Stella M., Stropeni O., Suppo E.

T) T. R. di Brusnengo, Tamietto L., Tambutto D., Tartaglino L., Testa G., Testi P., Terzoli G. maestro, Toberti G., Tommasi R., Tononi G., Torchio N., Toso A., Trevisan F., Trinchieri C., Trincucci V., Tuminetti A., Turelli G. in Rossi.

V) Vacchio d. M., Vagni M., Valacchia T. ved. Ratti, Valentini M., Vallenzasca M., Vergnano R., Venturino N., Viviani A.

W) Wuillermoz A.

Z) Zaniboni R., Zanotti A.

RICONOSCENZA AL VEN. DON BOSCO

Nel parlar di Don Bosco, compiamo il dovere di protestare solennemente che non vogliam contravvenire in niun modo alle pontificie disposizioni In proposito, non intendendo dare ad alcun fatto un'autorità superiore a quella che merita una semplice testimonianza umana, nè di prevenire il giudizio della Chiesa, della quale - sull'esempio di Don Bosco - ci gloriamo d'essere ubbidientissimi figli.

La fede di un emigrato.

L'ultimo dei miei figli, di 5 mesi, cadde gravemente ammalato, riducendosi in pochi giorni in fin di vita.

Il medico disse che si trattava di una specie di avvelenamento, prodotto dal sistema di alimentazione che avevamo adottato per mancanza di latte materno. Aggiunse che il male era troppo inoltrato e che non v'era speranza di guarigione. Questo accadeva nella prima metà di ottobre ultimo.

Mi parve miglior pensiero, in questo caso, d'invitare subito il reverendo Don Gherra, direttore di questo Collegio Pio X, perchè impartisse al mio bambino la benedizione della SS. Vergine Ausiliatrice, e aspettai fiducioso il risultato.

Lo stato del malato andò di male in peggio: a nulla giovarono tutti i sistemi di cura e lo vidi divenire uno scheletro vivente, uno stecchetto, secondo l'espressione caratteristica del rev. Don Gherra, che a questo punto chiamai di nuovo perchè, nell'impartire nuovamente all'infermo la benedizione di Maria Ausiliatrice questa volta lo facesse coll'invocazione speciale dell'intercessione del Venerabile Giovanni Bosco. Il Dottore non solo mi aveva prevenuto che il bambino poteva morire da un momento all'altro, ma che egli non si spiegava come potesse tuttavia sostenersi in uno stato tale di consunzione, coll'aggravante della tenera età. Questo fu il 7 di febbraio passato. L'8 dello stesso mese incominciai una novena alla SS. Vergine Ausiliatrice a, intercessione espressa del Venerabile, ed il 17, ultimo giorno della novena, il mio figliuoletto era completamente transfigurato. Durante la novena incominciò a pigliare volentieri gli alimenti, le sue carni incominciarono a formarsi di nuovo sopra le sue ossa scarne e, in otto giorni, si può dire che ritornò da morte a vita, tanto che lo stesso dottore si dichiarò sorpreso di questo risultato, affermandolo un caso unico fra tanti bambini che aveva, curato dello stesso male e tanto più degno di meraviglia se si considera la tenera età: infatti quando entrò in istato di piena convalescenza, entrava appena nel decimo mese.

Siano date lodi a Dio, alla SS.ma Vergine Ausiliatrice e al suo Ven. servo Giovanni Bosco!

Oh! se questo Venerabile fosse più conosciuto, quanto bene ne ridonderebbe a quelli che soffrono, perchè Egli dal Cielo continua con più efficacia che in terra la sua protezione ai deboli, agli oppressi e a tutti i bisognosi in generale. Il caso successo a me è uno dei mille e mille che succedono. Voglia Iddio e la SS.ma Vergine, per loro maggior gloria, affrettare il giorno in cui il Ven. Don Bosco sia elevato all'onore degli altari. Quel giorno, quanti e quanti, fra le loro preghiere, spargeranno davanti alla sua santa effige lagrime ardenti di riconoscenza e di amore.

PIETRO N. DAVINI, Coop. Sales.

In fede, 24-V-1919,

Sac. G. BATTISTA GHERRA.

Una guarigione meravigliosa.

La sera del 23 agosto scorso anno, venne da me una signorina mia parente, la quale afflitta mi diceva, che la sua cognata Anna Orrico era pressochè moribonda, e che i dottori avevano manifestato la necessità immediata di una laparatomia, di cui non garantivano affatto l'esito. Confortai la mia parente, e le dissi: « Preghiamo. » Verso le 7 1/2 pom. dell'istesso giorno, senza alcuna prevenzione, presi tra le mani il Bollettino Salesiano, e, senza volerlo, vado a leggere le grazie ottenute per intercessione del Ven. Don Bosco, e leggo, che una signora doveva subire una difficile e pericolosissima operazione chirurgica ai visceri, e che n'era stata dal Venerabile prodigiosamente e senza operazione guarita. Mi venne il pensiero di raccomandare quella signora Anna Orrico al Venerabile, promettendogli un'offerta, se si fosse benignata la Divina Bontà, ad intercessione del Venerabile, salvare quella donna dalla operazione e dalla morte. Il giorno seguente, verso le 8 a. m., uscendo di casa per mie faccende, incontro casualmente la sorella di quella mia parente venuta il giorno innanzi a darmi la dispiacente notizia, e le dimando:

- Come sta la vostra cognata Anna?

Mi risponde: - Ier sera è migliorata in un momento, ed i dottori le hanno assicurata la vita, ed hanno detto non esser più necessaria l'operazione. - Seguito a domandarle: - Verso che ora è migliorata? - Mi si risponde: -

Verso le 7 1/2 di ieri sera. - Un brivido di consolazione mi corse in tutta la persona, e narrai a colei, con la quale parlavo, la mia promessa e preghiera al Venerabile, fatta in quell'ora stessa in cui era avvenuta la migliorìa, che ebbe il più felice successo, poichè la morente è perfettamente sana fin dal settembre 1918.

La famiglia, riconoscente, manda un'offerta per le Opere del Venerabile.

Napoli, 4 marzo 1919.

ANTONIO DE ANGELIS

Prete della Missione. Abbiate fede in Don Bosco!

Un grosso stabile con terreni, da noi posseduto, ci procurava delle noie infinite, e ci dava poco o nulla di reddito. Avendo stabilito di venderlo, ci accorgemmo che sarebbe stato difficilissimo, essendo esso conveniente soltanto per una persona ricca, che non avesse guardato all'interesse. Senonchè avendo letto in quel tempo la vita del Venerabile Don Bosco, ci venne l'ispirazione di sceglierlo per nostro mediatore, affinchè ci togliesse da quella situazione che oramai era impossibile a sopportarsi, e promettemmo per le Opere Salesiane l'uno per cento sulla somma ricavata dalla vendita e una grossa collana d'oro antico da mettere alla statua di Maria SS. Ausiliatrice che vien recata in processione.

Per undici mesi abbiamo fatto in comune la novena consigliata dal Venerabile Don Bosco. È vero che talvolta lo sconforto succedeva alla speranza, ma la fiducia ritornava subito, facendoci pregare con nuova lena. Finalmente, quando meno ce la aspettavamo, la grazia arrivò, piena ed intera. Ora più di un anno è passato, ma la grazia la troviamo ogni giorno più grande e segnalata, e non mancheremo mai di ringraziare la Vergine Ausiliatrice ed il Venerabile Don Bosco, che si degnarono aiutarci in modo così prodigioso.

Torino, 17 febbraio 1919.

Una Famiglia di Cooperatori.

Adempio il dovere di ringraziare il Ven. Don Bosco per tante grazie segnalatissime, e spirituali e temporali, ottenutemi nel corso di quattro anni con la sua potente intercessione. Per poter degnamente parlare dell'efficacia del ricorso a Lui, ci vorrebbero altre penne che non la mia. Ciò non pertanto, colla mia pochezza, voglio segnalare la protezione Sua, affinchè sia di conforto a quanti son tribolati e a Lui si rivolgono con fiducia.

Firenze, 15 febbraio 1919,

ANTONIO MARCUZZI.

Il mio nipote Giulio fu preso dalla febbre spagnuola con angina ed una tosse, che non lo lasciava un minuto e gli durava da parecchi giorni. Una sera mi venne l'idea di mettergli sotto il guanciale una reliquia di Don Bosco e la medaglia di Maria Ausiliatrice. La notte la passò bene e andò migliorando tanto che fu fuori pericolo; ed ora è sano e salvo.

Adempiendo la promessa fatta, mando una tenue offerta per le Opere di D. Bosco, pregando il Venerabile e la Vergine Santa a volermi continuare la loro protezione.

Incisa Belbo, 6-2-1919.

P. A.

Trovandomi in difficili circostanze, mi rivolsi con tutta fiducia al Ven. Don Bosco affinchè volesse intercedere in mio favore presso Gesù e Maria Ausiliatrice. Ben presto ebbi la gioia di sperimentare l'efficacia della sua potente intercessione, poichè prodigiosamente esaudì le mie suppliche. Sian rese grazie infinite a tanta bontà di sì amato Padre, che m'auguro e prego veder presto innalzato agli onori degli altari, e che voglia come ora proteggermi sempre.

Trofarello, 16-2-1919.

MADDALENA SASSO.

Una mia figlia, d'anni 13, nello scorso ottobre fu colpita da forte febbri, che per quattro settimane la tennero sempre al medesimo stato. Si credeva fossero febbri malariche, ma una lunga diagnosi ci disse che erano febbri gastrico-tifoidee: e la malata in breve fu ridotta in fin di vita. Quando il dottore disse che non c'era più nulla a sperare, le furono amministrati gli ultimi sacramenti, e diedi la triste notizia a mia figlia Suora. Invitati a ricorrere a Don Bosco e a mettere una reliquia del Venerabile presso l'ammalata, cominciammo la novena da Lui consigliata coll'aggiunta di un Pater in suo onore e prima che finisse la novena, la malata cominciò a migliorare, ed ora è perfettamente guarita e gode più salute di prima. Siano rese grazie al Ven. Don Bosco.

Mirabello Monf., 17 gennaio 1919.

FRANCESCA GIOANOLA.

Mi trovavo aungustiatissima per un colpo di avversa fortuna che rischiava di compromettere la tranquillità e l'avvenire economico della mia famiglia; che, per quante vie avessi cercato per sottrarmi alle sue dolorose conseguenze, niun lume di speranza appariva sul mio oscuro orizzonte. in tali condizioni mi venne di leggere la vita del Venerabile Don Bosco, che fu per l'anima mia un vero balsamo di consolazione, e tosto mi sentii animata da viva fiducia in Lui. Col pensiero sempre fisso in lui, la notte tra il 14 e 15 del corr. mese mi venne fatto di sognarlo presso il mio letto, e fu tanta l'impressione che n'ebbi che tosto mi destai e col viso bagnato di pianto ricordando che proprio in quel mattino cominciava la Novena di Maria SS. Ausiliatrice, piena di fede, diedi principio alla medesima, interponendo l'intercessione del Venerabile. Il quinto giorno la grazia mi fu improvvisamente e miracolosamente accordata. Grazie ne siano rese a Maria SS. Ausiliatrice ed all'amatissimo Padre, che dalla Patria della gioia non dimentica chi dolora e lotta nell'esilio.

A tenue omaggio di riconoscenza invio un'offerta per le Opere del Venerabile e per la celebrazione d'una Messa di ringraziamento.

Alessandria, 24 maggio 1919.

IDA BISIO.

TRA GLI ORFANI DI GUERRA.

Una visita alla Scuola pratica d' Agricoltura aperta dai Salesiani a Roma.

Ci scrivono:

Il Bollettino ha già accennato all'onore toccato ai nostri alunni della Scuola pratica di Agricoltura per i figli dei contadini morti in guerra, ma è bene che ne dia un più ampio ragguaglio.

Come a tutti è risaputo, l'Ospizio del S. Cuore allargava considerevolmente la sua opera benefica con la fondazione di una nuova sezione provvidenziale per coloro, che, privati dalla guerra del primo e naturale sostegno della famiglia, intendono avviarsi alla vita sana e fruttuosa dei campi.

Aperta sin dall'inizio dell'ostilità, per sopperire ai primi casi pietosi, ora si può ben dire ultimata, anche per quanto si riferisce alle varie costruzioni accessorie. Ultimo per tempo e primo per importanza è il magnifico corpo di fabbricato ad uso d'Istituto, in sostituzione dell'antico caseggiato rustico, che era stato alla meglio riattato per i primi bisogni. Fu opera dell'ing. cav. Lenti, e presenta un aspetto molto bello, unendo all'estetica delle linee semplici ed eleganti, tutti i vantaggi della praticità, della comodità e dell'igiene.

In esso hanno luogo semisotterranei spaziosi, pieni di luce e di aria, per uso di refettori, cucine e dispense; un bellissimo porticato sopraelevato, scuole, cappella, dormitori, terrazze, camere, saloni di studio e di ricreazione, ecc. Potrà comodamente contenere un centinaio di alunni, mentre finora non fu possibile varcare il numero di una trentina, qual'è appunto il primo nucleo dei giovanetti ricoverati.

La Scuola pratica che ha già avuto l'onore di visite di personaggi illustri, ebbe il 12 giugno quello singolarissimo di ospitare anche S. M. la Regina Madre. Fu una lieta improvvisata che l'Augusta Signora volle fare ai nostri giovanetti. I superiori, preavvisati poco tempo prima, hanno avuto appena il tempo per accorrere sul luogo insieme con tutti gli alunni dell'Ospizio.

Alle 17 precise S. M. faceva l'ingresso in automobile, dal portone principale. Era accompagnata dalla Dama di compagnia Principessa di S. Elia, e dal Gentiluomo di Corte, il Conte di Collegno. I cinquecento nostri alunni erano schierati nell'ampio porticato, con a capo la banda dei nostri artigianelli, che accolse la Sovrana al suono dell'inno reale, mentre i giovanetti, frementi di commozione e di entusiasmo, scoppiavano in un fragorosissimo e lungo applauso.

L'ampio tricolore, issato sulla torre del nuovo edifizio, garriva festosamente alla brezza portando in alto e da lungi i fremiti dell'entusiasmo di tutto quel piccolo mondo in festa.

Faceva ala, dall'automobile alla scalea d'accesso, il reparto dei giovani esploratori dell'Oratorio Festivo, in parata, agli ordini del loro ufficiale istruttore sig. Contreras. La Regina ne fu ammirata, e si trattenne subito in affabile colloquio con gli eleganti soldatini. Quindi S. M. veniva ricevuta in un ampio salone, dove stavano raccolti i ricoverati della Scuola pratica. Uno degli orfanelli, fattosi dinanzi, rivolgeva all'Augusta Visitatrice, con parola velata dall'emozione, un affettuoso indirizzo. Diceva tra l'altro

O nostra amata Regina, che diranno le mamme nostre lontane, quando sapranno che Voi vi siete trattenuta con i loro figliuoletti, che essi vi hanno baciato la mano, che hanno ricevuta la carezza ineffabile della vostra materna tenerezza ? Siate benedetta, o Regina, e ricevete dalle nostre labbra il nostro ringraziamento migliore, racchiuso nella promessa che noi saremo buoni, e degni discendenti dei nostri babbi, desiderosi di essere, in virtù ed in amore per la nostra Patria, quello che essi hanno provato di essere nel supremo sacrificio, con la visione nostra negli occhi sereni. Dite anche al nostro glorioso Sovrano, che noi l'amiamo e veneriamo coli tutto lo slancio del nostro cuore, e che per Lui, rappresentante della più alta autorità della Patria, siamo felici di poterci in questo momento chiamare « i figli dei caduti in guerra ».

« Maestà! Vi offriamo pochi fiori olezzanti, coltivati da noi: Vi dicano essi, nel loro profumo, tutto il nostro affetto, e reclinando le loro corolle fortunate, in un angolo sia pur modesto della Reggia, ricordino l'amore grande ed imperituro che la M. V. ha seminato quest'oggi nei nostri cuori riconoscenti ».

Gli astanti erano visibilmente commossi.

E si passò alla visita della Scuola pratica.

Le stalle, la porcilaia modello, il gallinaio, poi più giù, a piedi, fino agli estremi limiti della tenuta; quindi il nuovo fabbricato, dai piani inferiori alle più alte terrazze. Non vi fu angolo che S. M. non abbia voluto visitare; di tutto interessandosi con affabilità, sur tutto interrogando, avendo per guida l'ispettore D. Tomasetti, il direttore D. Rotolo, ed i principali superiori dell'Opera.

La visita si chiudeva solennemente nella Cappella, dove fu impartita la Benedizione col Santissimo, al canto di devota musica, eseguita all'harmonium dai nostri giovanetti cantori.

Ben due ore passarono così come un lampo: e S. M., soddisfatta per quanto aveva potuto vedere, ebbe più volte ad esprimere il suo compiacimento, formulando i più lieti pronostici per l'avvenire di un'Opera che è certo fra le provvidenze più pratiche e sapienti della Nazione, per i figliuoli dei nostri gloriosi caduti.

NOTE E CORRISPONDENZE

L'Em.mo Card. Cagliero.

L'Em.mo sig. Card. Giovanni Cagliero dalla mattina del 7 luglio u. s. è ospite venerato dell'Oratorio di S. Francesco di Sales. La paterna affabilità con la quale Sua Eminenza s'intrattiene con noi e con gli stessi giovanetti, la sua dolce conversazione sempre rivolta ai più cari ricordi dei tempi del Ven. Don Bosco, là pratica saggezza con cui ci è larga di preziosi ammonimenti, ci rendono più fervente la preghiera che innalziamo al Signore ogni giorno per la conservazione della sua preziosa e fiorente salute. Vogliano pregare a questo fine anche i lettori.

Nell'Onomastico del S. Padre.

NELL'ONOMASTICO DEL SANTO PADRE l'Em.mo

Card. Cagliero faceva giungere a Sua Santità l'omaggio degli auguri più devoti e delle più ferventi preghiere, anche a nome del sig. Don Albera, di tutti i Salesiani e degli alunni dell'Oratorio.

Il S. Padre rispondeva a Sua Eminenza con questo prezioso telegramma:

Cardinal Cagliero, Istituto Salesiano, Torino. - Santo Padre, vivamente compiaciutosi filiali felicitazioni e pie preghiere, ne ringrazia di cuore ed imparte con paterno affetto Eminenza Vostra, Superiore Generale, Salesiani tutti e numerosi loro alunni, Apostolica Benedizione, quale pegno celesti favori incremento benemerita Opera Venerabile Don Bosco. - CARD. GASPARRI.

bei Consiglio Superiore della Pia Società Salesiana.

Il nostro venerato Rettor Maggiore Don Albera, per non lasciar vacante più a lungo l'ufficio che aveva il compianto Don Bretto, facendo uso delle facoltà che gli concedono i nostri Statuti ha promosso all'ufficio di Economo Generale il rev.mo DOTT. DoN ARTURO CONELLI, che aveva la carica di Direttore Generale delle Scuole e degli Studi, e al posto che lascia D. Conelli ha nominato il rev.mo Dott. D. BARTOLOMEO FASCIE, Ispettore delle Case Salesiane della Liguria e della Toscana.

Con queste nomine il Consiglio Superiore della Pia Società è al completo così:

Don Paolo Albera, Rettor Maggiore - Don Filippo Rinaldi, Prefetto Generale-Don Giulio Barberis, Direttore Spirituale - Don Arturo Conelli, Economo Generale -- Don Bartolomeo

Fascie, Direttore degli Studi e delle Scuole - Don Pietro Ricaldone, Direttore delle Scuole Professionali e Colonie Agricole - Don Luigi Piscetta, Consigliere Generale - Don Calogero Gusmano, Segretario.

TRA I FIGLI DEL POPOLO

BUENOS AIRES. -UN PRANZO A 180 ORATORIANI. - Ci scrivono dal Collegio Salesiano di S. Caterina: - In occasione dell'anniversario patrio di questa Repubblica, alcuni buoni Cooperatori di questo quartiere, presieduti dal nostro Benefattore sig. Bartolomeo Ginocchio, vollero far passare un giorno allegro ai più poveri dei nostri Oratoriani.

» I cari giovanetti, alla mattina, ascoltarono secondo l'usato, la S. Messa e terminate le pratiche di pietà furono invitati per mezzodì... e vennero in numero di 18o... E a che fare ? A pranzare. Le mense erano state disposte nel teatrino, e che allegria, che cicaleccio, che appetito! Detta un'Ave Maria, cominciò il rumor dentium e non vi fu più il silentium. Che cordialità e contentezza innocente! Venne il sig. Ginocchio con i suoi compagni; salutarono i piccoli e poveri commensali, e se ne partirono contenti, promettendo ad essi un altro pranzo a breve scadenza.

» Questi cari figliuoli, uscendo dal teatro, che per loro si era convertito in refettorio, non rifinivano di ringraziare i benefattori e tutti i Superiori, spargendosi quindi in cortile per la più lieta ricreazione.

» A sera se ne andarono soddisfatti alle loro case e, trovando per caso il Direttore nel parlatorio, corsero a salutarlo e toccandogli cavallerescamente la mano, gli dicevano: Grazie! Padre; Grazie! A domenica e... presto un altro pranzo, buono come quello d'oggi. Addio, addio!...

» Un grazie di cuore ai bravi signori che con felice idea vollero onorare la Patria unendo l'utile dolci, toccando un tasto che dà sempre buon suono nel cuore dei poveri figli del popolo ».

ZURIGO. - TRA I FIGLI DEGLI ITALIANI. -

I nostri cari confratelli di Zurigo han voluto premiare con una splendida gita l'assiduità di 17o figli d'italiani all'istruzione religiosa. Leggiamo nella Patria di Berna, che è l'organo dell'Opera Bonomelli, nel numero del 13 luglio u. s., questa graziosa corrispondenza da Zurigo:

Favorita da un tempo splendido, la passeggiata dei ragazzi che frequentano questa Missione Cat-

tolica Italiana, non poteva riuscir meglio. Alle 12,15 i piccoli gitanti convennero puntualmente nel cortile della Missione, dove tutti ricevettero in regalo un bel pacco contenente arance, cioccolata, mandarini, fichi secchi, ecc. per rifocillarsi durante l'escursione. Recatisi in bell'ordine al vicino deposito dei tram, vetture espressamente noleggiate li trasportarono a Realp, di dove essi proseguirono a piedi fino alla grande foresta soprastante a Küsnacht. Ivi, seduti, all'ombra, sulla molle erbetta, i baldi escursionisti diedero fondo alle provviste del loro zaino già che più dimezzato cammin facendo ; e graditissima giunse loro l'abbondante finale distribuzione di ciliege, degno coronamento di quella gustosa merenda. Soddisfatto l'appetito, essi si diedero a cantare, come calandre, tutti i numeri del loro repertorio, dai classici inni patriottici fino alla nuova canzone soldatesca, che insegnarono loro i babbi reduci dalla guerra. E sempre cantando allegramente, sciamarono per il bosco in cerca di fragole e di fiori che trovarono in quantità. Con grandi mazzi di fiori silvestri tra le braccia, inghirlandati il capo di edera, tornarono festanti verso Tiefenbrunnen, dove li attendeva il tram speciale.

Lungo la magnifica strada costeggiante il lago fu un continuo alternarsi di canti e di chiassose esplosioni di gioia. I nostri birichini volevano manifestare al pubblico la loro contentezza; e quindi con espansione prettamente italiana, salutavano tutti i battelli, le vetture e le automobili, sventolando i fazzoletti, agitando in alto i mazzi di fiori e gridando: Evviva! Buon viaggio! Buona sera!

I Zurighesi, rincasanti gravi e silenziosi dalla passeggiata domenicale, guardavano con simpatia e sorridevano compostamente a quel gaio sciame di frugoli manifestanti la loro gioia con modi così rumorosi e inusitati in questi paesi. Il «diapason » del chiasso e dell'entusiasmo raggiunse il culmine quando il «tram direttissimo» svoltò in Feldstr. e scaricò i gitanti davanti alla porta della Missione.

Quei 17o folletti si precipitarono nel cortile urlando a squarciagola: «Viva il signor Direttore! » e lo coprirono di fiori, per dimostrargli la loro riconoscenza per la bellissima passeggiata. Il Direttore promise loro altre gite anche più attraenti, purchè si faccian sempre più buoni e più assidui al catechismo.

NOTIZIE VARIE

In Italia.

ROMA. - IL MESE E LA FESTA DEL S. CUORE DI GESÙ AL CASTRO PRETORIO. - Togliamo dall'Osservatore Romano: « Con grande affluenza di popolo si sono svolte le sacre funzioni pel mese e per la solennità del Sacro Cuore nella sua Chiesa in via Marsala...

» Ottimo l'oratore sacro, prof. D. Rosario Mammani, ascoltato seralmente da grande numero di fedeli. Imponente e consolante l'affluenza ai Santi Sacramenti durante l'intero mese e in modo particolare alla Messa della Comunione generale il venerdì 27 giugno, celebrata da E. E. il Cardinale Cagliero.

» Grandiosa e bene eseguita la musica dei Vesperi e della Messa Pontificata da E. S. Monsignor Palica, Vicegerente, musica eseguita dalla « Schola cantorum » dell'Ospizio del S. Cuore coadiuvata da una forte schiera dei migliori professori delle Cappelle romane sotto l'abile direzione del maestro salesiano D. Raffaele Antolisei, sedendo all'organo il prof. Gattari. Merita particolare menzione l'esecuzione, il giorno della festa, della grandiosa Messa solenne a quattro voci in onore di S. Cecilia, composta nel 1868 dal Cardinale Cagliero (allora maestro della «Schola cantorum » dell'Oratorio Salesiano di D. Bosco in Torino), ed ora conformata alle recenti prescrizioni sulla musica sacra del maestro D. Antolisei, il quale si è accinto al non facile lavoro con vero amore e devozione di figlio verso l'opera del padre. E vi è riuscito ottimamente. Infatti con la piena soddisfazione del Cardinale Cagliero, ha saputo, conservando e rinnovando con piena ma discreta libertà ed ottimo gusto, mantenere integra e pura la caratteristica e semplice genialità melodica dell'originale, irrobustendola e arricchendola, senza deformarla, con tutti i mezzi che la tecnica contrappuntistica, la perizia armonica e la lunga pratica nel maneggiare classicamente le voci hanno messo a sua disposizione. Ne è risultato un lavoro omogeneo, inspirato, ricco di effetti melodici ed armonici svariatissimi... un ottimo lavoro di grande effetto e di ottima fattura, che viene ad arricchire il repentorio della buona musica sacra e fa veramente onore, nella sua forma ringiovanita, ai due geniali e valenti maestri, rappresentanti di due epoche e di due scuole così distanti e così diverse.

» Le feste si chiusero il 30 giugno col tradizionale perdono del S. Cuore, ed alla sera col canto del « Te Deum » e con la benedizione solenne impartita dall'Arcivescovo armeno Mons. Pietro Kojunian. »

SAN PIER D'ARENA. - IN ONORE DEL S. CUORE Di GEsÙ. - L'inaugurazione della nuova splendida Cappella del Sacro Cuore segna una tappa gloriosa nell'opera di restaurazione compiuta nella Chiesa di S. Gaetano, e noi ne parleremo di proposito nel prossimo numero. Togliamo intanto dall'ottimo Cittadino di Genova:

La festa di sabato e domenica - 5 e 6 luglio - all'Ospizio San Vincenzo de' Paoli è stata una rinnovata ed energica affermazione di vita cristiana e di fede. Vita vissuta e fede feconda.

L'arrivo del Superiore Generale dei Salesiani, Don Paolo Albera, interessava più del solito i fedeli di Sampierdarena. Quel vecchio umile e modesto esercita un'attrazione singolare sugli animi. Sabato, alle ore 18, l'entrata sua al teatrino dell'Ospizio è stata salutata da uno scroscio di applausi; e tutti gli sguardi dei numerosi intervenuti erano fissi su di lui durante il trattenimento accademico, al quale, dopo l'inno salesiano, preludeva con discorso elevato l'Ispettore dei Salesiani, il Sacerdote dott. Bartolomeo Fascie. Seguì uno scelto programma di declamazioni e di riuscitissime esecuzioni musicali. Ricordiamo le commosse parole del Rev.mo Sac. Olivieri, quale rappresentante degli ex-allievi dell'Istituto, e l'elegante indirizzo della signora maestra Borneto per le Associazioni femminili della Parrocchia.

La parola ultima si aspettava dal signor Don A era, ed egli ebbe nel suo discorso gli accenti affettuosi del padre che ricorda e si commuove, del maestro che guida e conforta. Ringrazia gli antichi alunni dell'artistica statua del Sacro Cuore, donata alla nuova Cappella, ed i benefattori tutti del generoso concorso all'opera di restauro; per tutti gli amici dell'Opera Salesiana ebbe parole di incoraggiamento, che furono ascoltate con profonda commozione.

La benedizione della nuova Cappella ebbe luogo verso le ore 21 colle cerimonie rituali per ministero del medesimo signor Don Albera, che impartiva al popolo la benedizione col SS. Sacramento. Fin dal mezzogiorno i Salesiani avevano avuto la sorpresa onorifica di ricevere in casa S. E. Rev.ma il Cardinal Cagliero. L'Eminentissimo Principe, pregato, accondiscese con soddisfazione a celebrare la Messa della Comunione generale. Questa funzione riuscì solenne, imponente. Seguiva la Messa solenne con musica del maestro Pagella, salesiano, e alla sera si chiudeva la festa con Vespri pure in musica, eseguita coll'usata finezza dalla Schola Cantorum dell'Ospizio. La Benedizione col SS. fu impartita del venerando Don Albera.

Un giorno di festa e di gioia spirituale goduta in tutta la sua intensità, una di quelle tappe nella vita cristiana che segnano nell'anima un ricordo soave, incancellabile: ricordo di fede, di amore vivo, palpitante. Una vera elevazione delle anime negli orizzonti vivi e lieti, che solo Gesù sa operare nei cuori cristiani, nei cuori buoni e miti, che si aprono volentieri ai santi entusiasmi della carità.

All'Estero.

CACHOEIRA DO CAMPO (Brasile). - LA SCUOIA D'AGRICOLTURA, diretta dai Salesiani a Cachoeira do Campo, approvata e riconosciuta dallo Stato con Legge n. 731 del I° ottobre 1918, la domenica 4 maggio u. s. conferiva solennemente i primi titoli di agronomi a nove alunni. La cerimonia doveva aver luogo nel novembre u. s., ma a causa della febbre spagnuola venne differita.

Fu una giornata d'intima gioia secondo lo spirito salesiano. Al mattino Comunione di tutti gli alunni alla messa celebrata da Mons. Barbosa rappresentante l'Arcivescovo di Mariana Mons. Pimentos; quindi - come voleva Don Bosco - seconda messa celebrata dall'Ispettore Don Pietro Rota, e poi adunanza solenne. Il Presidente dello Stato mandava la sua adesione con nobilissima lettera incaricando il Direttore della Scuola, Don Carlo Peretto, a rappresentarlo: il Ministro degli Interni si fece rappresentare dal Colonnello Gioachino Fernandes Ramos. Molti cooperatori erano accorsi alla Colonia fin dalla sera precedente per assistere alla cerimonia.

Questa si aperse con un discorso del direttore. Seguì l'inaugurazione dei ritratti del Presidente dello Stato e dell'Ecc.mo Mons. Arcivescovo, e di altri benemeriti della Scuola. Uno dei licenziati tenne una breve conferenza sui vantaggi dell'agricoltura e sulla missione che attende i nuovi agronomi per il bene della Patria Brasiliana; e conchiuse con un affettuoso saluto ai suoi maestri e una tenera invocazione a Maria Ausiliatrice, ponendo sè e i suoi colleghi sotto il manto di una Madre così pietosa e di così potente Regina.

Il sig. dott. Candido da Costa Sana, padrino de licenziati, aggiunse le più belle parole. Ultimo prese la parola il rappresentante di Mons. Arcivescovo, che ebbe parole del più alto encomio per il bene che va compiendo la scuola.

MYLAPORE. - UNA NUOVA COSTRUZIONE NELL'ORFANOTROFIO. - Togliamo dal « The Catholic Watchman » di Madras (2 maggio. 1919). - Una interessantissima cerimonia ebbe luogo giovedì 24 aprile nell'Orfanotrofio di San Tommaso in Mylapore inaugurandosi le nuove sale di refettorio e studio, recentemente aggiunte all'Orfanotrofio.

S. Ecc. il Vescovo di Mylapore compiè la cerimonia, assistito dal clero locale di Mylapore e da parecchi membri del laicato, i quali prendono un reale interesse per l'importante opera dell'educazione della gioventù. Prestò servizio la banda dell'Orfanotrofio. Sarà certo interessante per molti il sapere come quest'Istituzione, di S. Tomaso di Mylapore è uno dei più antichi Orfanotrofii, non solo in Madras, ma in tutta l'India. Fu fondato da un frate Agostiniano, Manuel de Ave Maria, il quale fu amministratore della Diocesi di Mylapore dal 1821 al 1836. Sul principio l'Orfanotrofio era situato al pian terreno d'un piccolo fabbricato a due piani facente parte del vecchio palazzo del governatore portoghese di S. Tomaso, di fronte all'attuale Cattedrale. Vi erano ricoverati circa 15 orfani europei ed anglo-indiani, provenienti sopratutto dal Pallacàram e dal monte di S. Tommaso. L'Orfanotrofio, fu poi trasferito in un'altra fabbrica in Mylapore, ma ritornò definitivamente alla sua sede originale, dove S. E. il Vescovo Barose nel 1895 inaugurò l'attuale fabbricato. Durante tutti questi anni il numero degli orfani sul catalogo fluttuava tra, i 4o ed i 5o. Nel 1909 S. E. l'attuale vescovo di Mylapore Mons. Theotonius de Castro affidò l'orfanotrofio alle cure dei Salesiani, la Società istituita dal Venerabile D. Bosco per l'educazione della gioventù particolarmente de' fanciulli abbandonati.

Da quel tempo a tutt'oggi furono realizzati molti e grandi miglioramenti. Fu innalzata, una nuova cappella. Fu provvisto un buon in pianto di docce per tutti gli orfani. Furono fabbricate nuove latrine igieniche con proprio scolo nelle fognature principali. Un grosso filtro provvede l'intera casa di sufficiente acqua potabile.

Il numero dei fanciulli, così, costantemente crebbe: da 35 giunse fino a 50, poi a 1oo ed ora è di 145. Perciò era assolutamente necessario fornire per tanti orfani maggiori locali, e questi sono felicemente ultimati. Il nuovo fabbricato è di 1o6 per 28 piedi con una bella veranda a levante ed i muri laterali sono alti 16 piedi. E ben ventilato e riceve la brezza direttamente dalle vicinanze del mare. E anche fornito di illuminazione elettrica.

In una parola è una splendida sala e serve da sala di studio e di refettorio per gli orfani.

Il direttore dell'orfanotrofio, il rev. Don Tomatis, Salesiano, prende questa occasione per ringraziare tutti quelli che lo aiutarono in questa impresa. 1 loro nomi - tra i quali son quelli del Direttore della Pubblica Istruzione e di S. E. il Vescovo di Mylapore - saranno conservati negli annali dell'orfanotrofio e avranno sempre diritto alla gratitudine de' presenti e futuri orfani dell'Orfanotrofio di S. Tommaso.

NECROLOGIO

Contessa Teresa Rebaudengo.

La nobile contessa Teresa Rebaudengo-Ceriana, la gentildonna illustre e benefica, l'organizzatrice instancabile ed intelligente, l'anima eletta infervorata di zelo religioso, spirò santamente il 12 luglio u. S. nel suo castello di Guarene (Alba) dopo poco più di una settimana di crudele infermità, confortata da benedizioni speciali del Santo Padre e di Sua Eminenza il Cardinale Arcivescovo di Torino, circondata dalle cure amorose dell'esimio consorte senatore conte Eugenio Rebaudengo, della madre e dei congiunti, accorsi al suo capezzale appena conosciuta la gravità della malattia.

Figlia della nobildonna Maria nata Contessa Ceriana Mayneri, e del compianto comm. Francesco Ceriana, la contessaT eresa, primogenita di quattro sorelle, andava sposa or sono venticinque anni al senatore conte Eugenio Rebaudengo, col quale, nella primavera scorsa, nell'intimità della famiglia, festeggiò le nozze d'argento.

Donna di elette virtù, fu di una grandezza d'animo veramente mirabile, di modestia esemplare, di uno spirito di devozione costante e immutata, congiunto a un'austera bontà, non d'altro sollecita che di adempiere il dovere e praticare il bene, e a una rettitudine e fede profonda che aveva attinto fanciulla alle tradizioni della sua famiglia e all'educazione religiosissima ricevuta.

Il bene compiuto dalla contessa Rebaudengo in Torino e in tutto il Piemonte è veramente grande.

Presidente del Comitato Torinese dell'Unione

Donne Cattoliche, svolse un'opera indefessa a prò di tutte le sante iniziative sorte durante la guerra, pur continuando, qual nostra zelantissima Cooperatrice, l'alta sua benevolenza all'Opera Salesiana e all'Istituto delle Suore di Don Bosco. Il nostro dolore per la sua immatura scomparsa è pari al ricordo dei benefizi ricevuti e alla vivezza del desiderio, con cui vorremmo che tutti i Cooperatori facessero speciali suffragi per l'estinta.

Al vedovo Consorte, attivo Presidente del Comitato Esecutivo per il Monumento del Ven. Don Bosco, alla Madre, alle sorelle e a tutti i congiunti l'espressione sincera del nostro profondo rimpianto.

Addolorata Treglia.

Morì ad Alassio santamente. Anima pia e virtuosa, visse nella pietà e nel silenzio, contenta delle intime gioie che dona il Signore a quelli che lo servono fedelmente. Fervente cooperatrice salesiana,

aveva una grande ammirazione per il nostro Collegio di Alassio e per l'opera sua di bene in mezzo alla gioventù. Per il compianto direttore D. Rocca la virtuosa estinta nutrì un'alta venerazione filiale, e fino all'ultimo si reputò felice di poter fare qualche cosa per assecondare i Salesiani nella loro santa missione. Vogliano i lettori suffragare largamente quest'umile ma fervente cristiana.

Bartolomeo Bertarione Ravarossa.

Morì il 4 febbraio in Vico Canavese. Uomo di fede sincera e di costumi intemerati, ebbe per virtù quotidiane la sobrietà ed un'operosità indefessa, e per conforto nei gravi suoi dolori fisici e morali l'abbandono in Dio con una viva fiducia nella vita beata del Paradiso. Dal pio suo fratello, sacerdote salesiano, aveva appreso quei buoni principii di religione, di carità e di giustizia che gli furono di guida suprema nei 54 anni della sua virtuosa esistenza. Benedica Iddio all'anima sua.

Luigi Buzzi.

Colpito da morbo crudele, dopo brevissima malattia sopportata con rassegnazione cristiana, spirava santamente nel bacio del Signore a Fontanile. Antico cooperatore salesiano, passò quarant'anni nell'assiduo insegnamento. I suoi funerali furono una vera dimostrazione di stima e riconoscenza al maestro buono, cui l'affetto riconoscente dei numerosi discepoli non verrà meno giammai.

Teol. D. Giov. Battista Bert.

Si spegneva, in seguito a influenza polmonare, il 6 dicembre u. s. a Pragelato, dove da poco più d'un anno esercitava il suo ministero parrocchiale.

Buono, colto, d'intuizione profonda, capiva le sofferenze tutte, e le sapeva lenire con la parola della fede. E di fede e di provvidenza visse, e passò facendo ovunque del bene.

Sulla scrivania, seduto alla quale passava tanto tempo a scrivere articoli per la buona stampa e lettere ché portavan raggi di luce e rianimavano di speranza chi aveva la fortuna di riceverle, teneva un ritratto del Ven. Don Bosco, e asseriva di trarre da lui le ispirazioni.

Quando ricordava elle aveva celebrato la seconda sua messa sulla Tomba del Venerabile, nella quale circostanza chiese grazie speciali, che ottenne, il suo volto aveva del divino. Tutto a tutti, prediligeva i fanciulli, con i quali trattava seguendo le orme del gran Padre. Era suo motto:

« Amare con passione Gesù e le anime ».

Margherita Giordano Ved. Branco.

Rendeva la sua bell'anima a Dio il 13 novembre nella sua villa di S. Sebastiano Communia, in età veneranda.

Donna d'antico stampo, rimasta vedova a 22 anni, seppe dedicare ogni sua cura, con infinito amore, all'educazione della famiglia; e nelle gioie intime, purissime di questa, e nel culto fervido e sincero della Religione, passò la lunga e benefica esistenza.

Nella quiete della villa che le era tanto cara, tra i buoni contadini della frazione che l'amavano come eletta e pia creatura, coi supremi conforti della religione, s'addormentò santamente, fra le braccia dei figli, ai quali restò solo conforto la speranza di ricongiungersi a lei in Dio.

Una prece per la pia cooperatrice.

Comm. Francesco Bellucci-Sessa.

Per ritrarre il compianto Commendatore, basta un ricordo.

Si era nell'aprile del 1911 e nella direzione del nostro Istituto di Napoli erano radunati i principali Cooperatori per stabilire il programma dei festeggiamenti per l'inaugurazione della Chiesa del Sacro Cuore. Presiedeva il nostro Ispettore, il compianto D. Scappini, e si trattava di cominciare la discussione del programma, quando il Comm. Bellucci-Sessa, dallo sguardo dolcemente pensoso e dal sorriso benevolo, disse: « Signori, ogni cosa comincia da Dio, invochiamo il suo aiuto; Don Scappini dica l'Actiones nostras ». L'Ispettore, sorridendo del suo sorriso buono, esclamò: « Ha ragione, Commendatore, ripariamo una distrazione », e recitò l'orazione rituale.

« Ogni cosa comincia da Dio ! » ecco il segreto delle anime elette, ed ecco il segreto per cui il compianto Commendatore in tutte le sue imprese ebbe felice riuscita. Modello di Cooperatore, Egli sentì forte nel cuore l'ideale di D. Bosco: lavorare per la rigenerazione morale della gioventù; e l'opera Pro-Infantia, a cui donò le ultime sue energie, testimonierà in perpetuo con quanta efficacia lavorò pel trionfo di questo ideale.

Dopo la gioventù la famiglia; ed Egli volle alla Sacra Famiglia consacrato un altare nella nostra Chiesa, contribuendo colla sua offerta generosa a propagare una tale divozione.

Preghiamo anche per i seguenti Cooperatori defunti.

Albertoni Don Alberto - Spilimberto.

Albonetti Giuseppe - Trino.

Alessio Margherita ved. Luino - Torino. Anselmi Piz Anna - Arsio (Trentino). Bacchetta Giuseppe - Ravenna. Ballarlo Secondo - Isolabella (Torino) Battistini Narciso -- Savigno. Berdini Giselda - S. Elpidio a Mare. Betti Ida - Sassomolare. Bitti Dott. Serafino - Monza.

Boccalatte Raiteri Don Evasio - Bozzole. Boccali Don Olderico Luigi - Roma. Bocchiardo Modesto - Rocchetta Palafea. Bolla G. B. fu G. B. - Stella S. Martino. Bonaffini Cerchio Giuseppina - Pietraperzia. Broccardo Luigia -- Quarto d'Asti.

Buoncristiano Maria Giuseppa - Lanzia Superiore. Caccia Carlo - Maccio.

Capetini Carmelina - Ottobiano.

Lappo Pietro di Antonio - S. Giusto Canavese Lappo Giacomina - id. Carrà Carlo - Lavagna. Cavallo Zita - Rodello d'Alba. Ciani Raflellini Anna - Bagnara di Romagna. Clerico Cari. Don Giov. Batt. - Ivrea. Codino Regina - Stella S. Martino. Comastri Mons. Francesco - Bologna. Crevenna d'Oncien C.ssa Elisa - Milano.

Dal Cencio Fabrizia - Caldogno.

De Candido Mariano - S. Stefano di Cadore. De Gaudenzi Lidia - Torino. De la Forest C.ssa Adele - Torino. Draghi Rosa - Mennonico. Erba Luigi -- Villa S. Fiorano. Fantini Don Pasquale - Ravenna. Felappi Domenica - Piancamuno. Fichera Giuseppe - Catania. Forestieri Mons. Domenico - Roma. Fossi Rosina - Bologna. Fusi Teresa n. Giuntini -- S. Gimignano. Gennasi Poggi Teresa Bologna. Genni Ida - Lugano.

Giordano Antonino - Castronovo. Gissei Dott. Giov. Batt. - Pontedassio. Guerinoni Maria - Premolo. Lampiano Marianna - Torino. Lapone Stefano - Castronovo. Locati Fioriva - Villa S. Fiorano. Mafeti Clelia - Torino. Malusardi Rosalia - Acqui. Martinotti Don Maurizio - Pontestura. Mazzanti Letizia - Ravenna. Melega Dori Giuseppe - Bologna. Masera Giovanni - Vigevano. Melita Angelo - Mazzarìno. Merlo Antonio -- Busca. Muratori Rosa Alvisi - Bologna. Novelli Angelo - Prata di Pordenone. Nuzzolese Ch.co Giuseppe - Roma. Orlaridi Can.co Adeodato - Orte.

Pallante Ch.co Giovanni - Magliano Sabino. Panini Don Giuseppe - Monza. Passoni Severina n. Fainardi -- Roma. Piazza Giovanni - Trino Vercellese. Pioli Don Giovanni - Brugnera. Pizzorno Suor Maria - Torino. Puglisi Antonino - Paternò. Rafaldi Teresa- - S. Maurizio (Casale Monf.). Rampinelli Agelina - Travagliato. Regno Anna - Bannei. Rossi Erminia - Monza. Rovelli Francesco - Alseno. Sacchi Camilla - Gropello Cairoli. Santini Livia - Moncone. Sbarbaro Salvatore - Varazze. Sgobbi Giovanni - Pettorazza Grimani. Soldati Maria -- Bologna. Spinosi Rosina - Lanzia Superiore. Stefani Antonio - Monte di Malo. Stupenengo Carolina - Torino. Tavano Domenico - Trino Vercellese. Tavano Vincenzo - id. Tenconi Eugenio - Legnano. Tonon Angela - Conegliano. Torelli Prof. Carlo Luigi - Apricena. Udeschini Teresa - Milzano. Vallino Elia - Varazze. Vialar li Maria di Sandigliano - Torino. Vignolo Can.co Giuseppe - Giaveno. Villa Egidio - Monza. Volonteri Edoardo - Monza.