BS 1880s|1880|Bollettino Salesiano Dicembre 1880

ANNO IV.- N. 12   Esce una volta al mese.   DICEMBRE, 1890

BOLLETTINO SALESIANO

Direzione nell'Oratorio Salesiano. - Via Cottolengo. N. 32. TORINO

SOMMARIO - Maria ai suoi divoti - Associazione alte Letture Cattoliche - Le Suore di Maria Ausiliatrice della Patagonia a D. Bosco - Grazia di Maria Ausiliatrice - Storia dell'Oratorio di S. Francesco di Sales - D. Gaudenzio - Notizie religiose e varie - Secreto per vivere felice - Augurii - Indulgenze speciali pei Cooperatori Salesiani.

MARIA AI SUOI DIVOTI.

A mezzo del secolo passato fu vista una giovine Principessa indegnamente perseguitata. Era Maria Teresa imperatrice d'Austria. Mortole nell' anno 1740 il padre, Carlo VI, la maggior parte delle potenze di Europa, Spagna, Francia, Prussia, Polonia, Due Sicilie e Sardegna , insieme collegate, quali sotto un pretesto e quali sotto un altro, concertarono di dividersene i molti dominii, e già glieli avevano quasi tutti usurpati. Costretta persino ad abbandonare Vienna, sua Capitale, l'addolorata regina corre in Ungheria, che ancor le rimaneva fedele; raduna in Presburgo un' assemblea di grandi, e tenendo in braccio il suo bambino primogenito , con voce ed aspetto commovente indirizza loro queste parole : « Abbandonata dai miei amici, perseguitata dai miei nemici, assalita dai miei più prossimi parenti , io non ho altra difesa che nella fedeltà vostra, nel vostro coraggio, e nella mia costanza. Io inetto nelle vostre mani la figlia e il figlio dei vostri re, che aspettano da voi la loro salvezza. »

Allo spettacolo della loro giovane regina così sfortunata, alla vista di quel tenero bimbo, che teneva in braccio, tocchi (la questi accenti, i nobili Ungheresi si sentirono profondamente commossi, concepirono tosto per la madre e pel figlio una tenera affezione, e pieni di santo entusiasmo sguainarono la spada gridando ad una voce : Moriamo pel nostro Re Maria Teresa : Moriamur pro Rege nostro Maria Theresia. Al grido di questi prodi 1' Ungheria si scuote, da tutte parti si accorre alle armi, ed un formidabile esercito è messo in piedi, che da altri rinforzato cammina di vittoria in vittoria, ricacciando i nemici nei loro confini.

Intanto sparsasi la notizia di quella graziosa Principessa ridotta a cotali estremi, si commossero moltissimi cuori di altre parti d'Europa. Le donne d'Inghilterra intenerite le offrono un sussidio, e il loro re, Giorgio II , le viene in aiuto conducendole in persona un agguerrito esercito. Il re di Sardegna alla sua volta abbandona la lega e prende le difese di Maria Teresa. In breve ogni cosa muta d'aspetto; una felicissima pace viene conchiusa in Aquisgrana nel 1748; e così la giovine regina, e il bimbo suo primogenito, che si erano veduti quasi al punto di essere spogliati di tutto, ripresero il pacifico possesso della loro eredità (1).

Questo istorico fatto ci richiama alla mente un' altra ben più degna Regina e tenera Madre, ancor essa abbandonata oggidì da molti suoi amici, e da potenti nemici perseguitata. Ci sembra di vedere l'augusta Regina del Cielo, Maria Santissima, col suo caro Gesù in braccio, costretta ad uscire da molte case e da molte famiglie cristiane, ed abbandonare il possesso di tante anime, nelle quali aveva fissato il suo trono di amore. E perchè mai questa dolorosa dipartita? Perchè alcuni più non si curano nè di Lei nè del Figlio suo, anzi con una vita irreligiosa ed immorale Le muovono una guerra spietata; perchè vivono in una indifferenza ghiacciata per tutto ciò che La riguarda; trascurano le sue solennità ; mettono in non cale le divote pratiche, colle quali i nostri Padri si sforzavano di celebrare , ed ossequiare con figliale trasporto questa Creatura più santa, più amabile, più amante, che mai sia uscita dalle mani dell'Onnipotente. Taluni corrono smaniosi ad un profano spettacolo, ma a stento e con fastidio assistono ad una sacra funzione; accolgono con prontezza l'invito ad un pranzo, ma si adontano d'accostarsi alla Mensa degli Angeli. Si persiste in peccato i mesi e gli anni; si sta lontano dalla Chiesa ; si vive nell'ignoranza religiosa , e vi si lasciano crescere i figli e le figlie a segno, che talvolta all'età di 15 anni non hanno ancor fatto la prima Comunione, ed ignorano persino chi sia Gesù Cristo. Altrove colla indifferenza si collega in turpe connubio anche l' empietà e il sacrilegio ; si bestemmia da Turchi, si burla sui sacri Ministri da eretici; si parla di Religione e di Chiesa da increduli. In certe case indarno tu cercheresti un segno, che ti ricordi la Celeste Madre e il Divin Redentore ; sicchè in alcuni individui di cristiano altro più non rimane, fuorché il carattere battesimale, che dall' anima non si scancella neppure nell'inferno. Or tutti costoro che altro fanno, se non mettere ingratamente al bando dalla loro casa, e dal loro cuore l' augusta Regina del Cielo e il Divin suo Figlio?

Ma per tal modo abbandonata e trattata l'amabilissima Regina, con in braccio il suo Gesù diletto , si rivolge ai figli suoi , alle figlie sue devote , e tutti li eccita a prendere le sue difese. A voi in modo particolare s'indirizza, o buoni Cooperatori e pie Cooperatrici, a voi padri e madri di famiglia, a voi rettori di anime, a voi educatori ed educatrici della gioventù, a voi superiori di Comunità, a voi maestri e maestre di scuola, a voi e dice : « Abbandonata e trascurata da molti, che avrebbero dovuto serbarmi eterno e tenerissimo affetto, perseguitata e vilipesa da inverecondi ed empii scrittori, bestemmiata da chi non mi conosce o non mi vuole riconoscere, deh ! pietà vi prenda di me e del mio Gesù. Lasciatemi regnare nelle vostre case, come io regnai in quella d'Elisabetta, e vi sparsi tesori di grazie ; fatemi conoscere per tempo ai vostri soggetti, soprattutto alla tenera gioventù ; insegnate chi io sono; quanto grande mi fece il Signore ; quanto è caldo l' amor mio ; quanto esteso il mio potere a sollievo dei miseri mortali. Sì, accrescete il numero dei miei divoti, riconducetemi i figli traviati, e fate che io possa stringervi tutti in un solo amplesso e portarvi alla felicità ; giacché è verissimo che chi trova me, trova la vita, e attinge la salute dal Signore: Qui me in venerit inveniet vitam, et hauriet salutem a Domino. »

Ascoltiamo queste parole della nostra dolce Regina e Madre, e pieni il petto di santo amore diciamole : Dominare nostri tu et filius tuus: Col figlio tuo regna pure, o Maria, sopra di noi. Anzi promettiamole che, se farà d' uopo, non solo i pensieri e gli affetti, non solo la lingua e la mano consacreremo al suo servizio, e all'onore e alla gloria di Gesù suo Figlio, ma profonderemo generosi il sangue e la vita, esclamando ancor noi con più ardore, che non i prodi Ungheresi: Moriamo per Maria nostra Regina: Moriamur pro Regina nostra Maria.

E prossima la cara festa di Maria Immacolata, e dopo breve intervallo di tempo ha luogo la novena e la sempre dolcissima solennità del Santo Natale. Cogliamo adunque questa propizia occasione per mostrare quanto ardente sia il nostro affetto pel Figlio e per la Madre. Onoriamo queste duo solennità col fare una buona Confessione ed una santa Comunione, e adoperiamoci eziandio che altri facciano altrettanto con noi. Quando poi avremo la bella sorte di possedere nel nostro seno il divin Pargoletto, ricevuto come per mano di Maria, giuriamogli fedeltà inconcussa colle parole di un grande amante: « Nè la fame nè la sete, nè la povertà nè la ricchezza, nè la tribolazione nè l'angustia, nè la persecuzione nè la spada,nè l'altezza nè l'abisso, nè la vita nè la morte, nè alcuna altra creata cosa varrà a separarmi dall' amor tuo, o mio amabilissimo Gesù.

(1) Il 29 del passato novembre si compiva un secolo dalla morte di Maria Teresa modello delle regine. Ella discese nella tomba, scrive il ch. Rhorbaker, col glorioso titolo di madre della patria, che le fu decretato dalla riconoscenza dei popoli. La sua beneficenza era inesauribile, e la sua estrema sensibiliCL gliene faceva come un bisogno. Veduto un giorno presso al suo palazzo una donna e due fanciulli estenuati dalla fame, ella esclamò coll' accento del più vivo dolore: Che ho fatto io perchè un tale spettacolo affligga i miei sguardi e disonori il mio regno ? E incontanente comandò che fossero date a quella povera madre alcune vivande della sua stessa mensa, poi la fece venire alla sua presenza , la interrogò e infine le assegnò una pensione

ASSOCIAZIONE ALLE LETTURE CATTOLICHE.

Non è molto tempo, e in una industre città della Liguria un padre di famiglia, che da parecchi anni più non voleva sapere nè di Chiesa, né di Pasque, trovava sopra un tavolo di sua casa un fascicoletto delle nostre Letture Cattoliche. Era la Vita del giovane Savio Domenico, portatavi da un suo figlio, che, frequentava le nostre scuole. In un' ora di riposo prese quel padre il detto fascicolo, e più per curiosità che per altro si pose a leggerlo. Di mano in mano che ne percorreva le pagine sempre meglio se ne dilettava, sicché più non volle deporlo che a lettura finita. Quello che si operasse allora in quel cuore Dio lo sa ; ma da quel giorno quell' uomo mutò costume; riprese le pratiche del buon cristiano, divenne modello di virtù alla sua famiglia, e dopo alcun tempo terminava la sua vita con una morte edificante. Poco prima di spirare si fece portare sul letto quel libro, gli diede un bacio e disse: Dalla lettura di questo libro io riconosco la grazia della mia conversione : Benedetto chi lo scrisse e chi me lo portò in casa.

Noi non la finiremmo si tosto, se volessimo anche solo accennare tanti altri fatti consimili, avvenuti in grazia di alcuni fascicoli delle Letture Cattoliche. E quanti altri mirabili effetti non avranno essi operato nelle anime, noti a Dio solo? E quanti altri ancora ne opereranno ? Quindi non senza ragione il grande Pontefice Pio IX, informato della pubblicazione mensile di questi libretti, ebbe a dire: Nulla vi ha di più utile, nulla di più eccellente: Nihil utilius, nihil excellentius.

Per la qual cosa noi preghiamo i nostri benemeriti Cooperatori e le nostre Cooperatrici, che vogliano associarsi a queste Letture , se ancora non lo hanno fatto, o a rinnovare l' abbonamento, se l'hanno già preso negli anni scorsi. Li preghiamo ad un tempo che vedano di procurarci dei nuovi associati tra i loro parenti , conoscenti ed amici, e di adoperarsi per diffondere questi libretti tra il popolo. E' questo un valido mezzo per opporre un qualche rimedio alla lettura di tanti libercoli e fogli empii ed osceni, che penetrano pur troppo in molte famiglie cattoliche , a guasto dei presenti e degli avvenire ; è questo un mezzo efficace per giovare davvero alla Religione e al buon costume, che è il fine proposto ai Cooperatori e alle Cooperatrici.

Sulla copertina del Bollettino sono pubblicate le condizioni di Associazione.

LE SUORE DI MARIA AUSILIATRICE DELLA PATAGONIA A D. BOSCO.

Reverendissimo Padre in Gesù Cristo,

Approfitto della presente opportunità per inviarle queste poche righe.

Le notizie che per ora le posso dare sono, la Dio mercè, assai buone, e speriamo che continueranno così.

Stiamo preparando delle vestine ed altri abiti per le nostre povere indiane, e ci pare che il Signore ci stia apparecchiando molto lavoro. Noi lo desideriamo ardentemente, onde salvare tante povere anime, che giacciono sepolte nelle tenebre della ignoranza. Ah ! Rev. Padre, se vedesse quante Indiane vi sono mai, e quanto miserabili pel corpo e per l'anima ! Ci fanno veramente compassione, e ci duole grandemente che non possiamo aiutarle tutte , perché noi siamo troppo poche, e molto povere.

Questa nostra scuola di Carmen conta ora trenta ragazze, due educande ed una giovane mora, che ci aiuta eziandio nei lavori di casa. Se avessimo di che mantenerle, potremmo riceverne, istruirne e salvarne moltissime.

Tutte le domeniche andiamo in parrocchia a fare il Catechismo alle fanciulle cristiane, che disgraziatamente sono in questo paese molto ignoranti. Una volta al mese le facciamo confessare ; dopo ciò un buon numero si accostano anche alla santa Comunione con un contegno molto divoto. Questa pratica fa molto del bene, non solo alle giovinette , ma eziandio alle adulte, e serve ad eccitare la fede negli Indiani, farli riflettere e innamorarli della nostra santa Religione.

Prima di chiudere questo foglio vorrei pregare la S. V. di un favore, anzi di due. Ci raccomandi in modo speciale a Maria Ausiliatrice nostra dolcissima Madre, affinché, mentre siamo venute in questi lontani paesi a fare conoscere il nostro celeste Sposo Gesù, gli rimaniamo fedeli sino alla morte. Noi desideriamo tutte quattro di farci santo, e speriamo di riuscire se Lei prega per noi.

L'altro favore si è che ci voglia mandare altre sorelle in aiuto, affinché possiamo condurre a salute un maggior numero di povere Indiane. Ci hanno fatto sperare che ce ne avrebbe presto mandate. Oh ! quanto ci tarda quel giorno !

Mi permetta ancora una domanda : inviando soccorso a noi, non dimentichi i nostri confratelli Salesiani. Se vedesse mai quanto hanno da fare, e come lavorano ! Sopra tutto il Rev. Don Fagnano ci sembra un martire della fatica, e temiamo che ne abbia a soccombere.

Dio conservi la S. V. ancora per molti anni. Si degni infine di gradire i nostri rispettosi ossequii, e mi creda nel Sacratissimo Cuore di Gesù

Di V. S. R.ma

Carmen de Patagones, 6 ottobre 1880.

Dev.ma figlia ,Suor ANGELA VALESE

 

Abbiamo ricevuto dalla Repubblica dell'Uruguay la notizia che la morte ci tolse la Rev.da Suor Virginia Magone dopo lunga, malattia. E la prima delle Figlie di Maria Ausiliatrice, che se ne sia volata al Cielo dal suolo Americano, consuntasi per la gloria del celeste Sposo, l'amore del quale fin dalla sua giovinezza le aveva fatto abbandonare il mondo ed ogni gioia terrena.

Nel prossimo numero speriamo di poter pubblicare la relazione, che ci venne fatta del felice suo transito, avvenuto il 25 del passato settembre.

Intanto incominciamo fin d'ora a raccomandare alle preghiere dei Cooperatori e delle Cooperatrici l'anima sua , se per avventura ne avesse ancora bisogno.

GRAZIA DI MARIA AUSILIATRICE.

Nel mese scorso, un cotale, che se potesse farebbe coprire l' immagine di Maria Ausiliatrice, parlò indecorosamente delle grazie, che si ottengono per sua intercessione. Questa pietosa Madre gli condoni lo sfregio. Se occorrerà ne diremo di più. Per ora pubblichiamo ad onore di Lei la lettera seguente, che ci arrivò poc' anzi dagli Stati Uniti d'America, premettendovi le solite proteste.

MOLTO REV.MO SIGNORE,

Il mare Atlantico separa bensì l'Europa dall'America, ma non é d'ostacolo ai favori di Maria Ausiliatrice, che si venera nel celebre Santuario di Valdocco in Torino ; il che io sottoscritta son ben lieta di attestare per esperienza propria.

Nel settembre 1878 io veniva assalita da febbre si ostinata, che, tolti alcuni intervalli di poca durata, mi fece illanguidire quasi per 19 mesi. A togliermi d'addosso siffatto malore io andava man mano facendo uso di varii rimedi, trovati efficaci per altri, ma per me di nessun effetto. Dopo 3 mesi di sofferenza venni dal Parroco del luogo consigliata a ricorrere con fiducia a Maria Ausiliatrice, facendo a tal uopo una Novena in onore di Lei. Accettai di buon grado la proposta, ma o per debolezza di fede, o perché il Signore volesse sottopormi a più lunga prova , fatto sta che per allora non ottenni la grazia, che anzi, lo scoraggiamento impadronendosi del mio cuore, io divenni più che mai afflitta e melanconica. La mia febbre presentava tali sintomi, che anche ai periti dell'arte era assai difficile accertarne il vero carattere ; ed io intanto col vigore delle forze andava pur perdendo la gaiezza dei miei anni giovanili.

Allo scopo di ricuperare la mia primiera salute io m'assoggettava a tracannare qualsiasi rimedio, comunque fosse ripugnante e disgustoso ; ma pur troppo sempre senza alcun buon successo. Dal farmaco ordinatomi ultimamente da un dottore, le cui prescrizioni vantavansi molto, io non provai sollievo di sorta. Il prelodato dottore in occasione di nuova consulta fatta qualche settimana dopo, conosciuto che il suo rimedio, ancorchè riputato efficacissimo, non aveva in me effettuato il minimo miglioramento, stringendosi nelle spalle confessò ingenuamente che poco sperava sull'efficacia di nuovi rimedi, stante la complicazione e lunga durata del mio malore. Dopo tale parere, perdendo io ogni fiducia sui medicamenti umani, venni in pensiero di ricorrere di nuovo a Maria Ausiliatrice. Ricomincio una seconda Novena, procurando di eseguire esattamente i savi avvisi datimi dal Parroco.

Ed oh ! bontà di Maria ! Fin dal secondo giorno della Novena la febbre mi lasciava intieramente, e riacquistata in pochi giorni la primiera vigoria delle smarrite mie forze, già ben da sei mesi, ossia fin dagli ultimi giorui dello scorso maggio, io continuo a godere una salute eccellente.

In adempimento della fatta promessa spedisco a cotesto Santuario L. 50, e finché vivrò resterà incancellabile nel mio cuore la grata memoria del segnalato beneficio da me ottenuto dalla tenera e materna bontà di Maria Ausiliatrice.

Della S. V. Molto Rev.da

Genoa-Vernon Co-Wisconsuì (Stati Uniti d'America)

22 ottobre 1880.

Umil.ma ed obbl.ma Serva MARIA LEVI di ANTONIO e di ANGELA MASSERA.

STORIA DELL'ORATORIO DI S. FRANCESCO DI SALES

CAPO XXIV.

Apertura dell'Oratorio dell'Angelo Custode - Il sistema metrico sul teatro - Esercizi Spirituali alla Gioventù - Visita di Senatori al-l'Oratorio - Dialogo.

A Nord-Est di Torino, non lungi dal Po, giace un sobborgo, chiamato di Vanchiglia, abitato nella maggior parte da povera gente. Trovavasi un tempo nella parrocchia dell'Annunziata, ed ora in quella di Santa Giulia da poco istituita. Del medesimo faceva parte un gruppo di case appellate il Moschino, i cui inquilini, specialmente la gioventù, davano molto da fare alla polizia e di giorno e di notte. Colà presso il Sac. D. Giovanni Cocchis, allora vice-curato della parrocchia della SS. Annunziata, aveva qualche anno addietro fondato un Oratorio con uno scopo alquanto analogo al nostro. V'intervenivano giovani piuttosto adulti , a fine di esercitarsi nella ginnastica, in manovre militari e simili. Vi era soprattutto celebre il giuoco del salto, e i ragazzi, per indicare che andavano a quell'Oratorio, solevano dire : Andouma ai saüt d' Don Cocchis : Andiamo ai salti di Don Cocchis. Intanto con siffatto mezzo quell'operoso Sacerdote li teneva lontani dai divertimenti pericolosi od immorali, ed era questo non lieve guadagno.

Ma l'anno 1849 siffatto Oratorio o ricreatorio che chiamar si voglia, venne chiuso. Essendosi riaccesa la guerra, si eccitò in quei giovani, già usi a maneggiare il fucile e la spada, un grande ardore bellicoso ; quindi ansiosi di poter dalle manovre passare ai fatti, e misurarsi col nemico, domandarono in buon numero ed ottennero di marciare alle patrie battaglie. Nella loro fantasia speravano essi di potersi coprire di onorata polvere; ma disgraziatamente dopo alcuni giorni di cammino, e prima che giungessero al campo dell'onore, appresero la rotta dell'esercito, e perciò ritornarono indietro alla rinfusa, costretti a soffrire per via la fame, e come vederla in persona. Tanto ci affermarono alcuni di loro. - A questo un altro motivo si aggiunse. Don Cocchis aveva pure incominciato un Ospizio di beneficenza pei poveri artigianelli, e in quell'anno ne aveva già ricoverati parecchi in una casetta tolta a pigione. Non avendo di che mantenerli, egli doveva, come il nostro D. Bosco, industriarsi pel loro vitto e vestito. Or questa sollecitudine congiunta alle varie occupazioni della parrocchia finì per impedirlo totalmente dal riaprire il detto Oratorio.

Questo adunque stava sospeso già da parecchi mesi, quando D. Bosco e il T. Borelli, conscii del grande bisogno di un cotale istituto in quella parte della città, prese le necessarie intelligenze con D. Cocchis medesimo, subentrarono nel locale da lui già preso in affitto a tal uopo, e coll' approvazione di Mons. Fransoni riaprirono il detto Oratorio, sotto il titolo dell' Angelo Custode. La riapertura fu fatta al principio di ottobre, intorno alla festa dei Santi Angeli Custodi.

Da prima ne venne affidata la direzione al Teologo Carpano, trasferitosi dall'Oratorio di S. Luigi. Dopo di lui vi s'impiegò il Teol. Giovanni Vola, e poscia il Teol. Roberto Murialdo. Questo zelante e pio Sacerdote torinese, coadiuvato dal suo degno cugino il T. Leonardo, e dai catechisti che ogni festa Don Bosco gli mandava di Valdocco, continuò parecchi anni nel difficile incarico, e col consiglio e colla mano proseguì a far prosperare di assai quell'istituto. Il numero dei giovani saliva spesso sino a 300 e talora oltre ai 400; così che dopo alcun tempo si dovette prolungarne la Cappella. Tanto poi per le sacre funzioni e pratiche di pietà, quanto pei giuochi e i mezzi di emulazione si adottò lo stesso orario, metodo e regolamento, che facevano sì bella prova negli Oratorii di S. Francesco e di S. Luigi, dei quali fu considerato siccome fratello.

L'Oratorio dell'Angelo Custode continuò nel sito medesimo e sotto l' alta direzione di Don Bosco sino all' anno 1866. In quell' anno fu eretta la nuova parrocchia di Santa Giulia, fabbricata quasi tutta per opera della caritatevole Marchesa Giulia Barolo. Questa benemerita e ricca signora, fondando quella Parrocchia, lasciò pure per testamento che vi andasse unito un Oratorio per raccogliervi i giovinetti nella Quaresima e nei giorni festivi. Quando questo fu aperto, D. Bosco, scorgendo che uno bastava al bisogno, chiuse l'antico, applicandone i Sacerdoti ed i Chierici nell'Oratorio di S. Giuseppe in Borgo S. Salvario, dove maggiormente se ne sentiva il bisogno.

Ora passiamo a dire di una nostra teatrale rappresentazione che levò in quel tempo alto grido in Torino.

Secondo il regio editto dell'11 settembre 1845, nel prossimo gennaio del 1850 doveva andare in vigore il sistema metrico decimale, e cessare affatto i pesi e le misure sino allora usate. A fine di preparare le popolazioni a ricevere ed apprezzare questa innovazione, il Governo fece assai per tempo distribuire per tutti i comuni quadri sinottici dei nuovi pesi e misure, e pubblicare appo- siti opuscoli , che ne porgessero chiara e facile spiegazione ; si diresse ai maestri comunali invitandoli ad applicarsi al nuovo insegnamento ; fece appello ai sindaci, perché instituissero scuole serali e domenicali per la classe laboriosa e idiota. Ma poi, come se non fosse ancor sicuro di una buona riuscita, egli in quest'anno, per mezzo del Ministro di Agricoltura e Commercio, scrisse e indirizzò un'apposita circolare ai Vescovi del Regno. In essa il Ministro li pregava a volere esortare i Parochi delle rispettive diocesi, onde prestassero la loro valida cooperazione allo scopo accennato, coll'istruire convenientemente le popolazioni alla loro cura affidate, svellerne i radicati pregiudizi, modificarne le inveterate abitudini, affinché la introduzione del nuovo sistema non avesse ad ingenerare malcontenti, frodi ed inganni. I Prelati aderirono volentieri all'invito del Governo, siccome quelli, che furono e sono sempre pronti a promuovere il bene della Chiesa e dello Stato. Tra gli altri il Vescovo di Asti, Monsignor Filippo Artico , scriveva in proposito una bella circolare.

« Non vi stupite, diceva egli tra le altre cose a' suoi Parroci, non vi stupite che il Vescovo pubblichi un avviso, che più sembra spettare alla economia politica , che non al ministero apostolico. Il nostro divin Maestro nelle parabole del suo Vangelo prese anche le sembianze di Padrone di casa, di Capo di famiglia, di Coltivatore di una vigna, di Re che distribuisce i proprii talenti da trafficare, e tanto promosse anche l' industria ed il commercio, che condannò il servo infedele, il quale non trafficava il talento ... In più luoghi delle Sacre Scritture voi troverete prescritta e lodata la giusta uniformità dei pesi e delle misure. E per citarvene alcuni, v' invito a leggere nel Deuteronomio : - Tu non avrai che un solo peso giusto e vero; né riterrai presso di te che una sola e fedele misura. Nei Proverbii : - Iddio abbomina pesi diversi, ed una stadera dolosa. - Nell' Ecclesiastico : Vi sia l' eguaglianza della stadera e dei pesi... (Deut., cap. xxv, 15. - Prov., xx, 25. - Eccl. xlii, 4.). Nè crediate, o Venerabili Fratelli , che l' occuparsi di simili studii ed ammaestramenti per istruire gli idioti, e salvarli dalle frodi, disdica al Sacerdote, quando egli adempia a tutti gli altri suoi sacri doveri, e rigetti da sé tutto ciò, che pecchi di mestiere profano e di sordido lucro ; giacché nel Vecchio Testamento leggiamo che Davide aveva ordinato ai Leviti di vegliare sopra ogni peso e misura (Paralip., xxiii, 29)... Io v'inculco pertanto, in nome anche del Ministro di Sua Maestà, di mettervi d'accordo coi maestri comunali per la istituzione di scuole serali e domenicali, profittando particolarmente delle ore, in cui terminati gli uffizi divini, ogni individuo può senza incomodo assistere alle lezioni ; e dove manchi il maestro vi prego di supplire colla religiosa vostra sollecitudine. »

Così quel degno Prelato. Presso a poco dello stesso tenore erano le circolari degli altri Vescovi.

I Parrochi non mancarono di secondare queste provvide esortazioni dei primi Pastori. Dal canto suo anche il nostro D. Bosco, come abbiamo già di sopra accennato, nel vivo desiderio che noi fossimo per tempo bene istruiti, introdusse nelle nostre scuole l'insegnamento del sistema metrico varii anni innanzi, che ei fosse reso obbligatorio, e poscia compose e pubblicò un apposito trattatello di facile intelligenza. Ma di ciò ancor non pago, egli in questo anno medesimo immaginò un altro mezzo efficacissimo, per farci passare la nuova scienza come in sangue e in sugo. Scrisse pertanto e ci fece recitare in sul teatro una commedia, divisa in tre atti, intitolata: Il sistema metrico decimale. A noi rincresce di non aver più potuto rinvenire traccia alcuna di questo lavoretto utilissimo ; ma in generale ci rammenta che rappresentavasi sul palco come un mercato, dove figuravano varie sorta di venditori e compratori. Ignari questi che avevano incominciato a farsi obbligatorii i pesi e le misure nuove, oppure non volendone sapere, domandavano di fare acquisto coi pesi e misure antiche. Il venditore, già conscio dell'ordine, osservava che queste erano abolite, ed il compratore gridava alla novità, all'imbroglio, all'inganno. Talora i due contraenti si riscaldavano, l'uno nel persuadere, l'altro nel non volere essere persuaso; finché colla pazienza e colla calma il primo riusciva a far entrare la cosa in capo al secondo, che compresa l' utilità del nuovo sistema , il divario tra l'uno e l'altro peso, tra l'una e l'altra misura, non che la proporzionata e ragionevole differenza di prezzo, finiva per comperare tranquillamente e se ne andava istruito e convinto. Talvolta la scena rappresentava un povero operaio infastidito, il quale incontrando un compagno, od il suo antico Maestro, lo pregava dell' opportuna istruzione, e l' aveva. Per siffatta guisa si fecero passare i pesi, rilevando il divario tra l'oncia e l'etto, tra la libbra e il chilo, tra il rubbo e il miria. Si venne alle misure lineari, mostrando la differenza che passa tra il raso e il metro. Si discorse delle misure di capacità, dicendo del boccale e del litro, della brenta e dell'ettolitro e così del resto. Don Bosco aveva saputo intrecciare così bene i fatti e gli episodii, mettere sulle labbra degli interlocutori parole e diverbii così arguti ed ameni, da mutare una materia, per se stessa cotanto arida, in un divertimento giocondo. La scena della brenta, del litro e dell'ettolitro ci fece scoppiare dal ridere ; oggi ancora, quando vi pensiamo, non ci possiamo frenare dal riso. Tra i ragguardevoli personaggi, che assistettero a questa rappresentazione, fuvvi il celebre abate Ferdinando Aporti, il quale per verità ne fu sì preso, che disse « Don Bosco non poteva immaginare un mezzo più efficace per rendere popolare il sistema metrico-decimale ; qui lo si impara ridendo » (1).

Dai pensieri della matematica e del tempo, il nostro Direttore sapeva farci passare alle sublimi considerazioni dell'anima e della eternità. I frutti ubertosi e consolanti, che gli Esercizi Spirituali dell'anno precedente avevano in noi prodotto , animarono D. Bosco a procurarli nuovamente, non soltanto ai giovani dell' Ospizio , ma a tutti quelli che frequentavano i tre Oratorii, anzi a tutta la gioventù di Torino, se dato gli fosse. A questo fine invece di farli dettare nella Cappella del nostro Oratorio, troppo ristretta e lontana dal centro della città, dopo aver parlato con chi di ragione, egli scelse la Chiesa della Confraternita della Misericordia, più comoda ed ampia. Avutone il permesso, anzi il più vivo incoraggiamento dall' autorità ecclesiastica, Don Bosco la domenica innanzi, che fu la III di Avvento e il 16 dicembre, diede e fece dare opportuni avvisi, ed annunziò il giorno dell'apertura e l'orario delle sacre funzioni, caldamente raccomandando che tutti vi prendessero parte. « A mio nome, egli ci disse, pregate i vostri genitori e padroni che abbiano la bontà di lasciarvi liberi, se occorre, alcune ore del giorno, onde possiate intervenirvi comodamente. Dal canto vostro promettete loro che li ricompenserete di quel tempo con una maggiore diligenza e puntualità nei vostri doveri. »

Per assicurare l'intervento di un più gran numero di giovani operai, gli Esercizi vennero fissati nell' ultima settimana dell' anno, nella quale occorrono feste carissime , generalmente ancora osservate ; fu stabilito un orario, che desse meno aggravio ai padroni (1) ; e venne affisso alla porta delle Chiese di Torino, e spedito in molte case e laboratorii uno stampato a forma di Avviso Sacro, le cui espressioni rivelano tutto l'ardore del giovine Prete, dell'amico sincero della gioventù. Di questo Avviso abbiamo avuto una copia tra mano, e qui lo riproduciamo per documento e per saggio del come scriveva D. Bosco in quel tempo.

« La porzione dell'umana Società, su cui sono fondate le speranze del presente e dell'avvenire, la porzione degna dei più attenti riguardi è, senza i dubbio, la Gioventù.

« Questa rettamente educata, ci sarà ordine e moralità ; al contrario, vizio e disordine.

« La sola Religione è capace di cominciare e compiere la grand'opera di una vera educazione.

« Ora attese le vicende dei tempi e gli sforzi, che i malevoli fanno a fine d'insinuare massime irreligiose nella mobile mento della Gioventù ; per appagare il desiderio di molti genitori, principali di negozi e padroni di bottega , si è stabilito di dare in pubblico una muta di Esercizi Spirituali ai giovani, nella Chiesa della veneranda Confraternita della Misericordia, che a tale oggetto generosamente concorre.

« Padri e madri, padroni e principali di fabbriche e di negozi, a cui sta a cuore il benessere presente e futuro dei giovani dalla divina Provvidenza a voi affidati, voi potete grandemente al loro bene cooperare col mandarli ed animarli ad intervenire. Il Signore non mancherà di compensare quegli intervalli di tempo , che per avventura doveste per un si santo fine sacrificare.

« Giovani, Giovani miei cari, delizia e pupilla dell'occhio divino, non vi rincresca di tollerare alcuni disagi della stagione, onde procurare alle anime vostre un bene, che non verrà meno giammai. Il Signore chiamandovi ad ascoltare la santa sua Parola vi porge favorevole occasione, per ricevere le sue grazie e le sue benedizioni. Approfittatene. Beati voi, se da giovani vi avvezzate ad osservare la divina Legge : Bonum est viro, cum portaverit jugum ab adolescentia sua. (Gerem.). »

Fin dalla introduzione , che fu la sera del 22 dicembre , la Chiesa della Misericordia era gremita di giovani, quasi tutti artigiani. Uno dei predicatori fu il canonico Borsarelli, ora già chiamato agli eterni riposi ; uomo di una parola chiara e festevole, il quale facevasi intendere dai meno istruiti e rozzi, nell' atto stesso che si attraeva l'attenzione dei più schivi e divagati. Gli altri predicatori più non ci sovviene chi fossero ; ma ben ci ricorda che gli Esercizi ebbero un risultato felice. Malgrado la cruda stagione, tu fin dal mattino per tempo avresti veduto più centinaia di giovani pendere divoti dal labbro del predicatore ; il numero n'era incalcolabile al dialogo del mezzodì, e alla istruzione e meditazione della sera. Negli ultimi giorni, furono letteralmente assiepati i tribunali di penitenza di parecehi Sacerdoti ; e nel mattino della chiusura la Comunione generale fu numerosa, divota, solenne. Laonde genitori e padroni benedicevano al provvido pensiero di quegli Esercizi, e facevano voti che si tenessero ogni anno. Oggidì questa utilissima pratica si prosegue per l'opera e per lo zelo di una pia Società Cattolica di Torino, specialmente nell'occasione della Pasqua. Lode ai benemeriti socii ; il meritato applauso ai veri amici della Gioventù.

Intanto le riferite cose facevano prendere il nostro Oratorio in vie maggiore considerazione. In Torino molto se ne parlava, e, dimenticate le prime apprensioni già concepite dal Vicario della città e dalla Ragioneria, tutti lo stimavano e ne dicevano bene. Ognuno dai fatti lo giudicava mezzo opportunissimo per allontanare dalla porta della prigione tanti poveri giovani, rendendoli in quella vece buoni cristiani ed onesti cittadini; ché i buoni risultati erano a tutti palesi e negar non si potevano. Dalla pubblica voce, da private relazioni e poscia da un voto del Senato, lo stesso Governo fu indotto ad interessarsi di noi. In quel tempo persona benevola , che non sappiamo chi fosse, all'insaputa di D. Bosco, ma a nome suo, inoltrò per mezzo dell'Alta Camera una petizione al Pubblico Ministero per un sussidio a nostro vantaggio. Il Senato prima di prendere una deliberazione, e raccomandare la cosa al Governo, volle attingere le più minute informazioni. Per la qual cosa nominò un'apposita Commissione coll' incarico di farci una visita, informarsi e poi riferire. L' onorevole Commissione era composta di tre Senatori , che furono il conte Federigo Sclopis (1) , il marchese Ignazio Pallavicini , e il conte Luigi di Collegno.

Pertanto ad esecuzione dell' alto incarico i tre nobili Signori si portarono al nostro Oratorio in Valdocco nel pomeriggio di una festa. Erano circa le ore due, e più di 500 ragazzi, nel bollore di loro ricreazione , occupati quali in uno, quali in altro trastullo, porgevano di sé all'attento osservatore il più gradito spettacolo. Al mirar si gran turba di giovani insieme raccolti, gli uni a correre, gli altri a saltare, questi a fare di ginnastica, quegli a camminare sulle stampelle, assistiti qua e colà da varii Sacerdoti e laici, quei Signori ne rimasero. Dopo alcuni istanti il conte Sclopis esclamò : - Che bello spettacolo ? - Bello davvero, rispose il marchese Pallavicini - Fortunata Torino, aggiunse il conte di Collegno, fortunata Torino se nel suo seno sorgessero parecchi di questi istituti - Allora i nostri occhi, riprese lo Sclopis, non sarebbero così sovente offesi dall'ingrato aspetto di tanta misera gioventù, che nei giorni festivi scorrazza nelle vie e nelle piazze, crescendo nella ignoranza e nel mal costume. Don Bosco, che si trovava in un circolo di giovani, veduto quei tre Signori, che punto non conosceva, loro si avvicinò. Fatti i primi convenevoli, ebbe luogo un dialogo, che coll' aiuto l'uno dell' altro abbiamo potuto ricordare almeno nella sua sostanza.

Sclopis. - Stavamo osservando con istupore lo spettacolo di tanti giovani insieme raccolti in lieti trastulli, spettacolo che ci sembra più unico che raro. Sappiamo che anima di tutto questo è il Sacerdote Bosco. Vorrebbe favorire la S. V. di presentarci a lui?

D. Bosco. - Le Signorie Loro gli sono appunto presenti; il povero D. Bosco sono io.

Scl. - Godo assai di fare oggi sua personale conoscenza ; chè per fama D. Bosco già mi era noto da lungo.

D. B. - Debbo la mia fama non ai meriti miei, ma piuttosto alla lingua dei miei giovanetti.

Pallavicini. - Sono questi, giudici assai competenti e affatto veridici, giacchè ex ore infantium, come dice il profeta, perfecisti laudem.

Sci. - La notizia di quest'opera sua è testè salita alla Camera del Senato, e l'Alto Consesso c'incaricò di raccogliere esatte informazioni, onde riferire in proposito. Io sono il conte Sclopis ; questi è il marchese Pallavicini; quegli è il conte di Collegno.

D. B. - Questo povero istituto ebbe fin qui ben molte e care visite ; ma questa sarà certamente annoverata tra le più preziose. Le SS. LL. domandino pure quanto occorre, che sarò lieto di soddisfarli in quanto so e posso.

Sci. - Qual'è lo scopo di quest'opera sua ?

D. B. - Lo scopo si è di raccogliere nei giorni festivi il maggior numero di giovani, i quali o perché trascurati dai parenti od abbandonati, o perchè forestieri, in luogo di recarsi alle sacre funzioni e al Catechismo, andrebbero girovagando e giuocando per la città, facendo i monelli. Qui invece attirati dall'amore dei trastulli, non che da regalucci e da belle maniere , sono trattenuti in lieta ricreazione sotto gli occhi di varii assistenti. Intanto nel mattino vi hanno comodità di accostarsi ai santi Sacramenti, ascoltano messa e un breve sermone loro adattato. Nel pomeriggio poi, dopo alcune ore di onesto divertimento, si raccolgono in Cappella pel Catechismo, pel canto dei Vespri, per l'istruzione e Benedizione. In poche parole : Lo scopo si è di radunare i giovani per farli onesti cittadini col renderli buoni cristiani.

Pall. - Fine nobilissimo. Egli sarebbe desiderabile che siffatti istituti si moltiplicassero in questa città.

D. B. - La Dio mercé l'anno 1847 uno consimile ne venne aperto presso la villa reale, il Valentino, e un terzo fu inaugurato poc'anzi nel borgo di Vanchiglia.

Collegno. - Benissimo ! Benissimo !

Scl. - Qual è il numero approssimativo dei giovani che frequentano questo luogo?

D. B. - Sono generalmente per ogni festa un 500, e spesso di più. Quasi altrettanti si annoverano in ciascuno degli altri.

Coli. - In media sono adunque circa 1500 giovani abitanti in questa città, raccolti da provvida mano, e per mezzo della Religione, indirizzati sulla via della moralità e dell'onore. E un grande beneficio per questa metropoli ; è un grande sostegno pel nostro Governo.

Pali. - Da quando cominciò Ella questa sua instituzione ?

D. B. - Cominciai a raccogliere alcuni ragazzi più rozzi e bisognosi di una cura speciale sin dal 1841 ; e vi fui spinto dallo esperimentare che molti, sebbene un po' discoli, non erano malvagi, ma che lasciati a se stessi si davano facilmente a tristissima vita, e riuscivano alla prigione.

Sci. - L'opera sua è veramente filantropica, e di una grande importanza sociale. Sono opere siffatte, che il Governo deve promuovere e sostenere. E per suo conforto Le dico che l'Intendenza e tutta la Famiglia Reale apprezzano quest'opera e le daranno il loro appoggio.

Coli. - Quali mezzi adopera la S. V. per moralizzare e tenere in ordine si grande moltitudine di giovani?

D. B. - L'istruzione, ed una carità dolce, paziente e longanime sono gli unici mezzi. Qui l'amore prevale al bastone; anzi regna da solo.

Pali. - Avremmo bisogno che questo metodo venisse adottato in tanti altri istituti, e specialmente nei penitenziarii. In questo caso non occorrerebbero più tante guardie e gendarmi ; e quello che val meglio si formerebbe alla virtù il cuore di tanti rinchiusi, che dopo anni ed anni di punizione n'escono peggiori di prima.

Sci. - Questi ragazzi sono essi tutti di questa città ?

D. B. - No, signor Conte; ma varii sono delle parti di Biella, Vercelli, Novara e di altre provincie del Regno ; alcuni sono di Milano e di Como e fin della Svizzera. Venuti in questa capitale per cercare lavoro, essi, perchè lontani dagli sguardi dei loro parenti, sarebbero esposti ad evidente pericolo di riuscire cattivi cristiani.

Scl. - Aggiunga pure : E malvagi cittadini, e   non tarderebbero a dare molto da fare alla polizia ed allo stesso Governo.

Qui il Conte si fece ad interrogare un giovanetto in sui 12 anni, che gli stava da presso -

E tu come ti chiami? - Mi chiamo Giuseppe Vanzino - Di che paese sei? - Di Varese - Che mestiere fai? - Lo scalpellino - Hai ancora i tuoi genitori? - Mio padre è morto - E tua madre?

A questa domanda il buon ragazzo abbassò gli occhi, chinò la fronte, e fecesi vergognoso e muto. - Dimmi, replicò lo Sclopis, hai ancora tua madre? E forse morta ancor essa? Parla, mio caro.

Allora il poveretto con voce stentata e commossa rispose: - Mia madre è in prigione.

Ciò detto, diede in un pianto dirotto. A questa vista, il Conte, i suoi compagni e D. Bosco furono inteneriti, ed una furtiva lagrima comparve sul loro ciglio. Dopo un istante di silenzio, il buon Signore riprese il discorso e disse: - Povero figlio : mi fai compassione ; ma stassera dove andrai a dormire ! - Finora dormiva in casa del mio padrone, rispose egli asciugandosi gli occhi; ma oggi D. Bosco mi promise di prendermi presso di sè, e annoverarmi tra i suoi ricoverati - Come? domandò qui lo Sclopis rivolto a D. Bosco ; oltre all' Oratorio festivo, Ella tiene aperto eziandio un'Ospizio di beneficenza ?

D. B. - Così volle il bisogno ; e presentemente ne albergo una trentina, la maggior parte poveri orfanelli, o giovanetti dei più abbandonati_ Essi mangiano e dormono in questa casetta, e vanno a lavorare in città, quali in una e quali in un'altra bottega.

Pall. - Sono questi i miracoli della carità cattolica.

Coll. - Ma dove attinge ella i mezzi per sostenere cotale Ricovero ? Imperocchè trenta bocche giovanili consumano pane assai.

D. B. - Il provvedere il vitto e vestito a questi miei cari ragazzi è certamente un compito alquanto difficile , e che talora mi dà non poco a studiare ; imperocchè la maggior parte di essi non guadagnano ancor nulla, ed alcuni fanno un si scarso guadagno, che non basta a calzarli e vestirli. Ma ad onore del vero debbo dire che fin qui la divina Provvidenza non mi venne ancor meno ; anzi ho tanta fiducia che Dio mi sarà ancor largo dei suoi favori, che desidero di avere un più vasto locale per accrescere il numero dei miei ricoverati.

Scl. - Si potrebbe visitare l'interno della casa ?

D. B. - Purché vogliano degnarsi ; la casa è tanto meschina, che temo ne sarà offeso il loro sguardo.

Giusta il loro desiderio, D. Bosco li accompagnò nel dormitorio a pian terreno, a cui si entrava per un uscio molto basso. Il Senatore Sclopis, che vi entrò pel primo , nel passarvi urtò col cappello, che rovesciato gli sarebbe caduto per terra, se il Pallavicini, a cui batté sul naso, non glielo avesse trattenuto di dietro. L' egregio Conte sorridendo disse : - Nelle sale del Re questo non mi accadde mai. - E il Marchese a sua volta soggiunse: - E a me non cadde mai un cappello sul naso.

Visitato quel sito, i tre Senatori vennero menati in cucina. La buona mamma Margherita si stava in quel momento assestando i piatti e le pentole - Ecco mia madre, disse D. Bosco ; ecco pure la madre dei nostri orfanelli.

Scl. - Da quanto pare voi fate anche la cuciniera, non è vero, madre?

Margh. - Per guadagnare il Paradiso facciamo un po' di tutto.

Scl. - Quali pietanze date ai giovanetti?

Margh. - Pane e minestra e minestra e pane.

Sci. -- E quante al vostro D. Bosco?

Margh. - Sono presto contate; una sola.

Scl. -- E un po' troppo poco una sola ; ma almeno gliela farete molto buona.

Margh. -- Buonissima ! S'immagini che egli mangia sempre la stessa mattino e sera dalla domenica sino al giovedì.

A queste parole quei tre Signori risero della miglior voglia.

Scl. - E perché sino al giovedì, e non da una domenica all'altra?

Margh. - Perché pel venerdì e sabato, giorni di vigilia, ne fo una di magro.

Scl. - Ho capito. Si vede che voi siete una cuciniera molto economica. Credo per altro che ai tempi nostri il vostro metodo di cucinare non farà molto progresso nel mondo.

Pall. - Non avete niuno a porgervi la mano ?

Margh. - Gli altri giorni ho bensì un buon aiutante ; ma oggi egli ha molto da fare, e mi lasciò sola.

Pall. - E chi é dunque il vostro garzone di cucina ?

Margh. - Eccolo, disse sorridendo e additando D. Bosco.

Scl. - Mi rallegro con Lei, sig. Don Bosco. Non aveva dubbio veruno che Lei fosse un buon educatore della gioventù ed anche un abile scrittore ; ma ancora ignorava che se ne intendesse pure di gastronomia.

D. B. - Vorrei che Ella mi vedesse all' atto pratico, e allora soprattutto quando fo la polenta.

Tutti si misero a ridere, e salutata la buona donna uscirono di cucina.

Intanto essendo ormai tempo di terminare la ricreazione, D. Bosco ne fe' dare il segno, e i tre Signori si ebbero una nuova sorpresa. Questa si fu il pronto cessare di tanti giovani da ogni giuoco e trastullo, e il loro disporsi nelle rispettive classi per recarsi in ordine in Chiesa.

I Senatori visitarono poscia le singole classi di Catechismo ; indi assistettero al canto del Vespro e alla istruzione, e ricevettero con noi la Benedizione col SS. Sacramento, edificandoci tutti col loro divoto contegno. Usciti di Cappella eglino si compiacquero d'intrattenersi ancora un poco nel cortile tra i giovani, interrogando or questo or quell'altro. - Che mestiere fai tu? domandò il Conte Sclopis ad uno di essi - Fo il calzolaio -- Sapresti dirmi che differenza vi passa tra il calzolaio e il ciabattino? - Il ciabattino, rispose il garzoncello abbastanza istruito, è colui che cuce e rattaccona le ciabatte o le scarpe rotte ; il calzolaio invece è quegli che le fa nuove. Per es. queste sue belle scarpe o stivali sono fatti dal calzolaio. -Bravo, disse il Conte, mi hai risposto da maestro.

D. B. - Egli è difatto molto assiduo alla nostra scuola serale.

Pall. - Hanno qui luogo anche le scuole serali ?

D. B. - Si, per servirla. Le abbiamo incominciate fin dall' anno 1844 a vantaggio di quei giovani, i quali, o perché tutto il giorno occupati nei proprii lavori, o perché già troppo inoltrati in età, non possono frequentare le scuole comunali. Da qui ad un'ora esse incominciano in quelle camere attigue.

Pall. - Quale insegnamento abbracciano esse

D. B. - I primi elementi di lettura e scrittura, la grammatica, la Storia Sacra e la storia patria, la geografia, l'aritmetica e il sistema metrico. Vi ha pure una classe per quelli, che imparano il disegno e la lingua francese ; né vi mancano lezioni di musica vocale e istrumentale.

Pall. - E chi le presta la mano?

D. B. - Quegli ecclesiastici e laici, che io chiamo miei cooperatori. Quei caritatevoli mi aiutano, non in questo solo, ma in più altri bisogni. Tra l'altro essi s'impegnano nel trovare onesti padroni ai giovani che rimangono disimpiegati, e nel provvedere di camicie, di calzatura e di decente vestito coloro di essi, che altrimenti non potrebbero più recarsi al lavoro.

Coll. - Bravi ! Sono questi i benefattori dell'umanità, i benemeriti della patria.

Scl. - Signor D. Bosco , conchiuse allora il Conte Sclopis, Capo della Commissione, io non sono uso all'adulazione; ma con tutta la schiettezza del cuore Le confesso, anche a nome dei miei colleghi, che noi partiamo di qui altamente soddisfatti, e come Cattolici e come cittadini e Senatori del Regno applaudiamo all' opera sua, e facciamo voti che prosperi e si diffonda.

Prima di partire il conte Sclopis trasse fuori una limosina e la diede a D. Bosco pei suoi giovanetti più bisognosi. Tutti e tre poi da quel giorno divennero nostri insigni benefattori.

Diremo in altro numero la relazione fatta in Senato intorno a questa importante visita.

(1) Qui ci ricorda di un episodio che ci fa ridere ancora adesso. Uno degli attori, il giovane Giacinto Arnaud, faceva la parte spettante le antiche misure di capacità, e compariva sul palco colla brenta sulle spalle. -Deposto il suo arnese, e standovi appoggiato, egli doveva in un certo punto fare al suo interlocutore questa domanda : Quanto è grande il litro ? Ma non venendogli tosto sulle labbra queste parole, nè tenendo egli la dovuta posizione, il suggeritore a bassa voce gliele ricordò, e ad un tempo stesso lo ammonì dell'atteggiamento che doveva tenere, dicendogli : Sta appoggiato alla brenta. Allora il buon giovane, forse un po' confuso, non badò più che tanto al senso del suo discorso e gridò : Oh! quanto è grande il litro! sta appoggiato alla brenta. A questa usata, uno scoppio di riso risuonò per tutta la platea ; il suggeritore non ne poteva più ; il compagno di recita si faceva sforzi erculei per tenere la serietà, e dovettero passare alcuni minuti prima che si potesse riprendere la scena.

(1) L'Orario era questo : Giorni feriali. Mattino : Ore 5 1/2 la s. Messa; ore 6, Veni Creator, Meditazione, Miserere ; ore 12, Messa, canto della Lode : Perdon, caro Gesù. Dialogo.-Sera : ore 7, Istruzione, Lode: Noi siam figli di Maria; ore 8, Veni Creator, Meditazione, Litame della Beata Vergine, e Benedizione col SS. Sacramento. Giorni festivi. Mattino : tutto come nei giorni feriali. - Sera, ore 5, Istruzione, Lode : Noi siam figli di Maria ; ore 6, Veni Creator, Meditazione, Litanie e Benedizione come nei giorni feriali.

(1) Dicendo il Conte Federigo Sclopis, intendiamo dire uno dei più illustri Patrizi piemontesi, il Magistrato integerrimo, il fido Consigliere della Corona, il Presidente del Senato, l'Arbitro di pace tra le due maggiori potenze marittime, l'Inghilterra e gli Stati Uniti, nella intricata questione della nave Alabama ; uomo insomma di fama mondiale, e di sentimenti religiosi e cattolici. Mentre il suo nome correva onorato ed applaudito nei due emisferi, mentre giungevangli felicitazioni da ogni paese, telegrammi da ogni gente, per la felice riuscita di questo affare, è pur bello il vedere l'eminente personaggio attribuirne il buon esito al Padre dei lumi, e il 17 di Settembre 1872, scrivere nel libro dei suoi ricordi tra le altre queste parole: « Torniamo da Ginevra dopo aver provato tutte le vostre benedizioni, o Signore... Un profondo intensissimo obbligo di gratitudine mi stringe a voi, mio Dio. » Vedi Carattere e Religiosità del Conte Federigo Sclopis , aureo opuscoletto vergato dalla egregia penna di un altro cospicuo Patrizio Torinese, il barone Antonio Manno, Torino 1880.

D. GAUDENZIO

III.

Studi di latinità - D. Pietro - Scelta dello stato - Difficoltà di famiglia.

Il nostro buon Matteo ha intanto cominciato gli studii, chiamati ora secondarii, ma in quei giorni detti puramente di latinità. La medesima cura da parte della madre fece si, che fosse scelto un buon maestro, che venisse a fargli la scuola in casa, e poi un saggio e ben regolato convitto. Non è a dirsi, con quanta pena ella se lo vide partire dal fianco, e quanti furono i santi consigli, che gli diede prima di allontanarselo. Anche il buon figlio era commosso quel di, che dovette salutare il padre e la madre , e raccogliersi in Collegio, per poter continuare gli studi. Promise a' suoi, che sarebbe stato fedele a' loro ammaestramenti, e che lontano di corpo, sarebbe pur sempre stato vicino con lo spirito. Volle la loro benedizione, e per la prima volta diede all'anima de' suoi una profonda ferita. Sapevano però il signor Anselmo e la pia Nannina che affidavano il loro tesoro in buone mani.

D. Pietro... era veramente degno di succedere alla educazione paterna di questo caro fanciullo. Dopo aver fatto scuola molti anni in città, si era ritirato nella sua patria , e qui, per non lasciar in ozio i rari talenti, che Dio gli aveva dati, raccoglieva alcuni figliuoli del popolo, che davano speranza di consacrarsi a Dio, ed a loro apriva i tesori della virtù e della scienza. Parecchi erano già usciti da quella scuola, e formavano il decoro del santuario, e parecchi vi accorrevano da varie parti, attirati dalla bella fama, che godeva l'uutile sacerdote. Come rimase lieto il suo cuore, quando gli fu proposto il bravo Matteo ! Ne aveva udito a parlare con particolare elogio da varie persone, e nell' animo suo, augurò a se stesso la fortuna di riceverlo un giorno nel bel numero dei suoi allievi. Perciò, quando i parenti di Matteo lo pregarono di volerlo ritirare con sé, egli si arrese ben volentieri; anzi ne ringraziò la Provvidenza, come di uno speciale favore che faceva a sè ed alla sua scuola.

Ai tre di novembre dell'anno 18..., accompagnato dalla savia sua madre , arrivava il nostro Matteo nella piccola terra di.... per continuare il suo corso di studi. Salutò con rispetto il nuovo suo maestro; ed alla vista di quella fronte serena e calma, circondata da una bella capigliatura bianchissima, che le formava come un'aureola di maggior maestà, egli si sentì subito il cuore pieno di venerazione per lui. Volle baciargli la mano, e mentre la madre sua gli parlava di lui e per lui, egli lo veniva squadrando da capo a' piedi, e notava quanto bene avrebbe ricavato da quella vera fontana di virtù e di sapere. Nel separarsi dalla madre fu commosso fino alle lacrime, e poi assicurandola che non l'avrebbe mai dimenticata nelle sue preghiere, le diede e ne ricevette il doloroso commiato. Fu una scena pietosa quella, che cavò le lacrime anche a D. Pietro, rimasto testimone, e che cercava di consolare il cuore afflitto della madre per quella separazione. Dato così sfogo al suo dolore, e rimasto solo col suo maestro, il buon Matteo, rivolto a lui, così prese a parlargli.

- Caro maestro, io mi metto nelle sue mani, e gli affido quanto ho di più caro, tutto me stesso.

A queste affettuose parole, accompagnate con una espressione ancora più affettuosa , D. Pietro si sentì intenerito, e lo assicurò che lo avrebbe avuto carissimo, e fin di quella prima sera considerato come un caro figliuolo. In corso di tempo a lui volle affidare i segreti della sua coscienza, a lui i suoi pensieri, a lui tutta l'anima sua.

D. Pietro accorgendosi fin dal principio qual tesoro di scolaro aveva in Matteo, si diede premurosa cura per coltivarlo con tutta sollecitudine. Nulla dimenticava di quanto gli poteva essere utile, ed aveva la dolce consolazione di vederselo con inappuntabile esattezza eseguire non che i precetti, ma i medesimi consigli. Anche i compagni lo riconoscevano quale loro guida, e gli prestavano amorevole accondiscendenza.

A quest'amabile scuola furono bellissimi i frutti, che ricavò il piccolo Matteo, che col crescere degli anni, cresceva pure in sapienza ed in virtù, davanti a Dio ed agli uomini. Siccome poi alla domenica da D. Pietro si radunavano molti altri fanciulli del contado, a cui egli insegnava i primi rudimenti del catechismo, così Matteo di buon grado si adoperava coi più piccoli, per insegnar loro a fare il segno della santa croce, per dire qualche preghiera, mentre il maestro si tratteneva cogli adulti. Il giorno del Signore era il pizi bel di della settimana pel suo cuore, e lo attendeva con ansietà e viva compiacenza. Dio poi consolava il buon sacerdote col fargli crescere d'attorno i figli del popolo, e col vederli venire su savii e morigerati. Oh come ne gioiva il suo cuore! Più volte era udito ad esclamare : se potessi tornare più giovane, ecco l'impresa a cui vorrei dedicare tutta la mia vita, tutte le mie sollecitudini, catechizzare i poveri! Diceva queste parole con tanta espressione, che i suoi giovani allievi ne restavano inteneriti.

Intanto il tempo passava, e con esso veniva l'ora in cui Matteo doveva deliberare stilla sua vocazione. Soventi volte questo pensiero lo aveva preoccupato e lo aveva reso incerto, premuroso, più divoto, e quasi che nol dissi, quasi sgomentato. Il suo buon padre gli aveva fatto sapere, che lo avrebbe desiderato medico ; la madre invece, avvocato, come un suo fratello, che si era reso celebre in più cause, e rendeva più servigi all'umile paesello, anche stando nella capitale. - Se mio figlio, diceva la pia signora, si dedicherà alla difesa de' clienti, quanto bene potrà fare ! E come meglio potrebbe capitargli, che sotto alla scuola di si abile maestro?

Ed ora anche precorrendo colla materna fantasia le cose e gli anni, ella s'immaginava già di vedere il suo Matteo correre ben avanti nella carriera de' suoi studi.

E veramente il suo orgoglio naturale, e non inconsiderato, le dava ragione di credere molto bene, ed avanzare i suoi giudizi sull'avvenire pieno di rose e di onori pel suo figliuolo. Di fatto ogni volta che D. Pietro le aveva a scrivere, non finiva mai di lodarne l'ingegno, la memoria, lo studio e le virtù. E come la s. Scrittura ci dice, che non v'è ferita più dolorosa al cuore di una madre, che un figlio ignorante, così nulla doveva tanto consolare lo spirito della signora Nannina, quanto queste continue notizie belle e piene di elogi.

Era negli ultimi dì del mese di giugno del 18... quando la madre di Matteo riceveva dalla posta la lettera seguente

CARA MAMMA IN CRISTO CARISSIMA,

Questa volta scrivo a voi sola, e con preghiera di leggermi con carità particolare ed affezione sino alla fine. Sono omai arrivato al tempo, in cui devo decidermi sulla scelta dello stato. Voi mi avete detto tante volte le vostre idee ; papà volle manifestarmi anche le sue... e che direste se io pure vi manifesterò le mie? Finalmente si tratta di me, in persona prima, e voi non dovrete stupirvi, che io mi rivolga a voi, e vi parli col cuore alla mano, e vi esprima tutta intiera la mia volontà. Comincierò dal dirvi, che ho nessuna voglia, anzi mi sento tutto contrario alla carriera che mi addita papà, specialmente per il mio povero cuore, che non mi potrebbe reggere ad avvicinare tanti miseri e disgraziati mortali, che avrebbero bisogno dell'opera mia. Non potrei malgrado ogni sforzo dell'animo mio. Dunque, voi direte con aria di trionfo, dunque ti farai avvocato ! Il mio buon maestro, ad ogni mia improvvisata un po' calorosa, è solito dire queste parole, adagio a' ~'passi! notandomi, che son parole di un valoroso uomo de' tempi passati, e che significano: adagio, fanciullo mio, non correre tanto in fretta. E mi vorreste rimproverare se io rivolgessi a voi medesima questa raccomandazione ? Sentitemi adunque con tutta la calma che vi è possibile, e siatemi voi medesima fedele interprete e difensore presso ad altri. Io quando vi udiva a dirmi; tu seguiterai tuo zio, mio fratello, e salirai in alto più ancora di lui, io meditava se veramente aveva questa propensione, e se la vita dello zio s'affaceva coll'indole mia, quieta anzi che no e raccolta. Sentiva che voi mi avevate educato a ben altra scuola ; e diceva, avvocato sì, ma avvocato del Signore. Sarò presso Dio avvocato di tanta povera gente, che reclama difesa ed appoggio, e che raramente ne trova in questa povera terra. Sarò avvocato dei poveri peccatori ! M'avete dunque inteso ? Se il Signore mi aiuta ; se Lui pose in me questa semenza buona della vocazione, io sarò a suo tempo un vero avvocato, per guadagnare non danari e beni su questo mondo, ma tante anime redente e comprate dal sangue prezioso del Signore. Sì, io sarò avvocato de' vivi e de' morti, ed impiegherò la mia vita alla loro salute presso il tribunale celeste. Come vi ho detto più sopra, io ho meditato, ho pregato ed ho fatto 'pregare, perchè il Signore mi illuminasse in questa dolorosa occasione, mi facesse conoscere bene la via, per fare in tutto la sua volontà ; e fissa, come l'ombra, che seguita il corpo, mi sentiva la voce, che mi assicurava che Dio mi voleva per quello stato. Nel giorno poi di s. Luigi, sacro a questo eroe, modello della gioventù cristiana, ho raccomandato a Lui la causa dell'anima mia ; a Lui che dovette lottare per ottenere l'assenso de' suoi, per rendersi religioso. Lo vorreste credere ? Non ebbi più forte conferma come in questo di ! Allora mi decisi, ancor prostrato al suo altare, di trattare della mia deliberazione, e di aver voi per appoggio presso il padre, per ottenerne la licenza. Mi vorreste forse abbandonare? E proprio Dio, cara madre, che mi chiama; non è leggerezza giovanile, non è vanità, non è altro sentimento, che mi vi spinge, che il desiderio di servir Dio. Vorreste voi opporvi? Crederei far torto alla vostra pietà, se solamente io lo potessi sospettare. Io confido che voi parlerete al papà, e che egli, a' vostri validi conforti, mi renderà felice, col lasciarmi libero a seguire le mie intenzioni, che sono, mi giova sperare, proprio quelle di Dio. Datemi la vostra benedizione, mentre mi protesto

Vostro aff.mo figlio MATTEO.

Questa lettera, vedete stranezza del caso ! mise la desolazione in quella ottima famiglia. La signora Nannina, a differenza di altre buone madri, che ben volentieri vedrebbero i loro figli avviarsi per la strada del santuario, restò in sulle prime stordita, e poi diede in amare lacrime. Invece di intercedere presso il padre il consenso , come ne la pregava Matteo, ne fu per l'opposto la più fiera avversaria. Scrisse al figlio lettere di fuoco per distornarlo da quella, come ella diceva, sconsiderata risoluzione, e non contenta ancora, ella stessa venne da D. Pietro, per pregarlo ad aiutarla in quella penosa impresa. Il buon servo di Dio ebbe un bel dirle che s'acquietasse, che lasciasse la libertà al figlio, che non si opponesse alla formale volontà del Signore; ma la signora non riconosceva più ragione alcuna. Pareva avesse cambiata natura, solo perchè suo figlio voleva rendersi religioso. Lo tolse con mal garbo dal pio sacerdote, che temeva fosse stato il cattivo consigliere , e si ricondusse in casa Matteo, coll'unico proposito di togliere dal capo di suo figlio quell'utopia, come si esprimeva nel suo dolore, che gli aveva messa la troppo pietà del maestro. Ritornato in seno alla famiglia il buon Matteo vide come tutto era mutato a suo riguardo. Non più sorriso di madre affettuosa, non più allegria, non più quella santa armonia e pietà, che tanto gli piaceva e gli andava al cuore; ma sospettosi per lui e fino il papà e la mamma sgarbati, ed alcune volte anche maligni. Ricordava allora nella sua disgrazia i bei giorni della infanzia e della prima età, ricordava i sorrisi di tutta la casa, ricordava quante cure gli mettevano d'attorno i suoi, ricordava come la madre gli ripeteva il detto memorabile di Bianca di Castiglia : Se avessi a vederti macchiato di u . solo peccato, vorrei che Dio prima ti prendesse con sé... Pensando a quelle care e soavi memorie, si sentiva il cuore trafitto da mille dolori per il presente suo stato. Piangeva, e pregava il buon Dio , che gli venisse in aiuto in quella tribolazione. Più d'una volta col cuore trambasciato ebbe ad esclamare

O mie speranze convertite in fumo!

NOTIZIE RELIGIOSE E VARIE.

La Regina d'Inghilterra - I fogli d'Inghilterra scrivono che la Regina Vittoria onorò di una sua visita i Padri Gesuiti di Rochampton, la cui casa è attigua al parco della sua residenza. L'augusta Sovrana domandò al Padre Superiore di presentargli i novizi giunti dalla Francia, ed essa li accolse in modo gentilissimo, informandosi dei loro bisogni, e invitandoli a ricorrere ad essa in tutti i loro bisogni durante il loro esiglio.

Una traduzione della Bibbia denunziata da un protestante - L' Indo-European riferisce che il missionario protestante Nehemiah Gorey fa severi commenti sulla perversione ributtante del senso scritturale, che s'incontra nelle ultime traduzioni della Bibbia nella lingua India. Il suddetto missionario fa osservare che i traduttori protestanti hanno fatto violenza al sacro testo unicamente per trovare nella versione una conferma alle loro dottrine particolari. Ma l' accusa che questo protestante muove a detta traduzione la meritano tutte le altre versioni fatte dagli eretici, non escluse quelle che essi spargono nella nostra Italia.

Conversioni al Cattolicismo - Nella Persia, non ostante i grandi bisogni dei Cattolici per le recenti carestie, molti eretici vengono in massa alla Chiesa Cattolica. Molte conversioni si contano pure nella Chiesa greco-scismatica nell'impero Turco.

SECRETO PER VIVERE FELICE.

Un vecchio ottuagenario, quantunque travagliato da gravi sventure, non aveva mai perduto la pace e la tranquillità dell' anima sua. Interrogato da un suo amico, qual era il segreto che lo rendeva contento in mezzo a tante cagioni di tristezza, rispose : Quando la sventura mi coglie, levo alto lo sguardo al cielo e dico : Ah ! che le pene di questa terra sono ben poca cosa a paragone della gloria, che lassù mi sta apparecchiata ! Poi giro gli occhi attorno e dico : Oh ! quanti vi sono al mondo più miseri di me ! Questo è il segreto della mia felicità.

AUGURII.

Don Bosco con tutti i suoi giovanetti augura di vivo cuore buone feste Natalizie e buon fine e capo d'anno ai benemeriti Cooperatori e Cooperatrici, pregando Dio che loro conceda buona salute ed il prezioso dono della perseveranza nel bene.

INDULGENZE SPECIALI pei Cooperatori Salesiani.

Ogni Cooperatore può acquistare Indulgenza plenaria una volta al giorno, da applicarsi alle anime del Purgatorio, recitando la terza parte del Rosario di Maria Vergine avanti al SS. Sacramento, e non potendo avanti al divin Sacramento, recitandola innanzi al Crocefisso.

Indulgenza plenaria ogni volta che si accosta alla santa Comunione.

Può altresì lucrare moltissime Indulgenze plenarie nel corso del giorno mediante la recita di sei Pater, Ave e Gloria, secondo la mente del Sommo Pontefice. E queste indulgenze applicabili alle anime purganti, le può acquistare toties quoties, ossia tutte le volte che recita i suddetti Pater, Ave e Gloria in qualunque luogo senza bisogno di Confessione e Comunione, purchè sia in grazia di Dio.

Oltre a queste, un'altra Plenaria ne può guadagnare ogni domenica, e nei giorni qui sotto notati, purchè confessato negli otto giorni, e comunicato visiti una qualche chiesa, pregandovi secondo l'intenzione del Sommo Pontefice.

Mese di Gennaio.

I. Circoncisione di N. S. G. C.

6. Epifania.

16. Festa del SS. Nome di Gesù. 18. Cattedra di S. Pietro in Roma. 23. Sposalizio della Beata Vergine. 25. Conversione di s. Paolo. 29. S. Francesco di Sales.

In questo giorno l'indulgenza plenaria si può lucrare da tutti i fedeli cristiani, purché confessati e comunicati visitino una Chiesa o pubblico Oratorio della Congregazione Salesiana.

Con permesso dell'Aut. Eccl. - FERRARI GIUSEPPE gerente respons.

Tip. di San Vincenzo de' Paoli. Sampierdarena 1880.