BS 1880s|1887|Bollettino Salesiano Ottobre 1887

ANNO XI - N. 10.   Esce una volta al mese.   OTTOBRE 1887

BOLLETTINO SALESIANO

DIREZIONE nell'Oratorio Salesiano - Via Cottolengo, N. 32, TORINO

Sommario - Gl' Italiani in America - Monsignor Cagliero nel Chili - Grazia di Maria Ausiliatrice - Lettera da Carmen - Esplorazione della Terra del Fuoco e D. Fagnano Giuseppe - Passeggiate (seguito) Capo V. - Bibliografia.

GLI ITALIANI IN AMERICA e le nostre Missioni.

Nei mesi scorsi coi dati della Direzione generale di statistica i giornali annunziavano che in media sono circa 150 mila Italiani, i quali, costretti dalla miseria, escono ogni anno dall'Italia e vanno a cercarsi da vivere, la maggior parte, nell'America. Non vi è quindi a stupire che tutte le città e le campagne del nuovo mondo contino quale più, quale meno migliaia e migliaia di Italiani di ogni provincia: Piemontesi, Lombardi, Veneti, Toscani, Liguri, Napolitani e via dicendo. Il più doloroso si è che questo esercito di emigrati, uomini, donne, fanciulli e fanciulle, trovansi in quelle regioni privi d'istruzione religiosa e morale, e se a stento riescono talora a procacciarsi un tozzo di pane, finiscono dopo alcun tempo col perdere ogni principio di moralità e cadono quasi nell'abbrutimento.

Moltissimi, isolati in mezzo a sterminate pianure, o nelle gole di montagne deserte, lontani dalle residenze dei sacerdoti centinaia di leghe, vivono e muoiono senza alcun religioso conforto , senza pensiero dell'eternità. Altri si stabiliscono nei centri popolosi, ma i ministri dell'errore cercano con ogni mezzo di toglier loro quel solo tesoro che seco han recato dall'Italia : la Fede. Fin nella Terra del Fuoco hanno già i ministri protestanti posta loro stanza, per ivi attendere le turbe incalzantisi degli emigranti e per tentare di strapparle dal seno della Chiesa cattolica.

I Vescovi americani, addolorati per un sì deplorabile fatto e conscii di essere debitori, come diceva S. Paolo, sapientibus et insipientibus, obbligati cioè a procurare l'eterna salute di tutti , cercano bensì di avere dei sacerdoti italiani che conoscano la lingua dei nuovi diocesani, che vivano tra di loro, o li vadano a visitare di spesso, per istruirli e provvedere almeno in parte ai loro bisogni religiosi e morali : ma per quanto essi facciano, riesce tuttavia impossibile sopperire a tutte le necessità, impossibile provvedere all'educazione ed istruzione dei piccoli e degli adulti, perchè questi e quelli sono migliaia e migliaia e i sacerdoti in proporzione non sono che pochissimi. Muovono al pianto le lettere che ad ogni istante giungono a D. Bosco dai più esimii Prelati di ogni parte dell'America del Sud e del Nord, colle quali descrivendo specialmente i bisogni, le miserie, i pericoli, la straziante condizione spirituale dei nostri Italiani , vanno ripetendo: - Venite , venite, non fosse altro, per salvare almeno i vostri connazionali.

D. Bosco ascoltò queste voci e incominciò a muovere in loro soccorso, mandando i suoi discepoli in qualcuna di quelle immense provincie; li mandò non come uno il quale creda solamente di compiere un'opera buona, di esercitare un atto di carità dettato dal cuore, ma come uno che è persuaso essere questo uno stretto suo obbligo, essere questa la sua missione affidatagli dal Supremo Pastore della Chiesa, missione che esso deve immancabilmente compiere, e della quale il Signore gli chiederà ragione: essere questa la sua vocazione , questo il volere di Dio.

Ma ciò non è che il principio di un'impresa che a noi Italiani deve essere carissima. Sono sangue nostro, sono fratelli nostri coloro che noi vediamo tutti i giorni avviarsi a quelle terre lontane, vittime sovente di indegni speculatori, abbandonati spesse volte su spiaggie alle quali non intendevano di approdare e dove nulla trovano di quanto si era innanzi alla loro fantasia fatto brillare con la più lusinghiera speranza.

Non vi è forza umana che riesca a fermar queste turbe che per illusione o per necessità aspirano ad una nuova patria. Perciò il Missionario deve precederli per aspettarli dove ancora non sono, o raggiungerli dove essi hanno incominciato a bagnare col loro sudore e colle lagrime una terra che fa loro desiderare la patria abbandonata.

È perciò che D. Bosco ha incominciato e non desisterà dallo estendere le sue Missioni fin dove potrà cogli aiuti dei suoi generosi cooperatori.. Enormi sono le spese , i sacrifizi, i debiti. Chi può calcolare quanto costi l'albergare, nutrire, educare per lunghi anni centinaia di giovani apostoli? Quanto i viaggi lunghissimi e le moltissime provviste? Quanto l'erigere ospizi e accogliere centinaia e migliaia di fanciulli in quelle americane città in attesa solamente della carità cristiana, che provveda giornalmente il pane a coloro che la Provvidenza ci affida? Quanto lo stabilirsi in mezzo ai deserti selvaggi ove tutto manca, tutto è da farsi, chiese, case, ospizii, e dove a peso d'oro convien provvedere ogni cosa necessaria alla vita per sé e per gli altri? Dio solo conosce le ansietà, le cure, le preoccupazioni, le strettezze continue dei Missionarii e di chi li ha mandati.

Ma e con ciò dovremo scoraggiarci? Non sia detto che diffidiamo della Provvidenza! Tornare indietro? mai, perché la strada è tracciata. Arrestarci anche per brevi istanti? Ma come? Se al di là, sempre al di là degli ultimi confini toccati dai Missionarii nostri sorgono nuove tribù selvaggie, nuove moltitudini di Italiani e specialmente di fanciulli abbandonati che invocano il nostro soccorso?

Dunque avanti, con un soave conforto nel cuore. Dice D. Bosco: - I Cooperatori Salesiani risposero sempre con una generosità senza pari al mio appello, e son certo che il loro aiuto non mi mancherà. Grandissimo è il loro numero, e per poco che faccia ciascheduno a vantaggio delle Missioni si avrà un risultato sufficiente per compiere le più grandi intraprese, a gloria di Dio, a salvezza delle anime e a loro glorificazione eterna nel Cielo.

MONS, CAGLIERO NEL CHILI.

Partenza di Monsignore dal Chilì. - il collegio di San Giuseppe a Concezione.

D. Rabagliati con lettera del 22 Maggio così descriveva la partenza di Mons. Cagliero dal Chili.

« Appena ebbi notizia di quella decisione partii pel porto di Talcahuano ove doveva far sosta il vapore che portava il nostro Vescovo e con me venne pure il Sig. Vicario Dot. Don Domingo B. Cruz. Col treno che arriva a Talcahuano alla 1 e 1/2, doveva pure arrivare S. S. Illma. Mon. Blaitt e varii sacerdoti e cooperatori , che volevano ancora una volta stringere la mano al Vescovo Salesiano e raccomandargli per l' ultima volta che volesse sempre bene alla loro patria e mandasse loro altri figli di D. Bosco. Ma il treno soffrì un ritardo di 2 ore e Monsignor Cagliero doveva trovarsi a bordo per le 4. Quindi si mandò un telegramma a Mons. Blaitt e comitiva, pregandoli a non disagiarsi, perché forse non sarebbero più arrivati in tempo.

» Tuttavia vennero varii Signori, che non avevano potuto accompagnarci la mattina, fra i quali l'intrinseco di Mons. Cagliero e dei Salesiani D. Hesperidion Herrera.

» Finalmente alle 4 e 1/2 di sera eravamo tutti a bordo, si augurò ancora una volta un felicissimo viaggio a Monsignore e si ricevé l'ultima sua benedizione. Egli è partito pieno di entusiasmo e di amore per questa terra Chilena, ove ebbe generosa ospitalità e simpatie universali. Non vi ha persona delle molte che lo avvicinarono e lo trattarono che non l'ami e che non ne parli con grande entusiasmo.

» Noi ripartimmo subito per Concezione. Eravamo al principio della novena di Maria Ausiliatrice e abbiamo la più intima convinzione che questa buona Madre, che tanto ama Monsignor Cagliero e dal quale è tanto amata, lo accompagnerà sano e salvo nel suo lungo e periglioso viaggio, fino a lasciarlo fra le braccia dei confratelli di Montevideo e poi di quelli di Buenos Aires.

» E adesso? Noi siamo qui sotto il manto del nostro S. Giuseppe, in mezzo ai giovanetti Chileni. Sulle prime ricevemmo ad occhi chiusi tutti coloro che ci furono raccomandati, e solo ci rincresce che già dobbiamo rispondere con negative, perchè non abbiamo più posto, e le petizioni non hanno fine. Sono tutti orfani accettati gratuitamente. Come li manterremo e vestiremo ? Non lo sappiamo e rifuggiamo dal fare questo calcolo perché ci spaventa. Ma vi è la Provvidenza, che provvede a così buon prezzo...!

» Il Collegio attuale non aveva posto che per una ventina di alunni e ci siamo ristretti tanto che abbiamo preparato il sito per 35. Gli esterni, che frequentano la nostra unica scuola elementare, sono più di 50, ma arriveranno presto a 90 e più. L'Oratorio festivo è poi cosa che incanta. Il giorno dell'Ascensione non erano meno di 150 i ragazzi che giuocavano con noi ed assistevano alle nostre funzioni, e speriamo che il loro numero aumenterà fino a 250, o 300, appena corra la voce e si sappia quello che da noi si fa. Deo gratias! Il cortile è vasto e possono benissimo giuocare e saltellare anche tutti 300 senza incomodarsi.

» I nostri giovani sono tutti di buon cuore e docili. Caro padre ! Se potessi condurglieli ai suoi piedi affinchè li potesse benedire e dir loro qualche parola, come sarebbero contenti. Tutti mi chiamano : - Quando verrà il padre D. Bosco a farci una visita?

» Che cosa debbo loro rispondere?- Che amino il Signore e così lo vedranno nel cielo; che preghino per lei, perchè è certo che Ella sempre prega per i suoi figli del Chilì.

» E i giovani della scuola esterna e gli alunni dell'Ospizio le hanno indirizzate due lettere d'augurio pel suo giorno onomastico, colle firme di tutti quelli che sapevano scrivere. Viva San Giovanni! »

Monsignor Cagliero a Punta Arenas e a Montevideo. - Lettera del Rev.mo Vicario Capitolare di Concezione.

Siamo al fine della nostra narrazione, e noi la concluderemo colla lettera che Mons. Cagliero scriveva a D. Bosco dallo stretto di Magellano.

« REV. E AMANmO. PADRE.

La mia ultima lettera che le scrissi portava la data di gennaio e partiva dal mezzo del deserto Patagonico. Dopo di allora non'ho più potuto scriverle, perché mi mancarono le forze ed il tempo! Ma altri le hanno scritto per me, ed io ancora soffro per quello che il suo cuore paterno avrà dovuto soffrire per causa mia, cioè per la disgrazia succedutami nelle Cordigliere....

La mia salute continua ad essere buona e quasi non sento più le conseguenze della caduta, quantunque il mantice sinistro alle volte non soffia come soleva prima. I medici però consultati mi assicurano non esservi stata lesione alcuna al polmone.

Io e D. Fagnano siamo partiti il 15 maggio da Valparaiso; ci fermammo in tre porti ed il 24 giorno di Maria Ausiliatrice eravamo nella baja di Punta Arenas. Questo giorno così solenne per la nostra Pia Società, quanti bei ricordi suscitò in noi pel luogo dove ci trovavamo! Quanti presagi si formarono nella nostra mente !

Desiderammo celebrare a terra la S. Messa e parlare alla nostra futura popolazione, ma non ci fu possibile, perchè di buon mattino il vapore Magellan Liverpool doveva partire, onde guadagnare il tempo perduto nei porti e nel vincere una tormenta, che ci sorprese all'entrata dello stretto e che ci fece ballare per bene.

Allora tutti e due corremmo a Torino e celebrammo in ispirito nella nostra invidiabile Chiesa di Maria Ausiliatrice.

Ai primi di giugno arriveremo a Montevideo dove ci fermeremo una settimana coi nostri bravi fratelli Orientali. Passeremo quindi a Buenos Aires e di qui a Patagones.

E perché non ci sorprenda il ritardo o la mancanza di tempo per augurarle buona festa onomastica pel giorno di S. Giovanni, qui io lo faccio, desiderando alla Paternità vostra ogni benedizione del cielo e tutte le consolazioni della terra. E queste aumentino, crescano, per lei, per noi e per la Congregazione sino alla fine dei secoli. Amen.

Ci ami e ci benedica sempre ed ogni giorno, perchè possiamo compiere santamente la nostra missione in questi ultimi confini della terra e perchè possiamo salvare la povera anima nostra.

Noi ogni giorno preghiamo per la sua conservazione, affinché possa vedere i figli dei figli, fino alla quarta generazione.

Punta Arenas 24 maggio 1887 .

In G. C. affezionatissimo figlio + GIOVANNI Vescovo di Magido.

Il giorno 4 di giugno Monsignore arrivava felicemente a Montevideo. Deo gratias et Mariae.

Quasi contemporaneamente alla soprariferita lettera, D. Bosco riceveva un altro caro foglio scritto dai Rev.mo Vicario Capitolare di Concezione.

« Concezione del Chilì 30 aprile 1887.

» REV. E AMaTISSIMO SIGNORE.

Sieno rese infinite grazie a Dio Nostro Signore e alla SS. Vergine Ausiliatrice per aver potuto noi stabilire in questa città di Concezione la Pia Società di S. Francesco di Sales.

» Grazie rendo eziandio di tutto cuore alla S. V. per essere stato il degno strumento di cui Iddio si servì per concedere questo beneficio tanto importante alla diocesi di Concezione.

» Ho avuta finalmente la grande consolazione di accogliere l'Illmo. Monsignor Giovanni Cagliero, i sacerdoti, i chierici, i confratelli che la S. V. si è degnata di mandare. Tutto il popolo di questa diocesi, come eziandio il clero e tutti i cattolici del Chilì, giustamente celebrarono la venuta della Congregazione Salesiana. Per mia parte ho già preparata una casa abbastanza spaziosa, quantunque non ancor finita, coll'aiuto di altre persone e specialmente coll'aiuto del Sacerdote D. Esperidion Herrera; e l'abbiamo ceduta in proprietà all'Illmo. Mons. Cagliero.

» La congregazione Salesiana già si pigliò cura in questa città di 12 giovanetti poveri ricoverati nell'Ospizio e fa gran bene a tutti i fedeli.

» Rinnovo alla S. V. i sensi della mia più profonda gratitudine, mi raccomando alle sue preghiere, come anche questa diocesi, e mi dico, baciandole la mano,

» Suo affezionatissimo servitore DoMINGO B. CRuz Vicario Capitolare. »

Noi chiudiamo queste pagine con una riflessione. Gesù Cristo si è umiliato, ha faticato, ha patito ed è morto per salvare le anime. Cooperare alla salute di queste è un'opera divina, e tale da meritarsi dal Signore ogni più eletta benedizione. Felice il Missionario che, logorando la sua vita in mille stenti, alza gli occhi al cielo e pensa Lassù vi sono molte anime che trionfano, perchè io le ho redente dalla schiavitù del demonio. Fortunato il Cooperatore Salesiano che può soggiungere: Se esse sono salve è pur mio il merito, poiché ho dato i mezzi al Missionario per compiere la sua opera di redenzione!

LETTERA DA CARMEN.

M. R. SiG. DIRETTORE,

Il nostro buon Direttore e Vicario generale di Mons. Cagliero,. D. Riccardi, m'incarica di dare alla S. V. una notizia che per questi paraggi è importante.

La notizia è che dopo un anno circa di lavoro si poté il 25 di maggio p. p. inaugurare il nuovo faro del Rio Negro alla foce del medesimo fiume. Fu scelto detto giorno perché é la festa dell'indipendenza Argentina; e le Autorità con lodevole pensiero ci pregarono di benedire il nuovo edifizio e la lanterna che lo corona. Don Riccardi occupato in varie cose non poté andarvi, e mandò me a rappresentarlo e a compiere il sacro rito.

Alle 7 1/2 ant. del 25 maggio con un tempo bellissimo, benché di autunno inoltrato, il vaporino Limay della Squadra del Rio Negro pavesato a festa riceveva a bordo il Governatore del territorio del Rio Negro, generale Wintter, le

Autorità civili e militari di Patagones e Viedma, un centinaio circa d'invitati, proprietarii, commercianti, impiegati, delle due sponde, e il sacerdote sottoscritto coi chierici Aceto e De Stefenelli. In due ore e mezza di placidissima navigazione, regnando a bordo la più schietta allegria, si giunse alla foce. Altri battelli pavesati aspettavano colà il Limay e i suoi passeggieri, e sulla destra sponda del fiume un buon numero di cavalli e carri stavano preparati a trasportarli sino al faro, distante un paio di leghe.

Il Governatore fece sedere il sacerdote alla sua destra nella barca che ci recò a terra e nella carrozza, e si mostrò sempre cortesissimo. Alle undici si giunse al faro , candida e sveltissima torre di nove metri d'altezza, sopra un grande ottagono alto quattro metri, contenente parecchie comode stanze. Per l'ora tarda e per l' appetito aguzzato in tutti da quella passeggiata mattutina, si cominciò dal banchetto, che sebben preparato in un deserto e a tanta distanza dalla cucina milanese, avrebbe soddisfatto il convitato più schifiltoso. Il sacerdote sedette a tavola dirimpetto al Governatore.

Appena finito il pranzo, il Comandante della Squadra signor Rivadavia mi domandò se non avrei avuto difficoltà di procedere subito alla benedizione. Vestii perciò il rocchetto e la stola e mi avanzai fra i due chierici in cotta e mi collocai sullo spianato dinanzi alla porta principale del faro. Dietro e intorno al prete si schierarono le Autorità e gli spettatori , che si scoprirono rispettosamente. Allora, in mezzo al più religioso silenzio, in faccia all'Oceano Atlantico, che a trenta metri sotto di noi spingeva le onde dell'alta marea contro la barranca che scende a picco nel mare, coll'immenso deserto da ogni lato , sotto gli sguardi maravigliati degli Indii prigionieri, le cui braccia robuste avevano innalzato quella torre, coll'artiglieria a pochi passi che si preparava a salutare colle sue salve tonanti la dedicazione all'Altissimo di quel benefico edifizio, avanguardia della civiltà nel deserto, mi sentii commosso e pronunziai alcune fervide parole che si possono riassumere in queste: Sursum corda ! Gratias agamus Domino Deo nostro, e diedi la benedizione loci domus novae , novi ignis, non trovandone nel Rituale una particolare pel faro. Allora il Comandante della Squadra con un breve discorso consegnò il faro al Governatore, il quale rispose con felicitazioni ed augurii alla prosperità della Repubblica, e con queste belle parole : « Ed ora lasciamole alla custodia e tutela della divina Provvidenza... » Scoppiarono applausi ed evviva , brillò per la prima volta la luce del faro al 42° parallelo australe, e i cannoni con una salva di venti e un colpo ne salutarono l'inaugurazione.

La comitiva intraprese subito la gita di ritorno per giungere in tempo ad inaugurar la Biblioteca pubblica di Viedma, cerimonia fissata per le 4 1/2 pom. dello stesso giorno.

Una Biblioteca pubblica in Patagonia ? Domanderà non senza stupore la S. V. Ed io Le risponderò che lo stupore fu generale quando si conobbe questo pensiero del Governatore. Ma a lo hecho pecho, direbbero qui, e in Italia: Cosa fatta capo ha. Certo questa Biblioteca avrà pochi lettori. Tuttavia l'intenzione è buona.

La cerimonia fu poco su, poco giù, come quella del faro, eccettuando la Benedizione, il fervorino e il banchetto. Si firmò da tutti i presenti il verbale d'inaugurazione e ce n'andammo con Dio, non senza aver io audacemente promesso al signor Governatore, che me ne richiese, la collezione della nostra Biblioteca della Gioventù Italiana per i nostri compatrioti di qui. Ora tocca alla bontà e mediazione di V. S. a non farmi mancar di parola. E non sarà un onore per la gioventù italiana adagiarsi nella Biblioteca più australe del mondo?

La saluto caramente, mi raccomando alle sue orazioni, la prego di riverire il sig. D. Bosco e gli altri Superiori e conchiudo in questo bel mese di giugno con un: Viva il Sacro Cuor di Gesù! Viva s. Giovanni! Viva D. Bosco

Di V. S.

Carmen de Patagones, 14 giugno 1887.

Rev.mo aff.mo confr Sac. ANGELO G. PiccoNO.

ESPLORAZIONE DELLA TERRA DEL FUOCO

D. Fagnano Giuseppe. Buenos-Ayres, 3 marzo 1887.

M. REV. SIG. DIRETTORE,

Incomincio oggi ad inviarle le prime notizie concernenti la spedizione alla Terra del Fuoco. Ella saprà condonare le imperfezioni dello stile nelle quali potrò incorrere scrivendo, conscia com'è delle gravi difficoltà che in ciò fare sempre si incontrano nei viaggi. e specialmente in un viaggio come il nostro. Procurerò tuttavia di mantenermi il più possibilmente esatto, specialmente nelle indicazioni geografiche, nei numeri e nelle date.

1°. Preparativi per la partenza. - Patagones, S. Croce, Golfo Nuovo. - Arrivo alla Terra del Fuoco.

Come Ella non ignora, il 31 ottobre salimmo a bordo del Villarino, piroscafo che il dì stesso doveva salpar da Buenos Aires diretto per la Patagonia, dove avea da imbarcar le pecore viventi, le carni crude preparate, le mule da trasporto, nonchè i 25 uomini di scorta alla spedizione, comandati dal capitano signor Giuseppe Marzano. Il giorno 3 novembre giungemmo pertanto a Patagones, dove ci soffermammo otto dì in attesa della preaccennata scorta e nel fare gli ultimi preparativi.

La spedizione veniva a comporsi : del signor Lista , ufficiale maggiore del Ministero della guerra ; del dottore don Polidoro Segers, chirurgo dell'armata nazionale; di 25 militari e di colui che ha il bene di vergarle queste righe. Il traino e le provvigioni della spedizione si componevano di quaranta mule per il trasporto delle persone e dei bagagli, di cinquanta pecore e di generi alimentari disseccati ed in conserva, bastevoli per sei mesi.

Si levò l'àncora da Patagones il giorno 12 novembre. Nella notte toccammo il porto di Golfo Nuovo, di dove si diparte la ferrovia tendente al Chubut : quello di Santa Croce, dove potei visitare i reverendi nostri confratelli, don Angelo Savio e don Giuseppe M. Beauvoir, e quello di Gallegos, specialmente rimarchevole perché , nelle massime cresciute, la sua marea si eleva persino all'altezza di 48 piedi sopra il pelo ordinario delle acque. Il 21 giungemmo felicemente a Baia di S. Sebastiano, all'Est della Terra del Fuoco. Giusta le indicazioni della carta idrografica di Fitzoroy , si effettuò lo sbarco al lato Sud-Est della baia , dove una piccola cascata d'acqua precipitando in mare dall'altezza della sponda, sembrava quasi invitarci a guadagnar la riva.

2° Difficoltà dello sbarco. - Fuga e ricuperazione delle mule. - Ansietà. - Apparizione d'un europeo.

Primo a sbarcare fu il capitano Giuseppe Marzano con 12 soldati e sei mule. Tutti i passeggieri assistevano con curiosità non scevra d'inquietudine il loro sbarco in mezzo al mare agitato della baia, il cui fondo, formato d'un'ampia secca , anche nel periodo del massimo flusso (da 18 a 21 piedi d'altezza), non permette alle navi miglior punto d'approdo che ad una distanza minima di tre miglia da terra ; mentre le imbarcazioni più leggiere possono avvicinarvisi fino a 120 metri. Il decrescimento poi della marea si produce con massima violenza, causando uno spaventevole fracasso. Egli è perciò che il capitano ed i suoi uomini, che scesero primi dalla nave cogli animali, dovettero calarsi in acqua circa un miglio distante dalla sponda, cosa questa che diedo luogo ad un incidente molto comico. Nel saltare nell'acqua le mule si erano disciolte dalle loro cavezze, e siccome dei nove giorni dacchè trovavansi imbarcate avevano passati gli ultimi due senza bere e senza mangiare, così, morte di fame e di sete , anzichè dirigersi al punto. dove dovevano guadagnar la costa, lanciaronsi a tutta corsa verso l'Ovest in cerca della pianura. Immagini Ella il sussulto, il terrore del capo-spedizione, quando, dal barco, vide scomparire le prime mule e pensò che le stesse cadrebbero senza dubbio nelle mani degli Indiani, e che per tal modo verrebbero a difettargli i mezzi di trasporto ! Per fortuna una di esse, bene assicurata alla barca, non potè fuggire, e, giunta a terra, fu insellata ed inforcata da un soldato il quale, per suo mezzo, potè dar la caccia alle rimanenti. Noi, da bordo, assistevamo a tale avvicendarsi di cose con una vera ansietà, molto dubbiosi dell'esito che poteva sortirne. V'era, per esempio, chi si limitava a presagire la perdita dello mule , mentre tal altro, più pessimista, lamentando che un unico soldato avesse mosso a rintracciarle, se lo figurava già preda certa e fors'anco divorato dai selvaggi. Giunse infine di ritorno la lancia a vapore rimorchiando il canotto, e coloro che si trovavano ancora sulla nave si disposero a scendere col capo-spedizione, per avvisare insieme al modo di ricuperare le bestie da soma o di difendersi da possibili attacchi degli Indiani, quando costoro avessero ardito avvicinarsi. Quando ebbero però toccato terra, videro con lieta sorpresa il soldato Manuel Arce, il quale ritornava colle mule fuggitive che, seguendo la costa , si erano allontanate più di tre miglia dall'ultima collina a SudEst della Baia.

Riferì questi di avere incontrato un uomo a cavallo diretto al Nord, il quale , anziché d'un Indiano, aveva tutta l'apparenza d'un Cristiano. Si suppose pìù tardi potersi trattare di qualcuno degli esploratori componenti la spedizione Poper. Si sperava frattanto di poter operare tutto lo scarico del vapore nel giorno seguente , ma tali speranze vennero deluse dalla fortissima mareggiata che flagellò la baia.

3 ° Trasporto a terra delle munizioni e dei viveri. Un colpo di pistola e il timore degli indiani.

Il comandante Spurr, temendo potessero difettare i viveri agli sbarcati, inviò loro due sacchi di galletta e due di carne cruda in conserva per mezzo di una barca che, sebbene tratta da sei robusti marinai, poté soltanto toccar riva col superare molte e gravissime difficoltà.

Al ritorno di costoro a bordo, il sig. Lista fece rimettere al comandante un biglietto , nel quale era detto : Gli Indiani mi circondano d'ogni banda, speditemi viveri.

Il giorno dopo, cioè il 23 novembre, poteronsi sbarcare finalmente le pecore, le rimanenti trentaquattro mule ed il bagaglio. Scendemmo pur da bordo io ed il dottore Polidoro Segers , ambidue però costretti a calare in acqua ed a guadarne non poca prima di approdare. La maggior fatica che ci aspettasse fu quella di trasportare il carico fino alla riva e di là al luogo del nostro accampamento. Tutti i soldati, scalzi ed in camicia, si avvicinavano alla barca a ricevere ciascuno la sua porzione di bagagli e di provvigioni, mentre la marea decresceva con somma violenza, costringendo i marinai a sforzi straordinari per impedire l' arenamento del piccolo legno.

Sbarcate le pecore, prima cura fu quella di farle salire sopra una specie d'altipiano , provvisto d'un pascolo abbondante e di buonissima acqua. Ed affinché non potessero allontanarsi anche senza custodia, furono loro, al pari che alle mule, legate la gambe, sicché i soldati rimasti completamente liberi, tutti poterono attendere alla preaccennata operazione. Non è facil cosa immaginare la fatica e la pazienza che occorsero per trasportare sulle spalle e per oltre un miglio così grande quantità di colli e nel ristretto periodo di tempo in cui lo si doveva fare, se non si voleva che la marea ce li portasse via o li distruggesse, come infatti avvenne di alcuni.

Al cader della notte si fece udire un colpo di révolver ed una voce che mi chiamava per nome: corsi a riconoscere di che si trattasse e mi incontrai nel capo-spedizione che mi disse aver veduto Indiani che si avvicinavano all'accampamento. Scorgendo l'urgente necessità di riporre in luogo ben sicuro ed asciutto i viveri sbarcatici dalle lancie del Villarino, mi offrii al signor Lista per custodire il nostro bivacco, assicurandolo che avrei in ciò impiegato ogni maggior diligenza. Accettato il partito , quale movimento non si vide subito in ogni parte! Gli uni correvano trasportando casse, altri le traevano loro di mano, questi le aprivano per ridurle a minor peso, mentre talun altro attendeva a riceverle ed a disporle convenientemente. Il signor Lista dirigeva ogni cosa, intanto che il capitano Marzano coll'energia e coll'attività sue proprie dava gagliardo impulso a' suoi soldati. Di quando in quando questi ultimi si avvicinavano al fuoco per ristorarsi con qualche bevanda e per riscaldarsi un tantino, essendo la notte piuttosto fredda: tale e tanto era l'avvicendarsi che pareva un vero finimondo. Al sorgere dell' alba i lavori erano finalmente condotti a termine, ed i soldati, vinti dalla stanchezza, quasi digiuni pel gran lavoro che avevali impediti di mangiare durante il giorno precedente , poterono finalmente prendere un poco di riposo , gettandosi a dormire sulle bardature dei proprii cavalli.

4° L' accampamento. - Una bella valletta. - Il missionario prepara I' altare per celebrare la prima messa sulla Terra del Fuoco.

Gli Indiani non si fecero vedere e ci lasciarono in perfetta pace, la quale però fu rotta alle 10 antimeridiane dalla battuta della sveglia, che ritornò dovunque la più viva aminazione. S'innalzarono le tende, si accesero i fuochi, si posero ad asciugare gli indumenti bagnati, si ispezionarono e rimisero in ordine le cavalcature e si preparò il pranzo. Era questa la prima volta che i membri della spedizione si trovavano riuniti sopra la terra che dovevano esplorare. L' accampamento era stato eretto nell'ultima vallicella al Sud-Ovest della Baia, ai piedi di un'amena collinetta. Un limpido ruscello nascente ad un centinaio di metri di distanza divide in mezzo il breve piano, e dopo avere irrigato il suolo coperto di vegetazione esuberante, corre mormorando a perdersi nell'Oceano. Il sito era stato assai ben scelto, sia perché al riparo dei venti , sia perchè ottimo punto strategico in caso di attacco per parte degli indigeni. Per ordine del capo-spedizione si distribuì ai soldati una coperta da campo, un poncho ed un paio di calzoni in più, coi quali effetti potessero meglio difendersi dalla inclemenza della stagione : e si diede mano ad innalzare uno steccato per rinchiudervi le pecore. A quest'uso ci servì assai bene un arbusto detto mata-negra, unica pianta di qualche consistenza che s'incontri da Baia S. Sebastiano al Nord del Capo Pegnas e di cui ci servimmo pure vantaggiosamente come combustibile.

Mentre i soldati attendevano all'ordinata erezione del campo, io mi industriai a comporre l'altare portatile onde celebrarvi sopra la Santa Messa, ed attirare così la benedizione del Cielo sulla incipiente Missione.

5° Un gran fuoco in lontananza. - Una ricognizione. - Gli Indiani inseguiti dagli Argentini. - Combattimento. - Un uffiziale ferito. - Strage degli Indiani.

Al cadere della notte apparve un gran fuoco verso la sponda Nord, che ci fece avvertiti della presenza degli Indiani in quei paraggi. All'alba del 25, il capo-spedizione , scortato da 15 soldati, volle fare una ricognizione ad Ovest verso mezzogiorno s'incontrò in una trentina d'Indiani, dieci o dodici uomini ed il resto donne e fanciulli, i quali , allo scorgerlo col suo drappello, si diedero a fuga precipitosa, abbandonando le povere loro capanne. Alcuni soldati li inseguirono e giunsero a tagliar loro ogni ritirata, cosicché, vistisi chiusi da ogni parte, corsero a nascondersi fra la mata-negra, dove ben presto furono circondati dai soldati , i quali fermaronsi ad una certa distanza in attesa degli ordini del loro superiore. Questi cercò farsi comprendere dai poveri selvaggi coi segnali più eloquenti, invitandoli ad arrendersi, offrendo loro anche carne e galletta. Sembra però che nulla comprendessero della sua mimica amichevole, poiché, invece di rispondere, scagliarono le loro freccie contro i militari, senza però arrecar loro danno di sorta. Dopo più di mezz' ora di vani tentativi e dopo avere inutilmente loro intimata la resa , il capo ordinò di sloggiarli dai loro nascondigli, ed a tal uopo s'incominciò a far fuoco dovunque apparisse una pelle di guanaco. Ogni detonazione era seguita da un grido degli Indiani , fra le cui voci distinguevasene una che, tutte dominandole, sembrava informarsi a tutte le intonazioni della sfida. Ciò indusse il comandante ad ordinare una carica alla sciabola, nella speranza di poterli così prender tutti con minore spargimento di sangue. Mosse innanzi l'intrepido capitano Giuseppe Marzano e slanciossi verso la mata-negra di dove continuava ad uscire quella voce che sembrava provocare. Giunto però a brevissima distanza dal nemico invisibile, fu colpito alla tempia sinistra da una freccia di legno, e cadde al suolo privo di sensi, perdendo sangue dalla ferita. A questo punto non fu più possibile contenere l'animosità dei soldati, anelanti di vendicare la ferita del valoroso loro capitano; si gettarono essi rabbiosamente contro gli Indiani e tanti ne uccisero quanti osarono ancora opporre resistenza. Fecero 13 prigionieri, compresi due bambinelli. Riuscirono a scappar loro, fuggendo come cerbiatti, e sebbene feriti ed inseguiti a fucilate , due soli uomini che troppo s'internarono perché fosse loro prudente il seguirli.

Il capo-spedizione aveva mandato all'accampamento pel rinforzo di sei uomini, e quando questi furono partiti, ci trovammo ad esser quivi soli il dottore ed io con tre soldati.

6° Ritorno della spedizione all'accampamento. - Cure ai prigionieri feriti. - Scene strazianti.

Alle 5 1/2 vedemmo da lungi ritornare il drappello maggiore traendo seco, sulle proprie cavalcature, alcuni ragazzini; ed alle 6 pomeridiane fu anche di ritorno il capitano con la testa tutta sanguinolente, seguito da tre donne ferite e da sei altri ragazzi della Terra del Fuoco. Si protrasse allora una scena assai commovente ed assai triste. Quei poveri feriti, male ricoperti e tormentati dal male, emettevano grida così dolorose che spezzavano il cuore.

Il dottore si pose subito a medicare le ferite. Impiegò più di mezz'ora ad estrarre la punta d'una freccia lignea dalla tempia del capitano , freccia che aveagli prodotta una ferita di sette centimetri di larghezza, perforando il cappello e la fodera di esso e conficcandosi parallelamente nel parietale sinistro. Mentre egli cuciva questa ferita, io mi occupai a distribuir abiti alle indigeni, mentre si lavavano e preparavano le loro ferite per una cura conveniente. Le simultanee operazioni durarono fino alle 9 della sera; ed allora quali scene, mio Dio, quali scene; Le donne indiane piangevano e cercavano ogni mezzo di scappar via ; piangevano i ragazzi, e, per quanto si volesse persuaderneli, né volevano mangiare, né, tanto meno , ridursi sotto la tenda loro apprestata.

Fu pertanto giuocoforza lasciarli al di fuori sulla nuda terra, dove, continuarono tutta la notte ad emettere grida strazianti.

Allo scopo di premunirci contro ogni sorpresa della loro gente, furono disposte sentinelle tutto all'intorno dell'accampamento, ed i soldati ebbero preavviso di tenersi pronti pel primo grido d'allarme. Nulla segui però d'anormale, per cui nel giorno seguente s'attese soltanto a distribuire i viveri alla scorta, a ripulire le armi, allo ispezionare le cavalcature, in una parola ai preparativi più indispensabili per mettersi in marcia , non senza speranza di veder quanto prima comparire qualcuna delle navi che dovevano seguire la spedizione costeggiando. E allo scopo, di far segnali alle navi issossi una bandiera argentina e, durante la sopravvenuta notte, s'accese un gran fuoco sul punto più elevato della collina, alle cui falde giaceva il nostro bivacco.

7.° Indole mansueta degli Indiani. - Un medico caritatevole.

Gli Indiani finora incontrati sembrano svelare un carattere dolce e mansueto : vestono pelli di guanaco. Portano arco e freccie ; vivono della caccia d'uccelletti, di carne di guanaco, di pesci che la marea, ritirandosi, abbandona sulla spiaggia, e di molluschi, che trovano abbondanti fra le scogliere.

Sono poi specialmente ghiotti del tucu-tucu , sorta di sorci che sorprendono ed acchiappano abilmente sull'orificio delle tane loro e della cicoria selvatica che mangiano cruda in un colla radice, non sempre ben purgata dalla terra che seco porta nella sua estrazione.

Dormono entro certe loro capanne formate di palizzate e rivestite di pelli di guanaco ove si possono appena riparare dal vento.

In principio i prigionieri non volevano mangiare né gallette, né confetti, né carne in conserva; aggradirono però quest'ultima se cruda o se abbrustolita da loro stessi.

Il dottor Segers adoperavasi con somma cura a guarire gli infermi; ma spesso gli sfuggivano lagnanze pel mal procedere dei soldati i quali avevano commesso tanto inutili barbarie contro creature inermi e seminude , fuggenti da essi e che nulla avevano tentato contro la spedizione.

8.° L'arrivo di una seconda nave. - La missione privata del sacrificio della messa. - Aspetto di quella terra.

Il mattino del 27 comparve finalmente il cutter Bahia Blanca che presto diede fondo a tre miglia dalla costa. Ne sbarcarono il comandante Basualdo e tre marinai che ci vennero a raggiungere. Il signor Lista fece imbarcare sul loro cutter cinque indiane con due bambini lattanti; tutti gli effetti ed i ninnoli che avevo portato meco per regalarne i poveri selvaggi; la cassa di legno contenente l'altare portatile nonché la mia valigia con tutto il' mio corredo, di maniera che io mi rimasi col semplice abito che indossavo, più una camicia, pochi libri, un rocchetto e la stola per l'amministrazione dei Sacramenti.

Con mio sommo dolore m'avvidi allora che appena appena avrei per lo innanzi potuto vivere da cristiano, recitare il breviario e poco o nulla di bene operare a pro degli Indiani. Infatti che cosa proteva produrre una missione che incominciava col terrore e col sangue e che rimaneva priva del mezzo più potente di propiziazione e d'intercessione, la s. Messa! Qual conforto poteva ancor rimanere al Missionario? Mi ritirai nella mia tenda, mi raccomandai al Signore, piansi e rimasi molto addolorato per tutto il giorno. Ma pazienza; finii col rassegnarmi, non potendosi altrimenti.

Alle 3 pomeridiane ascesi, passeggiando , la vetta della collina Est; provai sommo diletto nel contemplare la bellezza della baia , delle collinette e delle graziose vallette circostanti tappezzate di belle erbette, abbondanti di fresche acque, e, di tratto in tratto, ricoperte da estesi prunai di mata-negra. Leggiadri augellini venivano a raccogliere il volo delle loro lievi e variopinte alette distante una ventina di passi da me, e si davano piacevolmente a beccare le bricciole di pane che venivo loro gettando. Mane e sera essi rallegravano molto il nostro attendamento col loro ignoto e soave gorgheggiare. Oh quanto desidererei di essere qui attorniato da Salesiani e da confratelli per imprendere con esso loro di conserva la rigenerazione e la conversione di questi infelici abitanti ! Io credo che costoro abbiano indole molto buona , e che, se si sono battuti colla nostra scorta , sianvi stati costretti in difesa di sé, dei loro figli e delle mogli loro.

9 ° Una passeggiata. - Un temporale. - Ritorno all' accampamento.

Il giorno 28 chiesi ed ottenni il permesso di fare una passeggiata a cavallo per meglio abituarmi alla marcia che presto si doveva intraprendere. Alle 12 meridiane pertanto, vale a dire dopo il primo rancio, mi diressi verso la costa in compagnia del signor Segers per vedere se ci fosse dato rintracciare qualche pesce in quella parte della baia. Trovammo in effetto alcuni resti di balena e di altri grossi pesci, nonché alcuni piccoli cetacei: parecchie traccie di zampa di cavallo impresse nel suolo ci svelarono il passaggio per di là di qualche ignoto cavaliere.

Troppo cammino ci rimaneva ancora da percorrere prima di toccare la costa Nord perché dovessimo continuare per raggiungerla: volgemmo quindi indietro , unendoci di poi al sergente Rozas e ad un soldato che andavano cacciando.

Dopo un breve riposo ci assalse il desiderio di raggiungere la vetta di una montagna che si innalza a Sud-Est della baia. Detto, fatto : incominciammo ad inerpicarci lungo i suoi fianchi, e, man mano che ascendevamo, cresceva la nostra meraviglia per la rigogliosa vegetazione che colpiva i nostri sguardi fino all' altezza di circa 1200 piedi.

Fra le vette delle alture che incoronano l'altipiano da noi raggiunto , scorgemmo un bellissimo lago sulle cui acque abbondavano anitre selvatiche, gagliarite (specie di galline selvatiche proprie del paese) e molti e svariati altri uccelli da caccia.

Fummo di repente sorpresi da un grosso temporale, e la grandine cominciò a rovesciarsi con tanta furia, da costringerci ad un vigoroso trotto delle nostre cavalcature per raggiungere presto l'accampamento. V'arrivammo abbastanza tardi ed abbastanza fradici sicché grondavamo acqua per ogni parte. Il capo-spedizione ne fu alcun poco scontento, inibendoci di mai più per lo innanzi avventurarci così soli e così lontano. Così trascorse la giornata; giornata di preparativi per la marcia che si doveva intraprendere la mattina successiva. Il comandante Basualdo ritorna a bordo della Baia Blanca e si offre cortesemente di portare la nostra corrispondenza a porto Gallegos.

Saluta la S. V. l' aff.mo in G. C.

Sac. FAGNANO GIUSEPPE

Pref. Apost. M.

Grazia di Maria SS. Ausiliatrice.

Las Piedras, 26 maggio 1887.

AMAT.MO E REV. PADRE,

Sento un dolce e forte dovere di darle notizia di una grazia che Maria SS. ha concesso, perché ella avendone occasione la faccia conoscere anche costì, affinché sempre più si riconosca la grande efficacia delle medaglie di Maria Ausiliatrice e se ne faccia uso con gran confidenza.

Il giorno 22 maggio vennero di buon mattino due uomini in parrocchia a chiamar un sacerdote per un'inferma. Essendo fuori il Curato, impedito il Direttore e non trovandosi in casa altro sacerdote che potesse cavalcare, venne a me affidato l' incarico. Cantata la messa parrocchiale, che terminò alle 11 1/2, dopo un breve ringraziamento e un po' di colazione ci ponemmo in cammino. Si fecero di galoppo i 10 chilometri e finalmente si giunse al rancho.

Lungo il cammino mi avvisarono che l'inferma dopo aver passati bene i suoi anni giovanili, erasi da alcun tempo data a una vita alquanto scostumata, e che mi avevano chiamato all'insaputa dell'inferma, non volendo essa neppur confessarsi in quel pericolo di morte.

Lo stesso mi ripeté la donna che assisteva l'ammalata, ed io pur troppo ebbi ad accertarmi della verità, perchè appena mi vide entrare si pose a gridare: « Non voglio il Padre, non voglio vederlo, non voglio confessarmi, » e si voltò dall'altro lato, coprendosi persino la faccia colle lenzuola. A nulla valsero le nostre parole, vedevamo essere inutile ogni tentativo, e già mi disponeva a ritirarmi afflitto. Non voleva neppur ascoltarmi, e smaniava sempre stringendo le lenzuola coi denti.

Che fare? la malattia era troppo pericolosa. La raccomandai alla SS. Vergine e con un filo cercai di sospendere una medaglia al collo dell'inferma voltata colla faccia dall' altro lato. Lo crederebbe, amatissimo D. Bosco? non le aveva ancor posto la medaglia, che l'ammalata dà una forte scossa , un fremito e si volta in fretta: io teneva la medaglia in mano e « baci, almeno, le dissi, la medaglia della Madonna. »

La baciò, e poi ad un tratto « Padre, se mi confesso , il Signore mi perdona ancora i miei gravi peccati? »

Si può immaginare come rimasi a quell' inaspettate parole, così repentinamente opposte alle tante altre dette prima, e se non l'animai a confidare nell'infinita misericordia di Dio: « Ebbene, voglio confessarmi, ella disse; mi aiuti, Padre, sono tanti anni che non mi confesso più! »

Uscite le persone dalla camera, la preparai e si confessò. Non mai udii a ripetere l'atto di contrizione con tanto dolore : baciava e ribaciava la medaglia, che teneva sempre in mano : postole un Crocifisso davanti, esclamava : « Quanto è buono il Signore ! e calde lacrime le calavano dagli occhi; bagnando il Crocifisso e la mia mano tremante, che glielo presentava. Le amministrai con suo gran contento l'Estrema Unzione, e poi a voce elevata: « Padre, il Signore vorrà ancora farmi la grazia di venirmi a visitare per mezzo del S. Viatico? » Assicuratala che anche quella grazia le avrebbe fatto il Signore e che io medesimo Lo avrei portato all' indomani, non permettendolo più l'ora già tarda e la grande lontananza, mi ringraziò. All' indomani essendo venuti 9 uomini a cavallo per accompagnar il santo Viatico e portar il necessario , stretta bene al seno la s. Pisside e coperto di una larga mozzetta di seta rossa, rimontai il cavallo e in due ore fummo al letto dell' inferma. Dettole alcune parole di preparazione , mi raccomandò di invitare tutta la gente a pregar per essa. Ricevette colla maggior divozione possibile il s. Viatico, ripetendo sovente giaculatorie. Mi dissero coloro che l'assistevano che sempre aveva parlato del suo gran desiderio di ricevere il Signore, che aspettava con ansia il giorno e che nel medesimo sonno parlava col Signore.

Le diedi pure la benedizione papale e le posi in mano un crocifisso , che per molti motivi mi era caro; quando terminai e volli riprenderlo: « Padre, mi disse, non me lo tolga, me lo lasci perchè possa meditare e pregar un poco Chi tanto mi amò. »

Dovetti lasciarglielo; ero intenerito alle lacrime; i circostanti non sapevano spiegare questo cambiamento, piangevano e si diceva : che grazia le ha fatto il Signore e la SS. Vergine. Morì poi il giorno seguente, festa di Maria SS. Ausiliatrice, e io sono sicuro che Maria, la quale le aveva fatto la grazia grande della conversione, l'avrà pur presa con sè a far festa, qual nuova prova di quanto Ella sia nostro potente Aiuto.

Oh se il mondo conoscesse l' amor di Maria per noi e corrispondesse al suo amore. Preghi, amatissimo Padre, perchè cresca sempre più in me l'amore e la confidenza verso la nostra celeste Patrona, la faccia amare e così anche possa rendere più fruttuoso il mio ministero.

Mons. Cagliero che in questi giorni è in mezzo di noi, avendo saputo di questa grazia , mi raccomandò di dar la presente relazione.

Mi benedica e mi creda sempre

Suo affamo in G. C.

Sac. GASTALDI SEBASTIANO.

PASSEGGIATE.

CAPO V.

La fontana dello zolfo - La tomba di Savio Domenico - Si ritorna a Torino - A Buttigliera e poi ad Anderzeno - Separazione - La fruttiera - A Torino - Ringraziamento.

Fu argomento di una piccola passeggiata, la famosa fontana del zolfo. Molte sono le sorgenti di tali acque, che si trovano pel Monferrato, ma forse quella, che meriterebbe di più l'onore di una bella relazione e pubblicità, crediamo che sia appunto quella che si trova a Castelnuovo. Se essa fosse in altri paesi, dove fossero meno altre risorse, io credo, che cercherebbero di farnela conoscere ai quattro venti, come quella che potrebbe recare la salute a tanti mali che affliggono la povera umanità. Bisogna dire , che Castelnuovo d'Asti ripone la sua salute e corporale e finanziaria nel vino , che suol raccogliere dagli immensi e ben coltivati vigneti, perchè , se non è proprio da lamentarsi che abbia trascurata quella fontana, non ci parve la tenesse in quel conto che si meritava. Ora fu introdotto un po' di miglioramento, ma dapprima era in un completo abbandono. Certamente che la prima volta, che siamo capitati là, dopo aver sentiti gli elogi senza misura che si facevano di quell'acqua, noi ci credemmo burlati. Quando cominciammo a sentire in lontananza il forte odor di zolfo , che si spandeva d'attorno, e maggiormente quando, senza pensarci su più che tanto, accostammo al labbro il bicchiere che avevamo lentamente riempito, ci credemmo proprio avvelenati. L' orrore provato fu pari al disinganno ; e gettando tazza ed acqua per terra , cercavamo di purificarci la bocca, nettandocela in tutti i modi.

» Oh che orrore!

» Oh che barbarie !

» Burlarsi così della gente!

» Non avete che di quest'acqua?

» E questa l'acqua miracolosa?

Queste esclamazioni erano su per giù ripetute da quanti gustavano la fetida acqua ; e più vive, mordaci ed anche spiritose da quelli che venivano dopo. Qualcuno però che conosceva di già qual era il gusto, e quale poi il buon effetto di quell'acqua solforosa, si accostava intrepidamente alla sorgente, e, chiudendo gli occhi, giù in un fiato. « Ecché? diceva a noi, quasi istupiditi per la meraviglia; ecchè? Chi disse mai che le medicine debbano essere appetitose? E quest'acqua è una vera e potente medicina, per chi trova difficoltà di stomaco e per pienezza di sangue.» Dopo uno, viene un altro, e senza interruzione tre, quattro, dieci, e tutti a bere di quell'acqua, che doveva avere effetti cotanto prodigiosi. Veramente eravamo meravigliati noi medesimi, di essere omai indifferenti, e quasi amanti di quel sapore di uovo stantio , che , a pensiero calmo , metteva quasi ribrezzo, eppure si beveva ora a sorsi larghi e copiosi, come del liquore più prelibato.

Ci affezionammo tutti in breve a quest'acqua che chiamavamo putrefatta, e poco alla volta chi ne bevette cinque, chi dieci e chi fino quindici bicchieri. Ed il Redi, che aveva avuto il coraggio di far dire al suo Bacco in Toscana.

Chi l'acqua beve
Mai non riceve
Grazie da me!!!

credo, che avrebbe cambiato parere, se, come medico che era, avesse assaggiato l'acqua miracolosa di Castelnuovo d'Asti. Non vi diciamo qual effetto ci produsse, perché lo potete immaginare. Ma fu certamente mirabile. E questa prima visita all'acqua del zolfo fu memorabile, e formò il tema gradito dei nostri discorsi nelle varie vicende capitate lungo le nostre vacanze autunnali.

Ultima scorreria di quest'anno fu la passeggiata a Mondonio, dove riposavano le benedette spoglie del nostro esemplare amico Savio Domenico. Era morto in quell'anno, e noi non ce la sentivamo di ritornare a Torino, senza essere andati a dire almeno una preghiera sulla sua tomba. Anzi il nostro buon padre, pensando di scriverne i cenni biografici a nostra comune edificazione, come poi fece, incaricò il nostro amico Carlo Tomatis, che a quei di studiava pittura all'Accademia Albertina, perché vedesse di ricavare, o a memoria o con l'aiuto di qualcuno dei fratelli di Savio, le amabili sue sembianze. Lo fece di fatto con intelligenza ed amore, sebbene noi non vi vedessimo intieramente in quel suo lavoretto l'amico soavissimo Savio Domenico. Mentre il buon padre di lui, che vive tuttavia e ricorda con affetto e con lacrime il figlio, ci voleva preparare un po' di merenda, noi ci siamo, bisogna dire la verità, precipitati sul modesto cimitero del paese ove riposavano in pace le ossa dell'amico. Alcuni di noi non ebbero neppure pazienza di aspettare la chiave, che ne aprisse la porta, ma siccome il muriccio di cinta era contermine con un piccolo rialzo di terra, per di là, senza pur immaginare di contravvenire a qualche legge o regolamento, saltarono nel luogo sacro, e corsero ad inginocchiarsi sulla povera tomba. Più d'uno di noi fu visto colle lacrime agli occhi pregare colà , e quasi richiamarsi alla mente quell'anima pia, che ci fu compagno, collega, consigliere, amico benefico per poco tempo all'Oratorio, e che ora si sperava potesse continuare l'opera santa dal paradiso. Avevamo portato da Torino una corona di semprevivi con le parole; A Savio Domenico, allievo dell'Oratorio di S. Francesco di Sales di Torino, i suoi amici ! e ve la lasciammo appesa alla croce modesta, che ne copriva le spoglie. Chi sa se esiste ancora!

L'anno dopo di quella visita, un pio signore di Genova, che aveva letto ed ammirato le virtù del nostro giovane amico, e, in un grave cimento, avendone implorato l'aiuto presso Dio , ne era stato esaudito , fece collocare su quella tomba una bella lastra di marmo con analoga inscrizione. Forse ben altre cose farà Dio per il pio giovinetto, che brevi vivens tempore, fece sì mirabili opere! Poi si pregò, e non si sarebbe cessato di stare là sopra, se il tempo non fosse stato appena bastante per arrivare a tempo in casa.

Nel ritorno noi ci sentivamo molto malinconici, pensando alla rapida dipartita da questo mondo del nostro amico : e nell'istesso tempo più fervorosi, perché, ripetendoci i suoi atti virtuosi, ci pareva di sentircene animati a ricopiarli in noi, lasciati da Dio in questo povero mondo.

Dopo di aver parlato fra di noi di questo e di quell'altro atto virtuoso, ci piacque imitarlo, col fare, come era solito, intonare una lode ; che là tra quelle valli ed a quell'ora produceva un senso bellissimo.

Alla dimane si partiva per l'Oratorio, e bisognava essere freschi, per assaltare la via, che dovevamo farci tutta a piedi con molto nostro gusto. Dopo messa, in cui facevamo per solito la santa Comunione, si sparecchiava la cappella , che poverina, non faceva più bella figura; e, rimessi tutti gli addobbi, per essere riportati a Torino, si chiudeva, e per un anno non la vedevamo più. Solo nel mese di maggio , alcune anime divote solevano ivi raccogliersi alle feste, per onorare la Madonna, con l'offerta di qualche mazzo di fiori, ed invocarla, perché benedicesse le campagne, e non lasciasse rovinarle o dalla siccità o dalla grandine. Noi poi, verso le nove e mezzo o le dieci, facevamo un po' di ristoro, e quindi con il buono e carissimo padre ci restituivamo allegri e contenti a Torino.

Dai Becchi si partì dunque verso le undici, passando per Buttìgliera d'Asti, dove era parroco allora, e, per benedizione di quel popolo c'è tuttavia, il cav. D. Vaccarino. Egli desiderava aver sempre un giorno con sè D. Bosco ed i suoi figli, epperciò era una stazione obbligatoria. Ma a Buttigliera viveva la contessa Miglino, che aspettava con molto piacere una visita di D. Bosco. Il suo palazzo, il giardino, un ampio porticato, dove accoglieva i bambini come per asilo d'infanzia, tutto ella metteva a nostra disposizione. Colà eravamo obbligati a far una piccola sosta. Ricordiamo le buonissime castagne, che per la prima volta della stagione, noi potevamo gustare. Ce n'erano a lesso, ad arrosto, pelate e con la scorza, da contentare tutte le voglie. Poi pane , cacio , salame se non era venerdì, od un uovo duro, e quindi, ristorato con qualche buon bicchiere di vino così lo stomaco, si metteva mano a fare un po' di ricreazione.

Alla buona contessa piaceva la musica , e noi avevamo sempre qualche cosetta per contentarla. Fu là che per la prima volta fece comparsa Il signor Demetrio, capo cuoco, con una bella schiera di aiutanti, che formavano un magnifico coro. Fu come il principio di quella operetta intitolata poi a suo tempo Il poeta ed il filosofo, musicata così bene dal nostro amato monsignor Cagliero. Questa invece era poesia e musica del nostro amico Carlo Tomatis , anima allora della nostra ricreazione e poeta necessario della compagnia comica. Quella poesia e quella musica ora noi vorremmo sentire , far come rivivere in queste carte, che ne riceverebbero pregio, ma vive soltanto una piccolissima rimembranza nella memoria di qualcuno, ed il resto scomparve come un'onda che passa. Come ce ne rincresce ! Pregammo e pregammo l'amico tuttora vivente, ma egli non se ne può più ricordare.

La nostra gita a Buttigliera doveva essere rapida, perchè la notte non ci sorprendesse lontani da Torino. Si partì verso le due o tre dopo mezzodì, e, piegando un poco a destra, ci portammo verso Andezzeno. Colà D. Bosco era aspettato dalla famiglia De-Maistre, che in quell'epoca villeggiava in una casa di campagna, chiamata la Fruttiera , forse per i molti e diligenti frutteti, che vi si coltivavano con ingegno ed attenzione.

Un nostro amico, e specialmente il parroco di quel paese , ci fecero riposare un poco , e poi con pena e molte raccomandazioni ci separavamo da D. Bosco, « Ma perchè ci abbandona? fu uno che disse a D. Bosco, mentre noi saremmo così lieti di accompagnarlo fino a casa? » « Perchè, perchè, ci disse amorevolmente D. Bosco , perchè due non son tre! Se potessi farne a meno, oh lo farei volentieri! Chè il buon Dio mi ha mandato per voi : ma appunto per questo io me ne devo separare. »

« Oh! e perchè? » saltò fuori un altro, stupito di quella ragione che non riusciva a capire... « Guardate, ci disse allora con infinita compiacenza il nostro buon padre; qui vicino abita un'ottima famiglia di benefattori dell'Oratorio. Essa mi promise qualche sussidio per voi, ma pose la condizione, che io mo lo venissi a prendere alla loro campagna. So che vi vogliono bene, perché mi aiutano a sostenere le molte spese, ed io devo contentarli. Voi intanto mi precederete solo, perchè domani o dopo domani sarò di nuovo con voi all' Oratorio. Fate buon viaggio, ed il Signore vi accompagni. » « Ci dia la benedizione ! gridò uno ; ci dia la benedizione ! » gridammo a coro. E D. Bosco, molto commosso da questo spontaneo atto di amorevolezza e pietà, ci disse : « Sì, sì, vi benedico, e lo faccio ben di cuore.» Noi ci inginocchiammo per terra in sulla pubblica via, e prendemmo così nel partire la benedizione.

Molte persone e dalle finestre delle case, e sulla strada, accorse alla novità del nostro passaggio, guardavano con meraviglia il nostro bel quadro, che formavamo ai piedi di D. Bosco, e si inginocchiarono con noi per essere benedetti. Nella storia dell'Oratorio si dovrebbero scrivere più pagine per narrare le benevolenze che la famiglia illustre De-Maistre usò sempre verso D. Bosco e verso i suoi figli. Ma qui non possiamo dimenticare una bella circostanza. Alla Fruttiera in quell'epoca viveva nella penitenza e nella pietà la signorina Francesca Ottavia DeMaistre, la cui vita e le cui rare virtù furono, in questi ultimi dì passati, pubblicate dalla nostra tipografia e scritte dall'aurea penna dell'Oblato di Maria P. Gastaldi. La quale signorina Francesca era colà chiamata la Signora Santa, per la divozione che praticava e per le generose sue carità. Per aver un'idea del come apprezzava D. Bosco, e si studiava di soccorrere le sue opere, basta dire che ella poi, morendo nel 1862 a Beaumenil in Francia, si ricordò di lui, e pregò sua zia, l'illustre duchessa Laval di Montmorency, a passare per amor suo un sussidio annuo a Don Bosco.

Questo è il bene pubblico che fece per il nostro Oratorio, ma dev'essere ben piccola cosa in confronto di quello che faceva privatamente. Noi ricordiamo d'averla veduta quella pia damigella anche qui all'Oratorio, ed il suo contegno riservato e modesto ci faceva assai impressione e pietà. Il vederla poi con abiti ordinarissimi e di casa, con una semplice cuffia nera in testa, ci pareva piuttosto la serva e non la figlia del conte De-Maistre. Questo è in breve l'abbozzo della casa a cui si volgeva D. Bosco con qualcuno di noi.

Già, bisogna dirlo, D. Bosco fu sempre l'amico di quell'avviso del Vae soli! e scelse perciò fra noi qualcuno che lo accompagnasse anche in quel castello. Noi sentivamo , se si vuole , un po' di desiderio di essere i prescelti, ma nessuna invidia per chi D. Bosco eleggeva, o malumore contro la scelta. Facemmo i saluti cordiali , baciammo con riverente affetto la mano a D. Bosco e poi, via verso Chieri, mentre egli con due dei nostri si rivolgeva alla casa dei novelli suoi ospiti. Or qui come faremo ? Dobbiamo parlare di D. Bosco, e lasciare la narrazione delle nostre vicende, o dire di noi e lasciare, che D. Bosco, vada dove lo conduce il bisogno e la riconoscenza? Guarderemo di non dimenticare nessuno , e non far dire la gente sul conto nostro.

D. Bosco non sapeva la via che conduceva alla Fruttiera, e dovette passare alla parrocchia per informarsene, e farsi anche guidare, qualora ne fosse necessario. Egli poi per non portare incomodi al castello, ignorando se fosse o no ampio, lasciò in parrocchia i due nostri compagni, e con la scorta del buon pievano egli andò come angelo desiderato in quel luogo. Appena si seppe che si avvicinava D. Bosco, la pia famiglia venne all'incontro , e ve lo condusse con i segni della più alta cortesia e devozione. Sapendo poi che i nostri due compagni erano rimasti ad Andezzeno, mandarono subito a chiamarneli, per non separare, com'essi dicevano, il padre da' suoi figli. E fu allora che essi videro ed ammirarono lo spirito di pietà che si respirava in quella famiglia virtuosa. C'era la Francesca, la Zaveria e la Filomena; la prima cioè e le due ultime figlie, che vivevano con la mamma, mentre il signor conte con i due figli, conte Eugenio e Francesco, si trovavano allora a Borgo con la zia duchessa di Montmorency.

Abbiamo voluto parlare a lungo di questa visita perchè tutte e tre quelle damigelle, od in casa o tra le mura di un monastero, si sollevarono ad un altissimo grado di virtù. A quell'ora, dopo una seria conversazione, la pia Francesca ci invitò alla recita del Rosario in cappella di famiglia. Noi fummo edificati della sua pietà, che si sentiva uscire dal labbro e dal cuore, sia dalle preghiere, sia dal piccolo mistero che si doveva meditare.

Ricordiamo che era venerdì, e si contemplavano i misteri dolorosi , e ci sorprese lo stento con cui pareva dir le parole, che narrano i sublimi patimenti di Gesù. La pia signorina sentiva troppo nel cuore le pene del Salvatore, e le lacrime sovente non la lasciavano parlare.

Alla dimane D. Bosco volendo partire per recarsi a Torino , quei pii signori lo accompagnarono per un buon tratto di via verso a Chieri.

Quella visitina dovette essere stata molto gradita anche alla signorina Francesca, perchè pareva impossibile che ella se ne potesse separare. Quella figura di pietà e di penitenza, e pur sì lieta nel l'aspetto, rimase nella nostra memoria, tanto più che cominciavamo già allora a sapere qualche cosa della sua virtù eroica. Per esempio si era venuto a sapere, nella sera che noi ci eravamo fermati in parrocchia, come tutte le mattine per tempissimo la pia damigella a piedi nudi si recava, recitando preghiere, alla chiesa per fare la santa Comunione. Sovente la trovava ancor chiusa, ed ella si metteva a pregare sulla gradinata , aspettando così che venisse l'ora per entrare in chiesa. Il suo contegno era proprio edificante, e la voce pubblica delle sue virtù faceva sì che il popolo la chiamasse senz'altro la signorina santa. A noi pareva una penitenza già molto rigida, quella di andare a piedi nudi, in quella stagione, che al mattino si vedeva già molta brina, ma eravamo ben lontani dal pensare, che quella era una delle pochissime, che non poterono sfuggire alla altrui conoscenza, e che le mortificazioni private, e note solo a Dio, ed a noi neppur ora dopo morte, erano assai di più.

D. Bosco intanto con i due figli prescelti, piede innanzi piede, arrivò all'Oratorio per consolare i suoi figli, che nella sera antecedente, senza alcuna cosa degna di nota, erano arrivati all'Oratorio. Con qual festa noi gli siamo corsi all'incontro, appena si seppe , che egli era entrato nella porta ! Si fece risuonare una e due volte un sonoro Viva D. Bosco ! e poi ascoltammo la sua parola. Egli ci disse che era stato contento che avessimo fatto buon viaggio , ma più ancora perché durante la passeggiata ci fossimo regolati da degni figli dell'Oratorio. « Domani poi, soggiunse prima di ritirarsi nella sua camera, domani è la festa della Vergine Maria sotto il bel titolo di Nostra Madre, e sta bene che noi la facciamo degnamente, anche per ringraziarla dei favori che ci ottenne in queste vacanze. » E noi abbiamo cercato del nostro meglio per mostrare la nostra riconoscenza alla Madonna, e quella festa riuscì quale si desiderava, cioè divota.

Qui finisce una parte delle nostre peregrinazioni autunnali, che potremmo quasi chiamare primo periodo, e che presero dopo e subito un così ampio sviluppo. Ma di ciò più e meglio un'altra volta.

BIBLIOGRAFIA.

FABRE (prof. A.) Temi di Componimento (sono più di 300 di cui molti col saggio) proposti alle scuole italiane e specialmente ginnasiali, tecniche ed elementari superiori. Un vol. in-16° L. 1,80

FABRE (prof. A.) Dizionarietto delle Antichità, Romane e Greche ad uso delle scuole italiane contenente oltrechè un copioso indice per classi, 8 mìla e più articoli riguardanti la vita privata e pubblica, le istituzioni, i riti, le feste, le cariche, gli studi, le artì, le vesti, gli attrezzi, le armi, ecc. Un vol. in-16°, pag. 226. L. 2,80 Son due opere con le quali il dotto Prof. Fabre, già noto

per parecchi altri lavori letterarii, ha reso un segnalato servizio ad insegnanti ed alunni. La prima contiene una scelta di temi, fatta con molto giudizio, sì per l' adattezza didattica, come per la bontà loro morale. La seconda poi si pub dir come cosa nuova, e pel modo almeno con cui è compilata , è di un' opportunità particolare alle scuole secondarie , a cui la raccomandiamo sicuri di far opera altamente giovevole.

Rivolgersi alla Libreria Salesiana in Torino.