BS 1910s|1914|Bollettino Salesiano Aprile 1914

ANNO XXXVIII - N. 4   PERIODICO MENSILE   I APRILE 1914

BOLLETTINO SALESIANO

PERIODICO DELLA PIA UNIONE DEI COOPERATORI SALESIANI DI D. BOSCO

SOMMARIO: Viva Maria Ausiliatrice!   . 97 Per l'introduzione della Causa di Beatificazione e Canonizzazione del Servo di Dio Domenico Savio - Testo originale e traduzione del Decreto   . . . 98 L'ORATORIO FESTIVO: Sua necessità, sua opportunità, suoi frutti (Lettera del Card. G. Nava) . 104 Il Successore di Don Bosco in Sicilia . . . 107 L'Opera di Don Bosco nell'Argentina, nell'Uruguay, nel Chili e nel Brasile (Lettere di Don Trione): VII 11o DALLE MISSIONI: Matto Grosso (Brasile): La scoperta di una grande cascata sul Rio das Mortes - Congo Belga: Le primizie della Missione . . 112

IL CuLTo DI MARIA SS. AUsiLiATRICE: Pel Centenario di Maria Ausiliatrice - Pel 24 corrente - Grazie e graziati . .   .   . 120

NOTE E CORRISPONDENZE: IV Anniversario Commemorazione di Domenico Savio - Pel Monumento a D. Bosco - Un bel ricordo del Centenario Costantiniano - In onore di S. Francesco di Sales - Tra i figli del popolo - Notizie varie 123

Tesoro spirituale    127

Necrologio: Don Angelo Lago    127

Viva Maria Ausiliatrice!

SALUTIAMO con particolare esultanza la prossima aurora del 23 aprile, che c'invita a prostrarci con maggior fede davanti al Trono benedetto della Celeste Ausiliatrice! Il 24 maggio che sì avvicina, saranno cent'anni dal ritorno di Pio VII a Roma, trionfale ritorno che l'anno dopo dava origine all'istituzione della Festa di Maria Ausiliatrice. L'imminente solennità della nostra pietosa Patrona è quindi il preludio delle grandi Feste Centenarie dell'anno venturo.

Diletti Cooperatori e pie Cooperatrici, sia nostro comune impegno di celebrar quest'anno con insolita pompa il Mese e la Festa di Maria Ausiliatrice, Il „Bollettino Salesiano" che da trentott'anni narra le sue glorie, registrerà con gioia le più belle dimostrazioni di amore che si daranno all'eccelsa Regina.

Ma gli esteriori apparati sian l'indice dell'intima partecipazione dei cuori! Ritempriamo la nostra divozione raddoppiando l'energia nel bene a costo anche delle nostre comodità individuali; e Colei che è invocata Aiuto dei Cristiani, moltiplicherà allora sulla Chiesa e sulla Società Cristiana le sue materne misericordie.

Per l'introduzione della Causa di Beatificazione e Canonizzazione DEL SERVO DI DIO DOMENICO SAVIO

IL giorno 11 febbraio - come abbiamo annunziato - il Santo Padre decretava l'introduzione della Causa di Beatificazione e Canonizzazione del Servo di Dio Domenico Savio. Se una recente disposizione della Santa Sede non avesse dichiarato che il titolo di Venerabile non sia più permesso ai Servi di Dio a partire dell'introduzione della loro Causa di Beatificazione, ma dopo il Decreto comprovante l'eroicità delle loro virtù, anche il piissimo alunno di Don Bosco sarebbe già salutato Venerabile (1).

Ossequenti a tale disposizione pontificia, non solo vogliamo osservarla noi ma la vogliam nota anche ai lettori perchè l'osservino essi pure fedelmente e non si meraviglino se non diciamo Venerabile il Servo di Dio Domenico Savio, quantunque sia stata introdotta la sua Causa di Beatificazione. Vogliamo insieme notare, che in base all'accennata disposizione è vietato il celebrare qualsiasi religiosa funzione di ringraziamento tanto per l'introduzione della Causa dei Servi di Dio quanto per la pubblicazione del Decreto sull'eroicità delle loro virtù; quindi, nel caso nostro, non è lecito cantar l'inno del ringraziamento nè tenere in chiesa alcun discorso panegirico di Domenico Savio.

Ciò che secondo lo spirito della Chiesa possiamo fare è dar pubblicità al Decreto dell'introduzione della sua Causa, come quello che annunzia essersi ufficialmente e formalmente la S. Sede occupata di questo giovane singolare, averne diligentemente esaminato il Processo informativo tenutosi con autorità ordinaria e, riconosciutolo regolare nella procedura, averne tratto argomento per venire all'introduzione della Causa di Beatificazione.

Possiamo anche rilevare l'onore altissimo che da un tal fatto ridonda alla Pia Società Salesiana e particolarmente all'Oratorio Salesiano di Torino, ove sotto la guida del Venerabile Don Bosco l'angelico giovane trascorse nella pratica di ogni virtù gli anni più importanti della sua tenera vita, divenendo prezioso documento della santità del nostro comun Padre e Maestro e splendida prova dell'efficacia pedagogica del suo sistema educativo.

Ma ciò che particolarmente dobbiam fare è studiar in qual modo il caro alunno di Don Bosco potè tanto inoltrarsi nelle vie della santità da richiamare sopra di sè gli sguardi della Chiesa !

Sia benedetto il Signore, che nelle vie mirabili della sua Provvidenza volle trapiantare un fiore così vago ed olezzante nel giardino dell'Oratorio Salesiano ed ispirare al solertissimo suo cultore, il Venerabile Don Giovanni Bosco, di tramandarci in brevi pagine immortali le meraviglie che la Grazia operò nell'anima del virtuoso giovanetto!

Il nostro amatissimo Padre, vero educatore ed apostolo, nell'aurea biografia di Domenico nulla omise che gli parve degno di memoria, e presentò quel suo carissimo allievo qual modello a tutto il popolo cristiano, ma particolarmente ai giovanetti. « Cominciate a trar profitto - scriveva loro - da quanto vi verrò dicendo e dite in cuor vostro quanto diceva Sant'Agostino: Si ille, cur non ego? Se un mio compagno, della stessa mia età, nel medesimo luogo, esposto ai medesimi e forse maggiori pericoli, tuttavia trovò tempo e modo di mantenersi fedele seguace di Gesù Cristo, perchè non posso anch'io fare lo stesso? Ricordatevi bene che la religione vera non consiste in sole parole; bisogna venire alle opere ».

E quali opere raccomandava Don Bosco più caldamente? con quali mezzi Domenico Savio salì a grande perfezione?

Don Bosco, nelle prime pagine della sua semplice ma scultoria narrazione, dice che il suo futuro allievo a sette anni era già ammesso alla prima comunione e che in quella circostanza fece tali propositi che a noi paiono, non la prima fioritura di una tenera animuccia che schiude le immacolate corolle alle prime infusioni della Grazia, ma il raccolto dovizioso di una vita matura efficacemente stimolata dalle divine ispirazioni. Leggìamoli :

« Ricordi fatti da me Savio Domenico l'anno 1849 quando ho fatto la Prima comunione, essendo di sette anni

» 1) Mi confesserò molto sovente e farò la Comunione tutte le volte che il confessore mi darà licenza.

» 2) Voglio santificare i giorni festivi.

» 3) I miei amici saranno Gesù e Maria.

» 4) La morte ma non Peccati (1) ».

Due di questi propositi - la frequenza devota ai Santi Sacramenti e una tenera divozione a Gesù e Maria - sono, nè più nè meno, le calde raccomandazioni che faceva costantemente Don Bosco. Che meraviglia che le due anime si sieno subito comprese non appena s'incontrarono, se Domenico ravvisò in Don Bosco il maestro e il direttore di spirito più atto per aiutarlo a mantenere inviolabilmente i suoi santi propositi, e Don Bosco vide in Domenico l'alunno capace di comprenderlo e seguirlo generosamente?

Fu là ai Becchi, nella casetta natale del Venerabile, ove da tutto il mondo si volgono già con affetto gli sguardi degli ammiratori di Don Bosco, che maestro e discepolo si parlarono per la prima volta e che il discepolo dopo un lungo colloquio confidenziale, chiedeva di sè con ingenua franchezza al maestro

- Ebbene che gliene pare? mi condurrà a Torino per istudiare.

- Eh! mi pare che ci sia buona stoffa, gli rispondeva Don Bosco.

- A che può servire questa stoffa; insistè Domenico.

- A fare un bell'abito da regalare al Signore.

- Dunque, conchiuse, io sono la stoffa ella ne sia il sarto; dunque mi prenda con lei e farà un bell'abito pel Signore.

« Venuto nella casa dell'Oratorio aggiunge il Venerabile - si recò in mia camera per darsi, come egli diceva, intieramente nelle mani dei suoi Superiori. Il suo sguardo si portò subito su un cartello, sopra cui a grossi caratteri sono scritte le seguenti parole che soleva ripetere S. Francesco di Sales: Da mihi animas, caetera tolle. Fecesi a leggerle attentamente ed io desiderava che ne capisse il significato. Perciò l'invitai, anzi l'aiutai a tradurle e cavar questo senso: O Signore, datemi anime, e prendetevi tutte le altre cose. Egli pensò un momento e poi soggiunse: - Ho capito; qui non àvvi negozio di denaro, ma negozio dì anime, ho capito; spero che l'anima mia farà anche parte di questo commercio (1). »

Il patto, spontaneamente rinnovato dall'intimo del cuore, fu irrevocabile. Che ne avvenne?

« Il suo tenor di vita - attesta Don Bosco - per qualche tempo fu tutto ordinario nè altro in esso ammiravasi che un'esatta osservanza delle regole della casa. Si applicò con impegno allo studio. Attendeva con ardore a tuttì i suoi doveri. Ascoltava con delizìa le prediche. Aveva radicato nel cuore che la parola di Dio è la guida dell'uomo per la strada, del cielo; quindi ogni massima udita in predica era per lui un ricordo invariabile che più non dìmenticava; ogni discorso morale, ogni catechismo, ogni predica quantunque prolungata era sempre per lui una delizia. Udendo qualche cosa che non avesse ben inteso, tosto facevasi a dimandarne la spiegazione. Di qui ebbe cominciamento quell'esemplare tenore di vita, quel continuo progredire di virtù in virtù, quella esattezza nell'adempimento dei suoi doveri, oltre cui difficilmente si può andare (1) ».

Qual fu l'impulso a questo rapido avanzamento?

Era l'anno 18,54 e la sera dell'8 dicembre, il giorno stesso in cui si definì dogma di fede l'Immacolata Concezione di Maria, Domenico, col consiglio di Don Bosco, compiute le sacre funzioni, andò avanti l'altare della Madonna, « rinnovò le promesse fatte nella prima comunione, di poi disse più e più volte queste precise parole:

» - Maria vi dono il mio cuore: fate sia sempre vostro. Gesù e Maria siate voi sempre gli amici miei! ma per pietà, fatemi morir piuttosto che mi accada la disgrazia di commettere un solo peccato.

» Presa così Maria per sostegno delle sue divozione (osserva il Venerabile), la morale di lui condotta apparve così edificante e congiunta a tali atti di virtù, che ho cominciato fin d'allora a notarli per non dimenticarmene (2) ».

E un altro mezzo, oltre la divozione alla Madonna, usò Domenico Savio per avanzarsi nella perfezione cristiana.

« Egli è comprovato dall'esperienza scrive D. Bosco - che i più validi sostegni della gioventù sono il Sacramento della Confessione e della Comunione. Datemi un giovanetto che frequenti questi sacramenti, voi lo vedrete crescere nella giovanile, giun gere alla virile età e arrivare, se così piace a Dio, fino alla più tarda vecchiaia con una condotta che è l'esempio di tutti quelli che lo conoscono. Questa massima la comprendano i giovanetti per praticarla: la comprendano tutti quelli che si occupano dell'educazione dei medesimi per insinuarla (1) ».

Don Bosco infatti, che nell'educare la gioventù giovavasi con sapiente larghezza di ogni espediente suggerito dai più grandi educatori, preferì costantemente qual mezzo sovrano la pietà: non una pietà vaporosa o sentimentale, ma una pietà nativa e profonda, una pietà operosa, in altri termini le opere o la pratica della pietà, cioè la frequenza dei Sacramenti.

« La frequente Confessione, la frequente Comunione, la Messa quotidiana - egli dichiara formalmente (2) - sono le colonne che devono reggere un edifizio educativo, da cui si vuol tener lontano la minaccia e la sferza. Non mai obbligare i giovanetti alla frequenza dei Santi Sacramenti, ma soltanto incoraggiarli e porgere loro comodità dì approfittarne » .

Domenico Savio, prima che entrasse nell'Oratorio si accostava ai Santi Sacramenti « una volta al mese secondo l'uso - delle scuole: di poi li frequentò con assai maggiore assiduità.... Il suo apparecchio a ricevere la Santa Eucaristia era pio, edificante... Era per lui una vera delizia il poter passare qualche ora dinanzi a Gesù Sacramentato. Almeno una volta al giorno andava invariabilmente a fargli visita, invitando altri ad andarvi in sua compagnia... Prendeva parte con trasporto di gioia a tutte le pratiche, le qualì riguardassero il Santissimo Sacramento (3) ». Così giunse in breve a tal fervore verso Gesù Sacramentato, che « più volte andando in chiesa, specialmente nel giorno che faceva la Santa Comunione, oppure era esposto il Santissimo Sacramento, egli restava come rapito dai sensi; talmente che lasciava passare del tempo anche troppo lungo, se non era chiamato per compiere i suoi ordinari doveri ». Una volta egli rimase immobile, fuori di sè, colla faccia fissa e rivolta al tabernacolo, dal mattino fino alle due pomeridiane e chi sa quanto vi sarebbe restato ancora se non l'avesse scosso Don Bosco. Un altro giorno fu da lui sorpreso in acceso colloquio dopo la S. Comunione, e: « Sì, mio Dio, andava ripetendo, ve l'ho già detto e ve lo dico di nuovo: io vi amo e vi voglio amare fino alla morte! Se voi vedete che io sia per offendervi, mandatemi la morte; sì, prima la morte, ma non peccare (1) ».

Il proposito del fanciulletto di sette anni « La morte ma non Peccati» era sempre da lui ripetuto, e ai piedi della Beata Vergine e dinnanzi a Gesù Sacramentato. Tanto potè in quell'anima verginale la santa pedagogia di Don Bosco!

Come sarebbe bello uno studio accurato sulla vita di Domenico Savio e su tutte le biografie scritte da Don Bosco in memoria di altri suoi cari discepoli! Verremmo a conoscere la larga parte che ebbe il Venerabile nella loro formazione; e inoltre resterebbe assodato come in Don Bosco la sorgente della Fede, che gli fu continuo sostegno e prima forza motrice di tutto il bene che operò, s'identificava coll'ideale supremo del suo zelo sacerdotale: cioè che nulla egli ebbe maggiormente a cuore, nulla cercò con maggior ansia e maggior affetto, che far amar da tutti chi egli teneramente amava: Gesù in Sacramento e Maria Santissima

Questi due amori, com'erano la vita della sua vita, furono il fondamento della sua fede, l'alimento della sua speranza, l'intima ispirazione della sua carità. Di qui proveniva l'insaziabile suo desiderio e il continuo invito ad onorare e ad amare Gesù Sacramentato e Maria Santissima; era questa la sete cocente e l'espressione continua dell'anima sua, la raccomandazione a quanti lo avvicinavano fiduciosi di ottener da Dio grazie e favori, e nell'intimità della sua vita di famiglia il semplice ma sublime programma col quale guidava e voleva guidati i suoi figli all'acquisto della virtù.

Voglia Iddio che questi due amori - come addussero Domenico Savio e tanti altri giovanetti ad ardua mèta nel sentiero della perfezione cristiana - continuino ad infervorare tutti gli allievi degli Oratori Salesiani e dei nostri Istituti di educazione: e faccia pure il Signore che da ogni nostra Casa, e specialmente da ogni Chiesa Salesiana, gli stessi ancori quasi un sol faro potente, abbiano a gettare in largo giro tra il popolo cristiano i loro raggi soavi e benedetti!

(1) Cfr. il Decreto De Servis Dei del 26 agosto u. s.

(1) Vita del giovanetto Savio Domenico, capo III.

(1) Vita dei giovanetto Savio Domenico, capo VIII.

(1) Vita ecc., capo VIII. (2) Ivi,

(1) Vita ecc., capo XIV.

(2) Il Sistema preventivo nell'educazione della gioventù, II, 4.

(3) Vita ecc., capo XIV.

(1) Vita ecc., capo XX.

Testo e traduzione del Decreto

DECRETUM.

ASTER. et TAURINEN. BEATIFICATIONIS ET CANONIZATIONIS SERVI DEI DOMINICI SAVIO ADOLESCENTIS LAICI ALUMNI ORATORII SALESIANI.

Sodales Salesiani, qui excellentes adolescentulos ab ipsis educatos et eruditos laudibus extulerunt, DOMINIco SAVIO, Oratorii laico alumno, Scripturae sententiam congruere censuerunt: in omni ore quasi mel indulcabitur eius memoria Revera tradunt DoMINICUM puerum fuisse plenum consilio, pietate erga Deum eí parentes conspicuum, modestum, gravem miraeque simul comitatis, acri ingenio supra aetatem, ad studia litterarum aptissimum, seniorum vero virtutes eximie imitatum, ut et maires, illum in exemplum suis filiis solitae essent proponere, et ipse Christi bonus odor dici meruerit.

Natus est in oppido Ripae, prope Cherium, die 2 aprilis, anno 1842, patre Carolo, matre Rosa Gaiato. Puerulus, utpote non amplius sepient annos natus, cum pietatis et innocentiae laude floreret, ad sacram Synaxim admissus est: mox, uti ferunt, eo amore in Ssmaan Eucharistiam exarsit, ut, cum anno 1854 litterarum studiis operam daturus in Taurinense Salesianum Oratorium esset receptus, ad tres et amplius horas velati alienatus a sensibus coram Ssmo Sacramento saepe permanserit. Sanciam Virginem Dei Genitricem ut matreni arnantissimam coluii, et auctor fuit ut Sodalìtium ab

Immaculata eiusdem Virginis Conceptione excitaretur, in quod adseiti adolescentuli fructus vitae percipereiit. Quo factum est, ut Superiores magnum animum in mero perspicientes et patientent iniuriarum admirandum in modum, de eo bene confiderent: ipse vero nobile exemplar inter aequales haberetur, a quo omnes praeclarum illud didicerunt. Malo mori quam peccatum patrare. Ineunte adolescentia in morbum incidit, quo ab Oratorio invitus discedere et apud parentes se recipere coactus est. Verum, quamvis nihil praetermissum esset quod ad eum sanandum pertineret, morbo in die crescente, quem aequo fortique animo toleravit, decimo quinto anno aetatis suae nondum exacto, pientissime obdormivit in Domino die 9 martii anno 1857, magnum relinquens desiderium sui cum fama virtutum. Dum vixit,

V S D. Ioanni Bosco iucundissimus fuit, qui adolescentulum non aetate sed virtute cum esset metitus, aetas enim senectutis est vita immacolata, post eius obitum historiam seri qua DOMINICUM súum amantissime expressit quasi florem rosarum in diebus vernis et quasi lilia in transitu aquae. Fama sanctitatis quam Dei Famulus in vita adeptus fuerat, post obitum perseverans et crescens, Rmum Ordinarium dioecesis Asten. excitavit ad Inquisitiones sua auctoritate super eadem fama conficiendas. Quibus perfectis, Romam delatis et Sacrae Rituum

Congregationi traditis, quum omnia a iure praescripta essent servata, instante R.mo Domino Dante Munerati Societatis Salesianae Procuratore Generali et Causae Postulatore, attentis litteris postulatoriis quorumdam Em.orum S. E. R. Cardinalium, plurium R.morum Sacrorum Antistitum necnoc Capitulorum, Ordinum et Congregationum una cum laicis utriusque sexus praestantibus, E.mus ac R.mus Dominus Cardinalis Vincentius Vannutelli, Episcopus Praenestinus et Causae Ponens seu Relator, in Ordinario Sacrae Rituum Congregationis Coetu, subsignata die ad Vaticanuum coatto, sequens dubium discutiendum proposuit:

An signanda sit Commissio introductionis Causae, in casu et ad effectum de quo agitur?

Et E.mi ac R.mi Patres sacris tuendis ritibus praepositi, post relationem ipsius E.mi Ponentis, andito voce et scripto R. P. D. Alexandro Verde Sanctae Fidei Promotore, omnibusque accurate perpensis, respondendum censuerunt Affirmative seu signandam esse Commissionem, si Sanctissimo placuerit. Die 10 Februarii 1914.

Facta postmodum de his Sanctissimo Domino Nostro Pio Papae X per subscriptum Sacrae Rituum Congregationis Secretarium relatione, Sanctitas Sua rescriptum eiusdem Sacri Consilii rafuna habens, propria manu signare dignata est Commissionem introductionis Causae Servi Dei DOMINici SAvio, adolescentis laici el alumni Oratorii Salesiani, die 11 eisdem mense et anno.

Fr. SEBASTIANUS Card. MARTINELLI,

L. ~ S. Praefectus.

+ PETRUS LA FONTAINE, Ep. Charystien., Secretarius.

DECRETO.

CAUSA DI ASTI E TORINO PER LA BEATIFICAZIONE E CANONIZZAZIONE DEL SERVO DI DIO DOMENICO SAVIO GIOVANETTO LAICO ALUNNO DELL'ORATORIO SALESIANO.

I Salesiani, che esaltarono alcuni meravigliosi giovanetti da loro educati ed istruiti, dissero convenire a Domenico Savio, semplice alunno dell'Oratorio, il detto della Sacra Scrittura: Su d'ogni labbro sarà dolce quasi miele la sua memoria.

È noto infatti che Domenico fu un fanciullo pieno di senno, di amor grande verso Dio e verso i genitori, modesto, grave e insieme di un'ammirabile bontà e di un grande ingegno superiore agli anni, che riusciva ottimamente negli studii e ricopiava in modo perfetto le virtù degli uomini più attempati, sicchè le madri solevano proporlo qual modello ai loro figli, ed egli meritava di essere anche chiamato « il profumo di Gesù Cristo ».

Egli nacque in Riva di Chieri il 2 aprile del 1842, da Carlo e Rosa Gaiato. Ancor fanciulletto, poichè non aveva più di sett'anni ma già primeggiava per pietà e candore, venne ammesso alla Ia Comunione; e tosto, come è fama, avvampò di siffatto amore verso la SS. Eucaristia che, accolto l'anno 1854 nell'Oratorio Salesiano di Torino per compiervi gli studii, più volte stette in estasi tre e più ore davanti il SS. Sacramento.

Egli amava la S. Vergine Madre di Dio come sua mamma dolcissima e si adoperò perchè sorgesse la Compagnia dell'Immacolata, mercè la quale gli ascritti potessero raccogliere frutti salutari.

Ne avvenne che i Superiori vedendo in lui un animo grande e mirabilmente paziente nelle ingiurie, ne concepirono grandi speranze; ed egli veniva tenuto tra i compagni qual nobile modello dal quale tutti appresero lo splendido motto: « La morte ma non peccati! »

Sul fiore dell'adolescenza fu colto dal morbo che lo costrinse, non senza pena, ad abbandonare l'Oratorio e a tornare in famiglia. Ma sebbene non si fosse risparmiato alcun mezzo per ridonargli la salute, crescendo ogni giorno il male, che sopportò con animo tranquillo e forte, non avendo ancor compiuto il quindicesimo anno, religiosissimamente s'addormentò nel Signore il 9 marzo 1857, lasciando gran desiderio di sè e fama di santo.

Finchè visse fu carissimo al Venerabile Servo di Dio Giovanni Bosco, che misurando il giovinetto non dagli anni ma dalla virtù, poichè è vita lunga una vita immacolata, ne scrisse dopo morte la biografia, nella quale con grande affetto egli ritrasse il suo DOMENICO come un rosaio fiorito in primavera, e come un cespo di gigli lungo il corso delle acque.

La fama di santità, che il Servo di Dio aveva goduto mentr'era vivo, perseverando e crescendo dopo morte, mosse il Rev.mo Vescovo della diocesi di Asti a far compiere il Processo Ordinario sulla fama suddetta (1).

Condotto a termine il Processo, recato a Roma e trasmesso alla S. Congregazione dei Riti, dopo aver riconosciuto che ogni cosa si era compiuta regolarmente, ad istanza del Rev.mo Don Dante Munerati, Procuratore Generale della Società Salesiana e Postulatore della Causa, tenuto conto eziandio delle Lettere Postulatorie di parecchi Eminentissimi Cardinali di S. Romana Chiesa, di molti Rev.mi Vescovi, di Capitoli, di Ordini e di Congregazioni, nonchè di laici insigni dell'uno e dell'altro sesso, l'Em.mo e Rev.mo Signor Cardinale Vincenzo Vannutelli, Vescovo di Palestrina e Ponente della Causa, nell'Adunanza Ordinaria della S. Congregazione dei Riti tenutasi in Vaticano il giorno indicato più avanti, propose la discussione del seguente quesito: « Se fosse da stabilirsi la Commissione dell'Introduzione della Causa nel caso e per lo scopo di cui si tratta ». E gli Eminentissimi e Reverendissimi Padri, preposti alla vigilanza dei sacri Riti, dopo la relazione del suddetto Em.mo Card. Ponente, udito a voce e per iscritto il Rev.mo Mons. Alessandro Verde, Promotore della Fede, tutto diligentemente considerato, decretarono di rispondere: « Affermativamente; essere cioè da stabilirsi la Commissione se così Piacesse al Santo Padre ». Questo accadeva il giorno 10 febbraio 1914.

Fattane relazione al Santissimo Signor Nostro Papa Pio X dal sottoscritto Segretario della S. Congregazione dei Riti, Sua Santità, ratificando il Rescritto dello stesso Sacro Consesso, degnavasi firmare di proprio pugno la Commissione per l'Introduzione della Causa del Servo di Dio Domenico Savio, giovanetto laico ed allievo dell'Oratorio Salesiano, il giorno ii del mese e dell'anno suddetto.

Fr. SEBASTIANO Card. MARTINELLI

Prefetto della S. C. dei Riti.

+ PIETRO LA FONTAINE

Vescovo di Caristo, Segretario.

(L. S.)

(1) Il Processo ordinario in ordine alla Causa di Beatificazione e Canonizzazione del Servo di Dio si tenne a Torino, chè nell'Archidiocesi Torinese Domenico Savio nacque e visse quasi tutta la sua vita.

L'ORATORIO FESTIVO

Sua necessita - Sua opportunita - Suoi frutti

(Lettera dell'Em.mo Card. NAVA, Arcivescovo di Catania)

SUA Eminenza Rev.ma il sig. Card. Giuseppe Nava, Arcivescovo di Catania, nella Lettera Pastorale per la quaresima di quest'anno 1914, ha trattato un argomento importantissimo nell'ora presente : L'Oratorio Festivo.

L'Eminentissimo comincia dal ricordare le sue ripetute esortazioni, dirette ed indirette, per l'educazione cristiana della gioventù, la quale « se è stata sempre nella Chiesa Cattolica la base della santificazione delle famiglie e della restaurazione morale della società, molto più lo è ai giorni nostri, in cui il soffio malefico del laicismo ha intiepidito il sentimento religioso ». Accenna in seguito alle sue cure per « far comprendere ai genitori la necessità imperiosa di istradare i figliuoli, appena giunti all'età del discernimento, nella pratica della nostra Santa Religione, con l'insegnamento dei rudimenti della Fede nella propria famiglia e con quello più ampio che viene impartito nelle scuole di Catechismo fondate nelle varie Parrocchie »; e soggiunge di non aver cessato di esortare i Revv. Parroci e sacerdoti « a non istancarsi di amministrare ai fanciulli nelle domeniche e feste dell'anno il nutrimento delle eterne verità, mettendo in opera tutte le industrie suggerite dalla carità di Gesù Cristo, per rendere le classi più frequentate e feconde di frutti di spirituale salute ». Ma purtroppo, egli rileva, limitato è l'insegnamento, scarso il numero degli allievi, poco il profitto che se ne ritrae. Di qui la

Necessità dell' Oratorio festivo.

« Questo è il fatto doloroso, in tutta la nuda sua realtà, che amareggia grandemente l'animo Nostro e di tutti i buoni, i quali ne sono testimoni. Ma a che giova il constatarlo, se non ci studiamo di arrecarci un efficace rimedio? Possiamo mai assistere indifferenti al triste spettacolo d'innumerevoli anime, le quali s'avviano irreparabilmente alla eterna perdizione? - Se poco o nulla è valso l'insistere opportune et inopportune, con la predicazione domenicale, gli esercizi spirituali, i foglietti volanti, gl'inviti e avvisi particolari a scuotere i genitori dalla loro indolenza e noncuranza dei loro doveri essenziali circa l'educazione cristiana dei figli, dobbiamo conchiudere che già sono esauriti i mezzi per salvare la gioventù dal naufragio che la minaccia? - No certamente, come non ci è forza creata che possa resistere al potere infinito di Dio, così non ci sono ostacoli che possano dirsi insormontabili di fronte alla carità che Egli ha acceso nel cuore dei continuatori dell'opera sua redentrice, la cui azione è resa onnipotente dalla grazia divina; e dobbiamo ad ogni costo aprirci la strada alla conquista delle anime, contrastata dagli eterni avversari del bene.

» Un esempio luminosissimo ci viene dato dalla storia dei tempi della Chiesa. Dodici poveri pescatori, ignoranti, timidi e sprovvisti d'umani presidi, appena ricevono nel cuore la scintilla della grazia dello Spirito Santo, entrano intrepidi in vaste regioni a loro ignote, inospitali e ostili, e in poco tempo sanno conquistarsi i cuori, dissipano gli errori, correggono i costumi, rigenerano a nuova vita i popoli idolatri, sensuali e abbruttiti dai vizi. Tanto può la carità di Gesù Cristo! - E per non allontanarci dal nostro argomento, credete voi che l'educazione cristiana dei figli non abbia incontrato in altre epoche del cristianesimo difficoltà gravissime per la corruzione della società e per la guerra mossa sempre alla gioventù dal nemico dell'uman genere? Iddio però fece sorgere degli uomini grandi, i quali, guidati dal suo superno lume e mossi dall'irrefrenabile ardore di salvare le anime e procurare la sua maggior gloria, seppero fondare delle opere meravigliose di sapienza cristiana, opportune alle condizioni della società in cui vissero, e con esse poterono strappare i figli dalle mani del nemico e guidarli dolcemente al porto della salute. Tale fu un S. Filippo Neri, detto l'Apostolo della gioventù, e tali sono stati molti suoi fedeli discepoli, che hanno continuato la sua santa impresa. Gli Oratori, da loro eretti in molti luoghi d'Italia nostra e fuori, sono stati l'arca della salvezza di moltissime anime nel periodo più pericoloso della loro vita».

L'Oratorio festivo di Don Bosco.

« Tale è stato in tempi a noi più vicini l'uomo che la Provvidenza di Dio, mirando con compassionevole occhio la patria nostra, ha suscitato per arrestare la marea dell'incredulità e della dissolutezza, avanzantesi da un secolo in qua nella nostra nazione per travolgere nei suoi gorghi limacciosi tutto quanto di grande nella Religione, nelle arti e nelle scienze han saputo creare e mantenere i nostri antenati. Quest'uomo - chi facilmente non lo raffigura? - è l'immortale D. Bosco, onorato non è gran tempo dall'Augusto Capo della Chiesa del titolo di Venerabile.

» Egli, esaminando le difficoltà dei tempi, studiando attentamente l'indole del giovanetto, le sue naturali inclinazioni, le insidie molteplici, da cui viene circondato per essere arreticato nel male, riconobbe nel sistema educativo di S. Filippo Neri, cioè nell'Oratorio, il segreto efficace per giungere al cuore dei fanciulli e piegarli alla sequela di Gesù Cristo. Si propose anzi di renderlo ancor più vantaggioso, tenuto conto delle mutate condizioni della società presente e dei nuovi bisogni che ne son sorti.

» La origine dell'Oratorio Festivo di D. Bosco fu modesta ed umile, corse l'hanno tutte le opere di Dio, e si deve alla carità fiorita da lui usata verso un giovanetto che veniva battuto e cacciato bruscamente dal sagrista della Chiesa di S. Francesco d'Assisi in Torino, perchè aveva risposto di non saper servire la S. Messa. - D. Bosco, che stava per indossare le sacre vesti accortosi dell'atto inumano, fece richiamare amorevolmente il giovanetto, che appellò suo amico, lo persuase a rimanere fin dopo la messa, poscia s'intrattenne famigliarmente con lui, e con maniere paterne lo indusse a ritornare nella seguente festa per istruirlo nelle cose della Religione. Lo stesso fece poco dopo con un altro giovanetto che aveva visto in una cappelletti della chiesa in atto di dormire. Con dolci parole, lo invitò a venire ogni festa insieme coi fratelli nella sagrestia, per insegnar loro a vivere da buoni cristiani. Ed essi accettarono volentieri. A questi primi giovanetti si aggiunsero a poco a poco altri compagni, attratti dalla bontà e zelo del sacerdote di Dio, il quale vide moltiplicarsi di giorno in giorno i suoi cari allievi e fu obbligato a portare il suo Oratorio in locali più ampi, ove eresse quei grandi edifizi che abbracciano svariatissime opere di cultura religiosa e civile, con le quali vengono formati ottimi professionisti, dotti scienziati, abili operai, geniali artisti, e tutti cristiani praticanti.

» L'opera ora è cresciuta come albero gigantesco e già estende i suoi rami su altre nazioni dell'Europa, sino alle terre del nuovo mondo. Come però potè mai ottenere D. Bosco che fanciulli e giovani di diversa condizione si recassero con assiduità e in tanto numero al suo Oratorio? - Con l'alternare all'insegnamento delle verità eterne e alle pratiche di pietà, giuochi e divertimenti svariati e conformi alla loro indole e alla loro naturale inclinazione. Divideva perciò le adunanze dei giovani in due parti, l'una serviva di stimolo e di attrazione; l'altra formava lo scopo ultimo a cui egli mirava, cioè l'istruzione religiosa della mente e la formazione del cuore. In ciò consiste l'Oratorio Festivo. Questi sono gli elementi essenziali che lo costituiscono.

» Così si possono popolare di alunni le scuole di Religione e rendere feraci di ubertosi frutti di salute. In tal guisa divenne D. Bosco l'apostolo della gioventù, e i suoi figli, che ne hanno ereditato lo spirito e lo zelo, moltiplicano con lo stesso mezzo il bene fra i popoli in cui la Religione ancora è tenuta in onore, e richiamano a novella vita cristiana e civile le contrade, in cui l'abbandono e i vizi avevano quasi distrutta la Fede di Gesù Cristo ».

L'Eminentissimo scende a mostrare i « frutti grandissimi, inaspettati, meravigliosi che produce nelle parrocchie (dell'uno e dell'altro emisfero) l'Oratorio festivo, quando esso si fonda e si coltiva sotto l'impulso dell'ardente carità di Gesù Cristo. Se in qualche città d'Italia - egli afferma - e in qualche borgata vedete respirarsi un'aria più sana di virtù, e osservarsi maggior rispetto per la Religione nostra, praticarsi con più fervore la pietà cristiana, osservarsi più esattamente le divine leggi, state pur sicuri che ivi si trova un fiorente Oratorio Festivo, dove affluisce una turba di ragazzi giulivi, che si assiepano attorno al sacerdote ed ai catechisti. Osservateli tutti contenti di trovarsi un onesto svago alle occupazioni giornaliere dello studio, un sollievo al lavoro penoso di una settimana e nello stesso tempo li vedete soddisfatti d'avere appresso le lezioni di Catechismo, di aver udito il racconto commovente della vita di Gesù Cristo e dei Santi e adempiute le pratiche di pietà ».

Per questo motivo S. E. prese ad argomento della Lettera Pastorale l'Oratorio Festivo, che raccomanda caldamente ai Ministri del Santuario non meno che alla moltitudine dei fedeli, chiedendo a tutti generosità e sacrifizio perchè in tutte le città, in tutti i paesi, e negli stessi piccoli villaggi esso abbia a sorgere ed abbia vita rigogliosa e salutare.

Generosità e sacrifizio.

« Il Venerabile Don Bosco e tutti gli altri che hanno continuato la benemerita sua opera, hanno avuto a loro ausiliari degli insigni benefattori dell'uno e l'altro sesso: anime grandi, le quali han posto a disposizione degli apostoli della gioventù parte dei belli che Dio ha loro largiti, a fine di preparare alla società nuovi e copiosi elementi, senza i quali non è possibile raggiungere la sua restaurazione morale, civile e religiosa.

» I cuori bennati, che sentono inclinazione alla beneficenza, si persuadano che non potrebbero trovare oggetto più nobile per esercitarla con immenso vantaggio, quanto l'anima del fanciullo, e che non ci può essere merito prezioso che uguagli quello che ne deriva dalla cooperazione alla salvezza di essa, anzi alla salvezza di moltissime anime ad un tempo.

» Tra i fedeli possono inoltre taluni concorrere alla vita dell'Oratorio con aiutare il direttore nel mantenere la disciplina fra i giovanetti, nella sorveglianza e nell'insegnamento di qualche classe di Catechismo. Soprattutto devono concorrere allo sviluppo ed incremento dell'Oratorio i genitori, che sono i naturali coadiutori di coloro che si dedicano all'educazione cristiana dei loro figli. Per lo meno devono essi spingerli ed incoraggiarli cari la loro autorità ed affettuose insistenze a frequentarlo assiduamente.

» Sacerdoti dunque e fedeli, prendete a cuore l'opera degli Oratorii, di cui Ci siamo studiati di dimostrarvi brevemente la grande necessità per far crescere i giovanetti nel santo timore di Dio, e per prepararli a divenire ottimi cittadini, decoro della Religione e della Patria. Tanto maggiore deve essere il vostro zelo per tale opera, quante più intenso vediamo lo studio dei nostri avversari nel moltiplicare analoghe istituzioni a danno della gioventù. Ai nostri Oratorii Festivi essi oppongono i loro ricreatori laici. Il sistema è il medesimo, ma il fine diametralmente opposto. Noi lavoriamo per condurre anime a Dio, essi per renderle schiave del demonio. Noi ci affatichiamo per istruire i cari giovanetti nei loro doveri morali e religiosi, essi mirano con arti nefande a cancellare dalla loro mente ogni principio di Fede, il timore dei divini giudizi e la Speranza di una vita felice al di là della tomba. Noi aspiriamo a formare dei buoni cittadini nel tempo e dei beati nella eternità, essi non hanno altro impegno che d'ingrossare le fila delle sètte tenebrose, di moltiplicare i facinorosi e i sovversivi, e di giungere così alla distruzione della famiglia e della società. »

L'esortazione finale.

« Ci piace di terminare la nostra Pastorale esortazione con la seguente bella pagina scritta dal venerato D. Bosco sull'opera sua benedetta:

« Le parole del Santo Vangelo: ut filios Dei, qui erant dispersi, congregaret in unum (Joan. XI, 52) che ci fanno conoscere essere il Divin Salvatore venuto dal Cielo in terra per radunare insieme tutti i figliuoli di Dio, dispersi nelle varie parti della terra, parmi che si possano letteralmente applicare alla gioventù dei nostri giorni. Questa porzione la più delicata, e la più preziosa dell'umana società, su cui si fondano le speranze di un felice avvenire, non è per se stessa di indole perversa. Tolta la trascuratezza dei genitori, l'ozio, lo scontro dei cattivi compagni, cui vanno specialmente soggetti nei giorni festivi, riesce facilissima cosa insinuare nei teneri cuori i principii di ordine, di buon costume, di rispetto, di religione; perchè se accade talvolta che già siano guasti in quell'età, il sono piuttosto per inconsideratezza che per malizia consumata.

« Questi giovani hanno veramente bisogno di una mano benefica che prenda cura di loro, li coltivi quindi alla virtù, li allontani dal vizio. La difficoltà consiste nel trovar modo di radunarli, loro poter parlare, moralizzarli. Fu questa la missione del Figliuol di Dio: questo può solamente fare la sua santa Religione. Ma questa Religione, che è eterna ed immutabile in sè, che fu e sarà mai sempre in ogni tempo la Maestra degli uomini, contiene una legge così perfetta, che sa piegarsi alle vicende dei tempi e adattarsi all'indole diversa di tutti gli uomini.

« Fra i mezzi atti a diffondere lo spirito di religione nei cuori incolti ed abbandonati si reputano gli Oratorii... Quando mi sono dato a questa parte del Sacro Ministero, intesi di consacrare ogni mia fatica alla maggior gloria di Dio ed a vantaggio delle anime, intesi di adoperarmi per fare buoni cittadini in questa terra, perchè fossero poi un giorno degni abitatori del Cielo. Dio mi aiuti a potere così continuare fino all'ultimo respiro di mia vita ».

« Piaccia a Dio che molti dei nostri cari sacerdoti sappiano ben meditare queste auree parole del Venerabile Fondatore della Pia Società Salesiana, e seguire quindi le sue gloriose orme nell'opera sublime degli Oratorii Festivi. Per Noi sarebbe questa la più grande delle consolazioni...»

Che Iddio, sempre ricco in bontà e misericordia, doni all'Eminentissimo Pastore dell'Archidiocesi Catanese l'invocata consolazione! Noi glie la preghiamo di cuore, mossi dalla riconoscenza che ci stringe a Lui pei mille pegni di benevolenza datici, ai quali dobbiamo aggiungere questo, così recente, di avere colla sua autorità personale e colla sua dottrina illustrato l'Opera che fu più cara d'ogni altra al nostro Venerabile Fondatore!

Il Successore di Don Bosco in Sicilia

IL signor Don Albera, nostro venerato Rettor Maggiore, ha compiuto recentemente una visita a tutte le Case Salesiane dell'Ispettoria Sicula, ed era di ritorno a Torino ai primi del corrente aprile. Grazie a Dio, il suo viaggio fu di grande conforto a quei nostri Confratelli, con i quali il buon Padre largheggiò delle più affettuose sollecitudini, e insieme tornò gradito a quei benemeriti Cooperatori, nei quali egli infuse nuova lena a continuare all'Opera di Don Bosco il loro appoggio e la loro benevolenza.

Certi di far piacere ai lettori, noi pubblicheremo quasi integralmente le lettere scritte al rev.mo sig. Don Filippo Rinaldi, prefetto generale della nostra Pia Società, dal caro confratello Don Michele Borghino, che accompagnò come segretario particolare l'amato Superiore.

A Massa Carrara.

Napoli, 2 febbraio 1914..

... Dopo esserci fermati alcune ore a S. Pier d'Arena, lo stesso giorno (30 gennaio) giungemmo a Massa.

Il sig. Don Albera ebbe un ricevimento veramente splendido da Mons. Marenco, che non capiva più in sè dal contento di ospitale il Successore del Ven. Don Bosco e non ci lasciò un momento soli nelle ventiquattr'ore che ci fermammo con lui. Ci fece visitare la cattedrale ed il seminario, dove presentò a D. Albera i suoi chierici perchè rivolgesse loro una buona parola e li benedicesse in nome di Don Bosco; e Don Albera li esortò a corrispondere alle cure affettuose del loro Vescovo e dei loro Superiori.

Con gentile pensiero Monsignore invitò a pranzo anche parecchi ecclesiastici, tra i quali si contavano varii ex-allievi dei nostri collegi, che fecero affettuosi brindisi in onore del Vescovo e del nostro Rettor Maggiore. Mons. Arciprete presentò gli omaggi del Capitolo, del Clero e della città di Massa. Don Ugo Barbieri, curato del duomo di Carrara, raccomandò a Don Albera di mandare i Salesiani nella sua città. Il Can. Azzi ricordò l'Oratorio di Torino e Don Bosco, e una sua letterina al babbo, corretta e postillata da Don Bosco stesso, che valse la conversione del babbo alle pratiche religiose. Anche Mons. Marenco prese la parola e con vera commozione ringraziò il Successore di Don Bosco della visita preziosa che, disse, eragli stata promessa dallo stesso Don Rua: e si chiamò lieto di aver avuto l'occasione di mostrare al Superiore dei Salesiani tutto l'affetto che egli ha sempre per la nostra Pia Società.

Don Albera rispose al Vescovo e agli antichi allievi ringraziando tutti della bella dimostrazione che gli avevano dato; poi si congedò da Mons. Marenco, che volle accompagnarlo sino alla stazione,

A Roma, ove si giunse mezz'ora dopo la mezza notte, attesi dall'Ispettore D. Conelli e dal Direttore dell'Ospizio del Sacro Cuore, ci fermammo tutta la domenica e il lunedì circondati dalle più affettuose attenzioni di quei cari confratelli.

Il sig. D. Albera passò questi giorni come in incognito e non .fece visita alcuna. Assistette al banchetto che per pura casualità si dava agli esaminatori dei giovani delle Scuole Professionali dell'Istituto, ed oggi partivamo per Napoli dove ci attendeva il muovo Ispettore delle Case di Sicilia Don Giovanni Minguzzi.

A Palermo.

Palermo, 4 febbraio 1914.

La traversata da Napoli a Palermo fu buonissima. Giungemmo qua alle 9 del martedì e trovammo allo sbarco una larga rappresentanza di benefattori, amici e salesiani del Collegio D. Bosco, desiderosi di dare il benvenuto al nostro Rettor Maggiore, con una squadra dei nostri alunni in elegante divisa. Questi vispi giovanetti si strinsero attorno al venerato Superiore, gli baciarono con riverenza ed affetto la mano; poi lasciarono il posto ai distinti signori, rappresentanti dei Cooperatori, degli Ex-allievi, del Clero diocesano, che circondarono il signor D. Albera e lo salutarono con cordiale affetto. Oltre Mons. Gaetano Catalanotto, direttore dei Cooperatori, v'erano Mons. Covais, il prof. De Angelis, Direttore della Scuola Normale, il Cav. Giglio Tramonte pel Comitato Regionale delle Opere Cattoliche, il sac. La Corte Salvatore di Cammarata, ecc.

Al Collegio D. Bosco di via Sampolo, oltre 250 alunni accolsero il venerato Rettore con entusiasmo. Il signor D. Albera con parola paterna ringraziò tutti della festosa accoglienza e poi si ritirò in Cappella per celebrare la Santa Messa. Nel pomeriggio distinti amici e benefattori delle Opere di D. Bosco furono a fargli visita, tra cui vanno ricordati S. Ecc. Rev.ma Mons. Bova Vescovo Ausiliare e suo fratello il Comm. Bova. Il resto della giornata passò in mezzo ai confratelli.

Oggi, poi, mercoledì, il signor D. Albera celebrò la Messa della Comunità, durante la quale moltissimi giovanetti vollero ricevere dalle sue mani la S. Comunione; quindi si recò a far visita di omaggio a S. Em. il Cardinale Arcivescovo, il quale, sebbene ancora convalescente, volle riceverlo in segno di particolare benevolenza e trattenerlo parecchio tempo in udienza privata.

Alle ore 11, per benigna concessione del Cardinale, nel gran salone dell'Arcivescovado alla presenza di un gran numero di Cooperatori e Cooperatrici il sig. D. Albera tenne una Conferenza Salesiana. Presentato all'imponente assemblea da Mons. Catalanotto, il nostro Rettor Maggiore parlò all'attento uditorio per oltre mezz'ora e fu efficacissimo nell'esposizione della riconoscenza di D. Bosco verso i suoi benefattori e nell'enumerazione delle molte opere cui attendono i Salesiani con l'aiuto materiale e morale dei Cooperatori e Cooperatrici Salesiane. Terminò augurandosi che presto abbia a sorgere in Palermo qualche altra Opera, che ci permetta di esplicare a favore della gioventù le varie forme di industriosa carità, che il cuore di D. Bosco seppe trovare.

La parola del nostro venerato Superiore fu ascoltata coli grande interesse e tutti questi cari amici e benefattori vollero ossequiarlo personalmente e deporre nelle sue mani l'obolo della loro carità.

Fra gli ecclesiastici notai il Parroco Palazzotto, il Cappellano Lo Verde, l'arciprete Don Gagliano i RR. Canonici Lagumina, Pandolfo, Messina, di Cola ecc.; il Cav. Crispo Moncada, i signori Ingraiti, Ortinelli ed altri. Tra le signore: la Principessa di Fitalia, la Marchesa De Gregorio, la Baronessa Fatta e altre della nobiltà ,palermitana.

Sua Eminenza, cui per precauzione impostagli dai medici non fu permesso di presiedere l'adunanza, volle avere alla sua mensa il sig. Don Albera e l'Ispettore. Il Signore conservi per lunghi anni a quest'Archidiocesi questo Eminentissimo Pastore, così buono e zelante.

Nel pomeriggio ci recammo a visitare l'Istituto del Boccone del Povero, fondato dal P. Gusmano, Sacerdote Palermitano, il quale, come Don Bosco, dedicò la sua vita alla salvezza della gioventù. La sua istituzione è il monumento più bello della carità cristiana fra i Palermitani; abbraccia l'Istituto degli Orfani con scuole di arti e mestieri, l'Orfanotrofio Femminile, il Ricovero dei poveri vecchi ecc. Visitammo l'Istituto degli Orfani, ricevuti con gentile accoglienza dal Rev.mo Superiore e dai Fratelli.

Il sig. D. Albera si accomiatò da quei RR. PP. e dai loro giovani con cuore commosso e riconoscente. Ogni opera a favore della gioventù povera ed abbandonata interessa sempre il cuore di un figlio di Don Bosco.

A Marsala. Palermo, 7 febbraio 1914.

Ieri mattina abbiamo lasciato Palermo provvisoriamente per una visita ai Salesiani ed agli amici della Casa di Marsala. Lasciando la bella città dalle vie diritte e spaziose che ricordano quelle di Torino, dalla stazione Lolli, succursale preferibile per chi si dirige verso Trapani, la ferrovia traversa la Conca d'oro nelle campagne di Resuttana, avendo a destra il Monte Pellegrino.

Ouesto monte è caro ai Palermitani e lo additano per prima cosa al forestiero. Fra quelle scoscese balze la patrona S. Rosalia visse nascosta in una grotta solitaria più anni fino alla morte che avvenne nel 1166; e la pietà dei fedeli eresse sulla cima del monte un santuario dedicato alla santa, mèta di devoti pellegrinaggi.

Il treno ci trasporta attraverso estesissimi e fertili vigneti, detti dello zucco, toccando grossi centri abitati, come Partinico, Alcamo, Calatafimi e dopo 120 chilometri arriviamo a Castelvetrano, una città di oltre trentamila abitanti, industriosa e centro di vari tronchi ferroviari. Durante la breve sosta avemmo una gradita sorpresa. Il signor Arciprete Can. D. Antonino Messina a capo del suo clero e dei Cooperatori era in stazione per ossequiare il nostro Superiore. Quei buoni amici furono felicissimi di testimoniare al Successore di D. Rua il loro riverente omaggio. Il Can. Messina presentò al sig. Don Albera il Can. D. Lorenzo Curti parroco e il sac. Gioachino Lentini, il quale si unì a noi insieme col sig. Arciprete per accompagnarci a Marsala.

Prima che il treno riprendesse la sua corsa, salirono con noi altri ottimi amici, il Rev.mo signor Arciprete di Marsala Can. D. Francesco Chiaramonte, il beneficiato Nicolò Nizza e l'Avv. Mortillaro, venuti appositamente da Marsala incontro al nostro Rettor Maggiore.

Mentre il treno corre, la conversazione si fa cordiale e vivacissima: e ci parlano di D. Bosco e di D. Rua con tanta simpatia e riverenza che noi siamo ammirati di trovar tanto vive queste care memorie e sì caldo affetto verso le Opere nostre.

A Mazzara del Vallo abbiamo un'altra sorpresa. Appena il treno si ferma, i Sacerdoti che circondano il sig. D. Albera si alzano e invitano il nostro Superiore a discéndere in stazione. Il sig. D. Albera scende e si trova di fronte a S. Ecc. Rev.ma Mons. Audino, Vescovo di Mazzara, a Mons. Ciantro Fabrizi Vicario Generale, al Can. dott. D. Giovanni Quinci, e agli alunni del Seminario Vescovile con a capo il rev.mo Rettore. Agli ossequi ed omaggi il sig. D. Albera rispose con cordiali ringraziamenti, dicendosi riconoscente per le simpatie verso l'Opera Salesiana che egli rappresenta e assicurava tutti delle nostre preghiere. Si dispose quindi a prendere commiato da S. E.; ma questi l'invitò a risalire in treno e, salito egli pure, volle accompagnare il sig. D. Albera fino a Marsala.

Anche qui ci attendevano gli amici dei Salesiani in buon numero, i quali fecero al sig. D. Albera un ricevimento cordiale. V'erano il rev.mo Capitolo, sei Canonici dell'insigne Collegiata, il Can. D. Sebastiano Alagna, fondatore della Casa della Divina Provvidenza, il Can. De Maria Ignazio, Decurione dei Cooperatori, il P. Salvatore Modica, Provinciale degli Agostiniani e tutto il Clero della città, molti Benefattori, Cooperatori ed ex-allievi. La famiglia Spanò, rappresentata dal Cav. Isidoro, dal barone Scipione fu Antonio, dal Cav. Michele, dal Cav. Scipione e dal Cav. Antonio di Michele, aveva messo a disposizione del sig. D. Albera una splendida vettura. V'eran pure i Dottori Galfano.

Tutti ci accompagnarono all'Istituto, dove, dopo una breve visita alla Chiesa, si svolse un ricevimento festoso, animatissimo. Ai fervidi saluti si unirono i ricordi delle vicende dell'Istituto e tutti si augurarono una nuova risurrezione dell'opera.

Il 6 febbraio, primo venerdì del mese, ebbe luogo una solenne funzione in onore del S. Cuore di Gesù Il sig. D. Albera celebrò la Messa della Comunione Generale e Mons. Vescovo, che volle essere nostro graditissimo ospite, chiuse la funzione impartendo la benedizione del SS. Sacramento: ma prima diede sfogo al suo cuore di Pastore e parlò al popolo con un accento da strappare le lagrime. « Che il regno di Gesù Cristo resti tra noi»: questo il tema del suo dire, la sua supplica commovente.

Nel pomeriggio si fece una breve visita alla benemerita famiglia del Cav. Spanò e alla Chiesa Matrice, indi il sig. D. Albera ricevette nell'Istituto i più insigni Cooperatori.

Oggi, 7 febbraio, si ripartì per Palermo. Il sig. D. Albera riconoscente per tutte le attenzioni usategli da S. Ecc. Rev.ma volle fare una sosta a Mazzara e Monsignore accompagnò il nostro Superiore nella visita al Seminario, al Convitto, alla Cattedrale, fondata dal Conte Ruggiero, rinnovata già nel 1694 ed ora per solerzia di Mons. Nicolò Andino restaurata artisticamente.

L'Opera Salesiana a Palermo.

10 febbraio 1914.

Ritornavamo col treno del pomeriggio da Mazzara verso Palermo ricordando le delicate attenzioni usateci da Mons. Vescovo, quando alla stazione di Castelvetrano si ebbero nuove dimostrazioni di affetto da parte di alcuni sacerdoti con a capo il rev.mo sig. Can. Lentini, che vollero presentare i più cordiali auguri al sig. D. Albera...

Alla stazione di Palermo-Lolli ci attendevano Mors. Catalanotto e Mons. Covais coli altri sacerdoti, che s'erano dati ritrovo in casa di Mons. Catalanotto, ove il sig. D. Albera si fermò ricevendo la visita di parecchie cooperatrici ed ammiratori dell'Opera Salesiana fino ad ora tarda.

Domenica, 8 febbraio, fu il giorno totalmente riservato per i nostri giovani del Collegio, in una intima festa di famiglia con funzioni religiose al piattino e nel pomeriggio, e un trattenimento accademico musicale, al quale presero parte oltre cinquanta Ex-allievi dell'istituto. Era la prima volta che si adunavano.

Qual'è l'opera alla quale attendono i Salesiani in Palermo? Onesto domandava a me stesso, quando percorrendo il magnifico Viale della Libertà che gareggia col corso Vittorio Emanuele di Torino, ci avvicinavamo al quartiere ove sorge l'Istituto Salesiano. M'immaginava un edifizio grandioso, dai saloni arieggiati e cortili spaziosi, che potesse armonizzare cogli edifici eleganti del Viale della Libertà poco distante. Vidi invece il modesto ambiente, fatto di adattamenti progressivi.... ma in un'amenissima posizione fra il monte Pellegrino e la città, fra piantagioni di limoni e aranci e siepi di gerani in fiore; e in quell'ambiente pieno di vita, di vivacità, di giovinezza, riscontrai la vita delle case di Don Bosco più fiorenti, vissuta da oltre 18o giovani studenti e convittori e quali un centinaio di esterni, che percorrono le classi ginnasiali ed elementari.

Ieri lunedì, 9 febbraio, fu l'ultimo giorno di dimora in Palermo e nella mattinata restituimmo varie visite. Si passò al ricovero dell'Infanzia abbandonata, e all'Orfanotrofio femminile del « Boccon del Povero ».

In casa di Mons. Catalanotto era stato preparato un ricevimento, degno del cuore che l'aveva ideato. Erano convenuti molti amici ed ammiratori dell'Opera Salesiana per ossequiare il sig. Don Albera; le persone più note del campo cattolico di Palermo, il cav. Giglio Tramonte, presidente del Comitato regionale, il conte Maurigi, presidente del

Comitato Diocesano, l'avvocato Jannelli, Consigliere comunale, l'onorevole Antonino Pecoraro, il cav. Crispo Moncada Carlo, consigliere comunale, il cav. Corradino Amò e Mons. Lagumina, Canonico Penitenziere. Si passarono due ore d'intimità famigliare.

Il Cav. Giglio Tramonte, mise a disposizione del sig. Don Albera l'elegante sua vettura; con pari gentilezza aveva fatto giorni innanzi la signora Pittalà. Si potè fare così una visita all'Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice, all'Arenella.

Son giornate piene di attività, perchè il lavoro più importante del sig. Don Albera è ciò che non appare, è il rendersi conto degli Istituti e visitare i suoi figli, i giovani delle nostre case. Questo è il lavoro più intenso ed efficace che egli svolge nel silenzio della famiglia. Egli ha per tutti una parola buona, un conforto, un incoraggiamento; e così ricevono nuova vita tutte le energie per continuare ed aumentare il bene a favore della gioventù.

(Continua).

L'Opera di D. Bosco nell'Argentina NELL'URUGUAY, NEL CHILI E NEL BRASILE

(Lettere del Sac. Stefano Trione)

VIII (1). Nel Brasile.

Da Lorena in sette ore di treno fummo a Rio de Janeiro accolti in festa dai confratelli e dagli exalunni. In quella capitale federale, che dista solo venti minuti di vaporino dal gran Collegio Salesiano di Nictheroy, i Salesiani hanno per ora solamente una residenza e si dedicano ad opere di sacro ministero.

All'indomani del nostro arrivo alla Capitale Federale fummo a far visita di ossequio al Nunzio Apostolico e a Mons. Vescovo Ausiliare, essendo assente il Cardinale Arcivescovo. Fummo accolti con immensa benevolenza e potemmo discorrere a lungo delle condizioni degli immigrati italiani nel Brasile.

Fummo pure a far visita alla R. Legazione Italiana, ove lasciammo il biglietto di visita, essendo assente il Regio Ministro, e al R. Console Italiano, cortesissimo, col quale c'intrattenemmo specialmente sui nostri Segretariati e sulle altre opere a pro' degli immigrati. Anche nel Brasile sono più migliaia i figli di Italiani fra gli allievi dei nostri Collegi.

Alla sera vi fu gran convegno degli Ex-allievi con discorsi, musica, discussioni e conversazioni. Le associazioni di Ex-allievi di S. Paolo e di Rio de Janeiro si contendono la palma; infatti trovai qui pure le stesse sezioni, la stessa alacrità e lo stesso fervore. Rammentai loro i nobili esempi degli Ex-allievi dei principali Circoli dell'Argentina, del Chili e dell'Uruguay, il primo Congresso Internazionale tenutosi in Torino e quanto si va preparando pel 1915; e congratulandomi con loro per la sapiente organizzazione e la mirabile attività del loro Circolo, li animai a proseguire con sempre nuovo slancio nella via intrapresa. Coronò brillantemente il riuscitissimo convegno l'Ispettore Don Rota con una improvvisazione felicissima; nè mancò la promessa d'inviare una rappresentanza a Torino per l'inaugurazione del monumento al Ven. D. Bosco.

Rio de Janeiro è una delle più belle città del mondo con un milione di abitanti. Il Brasile contra 25 milioni di abitanti ed è diviso in 20 Stati, ciascuno dei quali ha la propria costituzione e parlamento e invia rappresentanti al Parlamento Federale. La Capitale Federale fa Municipio o Distretto a sè, e capitale dello Stato di Rio Janeiro è Nictheroy che sorge di fronte a Rio.

Quando il compianto Mons. Lacerda ottenne dal Venerabile D. Bosco i Salesiani per la sua Diocesi, Rio de Janeiro non era ancor immune della febbre gialla, e quindi fu scelta pel Collegio Salesiano una delle posizioni più incantevoli di Nictheroy, con vasta zona di terreno che si estende in gran parte su di una collina, sulla cui sommità sorge uno dei più grandi monumenti eretti alla Vergine Santa. il monumento votivo del Brasile a Maria Ausiliatrice, al compiersi del secolo 19oo, col motto: Ad Jesum per Mariam.

Tre vie conducono dal piano alla cima del dolce colle, la via carrozzabile per gli automobili, la via pei pedoni serpeggiante fra aiuole di fiori, e una terza per la funicolare.

La base del Monumento è un piccolo tempio, che si apre sopra uno spianato capace di 10 mila persone, per le sacre funzioni dei grandi pellegrinaggi. Dietro il Monumento si distendono giardini, viali e boschetti ove i pellegrini possono fare le loro merende e gaiamente divertirsi. La maestosa statua in lamina di rame dorato, alta sette metri, sorge dal piano ove posa il basamento all'altezza di oltre trenta metri, e tutte le sere fino a tarda notte è illuminata da 2oo lampadine elettriche che la rendono brillantemente visibile a tutto il porto e a tutta la rada di Rio de Janeiro, vera Maris Stella.

Il Collegio Salesiano, fondato nel 1883 e sorgente parte al piano e parte al primo salire del colle, ha scuole elementari, scuole professionali con una celebre tipografia e il ginnasio-liceo con 50o convittori. Non può ricevere esterni per assoluta mancanza di posto e di personale insegnante. Gli ordinamenti scolastici, disciplinari e igienici stabiliti dai nostri regolamenti, vi sono applicati con tanta esattezza, che se ne ottengono felicissimi risultati secondo il vero spirito del Ven. Don Bosco.

Nel breve tempo che passai in Nichteroy potei assistere al lieto spettacolo di una delle nostre lunghe passeggiate annuali: le più antiche tradizioni dei tempi del Venerabile Don Bosco conservansi freschissime anche in queste Ispettorie Sud Americane.

Nel Chilì, ne' giorni delle feste patrie, vidi sessanta convittori di mio dei Collegi Salesiani di Santiago fare una passeggiata di nove giorni, come un tempo il Ven. D. Bosco si aggirava insieme coi giovani dell'Oratorio di Torino pei colli del Monferrato. Il Governo Cileno concedette loro biglietti gratuiti sulle ferrovie dello Stato, ed essi portarono con sè un po' di musica e teatro e diedero qua e là trattenimenti privati e pubblici con molto entusiasmo. Nell'Argentina ammirai la grande pas seggiata-pellegrinaggio dei Collegi Salesiani di Buenos Ayres al celebre Santuario della Madonna di Lujàn, distante due ore di treno dalla capitale. In San Paolo vidi la gita sportiva dei 300 convittori di Campinas che, ricevuti e accompagnati da quelli di S. Paolo, percorsero in gran tenuta la via principale della città, dando nella più gran piazza un applauditissimo saggio ginnastico. In Nictheroy un attendeva una gradita sorpresa: una passeggiata ginnico-militare nè più nè meno. I 500 convittori, in elegante uniforme, erano ordinati in distinte squadre; i più giovani avevano alla cintura lui piccolo strumento di guerra, e i più grandicelli, formanti i così detti battaglioni scolastici. portavano il fucile. Precedevano il corpo musicale, i tamburi e la fanfara che suonavano alternativamente, misurando il passo. Al posto d'onore veniva la bandiera fiancheggiata dagli alfieri con a tracollo la fascia dei colori nazionali. Fungeva da generale un ufficiale dell'esercito seguito da un distinto convittore, amendue sopra superbi cavalli. Si andò alla rada, e saliti sovra un battello, in 2o minuti si fu a Rio de Janeiro, attesi da gran folla di parenti e amici. Il battaglione giovanile si ricompose e in ordine s'inoltrò in città per una delle vie più centrali. Passò avanti al Palazzo del Ministero della Guerra, da cui il Ministro, circondato da cospicui personaggi, assistette attentissimo allo sfilare della squadra e n'ebbe parole di alto encomio. Si giunse alla ferrovia e con treno celere si fu in breve ora alla mèta combinata, ove si fece onore alle mense imbandite, si eseguirono saggi ginnastici e con un ritorno trionfale si ripigliò la via del Collegio.

Allo spettacolo di questa ginnastica premilitare io andava col pensiero ai primi fucili che il ven. Don Bosco, ai tempi di Cavour e Urbano Rattazzi, aveva ottenuto dal Governo Piemontese per consimili esercizi fra i suoi giovani dell'Oratorio Festivo in Valdocco. Con gente di svegliato ingegno, di precoce intelligenza e esuberante di vita, insomma colla gioventù, il ven. Don Bosco voleva musica, teatro, ginnastica, grandi feste religiose e civili, e con tal vita piena di sani entusiasmi otteneva che l'allievo fosse più pronto alla pietà, allo studio e al lavoro. Anche oggi si tocca con mano che ove si è più generosi e forti nell'applicazione intera del sistema educativo del ven. D. Bosco, si hanno frutti migliori: giovani più pii e più studiosi, insomma formazione di nobilissimi caratteri, esami splendidi ed anche più generose vocazioni al sacerdozio.

Presso il medesimo Collegio Salesiano di Nictheroy sta erigendosi ora un gran Santuario di Maria Ausiliatrice, da aprirsi al pubblico nel 1915, centenario della festa della nostra gran Protettrice Celeste. Sarà uno dei più bei lavori del nostro architetto Delpiano.

Là pure si tenne un convegno delle benemerite Zelatrici Salesiane della città e dintorni con discussioni e conclusioni molto pratiche, e, come nelle altre città, avemmo conferenze con insigni benefattori e distinti campioni dell'Azione Salesiana, tutti miranti a far sì che le Opere di D. Bosco e specialmente la Pia Unione dei Cooperatori Salesiani raggiungano sempre maggior sviluppo e perfezione.

E che dire dell'Oratorio Festivo? E uno dei più grandi dell'Ispettoria.

In Nictheroy che è città vescovile e molto popolata anche le Figlie di Maria Ausiliatrice hanno due Case, e, ovunque si trovano, lavorano assai, hanno gran numero di allieve e incontrano il favore di tutti.

Frattanto si ritornò a S. Paolo ove mi attendeva altro lavoro di adunanze e conferenze, fra cui una solennissima e imponente adunanza degli Ex-allievi, ove si decise l'invio di una numerosa rappresentanza a Torino pel 1915. Non mancai di far visita alla gran Casa d'Immigrazione che lo Stato di S. Paolo, come quello di Rio de Janeiro, tiene regolarmente aperta per ospitarvi gratuitamente gl'immigrati tutto il tempo occorrente, prima che abbiano trovato destinazione. In quei giorni vi giungevano oltre duemila giapponesi e ne vidi un buon numero, puliti e gioviali, dopo 40 giorni di mare.

In S. Paolo si è fondato un buon Comitato dell'Italica Gens con ottimi auspici e se ne spera un gran bene per gli immigrati italiani di tutto lo Stato.

Ma il giorno del mio ritorno in Italia si avvicinava. Per la Pia Unione dei Cooperatori, i Circoli degli Ex-allievi e le Opere d'Assistenza a prò degl'Immigrati, avrei dovuto inoltrarmi in altri centri di quella Repubblica da me percorsa di volo: avrei voluto visitare Cuyabà, ma occorrevano due mesi di cammino a cavallo; Bahia e Pernambuco (Recife) con parecchi giorni di mare; e Bagè nello stato di Rio Grande del Sud, ecc., ecc.; me ne mancò il tempo. Tuttavia vi supplii con adunanze ispettoriali e altre conferenze, comunicandone l'esito per lettera ai punti non visitati.

Grandi opere si rannodano alle parole: Cooperatori Salesiani, Ex-allievi di Don Bosco, Assistenza agl'Immigrati! Vi lavorano con mirabile zelo tanti Salesiani e Figlie di Maria Ausiliatrice, nonchè insigni nostri benefattori e pie benefattrici. E un campo immenso in cui lo spirito del Ven. D. Bosco si mostra operosissimo, riportandone splendidi frutti di gran bene religioso, morale, civile e sociale. Iddio benedica tanta operosità e la renda sempre più viva e santa!

Venne finalmente l'ora dell'addio e fu ben dolorosa: mi pareva di esser già americano. Quei carissimi confratelli, alunni ed ex-allievi, e benefattori e benefattrici mi avevano circondato di sì grande affetto nei pochi giorni che passai con loro da dover realmente soffrire nel, separarmi. Bella è l'Italia, ma l'America rapisce i cuori!

Anche a bordo la vita non passa oziosa. Ho la fortuna di celebrare quotidianamente la Santa messa: i giorni feriali in piccola cappella e i festivi sul ponte o nella maggior sala a seconda del tempo, e sempre con un po' di discorso...

Gradisca, amatissimo Padre, i miei più cordiali ossequi e mi benedica.

Dall'alto Mediteraneo, 18 novembre 1913.

Suo umil.mo Figlio

Sac. STEFANO TRIONE.

DALLE MISSIONI

MATTO GROSSO (Brasile)

La scoperti di una grande cascata sul Rio das Mortes.

(Relazione del sac. Antono Colbacchini).

Colonia S. Cuore al Barreiro, 24 dicembre 1913. VEN.MO E AMAT.MO SIG. D. ALBERA,

Prima che si chiuda quest'anno desidero, rev.mo e amatissimo Padre, darle qualche notizia di questa missione che sta tanto a cuore a Lei e a tutti i Superiori e Cooperatori.

Vita esemplare dei neofiti.

Il principio del 1913 fu benedetto col battesimo e successivo matrimonio di otto famiglie dei nostri indii, che rinunciando al demonio ed alle antiche superstizioni si diedero alla pratica della nostra Cattolica Religione. Così in questa Colonia si viene formando felicemente un vero villaggio cristiano, chè da veri cristiani vivono questi bravi selvaggi. La maggior parte di loro frequenta i SS. Sacramenti tutte le domeniche e feste dell'anno, ed alcuni vi si accostano più spesso ancora. Son nuovi fiori olezzanti che sbocciano in questo nuovo lembo del giardino della Chiesa, e che col loro profumo ci fanno dimenticare le fatiche che richiede la coltivazione di questo campo evangelico.

Certo devono esser care al Cuore SS. di Gesù le suppliche di questi indii che con barbaro accento si dirigono a Lui per chieder grazie e benedizioni! E proprio bello e commovente, rev.mo Padre, il vederli tutte le sere radunarsi nella cappella, e là, ai piedi di Gesù, ringraziarlo dei benefici ricevuti e pregarlo di nuovi favori. Pochi anni sono essi non conoscevano il nostro buon Dio, nè pensavano a chiamarlo col nome di Padre; ed ora, fervorosi e devoti, piegano le ginocchia e dicono colla forza del loro accento selvaggio: - Pao a rakogere baru tadda boe e iameddu ett' aiddo ak'iegi... Padre nostro che sei nel Cielo, sia santificato il Nome Tuo! - e volgendosi a Maria SS.ma: - Ave Maria, gridano... Ave Maria, pemegare boe amadure gettu ak'abo... Ave Maria, piena di grazia.... Santa Maria, Aroe Migera u-cce a magodo gi pegareuge cenn'ai.... Santa Maria, Madre di Dio, pregate per noi

E il grido della loro anima che della preghiera sente la bellezza ed i salutari effetti: poichè, ora, dicono essi stessi, temono quasi di darsi al sonno o di cominciar il giorno senza pregare. Difatti se per caso tardiamo alquanto a chiamarli per le orazioni, alcuni vengono a dirmi:

- Padre, Pa magodo moddukare Aroe Migeragi aggi kannà? Inno kodde bá? Pa nudu paga modd(u)rìt inno? Padre, non preghiamo forse il Signore oggi? Perchè così? Potremmo forse dormire indifferentemente così?

Veda, sig. D. Albera, quanto può la grazia di Dio su cuori fino a ieri selvaggi, ma semplici e generosi! E potrei aggiungere molti particolari che muoverebbero a vergogna tanti cristiani d'Italia e d'Europa e di ogni altro paese cristiano!

Preghiamo perchè il Signore conservi questi neofiti nel loro fervore, poichè naturalmente le prove non mancano neppur per loro.

Partenza per un'esplorazione - Primo giorno di viaggio - Caccia fortunata - La preghiera serale.

Ora passo a darle una curiosa notizia. Quest'anno si è celebrato in tutto il mondo cattolico il XVI Centenario della Pace della Chiesa e del Trionfo della Croce, e noi pure non abbiamo voluto lasciarlo passare inosservato, ma l'abbiam voluto ricordare in un modo originale. Ecco come.

Questi cari Bororos nei famigliari discorsi che teniamo con loro, mi parlavano sempre delle bellezze naturali di vari punti del Pio das Mortes e particolarmente di una grande cascata del fiume, e m'invitavano a seguirli fin là in un viaggio di esplorazione. A metà anno, celebrata la festa del S. Cuore, mi replicarono con tanto calore tale invito, che io accettai, ma:

- Voglio, dissi loro, che mi conduciate davvero fino alla grande cascata!

- Uh boe cori! boe cori! esclamarono. Oh sì! proprio così!

Si stabilì la partenza e, fatti i preparativi, il 30 giugno tutti e soli gli uomini, muniti di archi e di frecce e alcuni anche di lunghi coltellacci per aprirci il cammino, in lunga fila, un dopo l'altro, come costumano, si misero in viaggio. Noi li seguivamo a cavallo, accompagnati dalle bestie di carica che chiudevano il corteo. Le donne, rimaste in casa, ci accompagnarono coi saluti e collo sguardo finchè ci perdettero di vista.

Alcuni accelerarono il passo per sorprendere qualche capo di selvaggina in un gran bosco che si doveva attraversare, mentre altri continuavano a precederci alquanto, aprendoci il passo, tagliando a destra e a sinistra rami d'alberi, bambù e liane.

Verso mezzodì stavamo appunto attraversando la boscaglia, quando urla e fischi risuonarono nella foresta. Erano i nostri cacciatori che vedevano due grossi cinghiali cader palpitanti ai loro piedi. Allorché giungemmo noi, diedero in un grido di gioia, e

- Padre, cegi bokua moddu ka! cegi bokua moddu ka! giugo r'ema u, pemagaguragare, a koguage modde gi canna? Uh ! na ? Padre, non ci mancherà il mangiare! non ci mancherà il mangiare! è proprio un cinghiale buonissimo; ne mangerai anche tu?

Quel giorno si continuò a camminare tra boschi e cespugli fin verso sera, in cui arrivammo presso un ruscello di limpid'acqua, ove ci parve conveniente fermarci a passare la notte. In un attimo fu pronto l'accampamento. Noi facemmo alt un po' distante dagli indii e mentre essi tagliavano ed abbrustolivano la loro caccia, noi pure pensavamo a farci un poco di cena, quando un giovanotto mi portò una coscia di cinghiale ed un altro un bel pezzo di carne, che abbrustolimmo al fuoco.

Come ci fummo rifocilati, li chiamai e dissi loro:

- Venite a pregare il Signore prima di dormire!

- Uh! boe rugaddo! Sì, molto bene! e vennero subito.

E ad alta voce incominciai nella loro lingua le preghiere che ruppero il notturno silenzio di quel luogo selvaggio, mentre l'eco si ripercuoteva in giro, causando negli animi nostri la più grata impressione.

Anch'io pregava con loro, ma col pensiero volava ai cari Superiori, pensando quanto essi avrebbero goduto nel rimirare una scena così commovente. Finite le orazioni vennero a darci il buon riposo e così si chiuse il primo giorno di viaggio.

Secondo giorno di viaggio - Curiosi animali - i più fieri nemici.

Quella notte io tardai ad addormentarmi. I fuochi accesi qua e là dai nostri agitavano grandi ombre tra l'oscuro della macchia, dando alla scena un non so che di misterioso e solenne. Di quando in quando qualcuno si alzava, e attizzando il fuoco morente dava al quadro nuove luci e nuove ombre.

All'albeggiare, preparato sotto la tenda il piccolo altare, celebrai la Santa Messa, e subito dopo noi compiemmo insieme le nostre pratiche di pietà... Ah! la Fede è l'anima della vita, la forza ed il conforto dei Missionario!

Quando ci mettemmo in marcia, gli indii ci avevano preceduti cacciando, tranne alcuni che eran rimasti con noi per aprirci il sentiero.

Si attraversarono, come il giorno innanzi, boschi, colline, e valli, finchè verso il mezzogiorno arrivammo alle rive del Rio das Mortes, ove ci fermammo, perchè quella notte i bravi indii volevano pescare alla foce di un vicino affluente, da me scoperto anni sono e battezzato col nome di Rio S. Marco. L'accampamento si alzò sulle sponde del maestoso Rio das Mortes, che ancora è in gran parte inesplorato. Circa la metà del secolo XVIII e pel principio del secolo XIX, alcuni tentarono di salirlo, altri di scenderlo; ma furono sempre vani i loro tentativi, sia per le difficoltà naturali, sia anche per la ferocia dei selvaggi che ne abitavano le sponde, fra cui si trovavano i nostri Bororos.

Mentre seduto sulle rive del fiume era immerso in questi pensieri vidi alcuni animali, che mi sembravano cani o gatti, sporgere la testa dalle acque, dare uno strido e tuffarsi nuovamente nelle onde per ricomparire più volte! Non si erano accorti della nostra presenza e si tuffavano e rituffavano nelle acque a poca distanza dal luogo dove noi stavamo. Mi parvero una specie della famiglia delle lontre, detta qui Ariragna. Io avevo sentito parlare di questi animali, ma era la prima volta che li vedevo. Lunghi circa un metro, hanno la testa piccola e un po' simile a quella del gatto, la bocca grande e armata di acuti denti, il collo grosso e lungo, di color giallo scuro con liste nere; non hanno unghie come i cani ed i gatti, ma quattro zampe terminanti in dita legate da una membrana per facilitare il nuoto, e una lunga coda a mo' di spatola grossa e pelosa. Si nutrono di pesci, vivono quasi sempre nell'acqua e raramente si vedono in terra; mi si disse che sono molto coraggiosi e che si difendono da ogni altro animale. I Bororos li temono, perchè mordono ferocemente.

In questa divagazione passammo un po' di tempo divertendoci; ma il nostro piacere presto svanì, sentendo che eravamo perseguitati te nacemente da grossi moscherini e zanzare, che sono i più terribili nemici per chi viaggia in questi deserti. Per liberarcene fummo costretti ad accendere fuochi e solo allora il denso fumo ci potè liberare un po' da tanti insetti che ci pungevano senza misericordia e ci entravano negli occhi, nel naso, nelle orecchie, nella bocca, facendoci perdere la pazienza!

Così giunse la sera del secondo giorno. I selvaggi eran tornati con molta selvaggina e, preparato l'occorrente per la pesca della prossima notte, rifocillatisi e rese grazie a Dio, si abbandonarono al sonno.

Terzo giorno di giaggio - Notte fredda - Pesca abbondante e generosità interessata - Un bagno involontario - A stento si esce dalla foresta - Il quarto giorno.

La notte passò tranquilla, sebbene un po' fresca, per non dir fredda. In questo clima torrido, specialmente nel tempo della secca o meglio nei mesi in cui non cade goccia di pioggia, v'è una differenza enorme tra la temperatura del giorno e quella della notte. Alcune volte, come notai in questo viaggio, di giorno la massima sale all'ombra a 34 e 36 gradi centigradi e di notte la minima scende persino anche fino ai 6, ed allora si sente freddo, e come! Nei luoghi bassi ed umidi, ad es. sulle rive dei fiumi, il freddo si sente ancor di più. Anche sotto questo cielo che sembra di fuoco e che fa parer pesante ogni più leggiero vestito, alcune volte, di notte, senza buone coperte non si può dormire.

E pel freddo fummo costretti ad alzarci e avvicinarci al fuoco per trovare quel calore che le coperte non ci volevano dare. Sotto la nostra piccola tenda io celebrai la Santa Messa prima ancora che spuntassero i primi albori, quindi mi assisi vicino al fuoco a contemplare la superficie delle acque. Omai l'aurora infondeva nella natura una nuova vita e leggere nubi sollevandosi dall'acqua si alzavano e scomparivano in cielo: tutto era bello ! vasto e maestoso il fiume coi dolci riflessi, il cielo purissimo si rispecchiava nelle acque, i boschi e le palme movevano le loro chiome alla leggera brezza mattutina; tutto invitava a benedire la bontà del Signore

Poco dopo ritornarono i nostri selvaggi dalla pesca, che può esser fatta solo dalle prime ore del mattino allo spuntar del sole; ed io non sto a dire come si compia, essendosene già trattato altre volte.

Quel mattino erano tutti carichi e direi barcollanti sotto il peso della pescagione; e vennero subito da me portandomi chi uno, chi due, chi più pesci, tanto che dovetti dir loro

- Basta, basta!

Essi si misero a ridere e:

- Sì, sì, non te ne daremo più, li mangeremo tutti noi; ma tu dacci un po' di tabacco, perchè mangiare senza aver da fumare non va bene e... può far male!

Compresi il loro ragionamento e diedi a ciascuno un po' di tabacco, dicendo

- Andate a mangiare in pace ed allegria e vi faccia buon prò!

Mentr'essi mangiavano, noi ci rimettemmo in viaggio con le guide e c'internammo nel bosco.

Era prossimo il mezzogiorno, e nel partire recitammo l'Angelus Domini invocando la protezione di Maria SS. Giunti alla riva dell'affluente del Rio das Mortes, ove nella notte i nostri indii avean pescato e che, come dissi, io già aveva battezzato in altro viaggio col nome di Rio S. Marco perchè scoperto il giorno sacro a questo Evangelista, non trovando alcun guado, fummo costretti a passarlo a nuoto e con l'acqua fino alle ascelle.

Internatici di nuovo nelle fresche ombre della vergine foresta, seguimmo la direzione del Rio das Mortes, che maestoso ci correva direi quasi sotto i piedi, e dopo alcun tempo ci trovammo all'aperto, sotto i caldi raggi di un sole cocentissimo, ma grazie a Dio l'ombra non si fè molto aspettare. Nel mezzo della boscaglia si guadò un altro fiumicello che, essendo il giorno della Visitazione di Maria SS., chiamammo con tal nome.

Poco appresso si uscì nuovamente all'aperto ed il libero orizzonte si apriva avanti a noi con bella vista, contrastando con la monotonia della foresta. E il sole già declinava, ma i suoi raggi dardeggiavano ancora sopra di noi, che ornai ci sentivamo un po' stanchi. Le nostre guide ci dissero che un po' più oltre si trovava un altro fiumicello, il cui guado sarebbe stato difficile. E fu così. Arrivammo stanchi e bagnati di sudore alla riva di quel fiumicello, non molto largo ma abbastanza profondo e dalle rive di un limo viscoso. Era impossibile il passarlo a guado e discorrevamo sul da farsi, quando un indio ci chiamò e disse:

- Venite qua; che passeremo bene!

E ci additò due grossi pali che essi da tempo avevano colà collocati nelle prime gite alla Colonia... ma i pali si ruppero proprio al mio passaggio, procurandomi un bagno involontario fino alla gola!

La notte si trascorse là presso. All'indomani faceva un caldo opprimente, e per fortuna entrammo in una grande foresta. Però le ore passavano e la foresta non finiva mai!

Il sole era già tramontato e la notte si approssimava rapida e noi eravamo ancor sepolti in quell'ammasso di foglie e di rami. Gli indi maneggiavano nervosamente il coltello a destra ed a sinistra dicendo:

- Ancora un poco e siamo alla fine!

Ma ecco un nuovo inciampo: un fiumicello, che sebben piccolo pareva stesse lì per dirci Alto là! Non ci lasciammo intimorire, e benchè fosse scuro e con qualche difficoltà lo passammo. Ci raggiunse però la notte e solo la sagacia degli indi potè fra quelle tenebre ricondurci all'aperto, a veder le stelle che brillavano sul firmamento.

In fretta essi si diedero ad accatastar legna, perchè dicevano : - Quì il fuoco dev'essere grande tutta la notte; siamo vicini alla foresta e le tigri qui son numerose e possono farci una visita.

Un bel fuoco illuminò la scena e le tenebre si ritirarono intorno a noi come per chiuderci in un cerchio ancor più tetro. La stanchezza presto ci vinse; non si preparò la tenda, nè altro che potesse ripararci dalla rugiada, la cui abbondanza in certe notti è tale che par pioggia: ma, preso un po' di cibo e raccomandatici al Signore, ci coricammo avvolti nella nostra coperta e buona notte.

Il rumore della cascata - Mutamento di paesaggio - arrivo alla mèta - Spettacolo pittoresco.

La mattina del 4 luglio ci svegliammo dal freddo, tutti bagnati di rugiada; il fuoco era ancora acceso e corremmo a scaldarci. I selvaggi si erano alzati e stavano discorrendo tra loro. Al mio giungere uno esclamò:

- Padre, non senti?

- Che cosa? non sento nulla.

- Ascolta bene, quegli continuò, ascolta bene e udrai il rumore della cascata.

Mi posi in attenti e sentii un rumore lontano come di un vento impetuoso che stesse per incatenarsi: un rumore sordo, cupo, che si sentiva più o meno distintamente, a seconda del vento.

- Siam dunque vicini?

- Vicini? Aspetta ancora un poco: solo verso sera saremo là!

- Possibile? io non ci credo! soggiunsi; e chiamai i miei compagni perchè ascoltassero.

Essi pure furono del mio parere. Sembrava che quel rumore fosse lontano tutt'al più due o tre chilometri; e non era così! Ansiosi di giungere presto alla mèta, preparammo in fretta l'occorrente e ci rimettemmo in cammino.

Attraversate alcune macchie, incontrammo estese pianure a somiglianza delle nostre praterie, con rare palme qua e là che levavano al cielo le loro chiome. Questi terreni devono allagarsi nel tempo di alluvioni; ma li passammo senza alcuna difficoltà.

Si andò così fin verso il mezzogiorno, quando ci si aprì davanti, quasi improvvisamente, un nuovo quadro. Era la foce di un fiume che si getta nel Rio das Mortes, che, in quel punto, largo e maestoso comincia a formare la discesa. Ci fermammo a contemplare la bellezza del paesaggio dell'uno e dell'altro fiume per riposarci un poco, e demmo all'affluente il nome di Rio San Luigi. Guadatolo senza difficoltà, si continuò il cammino.

Il rumore, e direi il fremito, della grande cascata si faceva sempre più forte e sembrava che non fosse lontana più di pochi passi; l'aspetto del luogo appariva totalmente cambiato; non più foreste, pianure e luoghi bassi, ma terreno alto e pietroso ed il monte quasi a picco nel fiume, presso cui si vedevano mucchi di pietre, tra le quali le acque sforzavano il passo. E non era più un rumore o un fremito quello che si udiva, ma il muggito, oserei dire, dell'acqua furiosa. Ancor un poco... e vedemmo alzarsi in aria e risplendere coi colori dell'iride il minuto polverio dell'acqua che precipitava nell'abisso.

Il fiume si divide in due rami; nel mezzo si leva una roccia massiccia come per fermare le acque le quali, indomite invece e furenti si gettano da una e dall'altra parte tra due pareti di granito, veloci, precipitose, vorticose, spumanti. La terra sembra che tremi per l'urto impetuoso e un pulviscolo acqueo, denso e fino, copre quella gola d'inferno.

Il fiume, che poco prima potrà avere la larghezza di 200 metri in quel canale si riduce da 6 a 8, e tale continua di pietra in pietra, di salto in salto, per 500 metri e più: dopo i quali i due rami si riuniscono nuovamente e l'acqua scorre tranquilla e maestosa come per riposarsi della lotta sostenuta e prepararsi a nuovi cimenti.

Eccola infatti nuovamente stretta tra colossali muraglie di nera pietra e nuovamente agitarsi e fremere e contorcersi saltando e borbogliando in bianche spume, per nuovamente calmarsi, allargarsi e correre serena, accogliendo il riflesso delle piante robuste e delle agili palme nel terso specchio delle sue acque, mentre isolotti, pietre e scogli dànno a quel punto un aspetto eminentemente pittoresco.

Ma è la calma, foriera della lotta suprema! D'improvviso, l'enorme massa liquida si slancia vertiginosa e precipita, e da quelle voragini, da quelle nere pietre, da quelle acque furenti si sprigiona il rombo continuo come di tuono e dalle bianche spume si leva una nuvola di candidi vapori che mettono un velo all'abisso che si apre sotto i piedi. Tutto produce un'impressione da prima confusa e terribile, poi straordinaria e bella, come è bello tutto ciò che esce dalle mani di Dio; è un quadro veramente sublime!

Tu vedi un largo anfiteatro di nere rupi, le cui ignude pareti sparse quà e colà di verdi chiazze, di muschi ed erbe, fanno orlo a quell'immenso pozzo ove tutte le acque voluminose del Rio das Mortes precipitano senza freno orribilmente muggendo con un salto a picco di circa 8 metri!

Sull'orlo di quell'abisso la vista si oscura ed il piede vacilla; sembra che tutto si muova, si alzi, si sprofondi e che scomparisca in vapore e vento.

E nel fondo di quell'anfiteatro, spinta dalle acque che piombano sempre dall'alto, le onde s'incontrano, s'azzuffano, si sbattono le une colle altre e flagellano orribilmente le nere muraglie che le rinchiudono.

La cascata è là maestosa: l'occhio davanti a quelle acque che si succedono precipitose e cadono e fuggono, rimane attonito, osserva a lungo e non si stanca, non si sazia della bellezza del quadro. Una nebbia continua s'innalza da quella maestà di natura e come perenne aureola si eleva sull'abisso ed ai raggi del vivo sole si adorna, si abbellisce, risplende; e, come dice lo Stoppani « l'iride vi si posa tranquilla, immobile, vero simbolo di pace in tanta guerra ». L'anfiteatro s'apre al lato opposto della cascata e lascia libero sfogo alle acque spumanti per uno stretto canale, per il quale esse si precipitano furenti; e come stanche dell'immane lotta sostenuta, si acquetano, si calmano e pare cerchino pace; ma invano si sciolgono le bianche spume, che più in basso precipitano nuovamente e di pietra in pietra, senza posa, senza tregua, saltano e si sbattono, e schiumano rabbiose, fuggendo in vortici fino a perdersi d'occhio...

Noi pure, come dice il citato Naturalista nel descrivere la cascata della Toce, pieni ma non sazii di quello spettacolo, essendo omai già vicino il tramonto, non facemmo altro che ritornare sui nostri passi... non per andare all'albergo! ma per preparare il nostro accampagmento là stesso, a pochi passi, sotto una pianta.

Mentre i miei compagni cercavano legna, io che aveva ancor da recitare il breviario, mi ritirai ed andai a sedermi sull'orlo della grande cascata e davanti a quello spettacolo di natura trovai più facile alzar il mio pensiero e la mia voce a Dio

La cascata è intitolata a Pio X - Vari dati - Inaugurazione di una croce ricordo.

Ciò fatto rimasi ancora a lungo in contemplazione di quella scena e convinto che quella doveva essere la grande cascata, già anticamente raggiunta da alcuni avventurieri, i quali però non ne diedero dati sicuri, sicchè mai non se ne conobbe il luogo neppure approsimativamente, mi venne il pensiero di unire a quella vera meraviglia di natura il nome di Colui che presentemente è la più grande meraviglia del Nome Cristiano, e di piantare là presso, nell'anno del Centenario Costantìniano, una Croce.

Andai a raggiungere i nostri e dissi loro:

- Sapete come ho pensato di chiamare questa grande cascata? Certo non ve lo immaginate! La chiameremo Cascata Pio X. Vi par bene?

Tutti s'alzarono in piedi e il grido unanime: Viva Pio X! viva il Sommo Pontefice! fu la risposta.

Là, sull'orlo del precipizio, recitammo pure le nostre preghiere e in nomine Domini si andò tutti a riposare. Ma la mia immaginazione non voleva acquetarsi. Nel silenzio della notte il rumore della cascata sembrava più terribile e solenne. Non accostumati a quel rombo contnuo, penetrante, ci svegliammo molte volte, finchè prima dell'alba fummo tutti in piedi, desiderosi di vedere quella magnifica scena illuminata dai primi raggi del sole.

Celebrai la S. Messa prima che sorgesse l'aurora, e mi portai vicino alla cascata.

Spettacolo stupendo! pareva in fuoco. I raggi del sole nascente la illuminavano tingendo di rosso le bianche spume, ed una nuvola di bianco vapore si alzava al cielo quasi colonna di fumo da immensa e bollente caldaia.

In seguito ci recammo a cercare nel vicin bosco due grossi tronchi, per farne una croce da inaugurare il giorno dopo, proprio sull'orlo di quell'anfiteatro, in modo che dominasse la cascata e tutto il magnifico quadro che da quel punto si presenta alla vista.

Contemporaneamente pensammo d'incidere indelebilmente sopra un gran masso, che giace là presso, il nome augusto di Pio X, cui avevamo intitolata la cascata; e in fine prendemmo qualche dato.

Calcolai approssimativamente la larghezza del fiume prima della cascata da 15o a 20o metri, e a due metri la profondità. Dal punto più alto ove comincia la discesa e quindi la cascata, al punto estremo ove questa finisce, lo calcolai largo circa 5o metri e così rimane per un tratto di circa due chilometri e mezzo, o tre chilometri.

La pressione barometrica osservata in quei due giorni segnò in media 734 nel punto più alto della cascata, cioè nel suo inizio; e nel punto più estremo o più basso 738.

Tra una cosa e l'altra, in un batter d'occhio, per noi passò la giornata. Verso sera ritornarono i nostri indi, che erano andati a pescare e fecero buona pesca. A notte io andai ancor una volta alla cascata. Cosa strana; nell'oscurità che tutto avvolgeva essa appariva invece. come illuminata a striscie, a raggi e faville. Attonito, osservai attentamente e vidi il fenomeno ripetersi successivamente e rapidamente, mentre quelle scintillel uminose precipitando colle acque scomparivano e riapparivano, tempestando di punti luminosi quelle candide schiume.

Il giorno dopo, che era la domenica sacra al Sangue Preziosissimo di Nostro Signor Gesù Cristo, dopo la S. Messa, assistita devotamente da tutti i Bororos, sull'orlo della grande cascata inalberammo e fermammo la Croce. Una corona di fiori silvestri di una delicata parassita ne cinse le braccia. Benedettala, tutti c'inginocchiammo e pregammo commossi; poi con tutta la forza del nostro affetto e della nostra venerazione gridammo: Viva Gesù Cristo, Re dei secoli!... Viva Pio X!... Viva il Ven. D. Bosco!... e con questi sentimenti baciammo la Croce.

Dato un addio a quel luogo che ci aveva tanto impressionati, ritornammo commossi all'accampamento per metterci sulla via del ritorno; e saliti a cavallo lanciammo ancora un saluto alla cascata, al grido di Viva Pio X!

Sulla via del ritorno - Un fumo che spaventa - Arrivo alla Colonia - Il voto del Missionario.

In breve fummo al Rio S. Luigi, ed essendo prossimo il tramonto, sotto quelle superbe palme alzammo le tende, ancor vivamente impressionati delle emozioni del mattino.

Il 7 luglio, al levar del sole eravamo già in cammino. Il ritorno fu assai più facile e spedito, chè i rami degli alberi, le canne di bambù e le intricate liane non c'impedivano il passo; quindi noi procedevamo allegri e i nostri indi, costeggiando il fiume, cercavano sempre di prendere qualche pesce. Ma a un tratto li vedo correre a me affannosi ed impauriti, e:

- Padre, mi dicono, non hai visto? - Che cosa?

- Goraddó kamaina voe, bakau kegge! Vi è gran fumo, qui dall'altra parte del fiume! - e me lo indicavano.

- Riki gocoddó, canna? Sarà proprio vero? - risposi e tutti un po' impressionati osservammo tra i rami e le foglie.

In vero si alzava al cielo una densa colonna di fumo non molto lungi da noi, dalla parte opposta del fiume. Chi sarà mai?... Saranno i terribili Caiamós, i feroci nemici dei nostri, i tanto temuti selvaggi del Rio das Mortes?... Non possono esser altri!... E ci avranno visto?... Staranno osservando il nostro passaggio? ... Che ci stiano preparando un agguato?

Queste eran le domande che ci facevamo l'un l'altro. Noi pure ad impensierire chiunque fosse il temuto vicino e insieme a contrastargli l'avanzata, credemmo bene di dar fuoco alla selva, che attizzato dal vento prese subito vaste proporzioni, mentre, affrettato il passo, prolungammo la marcia tutto il giorno. Scesa la notte usammo maggior prudenza e cautela stando attenti e vigili ad ogni rumore. I nostri indi rimasero sempre un po' melanconici e si coricarono proprio vicino a noi. Si sa che chi è in guerra teme il nemico ad ogni passo.

Il sole dell'8 luglio non era ancor apparso, che inforcate le nostre cavalcature ci mettemmo pel bosco, colla speranza di portarci ben vicini alla Colonia od alla Colonia stessa. Si giunse presto al Rio S. Marco; nel quale, sebbene facesse freddo e non si avesse proprio voglia di entrare nell'acqua, dovemmo fare un bagno forzato. Per fortuna che, appena usciti dalla foresta, il sole fece bene la sua parte, dardeggiandoci terribilmente i suoi raggi infuocati.

Già il mezzogiorno era passato e noi stanchi desideravamo riposarci un po', quando avvicinandoci ad un ruscello, dove pensavamo fermarci, uscì dalla macchia a pascolar tranquillamente un branco di antilopi che ricordano tanto i nostri daini. Ne uccisi una e rifocillatici, attraversammo senza difficoltà una folta boscaglia ed un altro fiumicello; e verso sera ci accampammo alle falde delle colline, dietro le quali si stende la nostra Colonia che di là dista un 20 chilometri.

« Sono le 5 pomeridiane, dissi fra me; da qui a 3 ore coll'aiuto di Dio potrei essere a casa. »

Chiamai un compagno, salutai quelli che lasciava indietro, e, dato di sprone al cavallo, m'infilai pel bosco. Il bravo animale pareva avesse compreso il mio desiderio e camminava a passo accelerato. In poco più d'un ora mi trovai fuori della foresta e sull'alto della collina, quando il sole era appena tramontato dietro un nimbo luminoso di porpora fiammeggiante. Abbracciai con lo sguardo la bella distesa che mi si presentava sotto gli occhi; in fondo alla valle vedevo alzarsi una tenue nube di fumo, era l'accampamento dei miei compagni; ma giù pel declivio della collina invano cercai di distinguere tra l'ombre del crepuscolo il posto della Colonia ed il biancheggiare delle casette dei nostri neofiti.

Tuttavia, grazie a Dio, tragittai felicemente, sebbene allo scuro, il Barreiro, e verso le otto arrivai inaspettato alla Colonia.

Gli indi, tranquilli, coi loro fuochi accesi avanti alla porta di casa loro, non se ne accorsero. I nostri finivano allora le preghiere della sera e, uscendo di cappella, ragazzi e confratelli mi corsero incontro con gioia. L'indomani verso il mezzodì arrivò il resto della comitiva.

Ecco, rev.mo Padre, la relazione di questo viaggio, nel quale mi spinsi a più di 15o chilometri al N. N.-E. di questo posto avanzato di civiltà, ove noi ci troviamo (1), e piantai là con immenso giubilo del cuore il segno glorioso della nostra Redenzione. In omaggio a Gesù Cristo e in ossequio al Sommo Pontefice, che noi, come figli di Don Bosco, amiamo teneramente, esso ora s'innalza tra quelle vergini foreste, sulle spiaggie di quel fiume superbo... Sia caparra della vicina redenzione di tutte quelle terre!

Con questo voto, rev.mo D. Albera, la prego a benedire me, i miei confratelli e questi cari selvaggi che nella sua bontà il Signore affidò alle nostre cure, e ad accettare gli ossequi sinceri ed affettuosi di questi suoi figli.

Della S. V. Rev.ma,

Obbl.mo ed aff.mo figlio in G. C. Sac. ANTONIO COLBACCHINI Missionario Salesiano.

(1) Latit. austr. 15° 33' 27", 3. Longit. ovest di de Rio Janeiro 9° 48' 57" oppure 52° 28' 57" Ovest di Greenwich. Tale è la posizione esatta della nostra Colonia del Sacro Cuore, ultimamente calcolata e determinata.

CONGO BELGA

Le primizie della nostra Missione.

Da una lettera del Missionario D. G. Sak, Direttore della Missione Salesiana di Elisabethwille, inviata al sig. D. Albera in data 26 dicembre, spigoliamo:

Godo, reverendo e venerato Padre, di comunicarle alcune notizie della nostra Missione, che certo Le saranno gradite. Ieri l'altro, vigilia di Natale, ho battezzato 14 dei nostri allievi negri, che noi abbiamo preparati nei diciotto mesi che essi hanno per la maggior parte passati presso di noi.

Il sig. Desan, direttore del Reparto della giustizia ad Elisabethwille, si degnò essere padrino dei neofiti; i quali erano orgogliosi di aver per loro padrino un bianco altolocato. La funzione abbastanza lunga si compiè con tanta pietà e divozione che io stesso, nel rivolgere ai nuovi cristiani alcune parole di circostanza, non poteva frenare la commozione.

Speriamo fra un paio di mesi di poter ripetere tale funzione in pro' di coloro che per diversi motivi non ne poterono ora approfittare.

Una giornata, sì bene incominciata, doveva però finire nel lutto. Circa le undici, poco dopo la cerimonia, fui avvisato che uno dei nostri cari allievi bianchi, il piccolo Ettore Malvy, da alcuni giorni indisposto, trovavasi in fin di vita. Accorro, e lo trovo infatti in grave pericolo; Don Schillinger, da me fatto chiamare, giunge appena in tempo per udirne la confessione e dargli l'Estrema Unzione. Era un carissimo ragazzo, che l'anno scorso aveva fatto la sua prima comunione, e che veniva ogni giorno alla nostra Missione a servire la Santa Messa alle sette.

Il rev.do Curato di Elisabethville permise che le esequie fossero celebrate nella nostra Cappella. Vi accorsero buon numero dei condiscepoli del piccolo Ettore, e certo sarebbero stati assai più numerosi, se l'usanza di questi paesi di affrettare la sepoltura, non lo avesse impedito. S'immagini che, spirato alle 2 e mezzo, la sepoltura fu fatta alle cinque! Lo accompagnammo D. Schillinger, il sig. Verboven ed io all'ultima dimora, ove io benedissi la fossa; mentre egli, che tanto aveva desiderato di servir la Messa di mezzanotte, certo già cantava dal Cielo cogli angeli il Gloria in excelsis Deo!