BS 1880s|1884|Bollettino Salesiano Marzo 1884

ANNO VIII. N. 3.   Esce una volta al mese.   MARZO 1884

BOLLETTINO SALESIANO

Direzione nell' Oratorio Salesiano. - Via Cottolengo. N. 32, TORINO

SOMMARIO - Le ultime volontà : ossia i testamenti - Conferenze Salesiane - Conferenza dei Cooperatori in Torino - Il Vaticano: Pastorale del Cardinale Alimonda - Storia dell' Oratorio di S. Francesco di Sales - L' Amazzonia - Morte del Cardinale Bilio - Elenco di Cooperatori e di Cooperatrici defunti nel 1983 - Annunzi.

LE ULTIME VOLONTÀ

ossia I TESTAMENTI

Vi sono delle pie e caritatevoli persone, le quali nei loro testamenti, chiamati eziandio le ultime volontà, lasciano tutto od in parte i proprii averi ad opere di culto o di beneficenza ; ma disgraziatamente moltissime volte, per causa dei loro superstiti parenti, queste sante intenzioni vanno fallite. Spesso i fratelli ed i nipoti, avvenuta la morte del testatore o della testatrice, fanno scomparire il testamento o lo contestano in tribunale, movendo lite a chi ne fu costituito erede contro il loro beneplacito, recando noie e spese gravissime. Costoro, spalleggiati da procuratori ed avvocati per lo più senza religione, e sostenuti da giudici e magistrati non sempre alieni da spirito di parte, riescono ben sovente nel loro intento, fanno annullare i testamenti, e revocano a sè le eredità contro la espressa volontà dei trapassati; quindi ora impediscono opere di religione, ora il suffragio delle anime, ora il sollievo dei poverelli ; e mentre fanno questo sfregio alla religione , apportano questo danno alle anime, ed usano questa crudeltà ai bisognosi, tirano ancora sopra di se stessi e sopra le proprie famiglie la maledizione di Dio.

Di siffatti soprusi furono già vittima molte opere di beneficenza, che troppo lungo sarebbe l' enumerare ; furono pur vittima le opere Salesiane, le nostre missioni della Patagonia, ed i poveri fanciulli, che la pubblica miseria manda ogni anno a più migliaia nelle nostre case, nei nostri ospizi di carità. Nel breve giro di pochi anni parecchi di questi fatti ebbero luogo a danno dei nostri orfanelli. Ne accenniamo uno di volo a comune ammaestramento.

Un Sacerdote di una città del Piemonte, disposti per testamento alcuni legati a pro dei parenti, lasciava il rimanente dei suoi beni a D. Bosco già suo compagno di scuola, ben sapendo che ne avrebbe usato non a vantaggio proprio , ma della povera gioventù , e a sostegno delle varie opere di religione e di carità, .che aveva intraprese nell'Europa e nell'America. Il pio testatore adoperava queste espressioni : - in tutto il resto della mia eredità , niente escluso ne riservato, chiamo e nomino a mio erede universale il Sacerdote D. Bosco residente in Torino fondatore ed Amministratore dell'Oratorio di S. Francesco di Sales, ed in sua mancanza chi ne farà le veci ed amministrerà il predetto Oratorio. -

Era dunque chiara la volontà del testatore, e così chiara che il tribunale di prima istanza , a cui alcuni parenti ricorsero per far annullare il testamento, diede una sentenza a noi intieramente favorevole. Eppure detti parenti, ricorrendo in appello e domandando rinvii ad ogni tratto , riuscirono ad incontrare dei giudici , i quali non solamente invalidarono la prima sentenza già emanata e il testamento medesimo, ma condannarono ancora D. Bosco alle spese del processo e al risarcimento dei danni , per non aver fin da principio rinunziato alla eredità, lasciatagli per soccorrere tante migliaia di poveri figli ! Questa sentenza fu da magistrati e da persone intelligenti ed oneste definita per una mostruosità e con ragione; ma intanto il fatto si è che l'ultima volontà del Sacerdote andò intieramente frustrata, e quei beni temporali, che egli aveva raccolti forse con molti sacrifizi, finirono nelle mani di quei parenti, a cui egli non intendeva di lasciarli, perchè o non ne abbisognavano, o per altri ragionevoli motivi.

Noi potremmo fare qui dei nomi e bollare come conviensi un fatto così disapprovevole; ma lasciamo questo cómpito ai nostri posteri, ai quali tramanderemo gli autentici atti di tali enormità, indegne di tempi civili.

Ora in vista di questi fatti, che potrebbero rinnovarsi a danno dei figli del popolo, noi pregati eziandio da molte persone benevole giudichiamo pregio dell'opera il dare qui tre avvertimenti, che sparsi largamente e praticati torneranno di certo in pro della religione, delle anime e dell'umanità.

1° Delle nostre sostanze , per quanto la prudenza il permette , facciamone uso a vantaggio delle opere di religione e di beneficenza , mentre siamo in vita , mentre abbiamo ancora i mezzi da fare eseguire le nostre volontà. Dopo morte non possiamo più comandare quaggiù, ed altri e fors'anche quei medesimi, che meno il dovrebbero, saranno i primi ad impedirne la esecuzione. - E poi del fatto nostro usando più presto in bene, noi procuriamo anche più presto del bene, impediamo più presto del male, salviamo più presto delle anime, gioviamo più presto alla religione ed alla civile società, allontaniamo più presto delle disgrazie corporali e spirituali, temporali ed eterne dal capo di molte persone, alle quali più tardi la carità nostra forse riuscirà inutile. - E non è da tacersi che , facendo dei nostri beni buon uso in, vita, noi acquistiamo eziandio maggior merito per la eternità ; ond'è massima dei Santi e delle persone savie che pel Cielo vale più il poco in vita, che non il molto in morte e per dopo morte. Fra gli altri S. Leonardo da Porto Maurizio soleva dire : Rischiara di più un lume davanti che non due di dietro. - Con ciò non s'intende già di dire che dobbiamo spogliarci di tutto da vivere poscia di limosina o stentatamente, no ; ma riserbandoci quel tanto, che ci può bastare per gli usi ordinarti della vita, è cosa prudente e cristiana il dispensare per Dio quello, che vorremmo lasciargli al più tardi possibile, affidandoci pel resto alle cure di sua Provvidenza , la quale è buona madre, ed ha infiniti mezzi per non lasciar soffrire coloro, che si adoprano per propagare la sua gloria e per sollevare le umane miserie.

2° Volendo dei nostri averi disporre a benefizio della religione e della umanità per testamento, fatto o di proprio pugno o per atto notarile , disponiamone mentre siamo in salute, e non aspettiamo nè la vecchiaia nè la malattia. Può accaderci una morte improvvisa; può altresì accadere che la malattia precipiti e c'impedisca di esprimere a dovere le ultime nostre volontà, o di munirle delle formalità richieste dalla legge. Questo è succeduto in Roma solamente nel mese di dicembre ad un impiegato al Consiglio di Stato. Senza moglie e senza famiglia egli veniva tutti gli anni a passare un mese di vacanza in qualcuna delle nostre case del Piemonte o della Liguria. L'anno scorso, ritornato al suo posto, fu colto da grave malattia, e, tra il timore e la speranza di guarire , si ridusse a fare testamento negli estremi di vita. Già era riuscìto a dettarlo per intero al notaio e a vantaggio di opere pie , ma quando si trattò di sottoscriverlo non gli fu più possibile, perchè sopraggiunta l'agonìa. Così contro il suo volere una sostanza di 70-mila lire non conseguì lo scopo, a cui egli la destinava.

3° Finalmente chi vuole per testamento soccorrere persone, che fondarono o sostengono opere pie non legalmente riconosciute, deve avvertire attentamente di non usare espressioni, che indichino queste opere medesime, le quali per la vigente legislazione non sono considerate come corpi morali e non possono succedere nè ereditare. Quindi getti l'occhio sopra qualcuna delle persone suddette, e nel testamento sia olografo sia pubblico non metta che il nome e cognome ed abitazione della persona, che egli vuole lasciar erede, e non faccia alcun cenno dell'opera pia (1). Allora sarà eseguita la sua volontà, senza che alcuno possa per tribunale invalidare quell'atto; ne avranno sollievo i poveri e vantaggio i figli del popolo , ne avrà il suo tornaconto lo stesso Governo , in quanto che dov' esso , per le ingenti spese di Stato, non può giungere a portare soccorso, giungerà a portarlo la carità e la generosità dei privati cittadini, promuovendo la pubblica moralità, il buon ordine sociale, ed il verace progresso.

(1) Se il testatore, di cui abbiamo parlato di sopra, dopo nominato D. Bosco non avesse aggiunte le altre espressioni : - Fondatore ed amministratore dell'Oratorio di S. Francesco di Sales; - od almeno avesse tralasciate queste ultime : e in sua mancanza chi ne farà le veci ed amministrerà l'Oratorio predetto, - la sfavorevole sentenza si sarebbe potuta evitare.

CONFERENZE SALESIANE.

Nello scorso mese molte relazioni ci pervennero intorno alle Conferenze dei Cooperatori e delle Cooperatrici , tenuto in varie città e paesi ad onore di S. Francesco di Sales. Dalle medesime apprendemmo con alta soddisfazione dell'animo lo incremento, che ne ricevette la gloria di Dio, l'onore del Santo Patrono , non che la pietà e la carità dei nostri Cooperatori e delle nostre Cooperatrici, cui desideriamo ogni bene di Dio , soprattutto il ricco tesoro della virtù e l' acquisto del Paradiso. Occupandoci troppo spazio il dire di tutte, daremo un cenno di alcune soltanto , conservando negli archivii memoria di ogni altra.

Conferenza a Padova.

Sin dal principio dell' anno alcune benemerite persone di Este e di Padova dimandarono con lodevole insistenza che si tenesse una pubblica Conferenza dei Cooperatori in questa illustre e dotta città, allo scopo di viemmeglio infervorarsi al bene in vantaggio di tanta gioventù povera ed abbandonata. Dal suo canto Sua Eccellenza Reverendissima Mons. Giuseppe Callegari veneratissimo Vescovo di Padova, interpellato in proposito, non solo diede il suo consenso, ma ebbe l'insigne bontà di favorire la pia radunanza coll'accettarne la presidenza , e col rivolgere ai convenuti fervide parole d'incoraggiamento. L'Adunanza fu tenuta nella chiesa di S. Francesco , e lo zelante Parroco si adoperò con vivo interesse, affinchè ogni cosa riuscisse egregiamente. Vi furono chiamati da Este i giovani musici del nostro Collegio Manfredini ; e D. Bosco non potendovisi recare in persona vi spedì da Torino un Sacerdote a rappresentarlo.

Di questa Conferenza possediamo parecchie relazioni, scritte con molto affetto e con benevole espressioni dal professore Soldà, dal professore D. Carlo Sartori , dal sig. D. Tullio Maria De - Agostini, e dalla sìgnora Maria Mainardi zelantissima Cooperatrice. Ma tutte queste relazioni hanno un grave difetto per noi, ed è quello di aver parlato troppo della persona di D. Bosco , motivo per cui non ci è permesso di pubblicarle. Giudichiamo invece di riprodurre il breve e più modesto ragguaglio, che ne troviamo pubblicato dail'egregio periodico bimensile La Sacra Famiglia di Trevi nell'Umbria, inviatogli da una persona di Padova, ed è il seguente:

« Correva il 20 Gennaio, giorno in quest'anno 1884 consacrato al SS. Nome di Gesù, quando, giusta le disposizioni dell' Autorità ecclesiastica , tenevasi nella parrocchia di S. Francesco in Padova la prima Conferenza dei Cooperatori Salesiani : Conferenza cui il veneratissimo Nostro vescovo onorava di sua presenza, in unione ad alcuni pii e zelanti Sacerdoti. Erano le due pom. e già un Sacerdote dava principio alla lettura d'un breve tratto della vita di S. Francesco di Sales, cui seguiva un graziosissimo mottetto cantato dai giovanetti del Collegio Manfredini di Este. Mancava D. Bosco, ma lo sostituiva un suo zelantissimo Sacerdote mandato a bella posta da Torino. Rivolgeva egli pel primo semplici , ma infuocate parole, esordendo coi ringraziamenti dovuti al Celeste Fattore, all' esimio Prelato, e ai promotori di siffatta Conferenza. Toccava di volo la persona di D. Bosco chiamandolo l'uomo della Provvidenza: accennava brevemente i principii della sua istituzione ed i suoi meravigliosi progressi ; parlava di tanti giovanetti strappati dalle zanne dell'infernale dragone, di tante donzelle tolte dalla via della corruzione ; e mano mano ch' ei s' inoltrava nel suo dire nominava i cento mila ragazzi, le 500 Monache di Maria Ausiliatrice, ed il gran numero di Case di educazione e di Chiese già fondate qui nella nostra Italia, nella Francia , nella Spagna , e perfino nella Patagonia. Terminava la sua esposizione col dire una parola intorno agli ultimi Missionarii partiti il p. p. Novembre, ed intorno all'Ospizio da costruirsi dappresso alla Chiesa del. S. Cuore di Gesù in Roma : Chiesa affidata dal Regnante Sommo Pontefice Leone XIII alle cure dei Salesiani.

» Allora prendeva la parola l'eloquentissimo e distinto nostro Vescovo, il quale fin da principio diceva che le parole del figlio intorno al padre erano ben poco di quanto si avrebbe potuto dire, di quell' uomo di Dio, che è D. Bosco. Lo chiamava anch' egli l' uomo della Provvidenza dicendolo tutto a tutti. Raccomandava la società dei Cooperatori Salesiani , avendo di mira quanto aveva addimostrato l' egregio oratore che cioè i Cooperatori non sono soltanto per le opere di Don Bosco, bensì pel bene della Chiesa universale, e più specialmente per le rispettive diocesi ; non essendo essi che tante braccia nelle mani del Vescovo e dei Parrochi. Preveniva un'obbiezione che qualcheduno gli avrebbe potuto fare cioè: Ci vengono tanto raccomandate le opere di D. Bosco , ma non ne abbiamo anche noi delle opere da completare e da fare ? e non dobbiamo attendere prima allo nostre opere? E rispondeva che aiutando le Opere di D. Bosco si viene a fare del bene a tutta la Chiesa ; poichè D. Bosco non si restringe alla sola Torino, bensì al bene di tutta la gioventù ed al restauramento dell'odierna società. E con quella facondia tutta sua chiudeva il dire , animando il clero ed il popolo ad ascriversi alla società dei Cooperatori Salesiani, dicendo che tale diffusione nella sua Diocesi la terrà come una benedizione del Cielo.

Si terminava la bella funzione con un nuovo mottetto e il Tantum ergo, pure eseguito dai piccoli musici, e colla benedizione del SS. Sacramento, impartita dal Parroco stesso di S. Francesco ; mentre intanto un giovane laico raccoglieva la limosina dai buoni Cooperatori. Così terminava la Conferenza, lasciando soavi impressioni in quanti vi avevano preso parte » (1).

(1) Vedi La Sacra famiglia , anno I 15 febbraio 1884, N, 1

Festa e Conferenza in Utrera (Spagna).

Degna altresì di particolare menzione è la festa celebrata nella Spagna dai Salesiani e dai Cooperatori di Utrera , come risulta dalla seguente lettera.

Utrera, 31 gennaio 1881,

REVERENDISSIMO E CARISSIMO D. Bosco.

Penso di far cosa grata alla S. V. ed a tutti i nostri confratelli, col darle conto della novena e Festa di S. Francesco di Sales da noi celebrata in Utrera colla maggior solennità; anzi giudico che farà anche piacere ai nostri Cooperatori e a tutte quelle benemerite persone, che con noi concorrono a dilatare il Regno del Signore specialmente con l'educazione della gioventù abbandonata.

La novena che ebbe principio il 21 Gennaio finì col 29 festa del Santo. Per quanto lo comportò la nostra povertà , adornammo la nostra Chiesa del Carmine con pompa e splendore ; si collocò la statua del Santo dal lato dell' Evangelio sopra un piedestallo di ben 3 metri di altezza, ornata con magnificenza di bei lavori del nostro scultore, ed illuminata da centinaia di ceri. L'effetto era sorprendente. A dispensare la santa parola di Dio concorsero con grande edificazione nostra e del popolo i migliori predicatori di Siviglia, prestando da buoni Cooperatori la loro opera gratuitamente.

Di mano in mano che si avvicinava la Festa raddoppiavasi il lavoro nella casa : tutti erano in moto a preparare chi la Chiesa , chi la musica , chi altre cose, in modo da renderla più splendida che fosse possibile , e per fare una degna accoglienza all'illustre Arcivescovo della Diocesi Mons. Zefirino Gonzalez. Non è mestieri ch'io mi trattenga in parlarle dell' importanza della venuta fra noi di questo dotto Prelato, che onora la Chiesa e la Spagna non meno colle preclare sue virtù che colla scienza e cogli scritti. Le fo solamente osservare che, non essendo egli peranco uscito dalla Sede Metropolitana, destò in tutti grande ammirazione il vederlo fare la sua prima visita ad una piccola casa, che non ha altro merito che quello di albergare i figli di D. Bosco.

Sua Eccellenza giunse fra noi la sera della vigilia. Quantunque rifiutasse ricevimento ufficiale tuttavia furono ad incontrarlo alla stazione il clero e le principali famiglie della città, nostri Cooperatori, con un lungo corteo di vetture. Al suo arrivo le campane di tutte le torri suonarono a festa; ed il popolo giulivo, radunato in immensa moltitudine, lo attese nella nostra Chiesa, dov'egli dalla stazione direttamente si condusse. Sua Eccellenza preceduta dal clero si avviò all'altare maggiore, mentre dall'orchestra cantavasi il Sacerdos et Pontifex del nostro D. Cagliero. Fatta breve orazione passò al trono preparatogli, ascoltando i cantici sacri, dopo i quali, recatosi alla mensa dell'altar maggiore, impartì al popolo la pastorale Benedizione e si ritirò nella povera nostra casa.

All'indomani, di buon ora, come già nella novena, i confessionali si trovarono circondati da penitenti. Per comodità delle persone si distribuì la santa Comunione in tutte le Messe. Ciò non ostante la Comunione generale durò 3 quarti d' ora ; fatto straordinario nelle popolazioni di Andalusia. Alle 10 1/2 Sua Eccellenza vestitasi di rocchetto e cappa magna entrò nella Chiesa colla solennità della sera precedente, per assistere pontificalmente alla Messa solenne. --Nella Messa tesse il discorso di S. Francesco di Sales il signor Canonico D. Francesco García y Charmientos, oratore di gran fama in Andalusia, il quale, con parola facile ed elegante , fece a tutte le menti brillare lo splendore delle virtù del Santo e la profondità di sua dottrina. I nostri confratelli accompagnati da scelta orchestra composta di distinti professori di Siviglia e di Utrera eseguirono una grandiosa messa con tale perfezione da meritarsi le congratulazioni degli intelligenti.

Finita la sacra funzione, Mons. Arcivescovo rientrava in casa, e aveva la degnazione di condursi nel refettorio dei giovani, per onorare il loro frugale pasto. All'entrare di Monsignore fu un istante di esitazione; nessuno osava avanzare pel primo il cucchiaio alla scodella, dove fumava un ben condizionato risotto, e tutti si guardavano meravigliati e sorpresi da quella inaspettata visita. Ma il buon padre, fatto loro animo, giocosamente domandò se nessuno volesse fargli parte della propria razione. Un putto di 7 anni a tal domanda coraggioso risponde : Ande Usted ! (Si faccia innanzi V. S.) A quest'uscita, che per quel piccino era la cosa più naturale del mondo, scoppiarono fragorosi battimani con evviva l'Arzobispo ; e Monsignore, dette loro parole per incoraggiarli alla virtù e alla gratitudine verso i benefattori e maestri, li benedisse. Di li passò alla sala del pranzo stata preparata, in mancanza d'altro locale, in una delle scuole del nostro asilo. Alle frutta si lesse a Sua Eccellenza una iscrizione latina, che era stata collocata alla porta del tempio. Segui la lettura d' una composizione latina dettata dall'affetto, che i Salesiani portano a questo venerando e dottissimo Pastore, il quale ci ricorda l'Eminentissimo Cardinale Lluch, che ci chiamò in Utrera, rapitoci dalla morte l'anno passalo. Si cantò pure la romanza l' Orfanello, che piacque moltissimo.

Intanto l' ora della Conferenza dei Cooperatori e delle Cooperatrici, annunziata con lettera circolare, era giunta. Si passò alla Chiesa, dove già aveva preso posto una schiera di signori e signore della città e di altri luoghi circonvicini, specialmente di Siviglia. Avendo spedito apposito telegramma al Santo Padre Leone XIII , egli nella sua bontà ci faceva rispondere, impartendoci l'apostolica Benedizione , e la ricevemmo un' ora prìma di cominciare la Conferenza. A questa si diede principio leggendo un capitolo della vita di S. Francesco di Sales. Monsig. Arcivescovo , che ne aveva la presidenza, trovandosi molestato da mal dì gola, incaricò a parlare in sua vece il prelodato Canonico Garcia.

Il tema svolto nella Conferenza è il seguente. - Il clero regolare e secolare fu in tutti i tempi il sacro depositario della scienza e delle arti ; e nei nostri giorni sorse la Congregazione Salesiana a continuare la stessa missione tra i figli del popolo. Disse che il clero secolare e regolare aveva un tempo estesi possedimenti, di cui servivasi a sollievo dell'umanità. La rivoluzione spogliò gli uni e ne scacciò gli altri, lasciando il popolo vittima de' suoi disordini. Tocca a noi Cooperatori e Cooperatrici l'aiutare in quel che possiamo la Congregazione Salesiana, procurandole i mezzi materiali, affinché possa compiere la sua missione in favore della religione e della civile società. - La parola dell'oratore fu ascoltata con attenzione e con alta benevolenza.

Monsignor Arcivescovo partì da questa casa, . manifestandomi a più riprese la sua grande soddi- . sfazione, e lasciandomi una bella limosina per le nostre scuole.

Più tardi e all'ora delle altro sere ebbero luogo le sacre funzioni per tutto il popolo. Immenso fu di questo il concorso al sacro tempio. Terminato il Santo Rosario, salì il pulpito Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Espinola, Vescovo titolare di Nilo, il quale divotissimo come è di S. Francesco di Sales, ed emulo delle sue virtù e dottrina, parlò mirabilmente dell'opera di Dio nel lavorare la santità del nostro Patrono, e della docile corrispondenza che Egli prestò alle singole grazie, con cui il Signore arricchiva la sua bell'anima.

Finito il discorso, lo stesso Monsignore impartiva la Benedizione col SS. Sacramento preceduta dal Tantum ergo, eseguito dai nostri musici.

La mattina seguente , secondo il nostro Regolamento, si cantò Messa in suffragio dei Cooperatori defunti, e Monsignore Espinola vi assisteva. Prima di partire per Siviglia ancor egli ci diede prova della sua generosità, lasciandoci una buona limosina per le spese del culto ; onde Vescovo ed Arcivescovo fecero a gara nell'onorare S. Francesco di Sales e la Congregazione, che da lui prende il nome.

La Dio mercè possiamo dire che il giorno 29 gennaio lasciò profonda impressione nel cuore dei buoni cattolici di Utrera. Tutti dicevano che non si ricordavano di aver vedute in città feste consimili. Molte furono le congratulazioni che da ogni parte ci vennero fatte, e grande il numero di coloro i quali, visto alla prova l'opera caritatevole e religiosa che abbiamo fra mano, si fecero ascrivere tra i Cooperatori , per aiutarci più direttamente a giovare a tanti poveri fanciulli , che numerosi s'incontrano per le vie di questa città, e che privi di pane e di cristiana educazione sono in pericolo di fare mala fine.

Passando ad altro , da Barcellona ci ripetono le istanze che si vada ad aprire la casa, che già è nostra, - perchè, dicono, un numero considerevole di poveri giovani stanno già alla porta picchiando che loro si apra; mancano solo i Salesiani che ne prendano la cura. - Come vede V. S. non si può più. ritardare a lungo. Onde secondo le prese intelligenze tra pochi giorni io dividerò il mio personale di Utrera, e con una schiera suffciente partirò ad aprire la casa di Barcellona. A suo tempo gliene scriverò

Intanto V. S. continui a raccomandarci al Signore, perché ci aiuti a compiere fedelmente la nostra missione con quello spirito , che merita davanti a Dio , solleva l'umanità e salva le anime.

Ci sia pegno di questa grazia la sua paterna benedizione, che invoco per me e per tutti i miei confratelli di Spagna, mentre con affetto le bacio la mano e le sono in Domino

Umilissimo e Devotissimo figlio Sac. GIOVANNI BRANDA.

Festa e Conferenza a Bobbio.

Lettera dalla città di Bobbio in data del 30 Gennaio ci dava in questi termini ragguaglio della Festa e della Conferenza ivi tenuta « Anche quest' anno a Bobbio fu celebrata la solennità ad onore dell'inclito nostro Patrono S. Francesco di Sales. La Basilica insigne di S. Colombano era a disposizione di tutti i Cooperatori Salesiani. Il nostro zelante Parroco si prestò a che si premettesse eziandio un triduo alla festa.

« Quindi venne apparata festosamente una grandiosa Cappella dell'ampia Basilica, dove l'immagine del nostro caro Protettore appariva sulla tela d' un antico quadro assai verosimile al tipo originale.

» Si suonarono le campane a festa, ridestando sensi di religiosa pietà in tutti i buoni Salesiani non solo , ma altresì in tutte le buone famiglie della città.

« Nel mattino vi furono Messe e Comunioni numerose ; e sul pomeriggio il signor Canonico Francesco Codebò tenne una Conferenza, in cui richiamando al pensiero la felice idea del fondatore dell'Aggregazione Salesiana, e del nobile suo scopo, passò a dimostrare il modo pratico di essere Cooperatori Salesiani, raccomandando soprattutto la cura della povera gioventù.

» Indi cantate le litanie della B. V. e il Tantum ergo dai giovani musici, si compartì la Benedizione col SS., e si terminò col canto d'una bella lode a S. Francesco. Colla limosina si pensò ai vivi , nè si dimenticarono i morti ; poiché all'indomani mattina dopo la S. Messa si recitarono speciali preghiere pei Salesiani defunti. »

Conferenza di S. Francesco in Caravaggio, Penango Chieri, e Lu.

Il Signor Arciprete di Caravaggio in data del 4 febbraio ci dava queste consolanti notizie intorno la Società dei Cooperatori, esistente nella sua parrochia:

« Domenica 3 febbraio si celebrò la festa del Santo, al cui spirito s'informa il Pio Sodalizio dei Cooperatori e delle Cooperatrici Salesiane. Fu una festa quieta, e tutta divozione. Oltre alle persone Cooperatrici unite in società, buon numero di altre si accostarono ai SS. Sacramenti. Nella chiesuola ove si sogliono tenere le Conferenze si celebrò la santa Messa, e si distribuì la SS. Comunione a circa 150 persone nella generale commozione, suscitata soavemente nei cuori da armonici canti, e si chiuse la funzione con breve discorso volto allo scopo di tener presenti agli inscritti i doveri della Pia Unione. Inutile che dica dell'entusiasmo eccitato da quelle brevi, ma animate parole, dell'incremento che ebbero tutti a maggior fervore e zelo, dei sentimenti religiosi che portarono dalla Chiesa alle case loro accesi più che mai.

» Dopo mezzo giorno si chiuse la festa nella Chiesa Parrocchiale. Che imponente spettacolo non dava mai la folla, che riempiva il tempio ! Si leggeva sul volto di tutti questi popolani il vivo desiderìo di udir parlare delle virtù di quel gran Santo, che è il Salesio. Mirabile, edificantissima l'attenzione che prestarono alla parola di Dio. Il Panegirico fatto da un valente predicatore Cremasco, il chiarissimo Prof. Inzoli D. Faustino , fu eloquentemente svolto sul passo dell'Apocalissi : Exivit vincens ut vinceret: uscì vincitore per vincere colla dolce prerogativa della mansuetudine, mercé di cui il Santo trionfò di sè e degli altri. - Si raccomandò poi la elemosina allo scopo di concorrere alla erezione della Chiesa da consacrarsi al Cuore Sacratissirno di Gesù in Roma.

» Faccia il Santo che questa Pia Unione che si pose sotto i suoi auspicii abbia a prosperare sempre meglio a gloria sua e ad utilità di questa grossa borgata. » Così da Caravaggio.

Nello stesso giorno si celebrava una festa consimile in Penango Monferrato, ed affinchè riuscisse a vantaggio spirituale non solo dei Cooperatori e delle Cooperatrici, ma di tutta la popolazione, il caritatevole prevosto D. Giuseppe Garavelli volle che avesse luoge nella Chiesa Parrochiale , chiamandovi a tessere le lodi di S. Francesco di Sales

il Teol. Giovanni Audisio Vice-parroco di Tonco.

Accenniamo che consimili Conferenze si tennero pure a Chieri nel nostro oratorio di S. Teresa, e a Lu nella Parrocchia di S. Maria ; ma queste come moltissime altre passiamo sotto silenzio, per dire ancora della Conferenza di Torino, la quale farà epoca negli annali della Pia Unione dei Cooperatori.

CONFERENZA DEI COOPERATORI IN TORINO

Presieduta dal Cardinale Alimonda.

Fra tutte merita un cenno particolare la Conferenza dei Cooperatori e delle Cooperatrici, tenutasi la sera del 19 del mese passato nella chiesa di S. Giovanni Evangelista in Torino, e presieduta dall'eminentissimo Arcivescovo, il Cardinale Alimonda. Non ostante che la radunanza avesse il carattere di privata e si tenesse in giorno feriale, tuttavia la chiesa e pel concorso e per la pietà degli intervenuti presentò lo spettacolo di una splendida solennità. Vi presero parte non meno di due mila persone.

Alle ore tre si cominciò colla lettura di un breve tratto di vita di s. Francesco di Sales , laddove si racconta della sua sollecitudine nel fare il catechismo ai fanciulli, al quale interveniva la stessa sua madre, madama di Sales. Entrata che fu in chiesa Sua Eminenza Rev.ma, e salita sopra il trono episcopale, i giovani musici cantarono il grazioso mottetto, Quasi arcus, dopo cui, presa la benedizione del sig. Cardinale, montò in pulpito il Teol. D. Giovanni Cagliero, primo Pro-Vicario apostolico della Patagonia, e a nome di D. Bosco diede relazione di alcune opere compiutesi e di altre da compiersi. Egli notava in particolare l' apertura di una nuova casa di Salesiani, apertasi in questi giorni nella città di Barcellona nella Spagna, e di un' altra nella città del Rosario nella Repubblica Argentina. Discesone D. Cagliero , saliva allo stesso luogo l'eminentissimo Cardinale Arcivescovo, e teneva ai congregati un discorso di tre quarti d'ora, ricco di così santi pensieri e così affettuoso verso i Salesiani ed i loro Cooperatori, che rivelò tutta la bell'anima dell'illustre Porporato. Esordì manifestando il contento, col quale negli anni passati egli assisteva alla Conferenza dei Cooperatori di Roma, e dicendo che ora il suo giubilo era di gran lunga maggiore , perchè in Roma assisteva alla Conferenza come confratello ed amico, in Torino invece vi poteva assistere da padre. L'eminentissimo Arcivescovo passò quindi ad esporre cinque ragioni, per le quali si crede in dovere di amare e di promuovere l'Opera dei Salesiani e dei loro Cooperatori, traendole tutte dal Santo Vangelo.

Sua Eminenza parlava con tanta abbondanza di cuore e fluidità di eloquio, che a noi non riuscì di raccogliere nella sua interezza il bellissimo discorso, e ci sfuggirono molti preziosi periodi. Ci pare tuttavia di averne ritenuta in mente la sostanza, conforme a quanto pur ne pubblicava la benemerita Unità Cattolica il 23 dello scorso Febbraio. Ne daremo il sunto nel prossimo numero.

Finito il discorso, ascoltato dai Cooperatori e dalla Cooperatrici colla più alta attenzione, e cantato dai musici il mottetto Tota pulchra, in onore di Maria Immacolata, e il Tantum ergo, Sua Eminenza Rev.ma aveva ancora la bontà d' impartire la benedizione col SS. Sacramento, terminando la pia funzione nel modo più solenne. In breve, la Conferenza riuscì così bene e le parole dell' eminentissimo Arcivescovo riempirono i cuori di tanta soddisfazione, che varie persone riguardarono quell'atto come una evidente prova della provvidenza e della bontà di Dio verso l'Opera Salesiana ; e tra le altre una nobile matrona disse ad uno dei nostri: - Io vado a casa fuori di me per la contentezza, e lei a mio nome dica a D. Bosco che abbiamo tutte le ragioni per ringraziare il Signore. -

IL VATICANO.

Pastorale del Cardinale Alimonda.

Da molte parti viene fatta richiesta della Lettera Pastorale dell'eminentissimo Cardinale Alimonda, Arcivescovo di Torino, intitolata: Il Vaticano. Il dottissimo Porporato dimostra in essa che il Vaticano, dove oggidì risiede il Papa, è la casa del padre, è la cattedra del maestro infallibile, è la reggia del Vicario di Gesù Cristo , Re dei re ; e quindi ogni buon cattolico deve amarlo, obbedirlo, rispettarlo. Sua Eminenza nello svolgere i tre punti del suo argomento espose tante e si belle cose che la detta Pastorale riuscì un capo lavoro di apologia cattolica, ed opportunissirna pei tempi in cui viviamo. Perciò la sua lettura farà del bene non solo ai fortunati fedeli dell'archidiocesi di Torino, ma a tutti i cattolici italiani. Per la qual cosa noi re raccomandiamo la diffusione specialmente ai Sacerdoti nostri Cooperatori.

Si vende alla Libreria Salesiana di Torino al prezzo di centesimi 80 la copia.

STORIA DELL' ORATORIO DI S. FRANCESCO DI SALES

Parte seconda. CAPO XII.

Seconda perquisizione - Scena dolorosa - Rimproveri di D. Bosco ai perquisitori - Perlustrazione della casa - Visita alle scuole - Subdole dimande e franche risposte - Il sequestro dei quaderni - La questura di Torino e le persone di servizio - La politica e le ricchezze di Don Bosco - Giudizii di Urbano Rattazzi - Esposizione e supplica di D. Bosco a due Ministri.

Tante calunniose accuse avevano i nostri avversarii accumulate sul nostro capo, che il Ministro dell'interno Luigi Farini per salvare lo Stato giudicò necessario di far proseguire nell'Oratorio le ricerche fiscali, onde trovato il filo della temuta congiura premunirsi contro ad un colpo di mano. Ai più pareva un mistero che poche centinaia di poveri giovanetti potessero incutere tanta paura al Governo, il quale aveva a sua disposizione formidabili schiere di soldati e di carabinieri ; eppure è un fatto storico.

Seguendo pertano l'ordine della storia noi diremo qui della seconda perquisizione, che ci venne fatta ; ma per ragioni di prudenza ne lascieremo gli odiosi apprezzamenti alla più libera penna dei nostri posteri.

Erano le ore 10 del mattino del 9 Giugno, 15 giorni appena dopo la prima perquisizione, quando con una scorta di poliziotti si portavano all'Oratorio tre signori. Erano i signori Masnardi segretario del Ministro Farini, il Cav. Gatti ispettore generale al ministero della pubblica istruzione, e il professore Petitti. Il primo aveva per incarico precipuo di esaminare il libro dei conti e perlustrare il locale, il secondo di visitare le scuole e interrogarne i giovani, e l'ultimo scrivere da stenografo le domande e le risposte.

Sventuratamente D. Bosco era uscito poco prima in città. Furono tosto spediti varii giovani a cercarlo, tra cui Giuseppe Buzzetti; ma inutilmente. Egli doveva recarsi in quel mattino in una casa di benefattori ad ora statagli fissata ; ma il caso volle , o per meglio dire la divina Provvidenza dispose che cammin facendo sbagliasse la strada , onde accortosi che non vi sarebbe più giunto all' ora indicata volse indietro i passi, e rientrava nell'Oratorio, quando appunto vi era atteso siccome angelo liberatore.

Ma in quel frattempo era già succeduta tra noi una scena ben dolorosa. Non essendovi D. Bosco, i tre perquisitori si presentarono al sig. D. Vittorio Alasonatti, che in qualità di prefetto ne faceva le veci. Annunziatisi per quelli che erano ed esposto lo scopo della loro visita, il sig. Masnardi gli dice pel primo

- Ci mostri anzitutto il libro dei conti.

- Ecco , disse il buon Sacerdote, questo è il libro mastro, che porta il nome, cognome, paternità e patria di ciascun allievo ; questo è il memoriale delle spese giornaliere ; e in quest' altro sono notate le condizioni di accettazione.

Quei signori prendono in mano quei registri , sfogliano qua e colà, e dopo alcuni minuti il segretario dice

- Ma di questa contabilità se ne capisce nulla.

- Se non capiscono io non so che farci, rispose D. Alasonatti. Se vogliono aver pazienza io spiegherò loro ogni cosa.

- Sì , vogliamo sapere tutto , e in poche parole. Ci dica primieramente quanti giovani sono ricoverati in questa casa.

- I giovani esterni che frequentano l'Oratorio sono oltre a 700, e gli interni ammontano a 300, divisì in due categorie, di studenti e di artigiani.

- Quanto pagano di pensione ?

- La maggior parte essendo assolutamente poveri ed abbandonati pagano nulla, anzi bisogna ancora calzarli e vestirli : gli altri pagano qualche poco, secondo la possibilità delle loro famiglie.

- Che cosa è questo poco ?

- Dieci o dodici lire al mese, o qualche brenta di vino all'anno, o un sacco di riso, o di meliga, o di castagne e simili.

- Questo non basta certamente a mantenere tanti giovani per tutto l' anno ; come dunque si tien fronte alle spese ?

- Il Municipio di Torino dà annualmente 300 lire ; l' Ordine dei santi Maurizio e Lazzaro lire 500 ; e la Mensa arcivescovile lire mille.

- Tutte queste elargizioni non fanno che la somma di mille ed ottocento lire , e non possono coprire le spese di vitto, di vestito e di manutenzione. Con quali altri mezzi si provvede adunque ?

- Finora a quello che mancava provvidero in parte Don Bosco e sua madre colla vendita del fatto loro , e in parte la carità di pie persone. Oggimai si può dire che tutte le nostre risorse siano nelle limosine dei benefattori.

- Chi sono questi benefattori ?

- Molti non li conosco, ed altri non amano che li facciamo conoscere, e perciò non sono in grado di soddisfare alla domanda.

- Dove si tengono i danari ?

- Non abbiamo neppure la cassa ove tenerli , perchè non appena giunge qualche somma l'adoperiamo tosto ad estinguere alcuno dei debiti scaduti o scadenti.

Queste coscienziose e veritiere risposte del nostre buon prefetto non andarono a sangue ai tre perquisitori. Costoro indettati dai loro padroni si eran fitto in capo che D. Bosco possedesse gran quantità di danaro inviatogli dal Papa e dai principi spodestati, sotto colore di provvedere ai bisogni dei giovani, ma in realtà per arruolare soldati e promuovere la guerra contro il Governo. Questa fissazione era alimentata dai cattivi giornali. In quei medesimi giorni erano stati anche perquisiti e di soprappiù ingiustamente imprigionati alcuni Gesuiti residenti in Torino ; onde la stampa settaria andava spacciando ai 4 venti la falsa notizia che il fisco aveva scoperto presso di loro grandi tesori e documenti importanti, che svelavano la esistenza di una vasta congiura. Ora D. Bosco è in relazione coi Gesuiti, andavano dicendo i nostri nemici ; dunque, conchiudevano , anche nel suo Istituto si deve trovare il corpo del delitto. Imbevuti di questi pregiudizi i tre perquisitori pretendevano ad ogni costo che D. Alasonatti indicasse loro il tesoro ; onde il Masnardi con fiera voce e per incutergli timore gli disse

- Lei c'inganna ; lei ha del danaro e ce lo vuol nascondere ; lei è un Gesuita ; ma avrà da fare con noi.

A questo villano trattamento quell'uomo di Dio, che era sempre oppresso dalle occupazioni e già poco bene in salute, si senti venir meno le forze. - Ma io , signori , non vi faccio alcun male - disse , e svenne. Questo inaspettato deliquio fece vergognare quegli illustrissimi, che accortisi di aver operato non già da onesti funzionarii, ma da malandrini, cercarono di rimediare al mal fatto , sorreggendo lo svenuto e adagiandolo sopra una sedia.

Il buon Dio mandava in quell' istante appunto D. Bosco, il quale, entrato nella camera e veduto in quel deplorevole stato il suo caro e degno aiutante, ne provò vivissima pena. Avvicinatosi gli prese la mano e lo chiamò per nome. Il buon Alasonatti alla parola di Don Bosco parve rinvenire alquanto e con fioca voce rispose - D. Bosco mi aiuti... - Non si affanni, gli soggiunse questi ; ora ci sono io, e prendo la cura di ogni cosa si faccia coraggio - Vim patior soggiunse stentatamente il buon prefetto - Il vedo pur troppo, che soffre violenza, continuò D. Bosco, e la compatisco di cuore ; ma si ricordi che regnum coelorum vim patitur et violenti rapiunt illud.

Dette queste parole di conforto al povero paziente, D. Bosco si rivolse ai perquisitori e con animo giustamente sdegnato Voi, disse, abusate del proprio potere ; dovete essere giudici e vi fate carnefici. Questo procedere non vi meriterà né le benedizioni di Dio, né la stima degli uomini ; ma bensì nella storia una pagina infame. Siete qui inviati per cercare cose, che possano interessare le viste fiscali? Compite pure il vostro mandato, ma non siate oppressori degli onesti cittadini nel pacifico loro domicilio. Io muoverò protesta contro di voi presso ai Ministri, presso alla stessa persona del Re, e spero che non saranno insensibili ai miei reclami.

A queste energiche parole il Cav. Gatti, con esteriore umile e cortese - Signor D. Bosco, rispose, ci scusi, ma noi non siamo venuti qui per far male ad alcuno : non abbiamo fatto altro che domandare schiarimenti.

- Gli schiarimenti si domandino a chi può darli. Superiore risponsabile di questo Istituto son io a me demandate schiarimenti e non ai subalterni.

- Ci compatisca, presero a dire alla loro volta il sig. Masnardi e il professor Petitti, e si persuada che l'accaduto fu contro alla nostra intenzione - E così ebbe fine l'incidente.

Intanto i perquisitori fatti passare nella camera attigua esposero anche a D. Bosco come avevano incarico di perlustrare la casa e visitare le scuole, ma di fare ogni cosa in modo amichevole e cortese.

- Se avevate incarico di fare le cose in modo amichevole e cortese , osservò D. Bosco, non occorreva che vi faceste accompagnare da una schiera di poliziotti a spaventare i miei poveri giovani.

- Si assicuri, rispose il signor Masnardi, che le guardie non torceranno un capello ad alcuno dei suoi, e sono venute per semplice comparsa.

- Le guardie di pubblica sicurezza, i soldati e i carabinieri , replicò D. Bosco, fanno le semplici comparse in piazza d'arme; ma nelle case dei privati sogliono comparire per arrestare i malfattori. Mi pare impossìbile che uomini di senno e costituzionali quali devono essere i signori Ministri, senza alcuna prova possano ritenere che in questo Ospizio vi siano dei malfattori , mettendo sotto de' piedi gli articoli dello Statuto, che guarentiscono la inviolabilità del domicilio e la immunità delle persone.

Questo franco parlare sconcertò alquanto il triumvirato perquisitore, il quale diede tosto a divedere che faceva molte cose di suo arbitrio; imperocchè dopo le osservazioni di D. Bosco le guardie dileguaronsi dalla nostra abitazione l'una dopo l'altra, e si andarono a postare nei campi deserti, che in quel tempo circondavano l'Oratorio.

La conversazione di D. Bosco con quei signori sì protrasse per oltre ad una mezz'ora, e gli inquisitori si ebbero da lui tutte quelle informazioni, le quali potevano convincerli che dal nostro Istituto il Governo non aveva nulla a temere ; ma non ne fu nulla. Lusingandosi di trovarvi almeno qualche piccola cosa, che porgesse loro il destro di petersene lodare presso i loro padroni, coloro domandarono di visitare le scuole, e D. Bosco li soddisfece. Li volle accompagnare lo stesso D. Alasonatti.

Qui è bene di notare che il Cav. Gatti, il quale dicevasi incaricato in modo speciale di visitar le scuole, sapeva poco di latino e di greco, perché era stato semplice professore di storia e di geografia al Collegio Nazionale , ed allora aveva al ministero di pubblica istruzione l' uffizio di ispettore delle scuole elementari. Quindi egli limitavasi ad interrogare gli allievi sopra la geografia e la storia, e a muovere loro delle suggestive e subdole domande. Il signor Masnardi seduto in capo dei banchi faceva ai giovani vicini interrogazioni confidenziali ; e il professore Petitti ora prendeva nota, ed ora esaminava i quaderni di bella e di brutta copia. Pareva che loro intento fosse di strappare dalla bocca degli scolari qualche risposta, o di trovare scritta qualche parola , la quale potesse interpretarsi contraria al Re o alle libere istituzioni per farne poscia accusa a D. Bosco, come se ci facesse impartire una istruzione dannosa o pericolosa allo Stato. Daremo qui un piccolo saggio delle fatte interrogazioni.

Nella 1a classe ginnasiale , dove insegnava il Chierico Celestino Durando, il Cav. Gatti interrogando sulla geografia e sui confini d'Italia fece ad un allievo queste dimande

- In quante specie si divide il Governo monarchico ?

- In due ; in Governo monarchico assoluto e in Governo monarchico temperato o costituzionale.

- Qual è il migliore di questi due Governi?

Il povero fanciullo udendo a farsi una domanda così superiore alle sue forze non sapeva che rispondere. Se ne avvide il Gatti, e come se bramasse udire una espressione contraria al Governo costituzionale, che vige tra noi, gli fece questa insinuazione

- Non ti pare che sia migliore il Governo assoluto , nel quale il Re fa tutto da sè , e quello che gli pare e piace?

A queste suggestioni il professore Durando si credette in dovere di osservare al Gatti che quelle non erano domande da fare a giovanetti di prima ginnasiale - Come può pretendere da un fanciullo, gli disse, un'adequata risposta ad un quesito, che darebbe da pensare seriamente ad una persona attempata e profonda in politica ?

Ma lo scolaro come se avesse ricevuto l'imbeccata da un angelo rispose

- Mi pare che qualunque forma di Governo sia buona, quando coloro che comandano sono brava gente.

Questa risposta così bene appropriata fece restare il Gatti e i suoi colleghi con un palmo di naso , e fu per molti giorni il tema delle nostre conversazioni.

Le interrogazioni più ingannatrici furono fatte nella 4a e 5a ginnasiale, dove insegnava il Chierico Giovanni Battista Francesia. Qui un allievo di 5a fu interrogato e rispose cosi

- Hai studiato la storia romana ?

- Sì, signore ; ho studiato quella parte, che secondo il programma scolastico sarà materia dell'esame finale.

- Sapresti dirmi da chi fu ucciso Giulio Cesare'?

- Giulio Cesare fu ucciso da Giunio Bruto e da altri congiuratì.

- Bruto ha certamente fatto bene ad uccidere quell' oppressore della libertà , quel tiranno del. popolo ; che ne dici ?

- Dico invece che Bruto ha fatto male , perchè un suddito non deve mai ribellarsi al suo Sovrano, e tanto meno togliergli la vita.

- E quando un Sovrano fa male ?

- Se fa male sarà egli pure giudicato e punito da Dio, ma i sudditi lo devono rispettare.

- Ma dimmi un poco : non si potrebbe fare un colpo a Vittorio Emanuele, affinchè lasci in pace i frati, le monache, i preti, i vescovi e il Papa ?

- Signor Cavaliere, disse a questo punto Don Alasonatti , queste non sono domande da farsi a giovani scolari ; questo non è un esame , ma un tranello. - Per nulla commosso l' inquisitore insistette, ed il giovanetto rispose

- No; signore, non si può. Se un Re non fa bene, a suo tempo ne renderà conto a Dio, ma i sudditi non possono in coscienza fargli alcun male. Essi devono piuttosto pregare il Signore che gli usi misericordia, gli tocchi il cuore e lo converta, e intanto avere pazienza.

- Se dobbiamo pregare Iddio che ,li tocchì il cuore e lo converta, dunque è segno che è cattivo; non è così?

- Ma io non ho detto che il Re sia cattivo io ho parlato in generale e nulla più. - Dette queste parole, lo scolaro tutto conturbato si pose a piangere, e il Cav. Gatti gli domandò : -- Perchè piangi ? - E l' allievo tra i singhiozzi, piango , disse, perchè lei mi dimanda cose, che non riguardano la storia, e io temo di rispondere male.

- Sta quieto, conchiuse il Gatti ; tu mi hai risposto bene - E forse con suo dispiacere, possiamo asserire noi, l'esaminatore non poteva dire altrimenti.

Nella scuola medesima ad un allievo di 4a ginnasiale il Cavaliere domandò :

- Conosci il Re?

- Non l' ho mai veduto , ma so che è nostro Sovrano.

- Sovrano perverso, che perseguita i preti, i frati e la Chiesa, non è vero?

- Queste cose non appartengono alla storia, ché dobbiamo studiare , e perciò non so che cosa risponderle.

- Se non le hai studiate nella storia le avrai udite da qualcheduno.

- Non le ho mai udite ; anzi la storia d'Italia scritta da D. Bosco, che ci serve di testo, fa onorata menzione di Vittorio Emanuele e de' suoi antenati.

- Ma insomma , i persecutori della religione sono scellerati ; ma Vittorio Emanuele è un persecutore della religione ; dunque è un scellerato.

- Lei, signore, conosce i fatti meglio di me, e potrà ragionare così ; ma io non ho mai detto nè udito a dire nè da D. Bosco nè dal mio professore che il Re sia uno scellerato. Questo so che tempo fa il Re essendo caduto malato D. Bosco ordinò preghiere per la sua guarigione e pel bene dell'anima sua, ed ho pregato anch'io.

- Ma tu mi rispondi cose, che qualcuno ti ha suggerito.

- No , signore , ma rispondo quello , che mi detta il cuore e secondo la verità. Niuno mi suggerì cosa alcuna, perchè niuno certamente avrebbe potuto immaginare che lei mi avrebbe fatte tali domande.

Nella 3a ginnasiale, ove insegnava il Ch. Giovanni Turchi, le dimande si raggirarono sulla geografia d' Italia, e l'esaminatore parve soddisfatto delle pronte e adeguate risposte date da un giovanetto per nome Francesco Iarak, figlio di un dotto rabino d' Ivrea , stato istruito e battezzato alcun tempo prima col padre suo.

Ma gli allievi messi ad una vera tortura furono quei di 2a ginnasiale, che avevano per maestro il Chierico Secondo Pettiva, già chiamato agli eterni riposi. In questa scuola gli inquisitori riuscirono a trovare di che gloriarsi. Vîsitando i quaderni di bella copia degli allievi scopersero che il professore aveva dettato per lavoro un brano di lettera latina di Papa Pio IX, la quale aveva già veduta la luce nei pubblici fogli.

- Come ? domandò il Gatti, si dettano agli scolari le lettere del Papa?

- Osservi , signor Cavaliere , che non è una lettera, ma solo un brano di lettera, ed è uno squarcio di pura latinità, che pare estratto da un'opera di Cicerone.

Il Cavaliere, che non sapeva guari di latino, osservò nè punto nè poco e replicò

- Comunque sia, non sono questi gli autori da proporre nelle scuole.

- Io non ho punto proposto gli scritti del Papa ai miei allievi ; ne ho solamente dettate poche linee da tradursi per uno dei lavori così detti di prova o dei posti. Per questi , soliti a darsi una volta per settimana, scelgo generalmente temi isolati: mi venne tra mano questo brano, che mi parve adattato alla capacità della mia classe, e lo dettai. Credo di non aver con ciò violata alcuna legge scolastica.

Queste ragioni non approdarono a nulla ; onde i tre perquisitori, giudicando di aver finalmente scoperto il filo della cercata congiura, vollero esaminare dal primo all' ultimo gli allievi di quella scuola ; ma siccome i giovanetti dovevano recarsi a pranzo, così vennero consacrate a questa inquisizione le ore pomeridiane.

Era intanto mezzogiorno. Chierici, assistenti, capi d'arte, maestri e giovani andarono a pranzo, e i perquisitori accompagnati da D. Bosco e da qualche giovane adulto approfittarono di quel tempo, per recarsi in giro nella casa a caccia del corpo del fantastico delitto. Quindi non vi fu angolo, non nascondiglio, che non sia stato da loro visitato ; ogni cosa che porgesse lieve motivo a sospetto era manomessa e tolta di posto. Si portarono in refettorio mentre vi si trovavano i giovani, esaminando che cosa mangiavano e interrogando questo e quell'altro, se non pativano di fame. Visitarono poscia la cucina, la cantina, le camere da letto, i labotorii, e per isbaglio o per troppo zelo aprirono fin anco i luoghi comuni. In cucina capovolsero le pentole , si fecero aprire gli armadií , e spinsero lo sguardo scrutatore sino nel vaso dell'olio e in un sacco di riso. Anzi il Cav. Gatti, che dei tre addimostravasi il più zelante, visto un mattone del pavimento collocato di fresco , venne tosto in sospetto che sotto vi fosse stato nascosto il corpo del delitto, e vi si fece sopra battendo col piede ed ascoltando , se suonasse da vivo o da morto. Nel luogo medesimo aperta una credenza ne scapparono due topi , e D. Bosco si pose a ridere. - Perchè ride, gli domandò il sig. Masnardi - Veramente, rispose egli, dovrei piuttosto compiangere lo spreco di autorità e dignità che fate con si puerili indagini ; ma rido , perchè spaventate i topi.

Scesi in cantina vi perlustrarono non solo gli angoli oscuri, ma anche le botti. Veduto un grosso tino , il sig. Masnardi domandò se fosse vuoto o pieno - Disgraziatamente è vuoto, rispose Don Bosco - Allora colui vi salì per guardare dentro, mostrando di sospettare che fosse pieno di danaro o di armi, e fors' anche di congiurati, come il cavallo dì Troja. Disgustati ed avviliti per non trovare quello che cercavano , i tre perlustranti si confortavano dicendo : - Fummo assicurati che esiste in questa casa il corpo del delitto ; dunque cercando dovremo trovarlo - E io vi assicuro, suggiunse D. Bosco, che in questa casa non vi fu nè vi è corpo di delitto alcuno, epperciò voi non lo troverete, lo cercaste ben anche sino al dì del giudizio.

Rimaneva ancora da ricercare nei dormitorii, e vi furono condotti. Ivi tasteggiarono e rovesciarono i sacconi ; ma i poverini non riuscirono che a trovare qualche pulce e a portarsela via loro malgrado.

Erano suonate le ore due pomeridiane, e i giovani, finita l'angosciosa loro ricreazione, si raccolsero gli artigiani nei laboratorii, gli studenti nelle rispettive scuole.

Allora i funzionarii cessarono la indecorosa loro occupazione, e ripigliarono l'esame degli scolari, pel quale mostravano maggior gusto. A quel punto D. Bosco li lasciò, e andò a prendere un boccone di cibo, perchè era ancora a stomaco vuoto.

Per essere più liberi gli esaminatori si portarono nell' anticamera del prefetto , e fecero chiamare a sè, ad uno ad uno, tutti gli allievi di seconda ginnasiale e più altri ancora, assoggettandoli a tale tortura di domande, da disgradarne qualunque inquisizione. Ce ne porge una prova l'interrogatorio seguente, fatto subire ad uno di quei poveri giovinetti.

- Da chi vai a confessarti?

- Da D. Bosco.

- E da molto tempo?

- È due anni che sono in questa casa, e sono sempre andato da lui.

Ci vai volentieri?

- Ci vado molto volentieri.

- Che cosa ti dice di bello in confessione? - Mi dà dei buoni consigli.

- Dimmene qualcuno ; desidero tanto di conoscerli.

- Ho udito a dire che le cose ascoltate in confessione non va bene ripeterle al di fuori. Del resto, se lei desidera aver dei buoni consigli, potrebbe andarsi a confessare da D. Bosco, e sono sicuro che gliene darebbe finchè ne vuole.

- Ora non ho tempo. Ma dimmi : non ti dice che il Papa è un santo ?

- Dice che il Papa si chiama Santo Padre ; e io credo benissimo che egli sia Santo , perchè è molto buono ed è il Vicario di Gesù Cristo.

- Non ti dice che sono scellerati coloro, i quali gli hanno tolto una parte de' suoi Stati?

- Queste cose non appartengono alla confessione.

- Ma queste cose non sono peccati ?

Se sono peccati ci pensino i colpevoli, quando vanno a confessarsi. Io non le ho fatte, e perciò non sono tenute a confessarle.

Da ciò ognuno si faccia idea del resto. Il Cav. Gatti insisteva pure nel domandare che cosa aveva aggiunto del proprio il professore prima o dopo di aver dettato il suaccennato brano di lettera pontificia ; ma tutti asserirono la verità dìcendo che non vi aveva aggiunto niente.

O fosse per la stanchezza o per la convinzione di non poter trovare il corpo del delitto, i perquisitori dopo quasi 7 ore d'inutile fatica desistettero dall'ignobile impresa e giudicarono di andarsene. Sequestrarono tuttavia un pacco di quaderni tolti da ciascuna scuola per meglio esaminarli in uffizio il Gatti vi uni una copia della Vita del giovane Domenico Savio, trovata ad un allievo della prima ginnasiale ; e D. Bosco per fare buona misura vi aggiunse altresì le regole della casa , allora soltanto manoscritte - In queste regole , diss' egli nel consegnarle, i signori Ministri vedranno su quali principii e massime morali si appoggi la educazione, che io imparto ai miei giovanetti, e potranno persuadersi che questo Istituto lungi dal creare delle noie al Governo coopera invece al benessere delle famiglie e della società, col formare dei buoni figliuoli e dei savii cittadini. Voglio quindi sperare, soggiunse , che lascieranno in pace me ed i miei poveri giovani - Ma per la malignità di alcuni indegni impìegati questa speranza andò fallita.

Infatti pochi giorni dopo, per incarico di chi non si sa, il questore Chiapussi mandò chiamare a sè varii uomini, che sapeva essere stati all'Oratorio, alcuni dei quali vi erano tuttora in qualità di capi di laboratorio o di servi, ed altri trovavansi già impiegati in città. Avutili in questura fece loro parecchie domande allo scopo di conoscere quale fosse la politica di D. Bosco, e se Pio IX gli mandava danaro per arruolare soldati ; ma niuno potè affermare cosa, che compromettesse la nostra casa. Fra gli interpellati vi fu un certo Domenico Goffi, già capo dei nostri calzolai ed allora portinaio. Costui era sui 40 anni , conosceva D. Bosco da molto tempo, aveva le gambe storte, ma la lingua sciolta. Sebbene non si fosse mai trovato dinanzi alle pubbliche Autorità, tuttavia non si perdè di animo, e col cuore alla mano e con franchezza rispose

- Signor questore, lei mi dimanda qual sia la politica di D. Bosco ; io la conosco da molti anni, e le rispondo che la sua politica consiste nel pensare a provvedere pagnotte a' suoi poveri giovanetti.

- Ma non vi parla di andarvi ad arruolare tra i soldati del Papa per fare la guerra al nostro Re ?

- A me una tal proposta non l' ha mai fatta certamente , perchè sono zoppo e mi dovrebbero portare ; ma nella mia qualità di portinaio tratto con tutti i miei compagni e coi giovani più adulti dell'Oratorio interni ed esterni, e posso assicurare che non ho mai udito a dire da alcuno che Don Bosco abbia fatto loro consimili parole. Ci parla sovente di combattere il diavolo, colle armi della preghiera e colla frequenza ai Sacramenti, ma non s'immischia mai nè di guerra nè di soldati di questo mondo.

- Corre voce che Pio IX gli abbia mandato una grossa somma di danaro ; e voi ne sapete niente ?

- So che l'anno 1858 , quando D. Bosco fu a Roma , Pio IX gli diede una somma di danaro , perchè facesse stare allegri una volta tutti i giovani, che frequentano i tre Oratorii di Valdocco, di Porta Nuova e di Vanchiglia; ma non so e non credo che in appresso gli abbia mandato tanto danaro , come lei mi dice. Se fosse così. non si vedrebbe D. Bosco ad uscire così sovente per andare a chiedere la carità in Torino pei suoi orfanelli, e non sarebbe così perseguitato dai creditori. S' immagini, signor questore, che di quando in quando in portieria io assisto a scene , le quali mi fanno propriamente compassione. Vengono i creditori, e sapendo che nella tale ora egli deve uscire od entrare in casa lo aspettano, e poi chi domanda, chi prega , chi grida , chi minaccia che vuole essere pagato. Il povero uomo promette che soddisferà tutti, che non farà perdere un soldo ad alcuno, ma che per ora abbiano pazienza, perchè ha nulla, proprio nulla. Io stesso ho fatto il calzolaio e so che il provveditore del corame talora non vuole più somministrarne , perchè D. Bosco non può pagarlo a tempo e luogo. E può ella credere, signor questore, che se D. Bosco avesse tanto danaro, come si dice, non lo userebbe anzitutto per levarsi simili noie?

- E il danaro , che manda ai suoi fratelli , i quali comprano cascine e fabbricano case e palazzi, dove lo prende ?

- Questo non è vero, signor questore, perchè D. Bosco non ha più nè padre nè madre, nè fratelli nè sorelle.

- Eppure mi fu detto che nelle vacanze conduce i suoi giovani in campagna a Castelnuovo d'Asti; in casa di chi li conduce?

- Li conduce in casa sua ; ma quella ben lungi dall' essere un palazzo od una gran cascina, e sì piccola, che i giovani possono a mala pena essere riparati dalle intemperie della stagione, agglomerati nella stalla e sul fienile.

- Sarà come voi dite, ma non si può negare che D. Bosco riceva del danaro. Sapreste voi dirmi quali sono i principali suoi benefattori?

- Credo anch'io che D. Bosco abbia in Torino dei benefattori che gli diano dei soccorsi, se no dovrebbe lasciar morire di fame più centinaia di poveri giovanetti, che ha da mantenere, o metterli sopra una pubblica strada ; ma non saprei chi siano i suoi benefattori. Confesso per altro che vorrei che fossero benefattori di D. Bosco tutti i Torinesi, compreso il signor questore e i questurini. Se possono, lo aiutino pure D. Bosco, e siano sicuri che la loro carità sarà bene impiegata.

Tali parole dette con molta bonarietà da quel servo di Dio fecero ridere tutti i presenti, ed una guardia scherzando disse : - Porta il nome di Goffi, ma parla da savio. -

Le riferite perquisizioni locali e personali tornarono a vuoto come la prima, perché tra noi niente erasi fatto , niente erasi detto di quanto le male lingue ci avevano accusato. Le risposte poi dei giovani e dei servi, date a interrogazioni suggestive e improvvise combinate ad inganno, furono trovate da tutti così ben appropriate ed inappuntabili, che parvero suggerite dagli angeli custodi. Anzi non era fuori di proposito vedere in esse avverato quanto disse il divin Salvatore nel Vangelo : - Quando sarete dinanzi ai giudici ed ai magistrati pel nome mio, tenete fisso in cuor vostro di non premeditare quello, che abbiate a rispondere ; imperocchè io darò a voi un parlare ed una sapienza, cui non potranno resistere, nè contraddire tutti i vostri nemici (Luc. XXI ). Queste riflessioni ci animavano a ringraziare di cuore Iddio e a regolarci sempre da buoni cristiani, ritenendo per certo che Egli ci avrebbe continuate il suo possente aiuto.

Queste vessazioni erano per noi e massime per D. Bosco e D. Alasonatti una vera tribolazione ; ma per la bontà di Dio ci apportarono anche non pochi vantaggi. Non ultimo di questi fu l' averci guadagnata la simpatia di tutti gli uomini dabbene, e di quelli eziandio , i quali non la sentivano con noi in fatto di principii religiosi, ma che passavano per gente onesta ed amante della verace libertà. I giornali di buon conto prendevano le nostre difese, e ci conciliavano stima ed affetto presso i vicini, e presso i lontani; e i nostri benefattori, presi da compassione e da sensi di vera carità ci soccorrevano più volentieri per amore di Dio. Anzi alcuni degli stessi Deputati non si peritavano di qualificare per abusi di potere le molestie, che ci erano fatte, e le chiamavano atto illegale ed impolitico ; illegale, perchè contrario allo Statuto; impolitico , perchè praticato a danno di un Istituto, che dava pane, alloggio ed istruzione a più centinaia di fanciulli abbandonati, molti dei quali senza un tale provvedimento avrebbero dato dei gravi fastidii al Governo.

Fra gli altri Urbano Rattazzi , allora semplice Deputato, mandò a chiamare D. Bosco, ed avutolo in casa sua si fece raccontare per filo e per segno tutto quanto avevano fatto e detto i perquisitori.

All'udire le scene avvenute si mostrò altamente irritato e si offerse di muoverne interrogazione al Ministero in Parlamento. Egli diceva: - Io non sono un pretofilo, ma amo il bene da chiunque si faccia e a qualunque partito egli appartenga. Il Ministero , molestando o permettendo che i suoi subalterni vadano a molestare simili Istituti si rende reo di lesa filantropìa , e commette tale iniquità , che merita di essere denunziata a tutte le nazioni civili - Don Bosco ringraziò l' ex-ministro della sua buona intenzione a nostro favore, ma non giudicò di permettere che egli desse a quei fatti sì grande pubblicità nella Camera dei Deputati, amando meglio di abbandonare la nostra causa nelle mani della divina Provvidenza, e di appigliarsi a mezzi pacifici. A quest'uopo egli scrisse ed inviò al Ministro degli interni Luigi Farini, e al Ministro della pubblica istruzione, Terenzio Mamiani, una breve esposizione in forma di supplica, così concepita

ILLmo Sig Ministro,

« Prego rispettosamento V. S. Ill.ma a voler con bontà leggere ciò che brevemente espongo riguardante alla casa detta Oratorio di S. Francesco di Sales in Valdocco. Sabato (9 corrente) per ordine di questo Ministero fu fatta una perquisizione nelle scuole, ne' dormitorii, negli apprestamenti di tavola, sulle entrate ed uscite, sulle provenienze di mezzi, con cui quest'opera di beneficenza è sostenuta. Io non ho potuto sapere i motivi, che abbiano dato luogo a tale misura governativa , ma se V. S. volesse usarmi la grande bontà di dirmeli, l'assicuro che sarei pronto a soddisfarla francamente secondo verità, senza disturbare più oltre le autorità governative, e senza recar danno forse irreparabile all'opera degli Oratorii. Frattanto la prego umilmente a volersi persuadere che io

« 1° Sono in Torino da venti anni ed ho consumato ogni momento di mia vita nel Ministero Sacerdotale per le carceri, per gli ospedali, scorrendo talora le piazze, le contrade per togliere dai pericoli i fanciulli abbandonati, ed avviarli alla moralità, al lavoro, ed anche allo studio, secondo la rispettiva capacità ed inclinazione.

« 2° Ho sempre lavorato per compire il dovere di Sacerdote senza aver mai né percepito né chiesto corrispettivo di sorta. Anzi ho impiegato , e lo farei volentieri ancora oggi, tutte le mie sostanze nella costruzione dell'attuale edifizio e nel sostentamento de'giovani ivi accolti.

« 3° Sono sempre stato rigorosamente estraneo alla politica; non mi sono mai mischiato nè pro nè contro alle vicende di attualità del giorno. Anzi per impedire ogni principio di partito fu in questa casa proibito parlar di politica in qualsiasi senso. Quindi niuno di questa casa fu mai associato ad alcun gìornale. Questo ho stimato di fare nella persuasione che un Sacerdote possa sempre esercitare il pio ministero di verità verso il suo prossimo in qualsiasi tempo e luogo, e in mezzo a qualunque specie di Governo. Ma mentre le assicuro che fui sempre estraneo alla politica posso con egual franchezza accertarla che non ho mai nè detto, nè fatto, nè insinuato cosa, che fosse in opposizione alle leggi del Governo.

« 4° Le mie scuole non sono mai state approvate legalmente, perchè scuole di beneficenza. Ma i Provveditori , gli Ispettori ed i medesimi Ministri di pubblica istruzione ne erano informati , e davano la loro tacita approvazione con visite personali, venendo ad assistere agli esami, come fecero più volte il Cav. Baricco, l'ispettore Nigra, il Cav. Aporti, ed altri. Approvarono pure talvolta con largizione di denaro e di libri, e talvolta colla dispensa dal minervale, ed anche con lettere. Unisco soltanto copia di una di esse del Ministro Lanza, con cui incorraggia l' opera degli Oratorii e le scuole che ivi hanno luogo. Questo favore del Ministro di pubblica istruzione era in parte motivato da due ordini del giorno, uno della Camera dei Senatori , l' altro dei deputati , in cui raccomandavasi al Governo del Re di sostenere e promuovere l' opera di cui è discorso. È vero che la legge Casati sottomette l'insegnamento ad alcune formalità, le quali io aveva già iniziato con quel Ministro, che fu ed è nostro insigne benefattore. E tal cosa avrei certamente eseguito prima che fosse cominciato l'anno scolastico 1860-61, in cui deve essere compiuta l'applicazione generale della legge, art. 379.

« 5° Da alcuni anni in qua venendo le officine ristrette , ed essendo frequentissime le domande di giovani da ricoverarsi, ho destinato un maggior numero di giovanetti allo studio. Ora ne ho un buon numero che si guadagnano altrove il pane della vita, chi in qualità di maestro approvato , chi colla musica, ed altri avendo percorso la carriera ecclesiastica lavorano in diversi paesi nel Sacro Ministero.

«Se V. S. Ill.ma dopo aver letto quanto sopra stimasse di prendere qualche deliberazione in proposito io non ho difficoltà di sottomettermi. Le fo soltanto umile preghiera a volerlo fare privatamente come un padre , il quale desideri che le opere si compiano nel miglior modo possibile ; ma non con atti minacciosi, che a tali opere talvolta recano un danno irreparabile.

« Ora che ho esposto quanto maggiormente mi premeva raccomando in fine questi miei poveri giovani alla sua clemenza; e pregandola a voler dare benigno compatimento al disturbo che le ho recato sono contento di poterle augurare ogni bene dal Cielo, reputando ad alto onore di potermi professare con pienezza di stima e di gratitudine

Di V. S. Ill.ma Torino 12 Giugno 1860.

Obbl.mo Servitore

Sac. Bosco Giovanni

Vedremo l' esito dell'affare nel capo seguente.

L'AMAZZONIA

1. Stato presente della popolazione.

Il fondo della popolazione delle Amazzoni si compone della razza indigena , pura o già modificata, ma conservante, malgrado i suoi difetti, le qualità del suo tipo. Docile, intelligente, pacifica, sobria, capace di sopportare le maggiori privazioni e fatiche : tal è il carattere di questa razza, che sebbene istruita ed educata molto imperfettamente, tuttavia già sta quivi offrendo un elemento utile al lavoro nazionale.

Emigra codesta popolazione cristiana ogni anno durante la magra delle acque verso i fiumi più o meno remoti , sulle cui sponde pianta le sue baracche, come gli Arabi le loro tende, e di là si interna ogni giorno nella foresta in cerca dell' arabica gomma elastica o d'altri prodotti naturali.

Le borgate, i villaggi e i casali rimangono deserti, le piantagioni incolte e le case in abbandono, servendo di covo alle serpi e ad altri animali.

In quelle erme solitudini di luoghi nessuna chiesa, nessuna scuola, nessun mercato, nessun mezzo di convivenza e perfezionamento sociale.

Il commerciante rigattiere, l'uomo europeo, fattosi anche nomade per la cupidigia dell'oro, colà si .reca in traccia di quella gente operaia, per raccogliere il frutto del lavoro di lei, portarle i generi di prima necessità e perfino di lusso, e spesse volte il veleno di una corruzione che ella felicemente ignorava.

Comprendesi facilmente quanto cotesta vita errante, codesto isolamento e codesto contatto abbia influito e possa ancora influire nella decadenza morale e materiale delle popolazioni delle Amazzoni.

« L'esperienza c'insegna, diceva già a' suoi tempi il mio venerabile predecessore D. Fra Gaetano Brandaô, che noi sebbene istruiti nelle massime sante della religione fin dalla piu tenera fanciullezza, fortificati con tanti aiuti dei sacramenti, lettura di buoni libri, pratica di ministri ecclesiastici , esempio di persone virtuose e altri sussidii, che la Provvidenza ha depositato nel seno di una società politìca e cristiana , proviamo tuttavia nello spirito una sorprendente debolezza ; se a caso ci troviamo in luoghi sprovvisti di codesti aiuti, e dove l'anima scopre solamente oggetti capaci di abbrutirla, allora è che a forza di strisciarsi sopra la terra le idee si materializzano ; non v'è emulazione, nè vergogna, nè timore, voglio dire gli stimoli ordinarii, che risvegliano i pii nobili sentimenti del cuore umano... ed ecco in breve tempo lo spirito più robusto non solamente debole e accasciato, ma immerso totalmente nel fango dei piaceri sensuali....

« Si ponderi ora lo stato compassionevole di cotesti popoli cristiani nati e cresciuti nel fondo dei boschi, in una distanza immensa dalla capitale, e fino a quaranta, cinquanta e più leghe da una popolazione ad un'altra, senza veder altro intorno a sè che infrazioni della legge divina negli esempii dei genitori, dei congiunti e vicini, principalmente per quel che riguarda i due vizii dell'incontinenza e della gola, vizii tanto geniali alla gente indiana, che sembrano averle già soffocata ed estinta tutta la libertà.. »

Fin qui l'egregio Prelato.

Per verità, grande lassezza di costumi, dissoluzione dei vincoli della famiglia, sono conseguenze inevitabili di codesto vivere incerto e vagabondo, di codesta mancanza di mezzi per sollevare e ritemprare lo spirito; ed ecco precisamente ciò che pone la massa della popolazione Amazzonica, malgrado l' eccellente sua indole , in una situazione unica, anormale, inquietante, che sta alzando grida, perchè se le venga in aiuto con un rimedio.

Signori, non può la civilizzazione esistere e svilupparsi senza certi aiuti, che sono, per così dire, i suoi fattori. Affezione al suolo ed alla proprietà, lavorazione sedentaria, una buona organizzazione della famiglia e del lavoro, una casa con le sue tradizioni venerande trasmesse dai padri ai figli, buona amministrazione della giustizia, la religione colle sublimi emozioni di sue feste, la campana che diffonde per l' aria il suo inno armonioso nelle ore del crepuscolo, il fonte sacrato, dove si ricevette il battesimo, il tabernacolo che si aprì all'estasi mistica della prima Comunione, l' altare che udì le prime preci e più tardi il giuramento del primo amore, il cimitero dove dormono le ceneri dei maggiori, la scuola dove irradiossi nel nostro intelletto l'alba romorosa delle lettere, ecco altrettanti elementi essenziali, la cui azione combinata dà, come risultante, la civilizzazione di un popolo.

Trovansi codeste cose più o meno in tutto l'interno del Brasile. Qui (nell' Amazzonia) tutto ci manca ! Largamente disseminato per un' immensa regione, dilungandosi sempre dagli antichi nuclei, e con manifesta ripugnanza a formarne dei nuovi, abbandonato a se stesso per quei desolati deserti, senza nessun soccorso spirituale di qualsivoglia sorta, in balia da ogni parte alle facilità e seduzioni del male, che pur troppo sa andar là in cerca di lui, trovasi il popolo delle Amazzoni, diciamolo francamente, nell' impossibilità di progredire , di incivilirsi, di migliorare e ingrandirsi, e rimarrà in questo misero stato di decadenza interi secoli, se, per avventura, non prendiamo a cuore di venire in suo aiuto.

Decadenza sociale e ragioni della medesima.

È mestieri, per formarci un giusto concetto della situazione morale di questa valle, tener molto in conto codesto fenomeno della dispersione del popolo delle Amazzoni, già avanzata fin dalla seconda metà del secolo passato, e continuata in progressione crescente fino ai giorni nostri. Fatto singolare, Signori, sopra il quale dovevano convergere l'attenzione e lo sollecitudini degli uomini, che si occupano tra noi delle cose pubbliche ! Quanto alla popolazione rurale di tutto l'impero, essa ha progredito e prosperato dopo l'emancipazione politica, all'ombra dei suoi molini da zuccaro, dei suoi poderi, delle sue fabbriche, delle sue tenute. Quanto alle altre provincie, che hanno principio da' tempi coloniali, almeno conservansi, se pure non sono divenute più fiorenti e più estese ; ed altre borgate vanno sorgendo con liete speranze. Qui nella nostra valle pel contrario, fa più di un secolo a questa parte, il popolo da proprietario è passato a proletario ; e di tutte le popolazioni dell' interno, le une vanno deperendo, le altre sono già quasi cadute in rovina, altre sono completamento scomparse sotto la foresta che le invase.

Solo nel Rio Negro v'è una decina di esse, delle quali non rimane vestigio, tranne nella carta geografica della provincia.

Già D. Fra Gaetano Brandaô segnalava il fatto in una rappresentanza diretta a S. M. la Regina Donna Maria I, dicendo che « se non s'impediva questo danno poteva profetizzarsi la rovina di tutte le popolazioni di questo Stato. » Sul principio, grazie ai provvidi ordinamenti regii, grazie al metodo di catechizzare che allora fioriva, avvenivano frequenti conversioni di gentili. Cercavasi allora di concentrarli in determinati luoghi , e così si formavano popolazioni, borgate e città importanti, con chiese pulite , di buona costruzione, e alcune ben ornate, con varie fabbriche e manifatture e lavorazione, che provvedeva a tutta la vallata. Ma dopo la decadenza e morte del Catechismo la mancanza di Sacerdoti nei centri parrocchiali , la pressione dispotica delle autorità locali , gli eterni intrighi della politica, e sopratutto i lucri abbaglianti delle nuove droghe che offrivano, quasi senza lavoro, le foreste bagnate da certi fiumi , per non parlare della tendenza innata del carattere indiano per una vita vaga , avventuriera e sciolta da ogni soggezione, slogarono i centri di gravitazione delle società Amazzonensi e cominciò quell' uscita delle popolazioni verso i boschi più vicini ; da questi verso altri piú remoti, e così di seguito fino alla dispersione quasi totale, in cui ci troviamo.

Se continuerà il movimento, di qui a poco giungeremo a questo singolare risultato , di una provincia vasta e ricchissima con una sola città , la capitale ! - vale a dire una testa senza corpo, o meglio una gran testa bene ornata, sopra un corpo informe, con membra del tutto atrofiche e paralitiche, in cui non circola nè può circolare il vigor della vita.

Signori, per avventura vi sorprenderà l'affermare che io fo, che in punto di organizzazione sociale , la massa del popolo, la gente operaia, che vive nelle Amazzoni (chè di essa soltanto voglio parlare) trovasi presentemente in meno favorevoli condizioni , che non fu sotto il dominio della metropoli portoghese.

Perocchè non è già questa una esagerazione, ma una verità e verità officialmente accertata.

Udite il primo presidente che ebbero le Amazzoni (L' Eccell. signor Gio. Battista Figuiereido Teireiro Aranha), uomo competente e d' incontestabile patriottismo. In una relazione sullo stato delle Amazzoni egli così s'esprime

« Quando questa provincia era capitaneria, sotto la direzione di abili governatori (e di zelanti missionarii, doveva aggiungere) la sua popolazione crescente allo stesso tempo andava migliorando con l'esempio dei coloni vicini del Portogallo, che, unendosi per vincoli coniugali agli abitanti del paese , fecero apparire questa nuova e può dirsi bianca razza mamelucca, che distinguevasi dalle orde selvatiche pel colore e per l' applicazione all' agricoltura ed alle arti febbrili, le cui eccellenti manifatture attestavano lo stato di sua industria e civilizzazione.

» Il cotone, l' indaco, il caffè, la manioca e il tabacco ebbero cultura tale che bastava per l'uso e consumo, e sopravvanzava per l' esportazione in grande quantità, e così le fabbriche d'indaco, di cordami, di giunchi neri, di filatura e tessuti , e reti di cotone, di pagliccio e penne, quelle di tegole e pietre, quelle di costruzione civile e navale con abili artisti fecero apparire templi e palazzi, e potenti navigli , e tutti i vantaggi che da così interessanti fabbriche derivavano.

» Ora (1852) il caffè, la manioca, il cotone appena bastano pel consumo, e tutti gli altri generi e lavori d'arte, per mancanza di coltura, disparvero, e la popolazione divisa in bande, ogni anno se ne va nelle grandi spiagge, con eccessi baccanali, a fare la distruzione delle uova delle tartarughe e la fabbricazione dello strutto, ovvero nei boschi frammezzo ai più grandi rischi e privazioni, ad estrarre i prodotti spontanei della terra, e in ciò spendono gli indigeni e i lavoranti quasi la metà dell'anno, e quanto guadagnano e distruggono è tutto pei chiamati rigattieri, che in cambio danno loro dell' acqua-vite ed un paio di calzoni e una camicia di rigatino ordinario, essendo la depravazione dei costumi tutto il guadagno che loro tocca, oltre la perdita del tempo e del lavoro, che per essere ben approfittato nell'agricoltura ed anche in queste estrazioni con regolarità potrebbe produrre molti interessi. Perfino i pochi artisti preferiscono starsene tutto l'anno in quelle orgie che non nei lavori di officine e in opere utili, ed ecco la ragione, per cui degli antichi templi e palazzi, delle fabbriche ed officine, appena rimangono alcuni ruderi per tristi memorie... »

Tale è lo stato lamentevole, dice codesto Presidente, in cui trovai questa terra e gente, degna al certo di miglior sorte.

MORTE DEL CARDINALE LUIGI BILIO.

Il 30 dello scorso gennaio, tra il compianto di tutti i buoni, moriva in Roma l'eminentissimo Cardinale Luigi Bilio della Congregazione dei padri Barnabiti , e nostro zelantissimo Cooperatore. La sua morte fu un colpo sensibilissimo al cuore del Santo Padre Leone XIII, che lo stimava ed amava moltissimo, fu una sciagura per tutta la Chiesa pei grandi servigi che le aveva resi e per quelli, che ancora le rendeva colla sua alta dottrina ed operosissima vita.

L'eminentissimo Bilio portava pure ai Salesiani un sincerissimo affetto, e per questo volle affidare loro la direzione del suo Seminario di Magliano Sabino , di cui era anche Vescovo. Sono innumerevoli le prove che ci diede di sua alta benevolenza; e quindi ragion vuole che gliene serbiamo profonda gratitudine. Ne raccomandiamo pertanto l'anima alle preghiere dei Cooperatori e delle Cooperatrici.

ELENCO DI COOPERATORI E COOPERATRICI DEFUNTI NEL 1883,

501 Santoli D. Luigi Parr. - Malfolle.

502 Sartorio D. Antonio Maria Can. - S. Remo_ 503 Sartorio Ave. Luigi - Oneglia. 504 Sartoris D. Evasio - Villafranca d' Asti. 505 Satta D. Francesco Ignazio Parr. - Nughedda.. Santa Vittoria.

506 Savona D. Francesco Can. - Ciminna. 507 Scalabrini Luisa ved. Leidi - Massiola. 508 Scalmana Modesta - Mura Savallo.

509 Scandolara D. Giuseppe Parr. - Contano ( Verona).

510 Scappini Maria - Mezzanabigli. 511 Scavone D. Francesco - Agira. 512 Scelza D. Antonino - Caccamo.

513 Schioppo Teresa ved. Viviani - Torino. 514 Scorcioni D. Paolo Rett. - Faeto (Modena). 515 Segatti D. Luigi Parr. S. Giac. - Udine. 516 Selva Elisabetta - Cortabbio.

517 Serpini D. Francesco Can. Arcip. - Massa (Massa e Carrara).

518 Serra D. Antonio Rett. -- Guspini.

519 Serra Mons. Giovanni Can. - Pergola. 520 Sicher D. Valentino - Cavedine (Tirolo). 521 Signorini Sante - Scacciano.

522 Silvestri D. Giuseppe - Tovo Sant' Agata. 523 Sironi Adelaide - S. Marcellino d' Imbersago_ 524 Sobrero Teresa - Luserna. 525 Sola Maria - Ruffia. 526 Solaro Della Margherita Contessa Carolina Torino.

527 Soleri Bianca - Torino.

528 Sopranzi Rosalinda - Milano.

530 Sorregntti D. Luigi Ru-r. - S. Niccolò a Po. 531 Sottriffer Cristiano - Firenze. 532 Spera Michele - Villalba. 533 Sperati D. Adamo Parr. - Cavaria.

534 Spini D. Agostino Rett. - Ripalta Vecchia_ 535 Stancampiano D. Giuseppe - S. Angelo di Brolo.

536 Sticca Carolina - Torino.

537 Stoppani D. Francesco Coad. - Sillavengo. 538 Storti D. Carlo Rev. Parr. -. Bascapè. 539 Stralanchi D. Rinaldo - Siena.

540 Strosio Alons. Andrea - Rovereto (Tirolo)_ 541 Tabaretti D. Angelo - Sarnano. 542 Tacci D. Gaetano Can. - Firenze. 543 Tagliaretti D. Paolo - Milano. 544 Taroni D. Amabile - Piazzi. 545 Taulaigo D. Clemente - Venaria Reale_ 546 Taviani D. Giovanni Parr. - Firenze. 547 Teloni Mons. Giammaria - Firenze. 518 Testa Mons. Antonio Vescovo - Segni. 549 Testolin D. Francesco - Terrazza Padovana.

550 Tocco Suor Filomena Badessa - Tropea. 551 Tofoni D. Pellegrino Can. -- Fermo.

552 Tognacca D. Giuseppe - Mandello Vitta. 553 Tomadini Mons. Giacomo - Cividale. 554 Toraldo Giuseppa ved. Tocco - Tropea. 555 Torresani Angela - Crespano Veneto.

550 Torresani D. Bartolomeo - Vermiglio (Tirolo).

557 Tosi Lorenzo - Rimini.

558 Tovena D. Giac. Rett. - Carrara S. Giorgio. 559 Trinchieri Monica n. Alvigini - Tortona. 560 Trivero Michole - Saluggia. 561 Trussi Teresa - Mezzanabigli. 562 Tua D. Antonio Cara. - Biella. 563 Turbiglio Catterina - Cuneo. 564 Ugolini Giacoma - Marano di Valpolicella. 565 Ulla Teresa - Varengo.

566 Usai D. Vincenzo - Villacidro.

567 Usuelli D. Giovanni Prev. a S. Maria Incoronata - Milano.

568 Vaccari D. Angelo - Fellette.

509 Vagnone Contessa Teresa n. Capriglio - Torino. 570 Valfrè Cantù Antonia - Carmagnola. 571 Vallega Battistina ved. - Alassio. 572 Vallau Adelaide - Manicugo. 573 Valsecchi D. Carlo Parr. - Baggio (Milano) 574 Valsesia Teresa - Borgomanero. 575 Valverti D. Costanzo Parr. - Sonico. 576 Vangucci D. Torello Parr. - Piazzanese. 577 Vanone D. Luigi Par;-. - Villafora. 578 Vanzetti D. Antonio Parr. - Rovigo. 579 Vassallo Giovanni - Torino. 580 Vecchi Angela - Rovescala. 581 Vedoni D. Domenico Arcip. - Bessica. 582 Vella D. Michelangelo Cara. - Palermo. 583 Venere Marianna - Bolsena. 584 Vercesi Cantù Rachele - Tortona. 585 Verdi D. Evaristo Arcip. - Fossalta.

586 Verdoia D. Giov. Batt. Prev. Vic. For. - Salussola.

587 Verzeri Mons. Gerolamo Vesc. - Brescia. 588 Vespasiani Eromia - Mezzanabigli. 589 Vianello Dott. D. Marco Arcip. Vic. For. - Azzano Decimo.

590 Vignazia D. Pietro Prev. Vic. For. - Bioglio. , 591 Villa Marta - Torino.

592 Villanis Amata n. Costa - Aosta.

593 Visconti D. Giuseppe - Chieri.

594 Visconti D. Rosario Parr. - Calvanico. 595 Visentini Antonio - Ipplis.

596 Volcan Giov. Sindaco - Cavalese (Tirolo). 597 Zadra D. Francesco Capp. Cur. - Fonzaso. 598 Zadra D. Francesco - Cis (Tirolo).

599 Zambernardi D. Luigi Rett. - S. Michelino de' Gatti.

2î00 Zampedri D. Giov. Felice - Susà (Tirolo). 601 Zanderigo Mons. Agostino Arcip. - Este. 602 Zanna Giorgio - S. Giusto Canavese. 603 Zanotti Maria - Sequals. 604 Zanotti D. Tommaso Arcip. - Corezzo. 605 Zappata Mons. Giuseppe Vic. Gen. - Torino. 906 Zappelli Ch. Giuseppe - Pavia. 607 Zara D. Carlo - Perora. 608 Zenone D. Angelo Parr. - Burzana. 609 Zenti D. Ignazio - Verona.

610 Zmiglio D. Gius. Giorgio - Casal Monferrato.

611 Zocca Chierigati Felicita - Fiesso Umbertiano, 612 Zorio D. Giov. Batt. Prev. -- Valle S. Nicolao.

613 Zozzoli Ch. Giovanni - Garbana. 614 Babini D. Carlo Parr. - Faenza

615 Manara Apollonia - Trisobbio (Acqui)

OPERE PUBBLICATE NEL MESE DI FEBBRAIO dalla TIPOGRAFIA SALESIANA di Torino

ALIMONDA (Em° Card. Arcivescovo di Torino). Il Vaticano. Lettera Pastorale per la Quaresima del 1884. - In-8° gr. di pagine 60; edizione elzeviriana

SCOTTON (Mons. Andrea). Saggio di Discorsi Sacri - Due vol. in-16° gr. di pag. 280 ciascuno » 4 -

LETTURE CATTOLICHE

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Vita di S. Giuseppe Sposo di Maria SS. e Padre putativo di Gesù Cristo raccolta dai più accreditati autori ; colla Novena in preparazione alla festa del Santo - Ediz. 3°, 1884; un vol. di pag. 88 . » 0 20

SECCO (P. Luciano). Le Vicende di S. Giuseppe Sposo di Maria Vergine. Dràmma sacro - 1584; un volume di pag. 80   . » 0 20

SCHMID (Can. Cristoforo). Teofilo ossia il Giovane romito ; ameno racconto - 1884 ; Edizione 3a, un volume di pag. 112    » A 20

BIBLIOTECA DELLA GIOVENTÙ ITALIANA. Pubblicazione mensuale - Prezzo annuo L. 6. 00.

MACHIAVELLI (Nicolò). Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio ridotti ad uso delle classi superiori del Ginnasio - Un volume in-32° di pagine 520 (181-2)    » 1 00

DANTE (Alighieri). La Divina Commedia - 1884; ediz. 6°; 3 volumi (4-6)    » 2 - OMERO. Iliade. Poema epico tradotto da V. Monti - 1884 ; Ldiz. 3' ; 2 vol. (63-4) . . . » 1 25 SEGNERI (P. Paolo). L'incredulo senza scusa, con prefaziona e note di Giuseppe Allievo - 1884 ; Edia. 2a, 3 volumi (91-3) . .   . . a 2 -

SELECTA EX LATINIS SCRIPTORIBUS.

CAESARIS (C. Julii) Commentariorum de Bello Civili. Liber I et Il - 1884 ; edit. altera (III) . » 0 30 -- Commentariorum de Bello Gallico Liber primus et secundus - 1884 ; edit. sexta (IV)   » 0 20 CICERONIS (M. Tullii) Epistolarum selectarum Liber primas - 1884 ; edit. tertia (VI) . . , » 1 21i

D' imminente pubblicazione.

LUCRETII (T. Cari) De rerum natura; curavit , iterum aduotatioaibus auxit Joannes Baccius - 1884, editio altera - pag. 96 (XXVi.II) . . » 0 50