BS 1910s|1916|Bollettino Salesiano Settembre 1916

BOLLETTINO SALESIANO

PERIODICO MENSILE DEI COOPERATORI DI DON BOSCO

ANNO XL - N. 9   1 SETTEMBRE 1916

3° SUPPLEMENTO PER I SACERDOTI

SOMMARIO

" Lavoro e temperanza,,. - Pensieri del Ven. Don Bosco: Sulla mortificazione.

Concorsi per le "Letture Cattoliche,,.

Don Bosco confessore --- (Memorie dell'Em.mo signor Card. Giovanni Cagliero).

L'insegnamento religioso nelle scuole elementari (Stato attuale della questione - Doveri del Clero).

Progetto di un Corso di Religione per le scuole medie inferiori.

Formiamo buoni maestri.

Salviamo i fanciulli! - (Memorie di un Oratorio festivo.

"Acta Apostolicae Sedis,,: riassunto di tutti gli atti pubblicati dal 1° maggio al 31 agosto.

Azione Salesiana: Diffondiamo la conoscenza degli Istituti Salesiani - Zeliamo l'adozione di buoni libri di testo - Cerchiamo nuovi Cooperatori, ecc. ecc. - Tracce di fervorini pel 24 del mese.

LAVORO E TEMPERANZA,,.

I santi, specie i fondatori d'istituti religiosi, hanno lasciato tutti alcune orme o impronte particolari, che è dovere e vanto dei loro imitatori e seguaci rintracciare e seguir fedelmente. Cosí dobbiamo far noi studiando il Ven. Don Bosco, nel quale ammiriamo con intinta gioia la pratica sublime d'ogni virtú, cristiana, religiosa e sacerdotale.

Amante e imitatore studiosissimo di N. S. Gesú Cristo, il nostro Venerabile Padre e Maestro una base fondamentale egualmente esigeva da tutti quelli che si, ponevano sotto la sua guida e dìrezione: la pratica dei doveri di religione. I giovanetti, li voleva giovanetti intimamente e praticamente pii: i sacerdoti, zelanti e virtuosi sacerdoti: i laici, di ogni condizione, buoni e ferventi cristiani. Per questa sua viva sollecitudine, spinta fino all'eroìsmo, perché attivata dall'unico ardente sospiro dell'anima sua: Da mihi animas, caetera tolle, la pietà divenne la vita intìma di tutta la sua dolce famiglia spirituale ed una caratteristica de' suoi istituti, che da essa traggono quell'ammirabile efficacia educativa, che è comunemente riconosciuta. Chi non assecondasse Don Bosco in questo suo primo desiderio, non gli apparterrebbe in alcun modo poiché egli voleva che tutti i suoi, fossero semplici alunni dei collegi od oratori festivi, fossero salesiani o cooperatori, tanto laici che sacerdotì, vivessero una vita di pietà e di fede.

Ma questa vita di pietà e di fede non è che la vita che ci venne a portare Gesú Cristo: Ego veni, ut vitae habeant et abundantius habeant (1) : è la vita che debbono vivere tutti i cristiani; e perciò non può dirsì una raccomandazione o una pratica caratteristica di Don Bosco. Pertanto chi disse per il primo che la bandiera di Don Bosco è quella ov'è scritto: Lavoro e preghiera ! disse una frase in sé bellissima e che che ebbe un gran successo, ma una frase enormemente imperfetta, perché monca e ridondante.

La parola preghiera, se forni a quel gentile poeta (2) una facile rìma con la parola bandiera, nulla aggiunse e nulla aggiunge al rilievo della vita e dello spirito del Venerabile e dei suoi figli. Nè questi, nè quegli, non si possono nè si debbono concepire senza pietà, e quindi senza preghiera. La preghiera fu la vita e l'alimento del padre; la preghiera è e deve essere la forza e l'alimento quotidiano dei figli. Di qui le stesse denominazioni di Pia Società Salesiana, di Pia Unione dei Cooperatosi Salesiani...

Qui invece, ha una forza scultoria la parola lavoro. La vita di D. Bosco, dalla prima giovinezza fino alla morte, fu un lavoro incredibile, incessante ed eroico per la maggior gloria di Dio e la salvezza delle anime: ed una tal vita dev'essere imitata dai figli.

Quale è dunque l'altra parola che, con questa, caratterizzi e completi la vita vìssuta da Don Bosco, cioè che ritragga le virtú speciali che caratterizzarono quest'uomo di Dio nel molteplice suo apostolato e ricordi la piú calda delle sue raccomandazioni?

É una parola che, dopo aver risuonato senza posa sul labbro del buon Padre, nel settembre del 1876 (quarant'anni or sono) una voce di cielo ripeteva a lui stesso, in uno dei suoi sogni misteriosi

« Il lavoro e la temperanza faranno fiorire la Congregazione Salesiana... il lavoro e la temperanza sono l'ereditai che tu lasci alla Congregazione e nel tempo stesso ne saranno anche la gloria ! »

Cari confratelli, la santa bandiera sotto la quale ci siamo schierati, ci propone adunque queste due virtú (di cui torneremo a parlare) le quali, perché furono caratteristiche in Don Bosco, debbono esser ricopiate dai figli

- Lavoro e temperanza !

(1) IOANN., X, 10.

(2) Il salesiano prof. D. Giacomo Ruffino: La Bandiera di Don Bosco (Ved. Boll. Sales., agosto 189o): Di Don Bosco è la santa bandiera Ov'è scritto: Lavoro e preghiera!.

PENSIERI DEL VENERABILE DON BOSCO Sulla mortificazione.

Nel 1868 il Venerabile Don Bosco raccolse i Salesiani a Trofarello, in due corsi, perche attendessero agli Esercizi Spirituali. Il secondo corso cominciò il 21 settembre. Don Bosco fece le istruzioni, e di due sole abbiamo memoria. In una egli trattò della mortificazione dei sensi; coll'altra chiudeva gli esercizi.

Ecco i pensieri che svolse nella prima.

***

Noi abbiamo un gran nemico, che non ci abbandona mai, né di giorno né di notte, e questo gran nemico è il nostro corpo. Noi dobbiamo combatterlo, se non vogliamo che si ribelli allo spirito, dobbiamo mortificarlo perché a questo sia soggetto. N. S. Gesù Cristo ce ne diede un chiarissimo esempio in tutta la sua vita, che fu una continua mortificazione della sua carne. Per più di venti anni si guadagnò il pane col sudore della sua fronte. Con un digiuno continuo di quaranta giorni e quaranta notti incominciò le sue predicazioni. Patí la stanchezza di tanti viaggi, la sete, la fame, l'insonnia di lunghe notti passate nell'orazione, la dolorosa passione, ecc.

Col togliere al corpo ogni sollievo e colla preghiera insegnava i due mezzi coi quali dobbiamo combattere il nostro corpo... Chi non lo mortifica, non è nemmeno capace di pregar bene.

Tutti i santi, che sono in paradiso, tutti i buoni ecclesiastici e buoni sacerdoti, imirarono o imitano Gesù Cristo, e sono i nostri modelli

Il nostro corpo è l'oppressore dell'anima: Corpus enim, quod corrumpitur, aggravat animam, et terrena inhabitatio deprimit sensum multa, cogitantern. « Il corpo corruttibile aggrava l'anima; e il tabernacolo di terra (il corpo) deprime la mente che ha molti pensieri » (Sap. IX, 15).

Il corpo tien bassa la mente e la curva colla moltitudine dei pensieri e delle cure terrene, delle quali siamo sempre ripieni.

L'anima di Adamo, nota S. Bernardo, fu esente da tale gravezza, fino a tanto che egli ebbe un corpo incorruttibile. Iddio lo aveva costituito talmente in libertà, che posto di mezzo tra le somme cose e le infime, a quelle si alzasse senza difficoltà e a queste si abbassasse senza passione o necessità : quelle penetrasse colla naturale vivacità e purità della niente, di queste giudicasse con autorità di padrone.

Ma il peccato di Adamo guastò la magnifica armonia tra il corpo e l'anima e cagionò nell'uomo quello sconcerto, del quale cosí dice S. Paolo nella lettera ai Romani : Condelector... legi Dei secundum interiorem hominem. Video autem aliam legem in membris meis, repugnantem legi mentis meae, et captivantem me in lege peccati, qaue est in membris meis. Infelix homo! Quis me liberabit de corpore mortis huius? (VII, 22).

Spiega tale ribellione S. Agostino: Haec est enim poena inobedienti uomini in semetipso, ut ei vicissim non obediatur neque in semetipso.

Ma l'anima deve riprendere il suo dominio e il corpo deve essere schiavo. Se è lasciato libero, abbandonato all'intemperanza e agli altri vizi egli fa diventare l'uomo un giumento, e l'uomo in questo stato non sente più, non gusta piú le cose di Dio, via solo i suoi turpi appetiti e li seconda.

Homo cum in honore esset non intellexit; comparatus est jumentis insipientibus et similis factus est illis (Psal. XLVIII, 12, 20). Quando un tale stato sia nocevole ad un ecclesiastico, non fa d'uopo il dirlo, poiché dovrebbe essere di buon esempio agli altri.

Incrassatus est dilectus, et recalcitravit; incrassatus, impinguatus, dilatatus, dereliquit Deum factorem suum, et recessii a Deo salutari suo. (Deut. XXXII, 15).

Si deve adunque domare questo giumento: - Cibaria et virga et onus asino : panis, et disciplina, et opus servo. Fieno, bastone e soma all'asino: pane, sferza e lavoro allo schiavo (Eccl. XXXIII, 25). E aggiunge: Il giogo e la cavezza piegano il collo duro e l'assidua fatica ammansisce lo schiavo.

Ecco il modo di trattare il corpo: la mortificazione. Cosí lo trattava S. Paolo che andava scrivendo: Castigo corpus meum et in servitutem redigo. E fra tante fatiche apostoliche, lavorava per guadagnare il vitto per sé e per i suoi.

Gesú Cristo proclamava: Nisi poenitentiam egeritis, omnes similiter peribitis.

Per domare questo nemico il Divin Salvatore ripeteva a tutti: Si quis vult post me venire, abneget semetipsum et tollat crucem suam quotidie, et sequatur me. Se alcuno vuol tenermi dietro, rinneghi se stesso e prenda dí per dí la sua croce e mi seguiti (Luc. IX, 23).

E fino a quando? Usque ad mortem, e con minaccia che qui non vult pati cum Christo non potest gaudere cum Christo.

Infatti Gesú soggiungeva: Qui enim voluerit animam suam salvam lacere perdei illam : nam qui perdiderit animam suam propter me, salvam faciet illam. Quid enim proficit homo, si lucretur universum munduvn, se autem ipsum perdat et detrimentum sui faciat? (S. Luca IX). Chi vorrà salvare l'anima sua (la sua vita temporale) la perderà, e chi perderà l'anima sua per causa mia, la salverà. Imperocché che giova all'uomo guadagnare tutto il mondo, ove perda se stesso e di sé faccia scapito?

Queste parole indicano fino a qual punto in certi casi deve giungere la guerra al nostro corpo, piuttosto che perdere la grazia di Dio. Gli apostoli, fin dal principio della loro missione, flagellati per ordine della Sinagoga, ibant gaudentes a conspectu Concilii quoniam digni habiti sunt pro nomine Jesu contumeliam pati. E con essi, e dopo essi, fino ai giorni nostri, un numero infinito di martiri abbandonarono i loro corpi ai piú atroci e spaventosi tormenti... Innumerevoli sono i fedeli, monaci, religiosi, laici, che domarono e domano le loro passioni con digiuni, veglie, discipline e altre penitenze, che fanno paura ai mondani e alle anime deboli

Noi certamente non abbiamo obbligo di sacrificare il corpo con questi modi, e, se talora fosse necessario, Dio ci assisterà colla sua grazia. Ma ciò che dobbiamo fare si è di non secondar mai, di reprimere, di prevenire, le insidie dei sensi. Ci deve animare a questa lotta un gran pensiero: Memorare novissima tua et in aeternum non peccabis.

Alla considerazione di ciò che saremo nel corpo dopo morte, si scuota chi è attaccato alla terra, alle comodità della vita, alle agiatezze. Questo nostro corpo, che tanto accarezziamo, sarà ben presto pascolo dei vermi i piú schifosi. Pratichiamo con gran fede l'Esercizio della Buona Morte... Via ogni vanità, ogni ambizione, ogni delicatezza. Siamo ambiziosi in una cosa: di salvar anime coi nostri sacrifizi.

Mortificazione dei sensi... Negli occhi: nel guardare, nel leggere... Nel cibo... Nel tratto... - Tollerare caldo, freddo, incomodi di salute, deficienza di qualche cosa. Non far viaggi senza necessità. Saper tollerare e invitar gli altri a tollerare. -Sopportarci a vicenda. - Perdonare di cuore. - Puntualità nei propri doveri.

Concorsi per le "Letture Cattoliche,,.

La Commissione esaminatrice dei lavori presentati al 1° Concorso per le Letture Cattoliche, bandito il 1° gennaio, ha prescelto, tra sei, il manoscritto senza titolo, contrassegnato col motto: Si ad legendum accedat, non tam quaerat scientiam quam saporem.

Aperta la busta, è risultato vincitore il M. R. Sig. Sac. Dott. Luigi Terrone, Direttore dell'Oratorio S. Cuore di Gesú a S. Gregorio (Catania). Mentre ci congratuliamo vivamente con l'ottimo nostro amico, facciamo voti che presto si possano leggere le sue belle pagine sulla Provvidenza divina, dettate da un grande amore del bene. Agli altri concorrenti, tutti meritevoli di lode - perché la Commissione trovò i loro lavori sostanzialmente buoni, ma o troppo elevati o troppo brevi o non del tutto esaurienti - il nostro ossequio cordiale, e la preghiera che vogliano richiedere i rispettivi manoscritti.

Ora, sebbene molti nostri amici, disposti a collaborare, siano occupati nelle caserme, o, meglio, nell'assistenza di malati e di feriti, crediamo conveniente bandire un Terzo Concorso.

Eccone il tema: La gioia d'essere cristiani. AVVERTENZE:

1 ° I concorrenti ricordando l'esortazione di S. Paolo: State sempre allegri nel Signore; lo dico per la seconda volta : State allegri (Ai Filippesi, IV, 4) - espongano, in modo facilissimo, i motivi che hanno i cristiani, perché cristiani, di gioire sempre;

2 ° Non si dia al lavoro la forma arida del trattato, ma quella attraente d'una conversazione varia e cordiale, ricca d'esempi piuttosto recenti;

3 ° Ciascun manoscritto sia contrassegnato con un motto, che si dovrà ripetere sopra una busta chiusa, nella quale sia stato messo l'indirizzo esatto del concorrente;

4° Il vincitore avrà in premio libri, editi dalla Libreria internazionale della S.A.I. D. Buona Stampa, pel valore di cento lire, a norma del catalogo;

5 ° Il lavoro premiato diverrà proprietà esclusiva della suddetta Liberia Editrice. L'autore avrà, gratuite, cento copie;

6 ° I manoscritti non pubblicati, se richiesti dagli Autori entro un mese dalla notificazione dell'esito del concorso, saranno restituiti; non richiesti, vulcano tradentur;

7° Il tempo utile per la spedizione dei manoscritti scade il 31 marzo del 1917.

Torino, 15 settembre 1916.

La Direzione delle Letture Cattoliche Via Cottolengo, 32.

DON BOSCO CONFESSORE

(Memorie dell'Em.mo signor Cardinale Giovanni Cagliero)

Il nostro Venerabile Padre e Servo di Dio Don Bosco, prevenuto dalla divina grazia, alla quale corrispose costantemente per tutto il corso della sua vita, e destinato dalla Provvidenza ad essere apostolo della gioventú, per salvarla dai pericoli di eterna dannazione ai quali si vide e si vede esposta in questi ultimi tempi, rifulse alla maniera dei Santi di luce risplendentissima, in ogni piú eletta virtú, sino dalla sua infanzia.

E noi lo abbiamo conosciuto Padre amantissimo dalla nostra giovinezza, direttore solerte e prudente della nostra educazione, modello perfetto del sacerdote, e fondatore sapiente della Pia Società di S. Francesco di Sales.

A maniera dell'apostolo S. Giovanni che visse la vita intima con Gesú nostro Salvatore, noi possiamo dire, che riferiamo quod vidimus, quod audivimus et manus nostrae contrectaverunt, della vita del nostro amantissimo Don Bosco, nel corso della nostra adolescenza, giovinezza e virilità, passate nella unione più affettuosa di Padre e di figlio nel sempre piú caro e dolce nido dell'Oratorio di Valdocco.

La gioventú era la sua missione, il suo amore, la stia vita: e l'unico suo desiderio era che questa gioventú amasse Dio e fosse da Dio amata; conservasse la freschezza dell'età, la bellezza dell'anima e la purezza del cuore.

Intimamente persuaso di questa sua missione, specialmente per la gioventú piú povera e piú abbandonata, considerò dirette a sé ed alla sua Congregazione le parole del divino Samaritano: « Curam illius habe, et quodcumque supererogaveris, ego, cum rediero, reddam tibi ».

Quindi quel suo prediligerla, quel vivere per essa e lavorare costantemente pel suo bene, durante i suoi cinquant'anni di apostolato tra i fanciulli.

L'anima, immagine di Dio ed opera - dopo quella degli angioli -- la piú bella della creazione, Don Bosco desiderava vederla pura ed innocente, monda dal peccato e rivestita dalla grazia divina.

Ecco perché pose, come base e fondamento del suo sistema educativo, detto sistema preventivo, nei suoi oratori, collegi ed ospizi, ormai sparsi in tutto il mondo, la frequenza dei SS. Sacramenti della Confessione e Comunione, sacramenti che a detta di S. Bernardo, sono le ruote maestre della vita cristiana, e dalla cui frequenza Don Bosco ricavava due vantaggi e beni immensi nei suoi giovani, l'amore allo studio e al lavoro, e l'amore alla virtú.

Per questo fu continuo il suo affanno ed instancabile il suo zelo nel sacro ministero della Confessione - Sacramento che giustifica l'anima, la riveste della grazia, la fortifica della fortezza divina, la fa perseverare nel bene, salutem stabilem operatur, come dice S. Paolo, e la abilita a ricevere Gesú Cristo, Sacramento di vita, nella S. Comunione.

Di qui quel proporci di frequente come guida di buone confessioni e sante comunioni la vita, scritta da lui stesso, dei giovanetti Michele Magone e Domenico Savio, alunni dell'Oratorio.

I teologi e moralisti, oltreché delle doti principali (bontà di padre, esperienza di medico, abilità di maestro, e benignità di giudice) vorrebbero adorno il confessore anche delle altre qualità inerenti e proprie di questo ministero, che è la direzione delle anime, detta dai santi l'arte delle arti: ars artium, regimen animarum. Oltreché di spirito di pietà che lo fa uomo spirituale, amico di Dio e guida sicura delle anime, vogliono il confessore ripieno di santo zelo, di ardente carità, e di una santa dolcezza, pazienza e prudenza, specialmente con la gioventú.

Ora queste doti, virtú o qualità, risplendettero in grado perfetto nel nostro Venerabile Padre.

Zelo e carità.

La gioventú era la porzione eletta del suo cuore, e lo stare coi fanciulli la sua delizia, potendo dire col Salvatore: deliciae meae esse cúm filiis hominem.

La sua carità era grande e l'amor suo verso di noi tenerissimo, ma tutto spirituale, puro e santo, che ci dava un'idea perfetta dell'amore che Gesú Cristo portava ai fanciulli.

Lo udivamo spesso esclamare: « Oh quanti giovani ci manda il Signore, e quanti ce ne manderà ancora in avvenire, se sappiamo corrispondere alle sue grazie, e ci mettiamo davvero e con amore per educarli e salvarli! Mi piange il cuore il vederli non curati nelle sacrestie, rimbrottati, malmenati e talvolta scacciati! Oh se potessi moltiplicarmi e trovarmi nelle borgate, nei paesi e nelle città, in chiesa e fuori di chiesa, per occuparmi della loro povera anima!... Vanno in chiesa... e petierunt panem et non erat qui frangeret eis. E ciò col pretesto che parroci e vice curati debbono occuparsi degli adulti... che i ragazzi sono disturbatori, ignoranti e sgarbati! Oh vorrei che sentissero la voce di Gesù Salvatore, che dice loro: Lasciateli venire, lasciare che vengano in chiesa, et nolite prohibere eos ad me senire; di loro è il Regno de' Cieli ».

Entrando un nuovo alunno nell'Oratorio, subito lo avvicinava e gli rivolgeva qualche parola di conforto per farlo star allegro e di buon umore, affine di sollevarlo dalla pena che generalmente provano i giovani nei primi giorni di collegio, perché lontani dai parenti; e, avviata la conversazione, gli diceva all'orecchio:

- Se ti fai buono, saremo amici: Don Bosco ti vuol bene e vuole aiutarti a salvar l'anima.

E lo invitava a prepararsi per fare una buona Confessione, facendogli intendere che, se, avesse desiderato giovarsi del suo ministero, ben volentieri lo avrebbe aiutato.

Abitualmente egli rivolgeva or all'uno, ora all'altro, questi santi pensieri: - Il Signore ti ha mandato qui, perché fossi sempre piú buono e virtuoso... La Madonna aspetta che le regali il tuo cuore...

E gli metteva uno dei piú buoni al fianco, perché, giocando e divertendosi insieme, a tempo opportuno gli rivolgesse qualche buona parola e lo invitasse a fargli compagnia nell'andarsi a confessare.

A un altro, per aiutarlo a vincere la ripugnanza, soleva dire scherzando:

- Quando ti preparerai a fare la Confessione Generale della vita futura?

Sorridendo, il giovanetto rispondeva:

- Della vita futura ? questa non si può fare!...

- Hai ragione, ripigliava il buon Padre; allora la faremo della vita passata! e sta' tranquillo, quello che non saprai dir tu, lo saprà dire Don Bosco.

Per tal modo, guadagnatasi l'affezione e la confidenza dei giovanetti, riusciva a formarli modelli di virtú, e di pietà non solo, ma anche di perfezione cristiana.

Io vidi la prima volta Don Bosco nel 185o sulle amene colline di Murialdo, in quel di Castelnuovo d'Asti, mio paese: avevo dodici anni. Era circondato dal signor Prevosto, dal mio maestro ed altri sacerdoti dei dintorni, e mi accorsi che lo colmavano di attenzioni ed avevano per lui una speciale venerazione.

La sua semplicità, il suo sorriso e la sua amabilità mi riuscirono cosa nuova; e mi formai il concetto che egli doveva essere un sacerdote singolare. Il Prevosto, Don Antonio Cinzano, che pure mi voleva bene, mi presentò a Don Bosco, il quale tosto mi rivolse la parola, dicendomi:

- Il signor Prevosto mi dice che tu vuoi studiare; è vero?

Si, signor Don Bosco.

- E mi dice che vuoi farti medico.

No, signor Don Bosco, io non voglio farmi medico.

- Sí, sì, - replicò - medico delle anime.

Nell'autunno dell'anno seguente tornò a Castelnuovo accompagnato da molti giovani, che avea condotto da Torino, per la festa del Santo Rosario, ai Becchi, Mi avvicinai a lui, ed egli, sorridendo:

- Oh, mi disse, tu sei il piccolo Cagliero, e desideri venire a Torino con me, e va bene; continua ad esser buono e ci rivedremo: intanto io ti dò un consiglio: prepàrati e vatti a confessare, affinché l'anima tua sia sempre piú bella e piú amata dal Signore.

Il giorno di tutti i Santi era stato invitato a fare il discorso dei Morti, ed io lo accompagnai al pulpito, vestito da chierichetto. Dopo la predica, giunti in sacrestia:

- Adunque, mi disse, desideri proprio venire con me a Torino?

- Sí, signore.

- Molto bene; allora di' a tua mamma che stassera passi alla Parrocchia per intenderci sulla partenza.

L'indomani, col mio fagottino, montavo sulla modesta carrozza di campagna, e mi sedeva a suo lato, avendo quasi in groppa e davanti a noi il vetturino.

Durante il viaggio la mia curiosità spaziava per le campagne, colline e stradali, e manifestava la mia meraviglia nel vedere tante cose nuove per me; e quando, giunti alla salita di Pino, mi si presentò la maestosa collina di Superga con la chiesa e il palazzo reale:

- Oh che è bello! esclamai; che monumento! che altezza!

Don Bosco mi lasciò fare e mi lasciò dire. Stando per cadere il giorno m'interruppe :

Finora hai parlato tu; adesso, se sei contento, parlo io e di cose più importanti. Ti sei poi confessato dopo che ci siamo veduti sul principio dell'autunno?

- No, signore, non mi sono confessato.

- Eppure sarebbe stato ben fatto, se in questa festa di tutti i Santi ed in questo giorno dei Morti avessi regalato una Comunione alle povere anime del Purgatorio!

- Ma! nessuno mi ha detto niente!... il maestro non me ne parlò: sono stato alla chiesa... si confessavano molti uomini, ma noi ragazzi ci fermammo nella sacrestia e non c'invitarono a confessarci.

- Vedi, Don Bosco la pensa in altro modo riguardo a voi, poveri giovanetti; e da questo punto ti aiuterà a curare le cose dell'anima tua

bene. Intanto vediamo un po' se mi faresti qui la tua confessione generale. Ti sentiresti di dirmi tutte le tue valentie? e, s'intende, le piú belle!

Io, che mi era già formata un'idea grande della virtú e della bontà di Don Bosco, e sentivo per lui, oltreché una profonda venerazione, anche una grande confidenza, entrai a raccontargli le mie giovanili avventure di scolaro, di chierichetto di sacrestia, di caporione nei giuochi, ed anche di piccolo cantore di antifone e messe corali, insegnatemi dal sig. Prevosto, di catechista ai piú piccoli di me, di passeggiate, ecc... Piacque a Don Bosco la mia franchezza... e:

- Sono contento, mi disse; però, giunti a Torino e quando Don Bosco ti abbia insegnato il modo di confessarti spesso e bene, allora mi dirai non solo le cose di fuori, ma anche quelle di dentro.

Benignità e dolcezza.

Nell'Oratorio mi trovai con altri alunni interni, compagni o di studio o di lavoro, come in famiglia, piú contento che in casa mia. Venuta la domenica, vidi il cortile pieno di altri giovani, esterni, piú alti di me, i quali, dopo essere stati nell'umile cappella a confessarsi, tornavano in cortile, aspettando che Don Bosco avesse terminato di confessare, per ascoltare la S. Messa e fare la S. Comunione.

Seguendo il loro esempio e tratti dalla benignità e dolcezza di Don Bosco, anche noi nuovi correvamo a confessarci: e come si tornava allegri, contenti e soddisfatti! Come ci voleva bene! qual balsamo al nostro cuore! Sapeva farsi piccolo coi piccoli, darci gli avvisi opportuni; e le stesse riprensioni sapeva condirle con tale sapore, che c'infondeva sempre amore alla virtú e orrore al peccato!

Discretus et cautus, more periti medici, come vuole il IV Conc. Lat., superinfundebat vinum et oleum vulneribus sauciatis.

Nella confessione era breve, senza fretta. Benigno al sommo, e non mai severo, c'imponeva una breve penitenza sacramentale, adatta alla nostra età e sempre salutare.

Difficilmente negava o differiva la santa assoluzione; onde si può dire che ci assolveva sempre, perché con santa industria ed amorevolezza ci aiutava e ci preparava ad averne le disposizioni, e ci disponeva cosí a ben meritarla.

E, come vogliono i moralisti, maximam adhibebal charitatem in disponendo poenitentem, eum adjuvando ad verum dolorem efformandum, item curando ut de attrito fieret contritus.

Negli anni susseguenti, aumentati considerevolmente i giovani interni ed esterni, venivano ogni domenica, e nelle occasioni di grandi solennità, altri zelanti sacerdoti, pii e buoni, come il teologo Marengo, ecc... ma tanto per me, come per altri compagni, non era possibile che cambiassimo confessore.

In caso di una sua assenza, come quando andava a predicare Esercizi, Missionì, o doveva far viaggi, lasciava ad altri l'incarico di confessarci, ma sentivamo immensamente la sua mancanza.

In una di queste assenze mi andai a confessare alla Consolata. Trovai un buon Padre, e venuto il mio turno, m'inginocchiai alla piccola grata e feci la confessione incomodato non poco dai buchi della graticella, perché non avvezzo a confessarmi in quella maniera. Quel sacerdote mi esaminò bene, mi fece delle riflessioni giuste, ma secche; ed in fine, se ben ricordo, mi impose delle obbligazioni, alle quali io stesso non mi credeva tenuto.

Altra volta mi accadde di essere stato scambiato per un adulto, e il confessore mi diede del voi, e mi disse tante cose che finii per capir nulla.

Similmente, in una circostanza di grande solennità, Don Bosco aveva invitato un confessore di fuori ad aiutarlo, e tanta era la ressa dei giovani desiderosi di fare la Santa Comunione, che per far presto mi confessai da questo buon sacerdote. Tutto andò bene e spicciato: ma alla fine credette fare un'ottima cosa col darmi uno stretto abbraccio e scaldarmi la guancia con un bacio! Non ne feci caso, ma neppure mi piacque, perché dicevo tra me: « Don Bosco mi vuol bene, e molto bene; eppure non mi ha mai fatto questo! ».

E sempre più mi persuasi che Don Bosco era un confessore diverso dagli altri nel modo di fare e di trattare con noi giovani, e che il bene che ci voleva era grande si, ma santo e tutto intento al profitto dell'anima nostra.

E quando, fatti sacerdoti, frequentavamo le lezioni di morale casistica dell'impareggiabile Mons. Bertagna, voleva che noi, nelle confessioni pratiche, facessimo la parte di fanciulli. Ricordo che in una conferenza, toccando a me a fare la parte del penitente, mi presentai quale un giovanetto dai 13 a 14 anni; e la mia confessione mise in non poco imbarazzo il piú abile dei miei compagni di corso, al punto che fu necessario continuarla il giorno seguente, e fini poi per surrogarlo lo stesso Mons. Bertagna; il che ci fece comprendere la importanza delle prime confessioni dei giovanetti, ai quali conviene lasciare una gradevole impressione, e trattarli con amore, pazienza e benigno compatimento.

Prudenza.

La prudenza ed il riserbo del nostro Venerabile Padre apparivano in ogni suo atto, sguardo e portamento, osservando con tutto rigore il modestia vestra nota sii omnibus hominibus di S. Paolo.

Epperò, noi giovanetti dell'Oratorio, quantunque da lui teneramente amati, mentre lo ricambiavamo coi più intimi affetti, avevamo per la sua persona una venerazione tale, che ci faceva stare davanti a lui con molto rispetto e con religioso contegno.

Al confessionale egli sedeva compostissimo: e presa la solita modesta posizione delle ginocchia unite e coi piedi sullo sgabelletto, cosí rimaneva sino alla fine, durassero le confessioni due, tre ed anche quattr'ore.

Il suo volgersi della persona da diritta a sinistra, verso i due inginocchiatoi laterali, era sempre con un movimento grave e modestissimo; sicché anche in ciò faceva manifesto come fosse veramente assorto nel sacro ministero e penetrato dallo spirito di Dio. Confessore poi e penitente, nella piú intima manifestazione della carità, purezza e castità, apparivano quale immagine vivente del Discepolo amato inchinato verso l'adorabile persona del Divino Maestro.

Per la sua costante fedeltà al principio che, oltre l'affetto, maxima debetur puero reverentia, io e i miei compagni nel corso di trenta e piú anni che ci confessammo da lui, non ricordiamo una parola, un'allusione, un'indelicatezza od una benché minima libertà nella direzione dell'anima nostra. Un ambiente angelico aleggiava sopra la sua persona e le sue esortazioni. Brevi, infuocate e caste, penetravano nell'intimo del nostro cuore; ci facevano del bene, ci miglioravano, ci portavano ad amare Dio, la SS. Vergine ed il nostro caro S. Luigi, proposto alla nostra imitazione.

Padre amorosissimo verso dei suoi figliuoli spirituali, non nutriva per noi alcun affetto sensibile; e ricordo che un giorno, dopo il mio secondo ritorno dalle missioni mi disse:

- Vedi, Don Bosco è vecchio e omai non può piú lavorare: lavorate voialtri e salvate la povera gioventú. Ho però un timore, ed è che qualcuno dei nostri abbia ad interpretare male l'affezione che Don Bosco ha avuto pei giovani; e che dal modo di confessarli cosí da vicino, si lasci trasportare da troppa sensibilità verso di loro: state attenti, perché temerei danni spirituali.

La innocenza, la purità e il candore dell'anima sua li voleva trasfusi in quelle de' suoi giovanetti. Nei miei primi anni di sacerdozio, continuava ad occuparmi della sagrestia. Una mattina, passando, vidi che Don Bosco confessava l'ultimo dei giovanetti, che si trovava all'inginocchiatoio: guardai e mi accorsi che il buon padre aveva gli occhi umidi e che due grosse lagrime gli pendevano dalle ciglia. Il giovanetto era il mio aiutante di sagrestia, buono, pio e di una ingenuità somma. Incontratolo al dopo pranzo, gli sorrisi e:

- Amico, gli dissi, stamattina tu mi hai fatto piangere Don Bosco!

Il ragazzo, che mi voleva molto bene, non arrossi ma ruppe in pianto, e si disse vittima di un malvagio compagno. Era un grossolano che s'era permesso con parole imprudenti e sconcezze di contaminare il candore di quell'anima bella! Naturalmente, per mio impegno, il colpevole veniva allontanato dall'Oratorio l'indomani stesso.

Era tanto riservato e raccolto nei suoi sguardi il nostro buon Padre, che un dí non s'avvide che era entrata in sagrestia un'ingenua contadinella sui 14 anni, allo scopo di trovare un confessore e fare le sue divozioni. Ella, vedendo che Don Bosco confessava i ragazzi, con invidiabile semplicità si pose in fila dietro di loro, aspettando il suo turno per confessarsi.

Io l'osservai e credeva volesse semplicemente una benedizione del Servo di Dio, il quale non si avvide affatto della sua presenza. Terminato di confessare l'ultimo giovane, ecco che la ragazza si pone sull'inginocchiatoio, e fa il segno della croce per incominciare la sua confessione. Soltanto allora Don Bosco la vede e, con le mani giunte sul petto, le domanda

- Mia buona figliuola, volete confessarvi, n'è vero?

- Sí, Padre!

Allora mi fece segno di condurla in chiesa ed indicarle un confessore, perché desiderava confessarsi ed offrire una Comunione alla nostra buona madre Maria SS. Ausiliatrice.

Pazienza.

Il nostro Venerabile Don Bosco, durante il suo lungo apostolato nell'ascoltare le confessioni dei giovani, diede raro esempio di costanza, sacrificio e pazienza ammirabili; e si può dire che lavorò come un martire e meritò la palma del martirio, se, come dice amabilmente San Francesco di Sales, questa si acquista non solo confessando Iddio innanzi agli uomini, ma anche confessando gli uomini innanzi a Dio.

Desiderando egli che i suoi giovanetti conservassero il loro cuore ingenuo e l'anima in grazia di Dio; e ben sapendo che la S. Comunione e il frumentum electorum et vinum germinans virgines, promosse la frequenza dei SS. Sacramenti con ardore di vero apostolo, e mise, come già dissi, per base fondamentale dell'educazione cristiana dei giovanetti, nei suoi Oratori e Collegi, la frequente Confessione e la frequente Comunione.

La sera d'ogni sabato e la vigilia delle feste voleva che nell'Oratorio e nei Collegi fosse sospesa la scuola di canto, e fosse libero ad ognuno di andarsi a confessare. A tal fine, costantemente e fino agli ultimi giorni della sua vita, e persino nella sua ultima infermità, trovavasi in sagrestia a ricevere le sacramentali confessioni: cosí, ogni giorno, prima e durante la messa della comunità. E desiderava non essere disturbato in questo tempo per nessuna ragione del mondo. Quasi si potrebbe dire di lui, come di quel santo, che, incominciata la meditazione, lasciava detto: « Se venisse il Re, ditegli che aspetti ».

In uno dei suoi viaggi a Roma aveva fatta intima relazione col Marchese Patrizi e lo avea invitato a visitare l'Oratorio di Torino; e disse a noi di prepararci pel suo ricevimento, sicché fosse degno di cosí illustre personaggio. Venne difatti il Marchese ed era una domenica mattina, mentre Don Bosco confessava in sagrestia. Io lo ricevetti come meglio potei e lo condussi alla chiesa, ed avvisai Don Bosco che il signor Marchese era giunto e desiderava vederlo e caramente abbracciarlo. Mi rispose con calma:

- Bene, bene; digli che sono contento del suo arrivo e che aspetti un momento sino a che abbia terminato di ascoltare questi poverini, che desiderano fare la santa Comunione.

E questo momento durò un'ora e mezzo, poiché i giovani sbucavano da ogni angolo per confessarsi.

Nella chiesa di San Francesco di Sales, poi in quella di Maria Ausiliatrice, prima che vi fosse il calorifero, il freddo era intensissimo; e Don Bosco lo sopportava invitto nelle lunghe sere dell'inverno, confessando fino alle dieci ed anche alle undici di notte.

E doveva ancora cenare!... Cenava, spesso accompagnato da uno di noi, mangiando la minestra che lo aspettava fin dalle otto, e quindi o troppo salata, o tiepida o fatta poltiglia.

Non poche volte trovammo la cucina chiusa per dimenticanza del cuoco, e allora gli toccava andare a letto senza cena. Ed egli, sorridendo:

- Oh non fa niente, diceva, abbiamo cenato tante altre sere! possiamo quindi andare a dormire: vuol dire che domani mattina ci alzeremo piú leggeri e con miglior appetito!

Nelle memorie degli Esercizi Spirituali fatti a S. Pìer d'Arena sono rimaste celebri, e son tuttora registrate nella nostra memoria, le morsicature delle zanzare: si era in faccenda giorno e rotte per liberarci dalle loro incessanti molestie. Don Bosco confessava in un lungo ed oscuro corridoio, un sito fatto apposta perché le zanzare vi stabilissero il loro quartier generale. I penitenti avevano tutti in mano spiegato il loro bravo fazzoletto, onde respingere l'assalto accanito di quegli insetti. Solo il povero e paziente Don Bosco, calmo ed impassibile, lasciava che lo punzecchìassero e se la godessero a sue spese, rendendolo per parecchi giorni così malconcio nella fronte e nelle mani per le acute e non lievi punzecchiature.

Egli era sempre pronto ad ascoltare, con ammirabile pazienza, quanti giovani gli si presentassero per confessarsi, aprirgli il loro cuore, o togliersi qualche inquietudine dall'animo. E questo di mattina, di sera ed in ogni tempo della giornata, senza dar mostra di importunità, nè che lo si incommodasse con quel fuor d'ora o quel dover interrompere qualche sua grave occupazione. Ci ascoltava sempre con paterna sollecitudine, tal volta già vestito per andare all'altare e sulla stessa predella del banco della sagrestia, tal altra prima o mentre andava a predicare; insomma sempre, e con bontà, ed anzi con segni di compiacenza, pur di vederci allegri e contenti, liberi dai torbidi dell'anima e con la pace nel cuore.

Ritornato dall'America sul principio del dicembre del 1887, trovai il nostro caro Padre assai invecchiato, che non si reggeva in piedi, e stremato di forze. Pure lo vidi che attendeva alle confessioni dei giovani, con lo stesso amore e zelo di prima.

Ne volli approfittare anch'io, nel timore che fosse l'ultima volta che poteva aprirgli il mio cuore. Da un lato mi sembrava una crudeltà, vedendolo in quello stato ed alla vigilia di mettersi a letto per non piú alzarsi; ma sapendo con quanta bontà ascoltasse sempre i suoi cari ed amati figli, ne approfittai. E mi diede tali consigli che non si dimenticano piú, pari all'esperienza sua, alla mia età e dignità della quale mi trovava investito, come vescovo e vicario apostolico della Patagonia.

Ascoltò in confessione ancora qualcuno dei nostri stando già a letto, finché ebbe bisogno di ricevere egli stesso gli ultimi Sacramenti, e rendeva l'anima sua, bella e innocente, a Dio, che tanto, e sopra tutte le cose, aveva amato e ci aveva insegnato ad amare.

Giov. Card. Cagliero.

N. d. R. - Queste care Memorie vennero dall'Eminentissimo scritte alcuni anni or sono, ed ora diligentemente rilette e a noi consegnate per il "Supplemento,,.

Ne rendiamo all'Em.mo Principe i più devoti ringraziamenti, augurandoci di pubblicare altre sue preziose Memorie nei prossimi numeri.

L'insegnamento religioso nelle scuole elementari

(Stato attuale della questione - Doveri del clero)

Mi son rivolto la domanda se non fosse fuor di luogo trattare in un Bollettino destinato a sacerdoti della grave questione che nei giornali, alla Camera dei Deputati e in quasi tutti i Consigli comunali diede occasione a dibattiti cosí frequenti e vivaci. E mi sono dato una risposta favorevole alla trattazione, principalmente per due ragioni. Anzitutto perché la questione dell'insegnamento religioso nelle scuole, se può parere d'indole giuridica e politica, però rimane sempre essenzialmente una questione religiosa; e poi perché ai sacerdoti derivano specialissimi doveri dal modo in cui, di fatto, sia risolta.

Discorriamone adunque serenamente e praticamente. Tanto piú che poi sembrami utile il parlarne; perché quando il nostro Bollettino uscirà alla luce saremo assai prossimi all'apertura delle scuole, per cui la questione della istruzione religiosa ritornerà di piena attualità.

I.

Qual è adunque lo stato giuridico della questione ai nostri giorni? La legge organica, tuttora in vigore, nel campo della scuola, è la Legge Casati del 13 novembre 1859, la quale dispone quanto segue:

Art. 315. - L'istruzione elementare è di due gradi, inferiore e superiore. L'istruzione del grado inferiore comprende: l'insegnamento religioso, la lettura, ecc. L'istruzione superiore comprende, oltre allo svolgimento delle materie del grado inferiore le regole della composizione, ecc.

Art. 325. - Alla fine d'ogni semestre vi sarà in ogni scuola comunale un esame pubblico, nel quale gli allievi saranno interrogati, ecc. Il Parroco esaminerà gli allievi di queste scuole sopra l'istruzione religiosa. Questo esame sarà dato nel tempo e nei luoghi che verranno stabiliti, di comune accordo, tra il Municipio e il Parroco.

Art. 374. - Gli allievi delle scuole pubbliche elementari, i cui parenti avranno dichiarato di prendere essi stessi cura della loro istruzione religiosa, saranno dispensati dal seguire le lezioni di religione, e dall'assistere agli esercizi che vi si attengono.

E il Regolamento 15 settembre 186o cosí spiegava e dilucidava:

Art. 36. -- All'esame di religione, cioè di catechismo e di storia sacra, interverrà oltre al Sopraintendente Municipale, il Parroco del luogo in cui la scuola ha sede, od il sacerdote che sarà da lui delegato.

Art. 37. -Nelle scuole, inferiori il voto dell'esame di religione sarà computato per la promozione... nelle scuole superiori sarà tenuto da parte...

La Legge adunque assicurava da una parte l'istruzione religiosa a tutti i fanciulli cattolici e dall'altra guarentiva la libertà di coscienza dei non cattolici. Eppure contro di essa si sono affaticati per oltre un cinquantennio tutti nemici della religione, per cui al giorno nostro, pur essendo teoricamente in pieno vigore, non ha efficacia alcuna.

Se non altro per la storia, sarà utile aver sotto gli occhi le disposizioni che nei vari Regolamenti per l'istruzione elementare furono sancite in argomento.

Dopo quello del 186o, già ricordato, abbiamo il Regolamento Coppino del 16 febbraio 1888, che all'articolo 2 dice:

Sarà fatto impartire dai Comuni nelle ore, nei giorni e nei limiti stabiliti dal Consiglio Provinciale Scolastico, l'insegnamento religioso a quegli alunni i cui genitori lo domandino.

L'On. Boselli, chiamato nel 1888 alla P. I, conservò il Regolamento stesso.

Un nuovo Regolamento emanò l'On. Baccelli, in data 9 ottobre 1895, che all'art. 3 prescrive: I Comuni provvederanno all'istruzione religiosa di quegli alunni, i cui genitori la chiedano, nei giorni e nelle ore stabiliti dal Consiglio Scolastico Provinciale per mezzo degli insegnanti delle classi, i quali sieno riputati idonei a questo ufficio, o di altre persone, la cui idoneità sia riconosciuta dallo stesso Consiglio Scolastico.

E finalmente abbiamo il Regolamento Rava 6 febbraio 19o8, che è quello oggi in vigore, il quale all'art. 3 cosí si esprime:

I Comuni provvederanno all'istruzione religiosa di quegli alunni, i cui genitori la chiedano, in giorni e nelle ore stabilite dal Consiglio Scolastico Provinciale, per mezzo degli insegnanti delle classi, i quali sieno riputati idonei a questo ufficio e lo accettino, o di altre persone, la cui idoneità sia riconosciuta dallo stesso Consiglio Scolastico. Quando però la maggioranza dei consiglieri assegnati al Comune non creda di ordinare l'insegnamento religioso, questo potrà essere dato a cura dei padri di famiglia che lo hanno chiesto, da persona che abbia la patente di maestro elementare e sia approvata dal Consiglio Scolastico. In questo caso saranno messi a disposizione, per tale insegnamento, i locali scolastici nei giorni e nelle ore che saranno stabiliti dal Consiglio Scolastico Provinciale.

E siamo arrivati al termine delle citazioni; né certo è mestieri aggiungere parola per dimostrare che si è andati innanzi... di male in peggio.

II.

Ma è meglio venire alla pratica, e vedere a quali condizioni e con quali garanzie sia ancora possibile in Italia avere nelle scuole elementari l'istruzione religiosa.

Accenno soltanto alle formalità principali, mettendone brevemente in rilievo le conseguenze pratiche.

I) I padri di famiglia, che esigono per i loro figli l'insegnamento religioso, devono farne domanda, ogni anno, per iscritto.

Da principio non sembrava, ma l'esperienza ha insegnato che questa esigenza costituisce un ostacolo fortissimo. Nei grossi centri e nei paesi di campagna, con una popolazione dispersa, è difficilissimo raccogliere tali domande, ed è questo uno dei motivi per cui, in molti luoghi, pur troppo, si trascura di farlo.

2) In qualsiasi caso l'insegnamento religioso è confinato fuori dell'orario normale.

Ed eccoci di fronte a un'altra difficoltà, che non ferisce soltanto il principio, ma nuoce in realtà moltissimo, rendendo spesso impossibile, o quasi, ogni insegnamento della religione. Ed invero, nei paesi dove ci sono grandi distanze, nei mesi d'inverno non si posson avere gli alunni né un'ora prima, né per un'ora dopo le lezioni ordinarie, se non con grave disagio, il che rende inutile e penoso l'insegnamento.

3) I maestri della classe hanno diritto di preferenza nell'impartire l'insgnamento religioso, e devono venire compensati a parte dai Comuni.

E con ciò si va incontro a due difficoltà. Una finanziaria da parte dei Comuni, i quali, coi bilanci stremati e con bisogni sempre nuovi, non trovano margine per una nuova spesa, sia pur calcolata in media in L. 5o per ogni classe. L'altra difficoltà è d'indole morale, e deriva dal fatto che può darsi il caso che maestri, i quali sarebbero per i loro sentimenti meno indicati a tale insegnamento, pure, anche in vista del compenso aggiuntivo, ne possano assumere l'incarico.

E mi fermo, ma potrei continuare a lungo in questo elenco... Qual mutamento adunque si è verificato dal 1859 al 1916! E dire che ciò è avvenuto senza che le disposizioni di Legge sieno cambiate, e pur rimanendo in favore della religione la immensa maggioranza della Nazione!

E perché? perché, scrive il grande campione della scuola libera e cristiana, il Comm. Rezzara, perché gli avversari del catechismo nelle pubbliche scuole sperano che il popolo italiano si adatti a farne senza, che i suoi difensori si stanchino e abbandonino il campo della lotta; che il Clero, per non aver noie, si ritiri in chiesa e in sacristia, in attesa di tempi migliori.

Ora tutto questo non avverrà solo a una condizione, che noi sacerdoti sappiamo supplire, in altre forme, qualunque sacrificio sia per costare, all'istruzione religiosa che non si ha piú, o si ha in modo insufficiente, nelle scuole. Ma se non correremo ai ripari con risoluta volontà di riuscire, se il codice della vita non informerà più i cuori della nuova generazione, i nemici dei catechismo nelle scuole fra non molto avranno vinto del tutto; ma allora non saranno solo le scuole, senza religione, saranno senza religione le famiglie! Pensiamoci seriamente e per tempo. E intanto nulla trascuriamo per avere nelle scuole quello che si può avere. Benché le formalità da compiersi sieno noiose, benché i risultati possano essere esigui, non ci stanchiamo. Nella grande battaglia che si combatte da quasi cinquant'anni non dobbiamo rinunciare ad alcuno dei nostri diritti. Ogni trincea deve essere abbandonata solo dopo di aver combattuto sino all'ultimo. Per noia o per stanchezza non dobbiamo cedere un sol palmo di terreno. E mentre chi ha la responsabilità dell'azione cattolica in Italia sta preparando le armi per passare dalla difensiva a una offensiva gagliarda e risoluta, onde guadagnare il terreno perduto, noi sacerdoti preghiamo e lavoriamo. Lavoriamo dedicando le forze migliori nell'istruire la gioventú: solo cosí prepareremo i soldati per la vittoria di domani.

Asolo (Treviso).

Mons. ANGELO BRUGNOLI.

Un Quesito.

Richiamiamo l'attenzione dei revv. Cooperatori Sacerdoti sul quesito « Come si può avere personale idoneo, cui affidare le opere giovanili », che si viene svolgendo da vari mesi nel « Bollettino Salesiano ».

É uno studio di grande importanza e utilità pratica, del quale non si può disinteressare nessuno dei nostri lettori.

Progetto di un Corso di Religione per le Scuole medie inferiori

In tanta fioritura di Commenti ai Testi Catechistici, di Guide catechistiche, di volumetti per Scuole di Religione, mentre abbondano quelli per le scuole elementari e per le liceali, difettano quasi interamente quelli intermedi, cioè per le scuole ginnasiali e tecniche. Per questi i primi sono troppo elementari, i secondi troppo elevati.

Ho accolto quindi con molto slancio la proposta della S.A.I.D. Buona Stampa di Torino, di comporre per gli alunni delle scuole ginnasiali e tecniche, anzi, in genere, delle scuole medie inferiori, corsi di religione adatti per loro, corsi che li seguano di classe in classe, sicché la loro cultura religiosa vada di pari passo con la crescente cultura profana.

Necessità d'un metodo.

È inutile dire che questi corsi devono seguire un metodo, per la stessa ragione per cui il metodo è necessario nell'insegnamento delle altre materie. E se per uniformità di metodo si è trovato opportuno perfino che gl'insegnanti del ginnasio inferoire seguano i loro alunni dalla prima alla terza classe, e che gl'insegnanti del ginnasio superiore alternino le classi, non si dirà indifferente, anche in materia d'istruzione religiosa, l'uniformità del metodo per tutto il corso ginnasiale e per tutto il corso tecnico. Perciò, sebbene i trattati di religione già pubblicati abbiano destinato il volume della V e VI elementare anche alla I e alla II del ginnasio e delle tecniche, abbiamo creduto doverci fare dalla prima classe, appunto per la uniformità del metodo, di cui è evidente la necessità. E poi, perche dovremmo costringere il ragazzo che entrasse nel ginnasio o nelle tecniche dopo la V e anche la VI elementare, a ripetere, quanto a religione, il volumetto delle ultime elementari? Senza dire che l'aver varcato la soglia del ginnasio o delle tecniche è una tappa decisiva nella vita dell'alunno, che non bisogna umiliare (egli la stimerebbe un'umiliazione) con libri che servirono a un periodo da lui sorpassato.

Parziale adozione del metodo ciclico.

Per le Scuole di Religione elementari si riconosce utile e quasi indispensabile il metodo ciclico, quello cioè che in ciascuna classe tratta tutta la materia religiosa, con la sola differenza dello sviluppo, che cresce di classe in classe. Cosí si ha il vantaggio che il bambino, appena raggiunto l'uso della ragione, impara, rudimentalmente, quanto gli è necessario per la sua vita di piccolo cristiano, riguardo alla Fede, alla Legge, ai mezzi della Grazia; cosa non raggiungibile nella divisione delle classi secondo le materie o i trattati. Con ciò si ottiene anche un altro vantaggio: che, qualunque sia la classe in cui incomincia l'istruzione religiosa del ragazzo, questi può mettersi subito con gli altri, senza bisogno di studiare il programma delle classi precedenti.

Siccome accade frequentemente che il fanciullo entri nei primi corsi del ginnasio o delle tecniche, digiuno, o quasi, d'istruzione religiosa, questo metodo ciclico abbiamo deciso di seguire per la I e II ginnasiale o tecnica; cominciando dalla terza ginnasiale in su (parliamo quasi esclusivamente del ginnasio, riservandoci di dare un'altra volta piú minuta esposizione della coordinazione dei tre volumetti delle tecniche) adotteremo la divisione per materia o trattati, ma redigendo anche questi volumi in modo che, insieme, formino il terzo grado ciclico, relativamente ai precedenti. Seguire il sistema ciclico per le cinque classi, di seguito, sicché la quinta classe formi il quinto grado ciclico non ci pare né necessario, né opportuno. Non necessario, perché un ragazzo di terza ginnasiale, che avrà pure ricevuto i sacramenti della Cresima e della Comunione, difficilmente ignorerà gli elementi dell'intera dottrina cristiana; non opportuno, perché, cosí, gli ultimi volumi crescerrebbero a dismisura per la pazienza del ragazzo e per le esigenze della scuola. Siamo rimasti alquanto incerti sul terzo volumetto, corrispodente alla III ginnasiale, se farlo cioè costituire il terzo grado ciclico, lasciando al quarto e al quinto volumetto complessivamente di formare il quarto grado. Ma ci siamo accorti che le tre parti del Catechismo (Fede, Legge, Grazia) male si sarebbero divise in due volumi. D'altra parte anche negli studi classici ci pare che si segua questo sistema. Fatta imparare nelle due prime classi la morfologia, si procede dalla terza, a quello che importa analisi e raziocinio.

Il contenuto del nostro Testo scolastico.

Quanto al contenuto, nei due primi volumetti naturalmente ci contenteremo di un'esposizione assai piana della Dottrina, con insistenza leggermente maggiore nel secondo che nel primo. Ad ogni lezione, quasi come riassunto dell'esposizione dottrinale, riprodurremo il Testo catechistico dei Primi Elementi. Negli altri tre volumetti, ampliando un po' la spiegazione, toccheremo anche puliti, studiatamente, perché ancora troppo ardui, tralasciati prima. Non rifuggiremo qui da qualche spunto apologetico o polemico, perché l'ombra del dubbio potrebbe affacciarsi alla mente di giovinetti che cominciano a ragionare o sentono ragionare. Qualche spunto, diciamo, perché, come una dimostrazione troppo metafisica, cosí un'apologetica propriamente detta ci parrebbe, in ginnasio, prematura. Anche qui riprodurremo il Testo catechistico, quello dell'intera Dottrina Cristiana.

La parte illustrativa.

La parte illustrativa nei primi due volumetti sarà fatta per lo piú di narrazioni tolte alla Storia Sacra, all'agiografia, ad esempi edificanti. Negli altri tre, ogni lezione conterrà invariabilmente quattro rubriche, che chiameremo voci: la voce di Dio, la voce dei nostri, la voce degli altri, la voce del genio, a cui seguiranno gli echi. Che il gusto e l'attrattiva che esercitano sui lettori i libri ispirati, siano il criterio che li fa distinguere dai non ispirati, è opinione erronea dei protestanti; ma che tali libri eccitino, in chi li legge con anima semplice e cuor puro, una soave mistica emozione è indubitabile. A commuovere dunque ineffabilmente un buon giovinetto gioverà senza dubbio la voce di Dio, ossia la S. Scrittura. Nè poco persuasivi devono riuscire i mirabili squarci di eloquenza che ci sono forniti dai Santi Padri, dagli oratori sacri e da eminenti detti cattolici. tutte voci dei nostri. Le verità della cristiana dottrina devono pur risplendere di maggior luce, quando si dimostri che, in momenti di lucido intervallo, esse hanno strappato preziose confessioni ai piú noti avversari: la voce degli altri spiegherà un'incomparabile efficacia, perché una causa è vinta quando vi dà ragione lo stesso avversario. Il bello è chiamato lo splendore del vero. Assolutamente vera, la dottrina cattolica dev'essere anche assolutamente bella, e saggi di questa bellezza ha dato e nelle arti del disegno e nella poesia. E questa, la poesia specialmente, quella che noi chiamiamo, la voce del genio. Tale specie di svariata antologia religiosa, riccamente illustrata, riuscirà in qualche modo apologetica, perché nella mente d'un giovinetto non possono essere senza efficacia tante voci e così diverse; e riuscirà anche piacevole, perche, poco dissimile nella forma dalle altre antologie scolastiche, passerà come aggiunta naturale allo studio della classe. L'alunno, leggendola e sentendosela commentare dall'insegnante, crederà di non essere uscito dalla solita scuola, e di fatto gli sarà d'innegabile vantaggio anche letterario. Udite queste voci, il lettore vi farà eco con un epifonema, con un pensiero suo, con un buon proposito, e sarà questa la parte pratica, la morale di tutta la lezione.

Si domanda consiglio e aiuto.

Per il concerto di tutte queste voci abbiamo pensato di dare ai cinque volumetti il comune significativo titolo di Armonie, e fortunato il nostro lavoro, se proprio questa musica non sarà disturbata da nessuna stonatura. Appunto per questo noi, prima di comporre questo lavoro, prima anzi di fissarne definitivamente il disegno, lo sottoponiamo al giudizio di quanti hanno in questa materia competenza di studio e autorità di magistero. E saremo assai grati a quanti vorranno farci pervenire suggerimenti di cambiamenti, di eliminazioni, d'aggiunte, e promettiamo di tenerne il debito conto nella redazione e compilazione dell'opera. Tutto a gloria di Dio e a bene delle anime della gioventú.

Prego quindi di prendere in esame questo progetto e d'inviare ogni suggerimento al sottoscritto, o alla Direzione della S.A.I.D. Buona Stampa di Torino.

Agosto 1916.

Sac. GIOVANNI RAVAGLIA, Canonico Parroco della Cattedrale di Cesena (Forlì).

Formiamo buoni maestri.

Per soddisfare al sentito bisogno di dare o mantenere alle scuole elementari un indirizzo sanamente e modernamente cristiano, fu aperta la Scuola Normale Maschile Pareggiata « Valsalice » in Torino nell'istituto in cui riposano le venerate spoglie mortali di D. Bosco e di D. Rua. In questa scuola, equiparata per tutti gli effetti legali alle Scuole Normali dello Stato, con personale dirigente ed insegnante composto esclusivamente di Salesiani di D. Bosco (con Convitto interno, situato nella collina, in località tranquillissima e saluberrima), condotto secondo le loro norme educative, un giovane può, in tre anni, formarsi una soda cultura, completare la sua formazione morale cristiana e conseguire il diploma di maestro elementare, senza bisogno di altro tirocinio.

Alla fine del corso i giovani (che ricevono fuori orario una soda istruzione religiosa), vengono presentati ad una Commissione nominata dal Cardinale Arcivescovo di Torino, e vi subiscono un esame che li abilita ed autorizza ad insegnare il Catechismo e la Storia Sacra nelle Scuole elementari. In questo modo si hanno maestri formati a principii schiettamente cattolici e capaci di impartire l'istruzione religiosa non solo con competenza, ma anche con quello spirito di fede e di convinzione che deve essere l'anima di ogni insegnamento catechistico. Ai primi otto maestri usciti dalla Scuola Maschile Pareggiata « Valsalice », muniti del diploma che li abilitava all'insegnamento del Catechismo nelle Scuole Elementari, il Santo Padre Pio X, di felice memoria, si degnava inviare una medaglia d'argento, come segno della sua augusta benevolenza ed approvazione, essendo quelli i primi maestri maschi laici che nell'Archidiocesi di Torino conseguirono tale diploma.

Ornai la questione dell'insegnamento elementare, dopo tanti dibattiti e discussioni, si è ridotta in sostanza a questa semplice formula: preparare maestri veramente e sodamente cristiani per allevare una generazione quale la Religione e la Patria desiderano.

Ad ottenere tale scopo è però desiderabile che gli Allievi Maestri, per la famiglia da cui provengono e per la loro indole e precedente condotta, diano affidamento di buona riuscita, secondo gli intendimenti di questa scuola.

È per questo che si fa appello a tutti coloro che hanno a cuore l'educazione cristiana della gioventù, affinché vogliano interessarsi a tale opera cosí praticamente utile alla Religione ed alla Patria, coll'indirizzare a questa scuola quei giovani che conoscessero dotati delle qualità morali ed intellettuali richieste.

Per raggiungere piú facilmente lo stesso scopo, le accettazioni si fanno solamente per gli alunni che cominciano il corso normale in questa scuola. Per essere poi iscritti alla prima classe si richiede (come in tutte le Scuole Regie e Pareggiate) la presentazione del diploma di licenza tecnica.

Chi invece presenta l'attestato di promozione o d'ammissione alla quarta classe ginnasiale, per essere iscritto alla prima classe deve superare un esame d'integrazione che si può sostenere presso la medesima

Scuola pareggiata « Valsalice », in Via Valsalice, 39, Torino.

SALVIAMO I FANCIULLI!

MEMORIE DI UN ORATORIO FESTIVO

Piccole prove.

Anche le opere buone vogliono nascere piccoline, e alzarsi e allargarsi come l'albero che non cresce a vista d'occhio, e ogni inverno arresta la sua vegetazione, e pazientemente aspetta che la nuova primavera torni a ridestarlo di nuove frondi, e a ridonargli la vita. Anche il nostro Oratorio germogliò da piccolo seme.

Feci la conoscenza di otto o dieci fanciulli che subito mi si affezionarono, e sarebbero stati magari tutto il giorno con me. Quante volte sfuggivano all'occhio delle mamme per venire a trovarmi e trattenersi coi compagni. E quelle mamme non sapevano infliggere più duro castigo di questo:

- Oggi non andrai dal Canonico.

Stando cosí le cose e appressandosi il mese di maggio, decisi di andare ogni sera a celebrare la pia funzione del mese mariano a S. Biagio, piccola chiesuola, che si erge sulle colline tra Fano e Pesaro.

Non vi sto a dire se questa passeggiata fosse lui boccone ghiotto per i miei fanciulli. Ogni sera, appena scappato di casa, ne vedeva sbucare da ogni parte. Ad ogni sbocco di via la turba ingrossava, si componevano filate e piccole schiere, chi avanti, chi dietro, chi ai fianchi, con poca simmetria, con poco ordine, fra un vocio e uno strepito che ci tirava addosso gli occhi della gente. Lo strepito e le grida erano come il rintocco di una campana che chiamasse alla funzione. Uomini e donne, vecchi e fanciulli, e bambine, a gruppi uscivano dalle case, sbucavano dai viottoletti dei campi e si avviavano alla chiesa. E mi pareva che tutta quella gente ci guardasse con simpatia.

Finita appena la funzione, si prendeva in gran fretta la via di Fano, e i ragazzi che ancora avevano fiato in gola, scendendo le rapide pendici del colle, prendevan diletto a cantare e ricantare le litanie, e le divote canzonette in onor di Maria. Il piano e il monte echeggiava di quelle dolci armonie. Giungendo presso la città il piú delle volte era già notte fitta. Molte persone a quell'ora uscivano a godere il fresco della serata. I ragazzi marciavano a file serrate e neppure presso ai sobborghi smettevano di cantare le litanie. La gente osservava, ammirava, s'incantava ad udire. Nel silenzio della sera la brezza notturna portava lontan lontano quelle note dolci, tenere, armoniose. Ed ho saputo che l'ondata di quei canti (cosa strana a prima vista) saliva fin dentro la città, alle case situate piú in alto, e si udiva con diletto da molti.

Oltrepassata la Barriera, la turba si sparpagliava, chi di qua e chi di là, e ognuno si recava a casa. In quel sobborgo eravamo divenuti notissimi, ci portavano qualche simpatia e la sera all'udire i nostri clamori, si diceva da molti:

- Ecco i fanciulli di S. Biagio!

Passavano gli anni e le cose camminavano sempre d'un passo. Sempre quella piccola turba di 14 o 15 fanciulli, o poco piú; senza un palmo di terra nostra, in cui poterci raccogliere e stare al sicuro dalle seccature della gente. Eppure si andava avanti allegri e contenti. Non avendo casa del nostro, occupavamo le pubbliche strade, i pubblici passeggi, i campi, i prati, il lido del mare.

Anzi, d'estate, facevano anche passeggiate sul mare... Noleggiata una barchetta, tutta la piccola carovana vi pigliava posto, e via al largo.

Si chiacchierava e dopo le chiacchiere qualche volta si batteva sul sodo con qualche esortazioncella, avvertimento o consiglio, acconcio al bisogno di quei giovinetti, o si raccontavano esempi, o storie piacevoli e edificanti.

Vi sono momenti, momenti preziosi, nei quali il cuore dei fanciulli è cosí ben disopsto e preparato, che un motto, una parola sola lo incatena, lo trascina, lo conduce a risoluzioni le piú generose. Forse qualcuno di quei fanciulli a casa era la disperazione dei genitori. In quelle belle serate, là in mezzo al mare, fra il mormorio delle onde rompenti lungo i fianchi del navicello, fra i fulgori, le porpore e gli ori dei tramonti di estate, quei fanciulli medesimi, erano angeli.

Educatori cristiani, oh che fortuna saper scegliere questi preziosi istanti per gettare il buon seme!

Una bella retata.

Un giorno, non so se fosse pensiero cascatomi in mente per caso, o santa ispirazione del cielo, volli cacciarmi in uno dei bassi quartieri della nostra città, dove la popolazione è fitta e i ragazzi si incontrano a sciami.

D'ogni parte ce n'erano gruppi che giocavano.

- Ragazzi - dissi al primo gruppo in cui m'imbattei - oggi voglio portarvi io a giocare. Siete contenti di venire con me?

- Sí, sí - risposero molte voci - e dove ci porta?

- Lo vedrete. Se voi altri volete venire, vedrete che si starà allegri.

Manco a dirlo che a questo invito s'era già formata attorno a me una bella squadra. Non c'era bisogno chiamarne di piú. L'esempio ne avrebbe senza dubbio tirato molti altri.

- Dunque andiamo - e a stento poteva mutare i passi, giacche i fanciulli avanti, indietro, ai lati, mi facevano ressa per ogni parte.

Prendemmo così la strada per uscire di città e ad ogni poco la turba ingrossava. Con un cenno del capo io diceva ai gruppi a cui ci imbattevamo che ognuno poteva far parte della brigata e quelli si univano, cosicché ben presto la squadra divenne compagnia, e la compagnia battaglione.

Apro qui una parentesi col proposito di richiu derla subito. Noi siamo ancora padroni del cuore dei fanciulli. A un nostro cenno corrono. Non ostante il crescente guasto delle popolazioni, il fanciullo si trova bene col prete. Tutte queste folle di monelli, o figli di genitori cristiani, o figli di socialisti e anarchici, chiamati da noi rispodono subito, e ci vengono dietro, e noi possiamo supplire al difetto di cristiana educazione delle famiglie, e informare quei teneri cuori a virtú. Ancora siamo in tempo. Ma il mondo rapidamente si corrompe, si infradicia. Che cosa' sarà di qui a pochi anni? La parentesi è chiusa.

Dunque, condussi quel battaglione di ragazzi in un pubblico prato, e sotto gli occhi della gente che guardava, osservava, forse criticava o lodava secondo gli umori. In casu extremae necessitatis omnia fiant communia, dicono i teologi. Non sarà dunque lecito, in mancanza di meglio, tenere un Oratorio festivo in un pubblico prato, in una pubblica via, in una publica piazza?

Si improvvisarono subito giochi. I fanciulli piú valorosi, o fortunati, ebbero la ricompensa di piccoli premi che riuscirono tanto piú graditi, quanto piú inattesi, e allorche sopraggiunse la sera a distoglierci, il motto di commiato fu questo: - Arrivederci domenica, qui, in questo medesimo posto.

La domenica giunse e la turba era ingrossata, raddoppiata. Ormai eravamo vecchi amici! Perciò il rivederci fu molto amichevole e cordiale. L'allegria sincera non mancò. I giuochi, anzi, furono organizzati meglio, i premi piú scelti, la soddisfazione di tutti maggiore.

Ma intanto quel battaglione di fanciulli, in un luogo pubblico, era troppo di ingombro. Tanto peggio poi, che essendosi nel vicinato sparsa la fama di noi e delle nostre imprese, molti occhi curiosi ci spiavano.

Un cambiamento dunque si imponeva, per usare la frase del giorno; e, prima di licenziare tutta quella turba, parlai cosí:

-- Sentite, ragazzi, la prossima domenica, invece di fermarci qui nel solito prato, faremo qualcosa di meglio. Sapete cosa faremo?

- Che cosa?

- Faremo una bella passeggiata fino alla Madonna del Ponte Metauro.

Applausi scroscianti mi dissero che la proposta aveva incontrato il comun favore.

Giunse anche quella domenica; i fanciulli convennero anche in piú gran numero; fu necessario, per evitare la confusione, distinguere le compagnie, e creare sergenti e ufficiali.

E il gran battaglione si mosse in ordine e simmetria perfetta. Giunti al Santuario, si fece una visita alla Vergine, tanto venerata dalla nostra città, poi si giocò, si fece baccano, e finalmente si chiuse la festa con una buona merenda.

Le altre feste sossopra si passavano allo stesso modo. Si adocchiava una chiesa, un santuario, o qualche altro bel luogo possibilmente appartato, si cambiava spesso itinerario, e poi, qualunque fosse il luogo scelto, si faceva campo come in casa nostra, si giocava, si schiamazzava, si faceva allegria, finche il calar della sera non ci richiamasse alle nostre case.

La famiglia ingrossava a vista d'occhio; eravamo senza casa e senza tetto, eppure ci sembrava di avere una casa grande, grandissima, avendo a nostra disposizione il mondo quanto è lungo e largo.

Finalmente !

Questa vita girovaga non era senza diletto e poesia. Con tutto il poco agio che ci dettero i pubblici campi, i pubblici giardini e le pubbliche vie, si trovava modo di tenere qualche esortazione ai fanciulli, cercando di formare il loro cuore alle cristiane virtú. La sera andavamo a far qualche preghiera nelle pubbliche chiese. In mancanza di meglio, dopo tutto, si poteva essere contenti.

Ma l'idea di un luogo proprio, di una casa nostra, di una cappella che potesse chiamarsi la cappelletta dell'Oratorio, era un'idea seducente, e ogni volta che mi si affacciava alla mente l'avrei inchiodata, perché non mi fuggisse e addiventasse un fatto compiuto.

Le difficoltà eran trentatré, e la prima che non c'eran denari. Ma lasciamo braccio libero alla Provvidenza e, se Lei vuole, si farà tutto. Infatti questa Provvidenza non si fece aspettar troppo.

Il Rettore del Seminario, Mons. Giovanni Bagiarelli, in seguito Arcidiacono della Cattedrale, vedendo le difficoltà di quella nostra vita randagia, volle metterci a disposizione un orto attiguo al Seminario, al quale noi potevamo comodamente accedere per un ingresso posteriore, che impediva qualsiasi comunicazione coi locali del Seminario.

L'orto era chiuso da mura e ombrato da vecchi gelsi; luogo bello, vasto, aperto. Io volli costruirvi in fondo un'edicola, ove fu collocata una statua raffigurante la Vergine Immacolata, e da quel giorno il nostro piccolo oratorio si chiamò « Istituto dell'Immacolata ». Ci pareva di aver tirato un diciotto con tre dadi, direbbe qualcuno dei nostri vecchi. Abbiamo finalmente casa del nostro. Sarà, se volete, una casa senza tetto, ma è luogo e casa nostra e possiamo esser lieti.

Allora si cominciò a dare all'Oratorio una forma piú regolare. Si fece l'orario per l'insegnamento della dottrina cristiana, si iscrissero in appositi registri tutti i fanciulli, si fecero le nomine dei Maestri Catechisti, scelti la maggior parte dai fanciulli stessi, si provvidero giochi, si inalberò un'altalena; in una parola si cessò di essere un branco di vagabondi per diventare un corpo morale.

L'orto del Seminario ci diede albergo per quasi 8 anni. Per circa 8 anni, d'ogni stagione, nel grand'estate come nel fondo del verno, in quell'orto abbiamo insegnato il catechismo, tenute pie esortazioni e confessato, e a quell'orto si collegano le piú care e originali memorie del nostro istituto.

Contenti del poco bene che si faceva, né credevamo che la piccola opera nostra fosse per mutare l'aspetto della città, e' neppure disperavamo affatto dei buoni frutti; ma stando nel giusto mezzo e lontano dagli estremi, attendevamo che la Provvidenza, se avesse voluto di piú e di meglio, ci avesse dato i mezzi e spianate le vie.

Quante volte la sera dopo le consuete preci e canti ci si accostava qualche fanciullo, e spontaneamente ci diceva:

- Io non mi sono mai confessato. Mi vuol confessare questa sera?

- Si, ma devi prepararti bene. Non sarebbe meglio che ti confessassi dimani?

- Ma io , sono apparecchiato, sa? Io so bene quello che ho fatto, e quello che ho da dare; perché non vuol confessarmi questa sera?

E bisognava cedere a quelle preghiere, e spesso succedeva che dopo un fanciullo, ne seguitava una filata, e bisognava accontentar tutti, e tutti tornavano da quelle confessioni sereni, allegri e contenti, e spesso facevan vanto coi compagni di essersi confessati, e di sentirsi la gioia in cuore...

Anche il teatro.

Ormai avevamo casa propria, se cosí potevasi chiamare quell'orto dove eravamo albergati a titolo di carità del prossimo, e avendo la casa propria, come non pensare ad un teatrino per rendere allegre e festose le lunghe serate del verno?

Un teatro! presto detto, ma come, ma dove impiantarlo? Pensa, ripensa, si trovò modo di districare l'arruffato problema.

In Seminario c'era una cantina nella quale a tempo della vendemmia si pigiavano le uve, e negli altri tempi restava abbandonata, e dai molti tini che vi tengono posto, si distingueva, e anche oggi credo si distingua col nome di tinaia. Nel nostro dialetto tinacciara. Non si potrebbe con un po d'ingegno convertire la tinaia in teatro? - E perché no? - E subito mi misi all'opera. Esigliati i tini e le poche botti vuote che l'ingombravano, passai una bella mano di biacca sulle ammuffite pareti, camuffai alla meglio i sedili delle botti con drappi e tappeti dando loro tutta l'aria di panche, sederini e scanni; sul terreno umidiccio e fradicio furono distesi tavolati e stuoie, e, con lavoro implacabile, cancellata ogni traccia dell'antica destinazione, si vide con sorpresa la tinaia convertita in un teatro coi fiocchi.

Restavano però ancora molte cose d'importanza. Primieramente il palcoscenico. Per sistemare il palcoscenico si trovarono alcuni vecchi scenari laceri e traforati in cento parti; con buona dose di pazienza, furono rattoppati e un pennello mosso da mano maestra copri la deformità di quelle pezze sovrapposte. Corbezzoli! divennero scenari da far invidia alla Scala di Milano!

Poi l'illuminazione. Quanto a questa il lavoro fu spiccio. Otto o dieci lampade a petrolio convertirono ben presto quel basso fondo in un salone sfavillante.

Finalmente gli attori. Ah! quanto agli attori non c'è pericolo di carestia. Figuratevi! appena si è sparsa la notizia che si apre il teatro, tutti i fanciulli concorrono per aver parte in commedia, e ci vuole del bello e del buono per riuscire a far degli scarti, perché tutti, a sentir loro, sono recitanti di cartello, e vogliono dar prova del proprio valore.

Dunque, per dir molte cose in poco, si sparsero inviti, si rappresentarono commedie e farse, il pubblico ci onorò, ci applaudi, ci batté le mani, e si passo il carnevale in allegria, e anzi ci avrebbe piaciuto che tanta baldoria non fosse mai finita. Invece (oh! instabilità delle cose umane!) sopraggiunse la quaresima, poi il teatro si vide convertito un'altra volta in cantina, dove tini e tinozzi riconquistarono l'antico posto, e sedettero in modesta fila una mezza dozzina di botti.

Di bene in meglio.

Dai pubblici prati ci eravamo ridotti in un bell'orto con relative comodità, che non avremmo mai osato sperare. Ma l'uomo è incontentabile e l'appetito viene mangiando.

Però, a voler esser giusti, quell'orto con tutte le sue bellezze, le sue comodità, le sue ombre e le sue frescure, lasciava qualcosa a desiderare. Vorrei che vi foste trovati là, in un giorno di pioggia o di un'improvvisa tempesta. Succedeva un fuggi fuggi generale. Ognuno si raccomandava alle sue gambe. E se volessi poi contare tutte le storie per intero, dovrei dirvi che quell'orto, con le rose, ci regalava anche qualche spina. C'era l'economo del Seminario (una buona pasta, veh!) il quale sovente veniva a trovarci, e le sue visite erano condite di sospiri.

-- Eh, qua -- diceva - ragazzi benedetti avete scalcinato il muro, qui c'è un mattone smosso, qua un guaio, qua un altro. Eh! ai ragazzi voglio bene anch'io, ma... ma... ma... - e pareva volesse dire: - Ma, mi stessero lontano dai piedi cento miglia, sarei contento.

Dunque le nostre dolcezze in quell'orto erano condite di amaretti. Poteva dunque scusarsi il desiderio di qualcosa di meglio, di un po' di coperte, insomma di una casetta. Una casetta e un cencio di terra non è poi l'impero di tutte le Russie, e perché non sarà lecito desiderarla, e magari anche possederla?

Confortato da queste ragioni mi metto in moto, e riesco a trovare, altro che casetta! un bel villino e buon tratto di terreno a prato e a vigila. Il prezzo: L. 10.ooo. Qui comincia a cascar l'asino, tua non mi diedi per vinto: e senza che vi faccia una lunga storia di progetti, trattative, preghiere, contratti, ecc., vi dirò che la villa e il terreno furono comprati, e vi dirò ancora, per dar lode a chi la merita, che non si sarebbero mai comprati senza il generoso concorso di due illustri miei amici, il Rev.mo Mons. Arcid. D. Giovanni Biagiarelli e il signor conte Corrado Saladini-Ferri. Dunque villa e terra furono comprati.

Si venne poi ai riattamenti. Per prima cosa fu eretta una graziosa cappella e dedicata alla B. Vergine di Lourdes. Un generoso benefattore ci fece dono di una grande e bella statua dell'Immacolata in ghisa dorata, e questa si collocò su modesta colonna nel più bel mezzo del prato di ricreazione. Guarda dimesso, e, aprendo le braccia, sembra chiamare a sé i fanciulli.

Finita la cappella, inaugurato il locale senza alcuna battuta di gran cassa, appressandosi il mese di maggio, si decise di celebrare quella pia funzione in onore della Vergine nella nuova cap pella. Non vi dico se la sera vi fosse concorso di fanciulli.

Addio S. Biagio! Da quel giorno il colle di San Biagio non vide piú le nostre allegre comitive, né piú echeggiò di voci e grida festose. Sic transit gloria mundi!

In questo bel locale l'Oratorio prese grande sviluppo. I fanciulli passarono ben presto il centinaio. Qualche volta avevamo anche visite dei loro genitori. Non di rado erano socialisti o repubblicani, poco meno che anarchici, eppure si compiacevano dell'opera nostra ed esortavano i loro figliuoli a frequentarla.

Crescendo sempre il numero dei fanciulli ed essendo necessario occuparli con utilità e diletto si pensò di impiantare un concerto. Già da parecchio tempo un fanciullo aveva portato all'Oratorio una vecchia cornetta ammaccata e fessa in cento parti, la quale tuttavia era il diletto degli appassionati di musica, che se la rubavano dalle mani, e se ne servivano a rompere i timpani della buona gente. Era chiamata da tutti la trombaccia, e nei giorni di entusiasmo musicale, faceva rimbombare da un capo all'altro la casa, riceveva dai fanciulli carezze d'ogni sorta, noti esclusi i calci. Eppure da tutti si teneva per certo che la trombaccia sarebbe stata il germe fruttifero di un gran concerto, e cosí fu.

In poco tempo si acquistarono molti strumenti musicali. Non mancarono generosi offerenti a pagarci le grosse fatture che ogni giorno ci piovevano addosso ; si trovarono ottimi maestri di musica, e il concerto di 40 strumenti d'ottone e di legno divenne un fatto compiuto.

Quest'impresa, che v'abbiamo descritto con sí poche parole, costò molti sudori e parecchie migliaia di franchi. Allora la trombaccia fu giubilata e si nascose verognosa tra i ferravecchi di casa. I ragazzi furono vestiti di una divisa alla, marinara, generoso regalo di S. Ecc. Mons. Franceschini Vincenzo, nostro Vescovo, e niente altro mancava che uscire in pubblico e farci batter le mani.

L'occasione presto venne. Il Municipio ci invitò a fare alcuni pubblici servizi. I ragazzi, franchi e sicuri come vecchi suonatori, non si fecero canzonare, anzi, a giudizio di appassionati, lo stesso concerto cittadino, invecchiato nelle prove musicali, era appena salito all'altezza di tanta gloria.

Tutto andava a gonfie vele. Una sola cosa ci guastava le uova nel paniere. Si era corti a soldi, e il concerto era un pozzo senza fondo, e piú se gliene dava, e più ne ingoiava. Si cercava tuttavia di sbarcare il lunario.

Dall'Oratorio all'Istituto.

Dopo le pubbliche strade, dopo l'orto del Seminario, dopo la Villetta di Ponticelli (cosí chiamavasi il luogo dove avevano fissato le tende) le circostanze, o, dirò meglio, la Divina Provvidenza ci condusse all'acquisto di un bel palazzotto a tre piani, poco lungi dalla Villa di Ponticelli. Sembrava fabbricato apposta per impiantarvi laboratori; e laboratori vi furono ben tosto impiantati.

Il primo fu quello dei calzolai, poi venne quello dei sarti, e finalmente quello dei falegnami. I fanciulli si trattenevano all'istituto tutto il giorno. A mezzodí ricevevano una minestra.

Siccome poi il palazzo non aveva che pochi metri di scoperto, l'Oratorio festivo si teneva sempre nella vicina Villetta di Ponticelli, che è appena a un tirar di schioppo.

Quivi adunque si tirò avanti qualche anno facendo la vita di borghígiani, poi si cominciò a sospirare la vita... cittadina.

- Chi ci viene a trovare quaggiú sperduti per la campagna? - si diceva.

Nelle brutte giornate d'inverno, e nei calori della canicola non si andava mai in città senza esclamare: - Che incommodo!

La Provvidenza volle esaudire il nostro non troppo modesto desiderio, e ci fece diventar padroni di un vastissimo fabbricato nel piú bel centro della città con orto e cortili.

Del qual fatto il merito deve attribuirsi al compianto e indimenticabile Mons. Franceschini, e alla generosità dell'Abate Conte Francesco Castracane degli Antelminelli.

Poi l'Istituto fu affidato ai benemeriti Fratelli delle Scuole Cristiane, i quali vi accolgono molti fanciulli, e vi hanno aperto anche un Convitto interno, vera arca di salvezza ai giovanetti esposti oggi a tanti pericoli nel mondo.

Cori la cessione dell'Istituto ai Fratelli delle Scuole Cristiane pareva che il mio còmpito fosse esaurito, ma non fu cosí. Sulle mie spalle restava ancora un debituccio intorno alle 20.000 lire, contratto specialmente per acquisto di materiale tipografico. La tipografia era stata da me gratuitamente ceduta con tutto il macchinario, ma io non aveva neppure discusso il partito di regalarci insieme quelle 20.000 lire in passivo. Fossero state in attivo!

Per dire però tutto il male e tutto il bene debbo aggiungere che con quel debito mi era anche rimasto il locale Ponticelli, che era stato da me acquistato per 10.ooo lire; ed ora, ampliato il fabbricato e migliorato il terreno, poteva valere il doppio. Faceva dunque conto, col ricavato della vendita, o con un affitto, pareggiare le partite e fare un pari e patta.

Ma poi pensai: cedere questi prati, queste ombre, questo bel luogo, cosí vicino alla città che pare fatto apposta per richiamarci i giovanetti, non è un peccato? E non si potrebbe studiare qualche progetto di salvar capra e cavoli?

La cosa fu discussa fra me e i colleghi D. Giuseppe Can. Gentili e D. Vichi Can. Emidio, e la conclusione delle discussioni fu che il villino si sarebbe venduto, ma i compratori saremmo stati noi tre, sborsando ciascuno una quota, e poi, fatto nostro il locale, si sarebbe destinato a far qualche bene ai nostri ragazzi. Cosí fu fatto.

Con un poco di sacrificio, e facendo anche qualche nuovo debituccio, furono raggranellate le 20.000 lire, fu estinto il vecchio debito e il locale Ponticelli restò libero e aperto... per chi avesse voluto tentare qualche nuova Opera a vantaggio della nostra gioventú.

Chi si accinse fu il Can. Gentili, uno dei tre col leghi. Buon volere e forza di gioventù non gli mancava. Era la persona adatta.

In breve il locale fu pieno di giovinetti, specialmente la domenica, in cui anche il mattino si tiene Oratorio e funzioni.

La casa però era piccola. Mancava una cappella capace di qualche centinaio di giovinetti Mancava un teatro indispensabile per dar vita al Ricreatorio. Il Can. Gentili non si spaventò. Intraprese la fabbrica di un salone della lunghezza di 36 metri che con ingegnosi ripieghi potesse servire provvisoriamente da cappella e anche da teatro. Costò ben poco in proporzione della sua vastità: circa L. 15.ooo, delle quali parte furono prese a debito, che oggi la Provvidenza ha già pagato.

Per conchiudere:

L'Istituto dei Fratelli delle Scuole Cristiane, oggi chiamato: Istituto S. Arcangelo, è destinato a giovanetti studenti di civile condizione.

L'Istituto di Ponticelli, che ha conservato l'antico nome di Istituto dell'Immacolata, è destinato ai figli del popolo, è aperto non solo la domenica, ma tutti i giorni dopo la fine delle pubbliche scuole, e accoglie oves et boves. I giovanetti, dopo scuola, al vedere dagli aperti cancelli il bel prato, le liete ombre, e all'udire l'eco dell'allegro frastuono, vi accorrono sovente senza saperne lo scopo , e ne divengono assidui. Ora vi sono anche scuole di musica e un bel concertino.

UNA PAROLA AI SACERDOTI.

Sacerdoti miei confratelli, i campi biondeggiano di messi, e noi che facciamo?

Facciamo molto e ovunque mi saltano agli occhi opere bellissime. Si fanno funzioni, prediche, conferenze, accademie, si pensa anche ai bisogni temporali con l'istituzione di Sindacati, di Società di Mutuo Soccorso, e di Banche di Credito, e chi piú ne ha, piú ne metta. Oh quante cose belle! E per i fanciulli che cosa si fa? Se dovessi spiattellarvi il mio sommesso avviso, direi che per i fanciulli si fa troppo poco.

Lo so che quelle grandi e belle opere vi procacceranno onore e stima dal mondo, e l'andar dietro ai monelli di strada vi tirerà addosso la compassione della gente e peggio. Lo so, ma che importa Salvate un'anima e l'onore l'avrete in cielo.

Noi siamo ancora in tempo e genitori non del tutto perduti lasciano venire a noi i loro fanciulli. Ma sarà sempre cosí? Di qui a qualche anno la minuscola minoranza che non battezza i bambini e proibisce alle donne di frequentare la chiesa potrebbe convertirsi in maggioranza e metterci in serio imbarazzo.

Dunque lavoriamo fin che siamo in tempo. Salviamo i fanciulli! Le strade sono piene di monelli laceri, cenciosi, scalzi. Corriamo a cercarli, raccogliamoli intorno a noi, parliamo a loro le dolci parole della fede, conduciamoli a Gesú. Forse credete che i fanciulli, che Gesù accarezzava, fossero figli di signori e vestiti con eleganza? Ma no, erano presso a poco zingarelli come quelli che infestano i nostri vicoli, le nostre strade, i sobborghi delle nostre città. Eppure Gesú disse: - Di questi tali è il regno dei cieli. - Si, perché anche essi hanno un cuore, sovente un bel cuore, e anche essi sono anime redente.

Non vi venga in testa di mettere il carro avanti ai buoi, e di vedervi proprio oggi circondati da una bella corona di baldi giovanetti, savi e costumati, e magari anche atti a formar subito una Società Cattolica e marciare a fronte alta dietro un vessillo.

Non vi lasciate sedurre! prima bisogna seminare nel travaglio, flentes; e un giorno, se a Dio piacerà, raccoglierete il frutto nel gaudio, cum exultatione.

E poi, se anche per tutta la vita doveste essere sempre oppressi dalle turbe di questi zingarelli cenciosi, meglio, meglio ! Iddio vi avrebbe dato la parte migliore, la parte che si pigliò Gesú per sé, la parte negletta agli occhi degli uomini, ma preziosa a quelli di Dio.

Quanti sacerdoti ha l'Italia e quanti sono Cooperatori Salesiani!... Oh! quanto bene si potrebbe fare! Dunque salviamo i fanciulli!

Queste rimembranze le ho scritte non per altro che per configgervi in cuore, il piú profondamente possibile, questa parola: - Salviamo i fanciulli!

MONS. FRANCESCO MASETTI, Prevosto della Cattedrale di Fano (Pesaro).

In tutto questo movimento sociale, politico, scientifico ed economico, se vi erano degli eccessi biasimevoli e delle deviazioni dolorose, vi era però anche molto di buono, di sano e di utile, che non si poteva ragionevolmente combattere o trascurare. Appartarsi da quel movimento, avrebbe significato appartarsi dalla società e non avere più contatti di sorta con essa. E come sarebbe stato possibile allora qualsiasi apostolato?

Non era miglior cosa, non era anzi doveroso gettarsi nel movimento, per infrenarlo negli eccessi, per impedirne le deviazioni riprovevoli, per tentare di armonizzare le nuove energie ideali e morali, cogli imprescrittibili diritti di Dio, per opporsi a che la scienza, le arti, la politica, tutto il movimento operaio, si scostassero dai veri eterni e soprannaturali, o che, peggio ancora si ergessero - quali superbi Capanei - contro Dio, come suoi avversari decisi?

Don Bosco, anima aperta ad ogni sentimento di giustizia; mente colta e pronta a comprendere e ad apprezzare il vero e sano progresso in ogni ramo dello scibile: cuore infuocato di carità pei deboli, per gli oppressi, per i derelitti, e rispondente quindi ad ogni appello in favore delle elevazioni morali ed economiche dei lavoratori: Don Bosco desideroso di fare del belle, di fare molto bene, di fare tutto il bene possibile, non poteva che seguire la via che ha seguito.

E fu uomo moderno per scienza ed antico per fede: moderno nei concetti sociali ed antico nella ispirazione cristiana della carità: fu l'uomo del suo secolo ed insieme il santo.

Ing. Cesare Nava, Deputato al Parlamento.

«ACTA APOSTOLICAE SEDIS »

Fo miei tutti i sentimenti di fede, di stima, di rispetto, di venerazione, di amore inalterabile di S. Francesco di Sales verso il Sommo Pontefice... Intendo che gli alunni dell'umile Società di S. Francesco di Sales non si discostino mai dai sentimenti di questo gran Santo, nostro patrono, verso la Sede Apostolica... Ritengo inoltre che questo si debba fare non solo dai Salesiani e dai loro Cooperatori, ma da tutti i fedeli, specialmente dal Clero.

Ven. Gio. Bosco.

Atti di PP. Benedetto XV.

Ex audientia SS.mi.

26 Giugno 1916. - Tutti e singoli gli Ordinarii d'Europa abbiano massima cura di far accostare alla S. Comunione, secondo la mente del Beatissimo Padre, tutti i fanciulli dell'uno e dell'altro sesso, nelle chiese e negli Oratorii di ciascuna loro diocesi, il 30 mese di luglio, giorno di domenica, nella forma più solenne che sia possibile - Pietro Card. Gasparri, Segretario di Stato di S. S. - (Acta A.. S., VIII, n. 7. pag. 217).

Apostolicae sub plumbo Litterae.

I) Catholicae Ecclesiae. - Nuova diocesi nel Brasile. - 3 aprile 1916.

La diocesi di Alagoas nel Brasile vien divisa in due parti. L'antica diocesi resta circoscritta alla parte orientale, ove si trova la città di Maccio ; e la parte occidentale, ove si trova la città di Penedo, è costituita in nuova diocesi col nome di questa città, suffraganea della Metropolitana di Olinda. - (Acta A. S., VIII, n. 6. pag. 169).

II) Cambria, celtica gentis origine. - Erezione della provincia ecclesiastica di Cardiff. - 7 febbraio 1916.

Nel paese di Galles (Inghilterra), esistevano due diocesi, Newport e Menevia, suffraganea dell'Arcivescovo di Birghingham.

Il S. P. Benedetto XV, tenendo conto della differenza di lingua e di costumanze di quelle popolazioni, le ha distaccate dall'antica Metropolitana e ne ha formato una nuova provincia ecclesiastica, trasferendo la sede vescovile di Newport e Cardiff, capoluogo del Paese di Galles, elevandola a Metropolitana, e dandole a suffraganea la sede vescovile di Menevia. In memoria poi delle benemerenze dei PP. Benedettini ha sancito che D'Arcivescovo di Cardiff abbia due cattedrali e due capitoli, uno secolare, l'altro regolare ; questo dei Monaci Benedettini di Belmont, presso Hereford. - (Acta A. S., VIII, n. 8, pag. 257).

Litterae apostolicae.

I) Cum Catholicae Ecclesiae, - Indulgenze ad una preghiera per l'unione dei cristiani d'Oriente alla Chiesa Romana. - 15 aprile 1916.

S. S. Papa Benedetto XV, ricordate le cure e le sollecitudini dei suoi Predecessori per por fine allo scisma dell'Oriente, concede in perpetuo l'indulgenza di 300 giorni semel in die, e l'Indulgenza Plenaria alle solite condizioni, in un giorno a scelta, a chi quotidianamente per un mese abbia recitato la preghiera per l'unione dei Cristiani d'Oriente alla Chiesa Romana: « O Signore, che avete unito le diverse nazioni nella confessione del Vostro Nonne, ecc. » - (Arda A. S., VIII, n, 5, pag. 137).

II) Cum Divinus Redemptor. - Indulgenza, ad una preghiera all'apostolo S. Pietro, Primo Papa. - 27 aprile 1916.

S. S. Papa Benedetto XV, a tener viva in mezzo al popolo cristiano la devozione verso l'apostolo S. Pietro, e per meglio conservare intatta la fede, e per promuovere la venerazione e l'amore verso la S. Chiesa, ha concesso l'Indulgenza di trecento giorni a chi recita, con cuore almeno contrito, la preghiera all'Apostolo S. Pietro, primo Papa: « O glorioso S. Pietro che in premio della vostra fede viva e generosa, ecc. » - (Acta A, S., VIII, n. 5, pag. 139)

III) Romanorum Pontificum, --Al Santuario di S. Maria di Ponzano, presso Castellamare di Stabia, è concesso il titolo di Basilica, - 15 luglio 1916,

Nell'antico Santuario di S. Maria di Pozzano, che risale al secolo XI, oltre la sacra Immagine della Vergine, hanno culto specialissimo un S. Crocifisso e un'immagine di S. Francesco di Paola. Il Santuario è ufficiato dai Minimi. -- (Acta A. S., VIII. n. 8, pag. 259).

,, Epistolae ".

I) Quinquagesimo Sacerdotii tua. - All'ill.mo e rev.mo Mons. Edmondo Prendergast. Arcivesvovo di Filadelfia, nelle sue Nozze d'Oro sacerdotali - 12 ottobre 1915.

Il S. Padre si congratula del bene compiuto dal venerando Prelato, con le nuove chiese erette, con l'ampiamento del Seminario, con l'apertura di un grande ospedale, con lo zelo spiegato nel dar vita ad un'associazione contro la bestemmia (Holy Name), e con la propagazione della Fede. - (Acta A. S., VIII, n. 5, pag, 140).

II) Hac summa. - Al rev.mo P. Giuseppe Bardoux, S. J. Direttore della Scuola Apostolica di Lanzo, nel Cinquantenario della medesima scuola, fondata ad Avignone. - 1° marzo 1916.

Fra le tristezze della guerra presente torna di conforto al S. Padre il ricordo dello zelo che spiega questa Scuola Apostolica per la conversione degli infedeli, formando buoni missionari. Il fondatore fu il P. Alberico de Foresta, Gesuita, che si può tenere come fondatore o ispiratore di simili istituzioni. - (Acta A. S., VIII, n. 5, pag. 141).

III) Vix poteras. - Al Rev. P. Ciro da Pesaro O. F. M. in ringraziamento del periodico : « Picenum Seraphicum ». - 7 marzo 1916.

Il S. Padre si congratula di questa pubblicazione, che se torna di splendore alla Famiglia Francescana, reca altresí preziosi contributi alla storia di molte città del Piceno, felicemente pervase dallo spirito e dalla carità del Serafico. - (Acta A. S., VIII, n. 5, pag. 142).

IV) Nonnullos. - All'ill.mo e rev.mo Mons. Moreschini, Arcivescovo di Camerino, per promuovere l'insegnamento del Catechismo nel Piceno. -

10 marzo 1916.

Avendo ricevuto in udienza alcuni promotori dell'insegnamento del Catechismo nel Piceno, il S. Padre si congratula dell'esito del Congresso Catechistico tenutosi a Loreto, quindi prosegue; « Fra tutte le cose a cui si dedica l'operosità dei cattolici pel bene della Chiesa, qual può idearsi, piú grande o piú divina, dello sviluppare, come voi già fate, nell'animo dei fanciulli, che sono la speranza dell'avvenire, le nozioni della fede e della legge cristiana?... » E il S. Padre si compiace vivamente « che venga supplito all'insegnamento della religione, là dove manca nelle pubbliche scuole elementari... facendolo impartire da maestri scelti, nelle stesse aule scolastiche e in altre aule vicine. La cosa non è certo né di piccola spesa né di minore sollecitudine, ma è apportatrice di frutti copiosissimi, come Noi stessi abbiamo potuto esperimentare quando presiedevamo al governo della Chiesa Bolognese». - (Acta A. S., VIII, n. 5, pag. 143).

V) Litteris tui. - All'ill.mo e rev.mo Mons. Barnaba Piedrabuena, Vescovo di Catamarca, in rallegramento delle solenni feste preparate per la B. Vergine « del Valle ». - 13 marzo 1916.

Ricorrendo il XXV dell'incoronazione della B. V. « del Valle » nell'Argentina, il S. Padre concede indulgenza plenaria a chi visiterà quel Santuario, e annunzia che quel Delegato Apostolico lo rappresenterà ai festeggiamenti. - (Acta A. S., VII, n. 5. pag. 144).

VI) Altero jam exeunte saeculo. - Al rev.mo P. Antonio Lhoumeau, Preposito Generale della Società di Maria e delle Figlie della Sapienza, nel II Centenario della morte del Beato Fondatore - 19 aprile 1916.

Il Beato Grignion lasciò due amori ai suoi figli spirituali: obsequium in Apostolicam Sedem, pietatem in Virginem Matrem. Per questo essi patirono molte vessazioni. dai Gallicani e dai Giansenisti; e ora diamo grande diffusione all'operetta, summae suavitatis maximique ponderis, intitolata: De la vraie dévotion à la Sainte Vierge, composta dal loro Beato Fondatore, operetta che il S. Padre vorrebbe vedere sempre piú diffusa. Caeterum, scrive Benedetto XV, haec arctissimo inter se continentur vinculo nam qui vere Mariam diligit cum is non possit non Jesum diligere, recta enim per Matrem ad Filium iter, simul Vicarium Christi colat atque observet necesse est. - (Acta A. S., VIII, n. 6, pag. 172).

VII) Institutiones Theologiae Moralis. - Al rev.mo P. Gennaro Bruceroni, S. J., Prof. Collegiato di Teologia Motale all'Università Gregoriana, in lode dell'ultima edizione dei suoi trattati.- 3o aprile 1916.

Il S. Padre unisce di cuore le lodi sue a quelle tributate dai suoi Predecessori alle Institutiones Theologiae Moralis del Bucceroni, nelle quali si compiace di veder trattate alcune nuove questioni, opportunissime pei tempi nostri.

« Profecto, dice il S. Padre, exoptandum est ut ea magis atque magis caritatis atque justitiae praecepta pervulgentur, sine quibus nulla est nec mansurae pacis spes, neque stabilis rerum pubblicarum salus. - (Acta A. S., VIII, n. 6, pag. 173).

VIII) Sanctum et salutare. -Al rev. P. Edoardo Hugon, domenicano, Prof. Collegiato nel Collegio Angelico di Roma, in lode di aver popolarizzato la dottrina teologica di S. Tommaso ad uso dei laici. - 5 maggio 1916.

Sanctum et salutare est, ac paene necessarium in scholis catholicis, dov'è educato il giovane Clero, avere a Maestro S. Tommaso. Sed etiam valde opportunum è il popolarizzare la sua dottrina, come ha fatto il rev.mo P. Hugon, a vantaggio dei laici. I modernisti si allontanarono molto dalla fede, per aver trascurato S. Tommaso. - (Acta A. S., VIII, n. 6, paga 174).

IX) Significandae tibi.- Al rev.mo Mons. Paolo Buguet, Parroco di Montligeon, Protonotario Apostolico, in rallegramento dell'anno cinquantesimo di sacerdozio e dell'incremento dell'Opera in suffragio delle Anime del Purgatorio. - 12 maggio 1816.

È la nota pia Opera di Montligeon in suffragio delle Anime Sante del Purgatorio, che merita di essere diffusa in mezzo al popolo cristiano - (Acta A. S., VIII, n. 7, pag. 218).

X) Optimo sane jure.- Al rev.mo Mons. Asprenate Galante, Prot. Apostolico, Canonico e Cimeliarca del Duomo di Napoli, pel Cinquantenario della Messa - 26 maggio 1916.

Il S. Padre si congratula specialmente per lo zelo con cui Mons. Galante ha illustrato i monumenti sacri della Campania, e si unisce ai Napoletani nel presentargli i piú lieti auguri. - (Acta A. S., VIII, n. 7, pag. 219).

XI) Cum ex apostolico officio. - Al rev.mo Mons. Amedeo Ghizzoni, Canonico Teologo di Piacenza, per il periodico « Il Catechista Cattolico (1) ». - 7 giugno 1916.

E una lettera assai importante: « Cotesto periodico ha recato grandi vantaggi alla dottrina cristiana in Italia, sia col promuovere congressi catechistici e col segnarlarne e commentarne le decisioni, sia coll'istituire varie scuole di religione conforme all'età ed alla intelligenza degli alunni: delle quali cose Noi stessi, essendo Arcivescovo di Bologna, in un congresso ivi radunatosi e nelle scuole in tal maniera organizzate, abbiamo sperimentato lo straordinario vantaggio. Ma in questo sopratutto Noi troviamo quanto sia utile e degno di raccomandazione il vostro periodico, perché, mentre in esso non si tralascia alcuna occasione per discutere con profondità intorno al metodo migliore col quale al presente convenga istruire ed educare i nostri fanciulli e i giovani nei dover, religiosi, lo stesso periodico si presenta egregiamente redatto non solo per lo studio dei problemi attinenti allo sviluppo di questa materia d'insegnamento, ma anche per diffondere a poco a poco ovunque l'uniformità di metodo nello insegnamento della dottrina cristiana. Noi siamo lieti pertanto di sapere che cotesto periodico abbia trovato collaboratori in molte diocesi, e che sia tanto apprezzato da molti Vescovi, da essere adoperato come organo della Congregazione diocesana per l'insegnamento del Catechismo ». - (Acta A. S., VIII, n. 7, pag. 220).

XII) Sollemnia. - All'ill.mo e rev.mo Mons. Barlo Garcia Irigoyen, Vescovo di Truxillo, pel IV Centenario dell'erezione della diocesi. - 18 giugno 1916.

Il S. Padre elogia la fede, la pietà e l'attaccamento alla S. Sede delle antiche generazioni della diocesi di Truxillo, e stimola i diocesani presenti a ricordare i benefizi resi alla loro diocesi dalla S. Sede, perché vigoreggi sempre piú l'attaccamento alla medesima. - (Acta A. S., VIII, n. 7, pag. 221) .

XII) Ingravescente in dies. -Al rev.mo P. Serafino Cimino, Ministro Generale dei Frati Minori, nel VII Centenario della divina concessione della Porziuncola. --- 29 giugno 1916.

Ricorrendo il VII Centenario dell'Indulgenza della Porziuncola, il S. Padre concede alla Basilica della Madonna degli Angeli in Assisi il gran privilegio dell'indulgenza plenaria, toties quoties, per un anno intero, cioè dal pomeriggio del 1° agosto 1916 al tramonto del 2 agosto 1917; e delega l'Eminentissimo Card. Filippo Giustini, Protettore dell'Ordine dei Frati Minori, a rappresentarlo, come suo Legato, alle Feste Centenarie. - (Acta A. S. VIII, n. 7, pag. 222).

XIV) Epistola, quam Mediolani. - All'Em.mo sig. Card. Andrea C. Ferrari, Arcivescovo di Milano, e ai Vescovi della Provincia Ecclesiastica di Milano, adunati per l'annuale conferenza. - 22 maggio 1916.

Accogliendo i voti espressigli per un sollecito ristabilimento della pace, auspice atque adjutrice Apostolica Sede, il Sommo Pontefice esorta i Vescovi a promuovere l'azione cristiano-sociale, ad affezionare ad essa le moltitudini, e a riunire in lavoro concorde tutte le forze, perché i cattolici possano godere piú tranquillamente e largamente degli stessi benefizi della pace futura. - (Acta A. S., 1771 n. 8, pag. 261).

XV) A dilecto Filio. -Al rev. D. Luigi Iauch, in lode della Pia Opera di S. Francesco di Sales. - 3 luglio 1916.

Essendogli stati umiliati per mano dell'Em.mo Card. Bisleti, gli annali dell'ultimo biennio di detta Pia Opera, diretta a conservare la Fede e a promuovere la vita cristiana in mezzo alle popolazioni, il S. Padre si rallegra e confida che essa pure si studierà di risarcire i mali dell'immensa guerra presente. - (Acta A. S., VIII, n. 8, pag. 262).

(1) Il Catechista Cattolico si pubblica dalla Libreria del S. Cuore, a Torino. Il prezzo annuo d'abbonamento, è di L. 3.

Atti delle Sacre Congregazioni

Suprema S. Congregazione del S. Ufficio.

I) Decreto. - Delle immagini che rappresentano la B. V. Maria vestita di paramenti sacerdotali. - 8 aprile 1916.

Il decreto le riprova : « Imaginem B. M. Virginis vestibus sacerdotalibus indutae esse reprobandam » - (Acta A. S., VIII, n. 5, pag. 146).

II) Decreto. - Di un dubbio sulle Indulgenze concesse alla giaculatoria : Sia lodato Gesú Cristo. - 13 aprile 1916.

Chi è solito ripetere questo saluto in vita, se lo ripeterà anche in morte, nominando il nome di Gesú, lucrerà allora anche la speciale indulgenza plenaria concessa, senza che si richieda altra condizione, come quella di accettare la morte dalle mani di Dio. È pur noto che questa indulgenza sarà lucrata da chi, non potendo proferire il nome di Gesú colle labbra, lo dirà in quell'estremo momento, almeno col cuore. - (Acta A. S. VIII, n. 5, pag. 140).

III) Decreto. - Delle medaglie, usate in cambio degli scapolari. - 11 maggio 1916.

Gli scapolari devono essere benedetti, quando vengono imposti; ma poi possono essere surrogati senza che siano benedetti. Non cosí le medaglie usate invece degli scapolari: esse devono essere sempre benedette. - (Acta A. S., VIII, n. 6, pag. 175).

IV) Decreto. - Di una Rivista. - 26 maggio 1816.

La Rivista di «Scienza delle Religioni » (Roma, Tipografia del Senato di Giovanni Bardi, 1916) è stata condannata come organo di propaganda mdernista. -Il R. D. Umberto Fracassini ha dichiarato che il suo nome è stato messo abusivamente nel numero dei redattori del citato periodico, non avendo egli approvata la pubblicazione della nuova rivista ed avendo negata la sua collaborazione. - (Acta A. S., VIII, n. 6, pag. 176).

V) Decreto col quale si sciolgono molti dubbi circa le indulgenze da lucrarsi dai Terziarii secolari deil'Ordine dei Minori. - 8 giugno 1916.

Con Breve Sodalium e Tertio Ordine del 5 maggio 19o9, Pio X di s. m. comunicò a tutti i Terziarii secolari di S. Francesco tutte le indulgenze concesse alle Famiglie Serafiche del 1° e del 2° Ordine. Sorti dei dubbi, vennero cosí risolti: - 1) In base all'accennata comunicazione, tutte le chiese ed oratori pubblici, propri del Terz'Ordine Secolare di S. Francesco, godono delle indulgenze concesse ad ogni chiesa ed oratorio pubblico del 1° e del 2° Ordine e del 3° Ordine Regolare, a favore di tutti i fedeli che le visitano in certi giorni - 2) Gli ascritti al Terz'Ordine possono lucrare tutte le indulgenze direttamente concesse alle chiese del 1 ° e 2° Ordine e 3° Ordine Regolare, visitando le chiese o cappelle, in cui e istituito il Sodalizio dei Terz'Ordine, quantunque queste non appartengano proprie al Terz'Ordine - 3) L'indulgenza concessa nel giorno della Commemorazione di tutti i Confratelli defunti, quantunque detta commemorazione si tenga in giorno diverso dalle diverse Famiglie, non può lucrarsi dai Terziari piú d'una volta all'anno - 4) Gli indulti concessi ai Terziari infermi, impediti, ecc., ecc. riguardo all'acquisto delle Indulgenze, non riguardano soltanto le indulgenze concesse direttamente al Terz'Ordine, ma tutte le indulgenze ad esso comunicate come sopra; 5) La comunicazione fatta dal S. P. Pio X avrà valore anche per le indulgenze che si concederanno in posterum all'Ordine Serafico.-(Acta A. S., VIII, n. 8, pag. 263).

VI) Decreto. - Del non interpolare le formole di preghiere indulgenziate. - 22 giugno 1916.

E stato decretato : Formulas quascumque precum, laudum, invocationum et cetera, a Sancta Sede Indulgentiis ditatas, per quamlibet additionem, detractionem, interpolationem, concessis Indulgentiis plane destitui. Dunque le preghiere indulgenziate, comunque alterate, perdono le indulgenze.- (Acta A. S., VIII, n. 8, pag. 265).

VII) Declaratio. - Circa un'opera. - 13 aprile 1916.

L'opera intitolata : La Leçon de l'Hôpital NotreDame d'Ypres. - Exégèse du secret de la Salette, par le Dr. Henry Mariavé, tome I, Paris 1915,5, tome II, Appendices, Montpellier, 1915, è condannata e proscritta dalle regole generali della Costituzione Officiorurn ac munerum.- (Acta A. S., VIII, n. 6, pag. 175).

S. Congregazione Concistoriale.

I) Decreto. - Su certi balli in uso negli Stati Uniti del Nord America e nel Canadà.

Nel secolo scorso negli Stati Uniti del Nord America si era introdotta l'usanza tra le famiglie cattoliche di radunarsi in balli prolungati con festini ed altri divertimenti, per conoscersi e quindi aiutarsi mutualmente, e far collette a vantaggio di opere pie. Tali balli erano indetti e presieduti dal Clero. Il Concilio VII di Baltimora intimò ai sacerdoti di smettere quest'usanza: ed ora anche la S. C. C. ha proibito al Clero di promuovere tali adunanze, benche indette per lo scopo piú santo, ed anche semplicemente di assistervi. - (Acta A. S., VIII, n. 5, pag. 147)

II) Decretum. - Mutamento di confini tra le diocesi di Omaha e Kearny. - 13 maggio 1916.

Le contee civili di Wheler, Greeley, Howard e parte di quella di Hall già appartenenti alla diocesi di Omaha, sono state unite alla diocesi di Kearny. - (Acta A. S., VIII, n. 7, pag. 224).

III) Declaratio. - Sull'abito chiericale in uso nel Canadà. - 31 marzo 1916.

Nel Concilio plenario di Quebec furono riconosciute due forme di abito chiericale: la veste talare, come piú propria dei chierici, obbligatoria nelle sacre funzioni: e un'altra piú corta, di color nero, che vada fino alle ginocchia, come abito chiericale civile. E ciò, fu detto, secondo l'uso locale. Essendo sorti dei dubbi, la S. C. C. ha dichiarato:

1) Non potersi senza motivo cambiar l'uso circa le vesti chiericali in vigore in una diocesi: essere tuttavia nella facoltà degli Ordinari di poterlo prudentemente cambiare.

2) Un chierico che si rechi in un'altra diocesi può vestire come vestiva nella propria, quantunque l'abito non sia eguale a quello della diocesi ove egli si reca, purché sia una delle due fogge sovraccennate.

3) Essere in facoltà del chierico di adattarsi all'uso della diocesi ove si reca, senza che il Vescovo abbia a redarguirnelo. - ( Acta A. S., VIII, n, 5, pag. 148).

IV) Andriensis. - Del titolo della Cattedrale alla chiesa di S. Sabino nella città di Canosa. - 9 giugno 1916.

Esaminati i documenti e gli argomenti addotti, la S. C. C. dichiara competere all'accennata chiesa il titolo di Cattedrale. - (Acta A. S., VIII, n. 8, pag. 266.).

V) Lettera agli ordinari d'Italia circa i sacerdoti militarizzati - 16 giugno 1916.

Attesa la gravità del documento, diamo per extensum la parte dispositiva:

« 1° Quantunque tutti i chierici e i sacerdoti militarizzati tutti siano soggetti al Vescovo Castrense, come a proprio Ordinario nell'Esercito : tuttavia non si devono considerare punto esenti dalla vigilanza e tutela del Vescovo della città e diocesi dove essi casualmente dimorano; né il Vescovo stesso può esimersi da questa vigilanza e tutela; ma la deve esercitare come si dirà negli articoli seguenti, con qualche analogia a quello che il diritto ha stabilito per religiosi, i quali, se extra claustra vengono a commettere qualche mancanza, possono essere richiamati al dovere dall'Ordinario diocesano.

2 ° In forza di questo principio ogni Ordinario diocesano avrà una attenta cura dei chierici e sacerdoti militarizzati che si trovano nei limiti della sua diocesi, e finché in essa rimangano, benché essi non siano suoi diocesani od appartengano a qualche Ordine o Congregazione religiosa. A tal fine:

a) si studierà di conoscere quali e quanti siano quelli che si trovano nella sua diocesi, chiedendo, se sia d'uopo, le opportune notizie all'ufficio del Vescovo Castrense in Roma;

b) vigilerà per sapere dove e come i sacerdoti militarizzati celebrano la S. Messa; e richiamerà al dovere quelli i quali obliando che sancta sancte sunt tractanda venissero meno al loro dovere : e se essi celebrassero non nei debiti modi nelle chiese della diocesi, potrà dopo il primo o il secondo avvertimento interdirli dal piú celebrare: se invece negli ospedali od altri luoghi dipendenti dall'Ordinario Castrense, avvertirà l'officio di questo Prelato in Roma per i necessari provvedimenti;

e) parimenti vigilerà affinché codesti chierici e sacerdoti non vadano senza necessità nei «caffè » e pubblici ritrovi, meno propri pel Clero; e provvederà con paterni richiami e, se sarà necessario, con salutari sanzioni (che potranno anche arrivare alla sospensione a divinis nei casi gravissimi) onde tenerli lontani da simili luoghi e pericoli;

d) nelle città e luoghi dove si trovasse un certo numero di chierici e sacerdoti militarizzati l'Ordinario locale sceglierà un sacerdote pio e prudente, che convochi tutti costoro ogni settimana, o almeno ogni due settimane per una santa conferenza sui doveri del proprio stato. Ed il Vescovo stesso, quando potrà, cerchi di intervenirvi a dirigere ad essi personalmente parole paterne di esortazione e consiglio. Nulla poi di meglio se al Clero militarizzato si potesse offrire un luogo dove nelle ore libere potesse ogni giorno convenire e trattenersi in buona e salutare compagnia;

e) sarà cura dell'Ordinario di tener conto di quelli che intervengono, e mancano a queste conferenze. E parimenti dei nomi e della condotta religiosa e morale di ognuno, tenendo apposito e riservato registro nella sua Curia.

3) Se, quod Deus avertat, da parte di qualche chierico o sacerdote militarizzato venisse commessa qualche grave mancanza, l'Ordinario locale, benche da parte sua con gli ammonimenti, correzioni o castighi opportuni abbia provveduto, dovrà tuttavia avvertirne subito sia l'officio del Vescovo Castrense in Roma, sia l'Ordinario proprio del chierico o sacerdote, sia infine (qualora cotesto chierico o sacerdote durante il servizio militare passasse in altra diocesi) anche l'Ordinario della medesima.

4) Nei centri, dove risiede un Vicario o delegato del Vescovo Castrense, questi dovrà tenersi in stretta relazione colla Curia ed Ordinario locale, e viceversa, onde con mutuo accordo curare il maggiore e miglior bene del clero militarizzato.

5) Tutti gli Ordinari diocesani propri dei singoli chierici e sacerdoti riguardino come uno dei loro principali doveri il mantenere, o per sé o per mezzo di uno o piú sacerdoti a ciò delegati, una corrispondenza epistolare veramente paterna con i loro chierici e sacerdoti militarizzati, per poterli cosí seguire, sostenere e guidare in mezzo a tanti pericoli nei quali si trovano. Lo stesso facciano i Superiori degli Ordini e Congregazioni religiose con i loro sudditi, che si trovano nelle stesse condizioni.

6) Ogni vescovo diocesano ed ogni Superiore degli Ordini e Congregazioni religiose trasmetterà al piú presto (qualora già non lo avesse fatto) all'officio del Vescovo Castrense in Roma i nomi dei suoi chierici e sacerdoti, richiamati sotto il servizio militare, aggiungendo quelle osservazioni che crederà, piú opportune per rendere piú possibile al Vescovo Castrense una vigilanza speciale sui medesimi, e piú efficaci gli ammonimenti a quelli che ne abbisognassero.

Egualmente i cappellani militari, sia delle singole unità mobilitate sia degli Ospedali di riserva, i quali risiedano in città vescovili, faranno periodicamente una visita al Vescovo della diocesi od al suo Vicario generale, al fine di cui sopra, e pel miglior adempimento dei loro doveri religiosi.

7) Finita la mobilitazione, sarà cura del Vescovo Castrense di partecipare agli Ordinari diocesani ed ai Superiori degli Ordini e Congregazioni religiose le notizie che egli ha dei rispettivi chierici e sacerdoti, siano esse buone o meno, onde essi possano opportunamente regolarsi nel riceverli nuovamente sotto la loro dipendenza.

Egualmente farà ogni Vescovo pei chierici e sacerdoti non suoi diocesani, i quali abbiano dimorato per notevole tempo nella sua diocesi, qualora qualche cosa di speciale, sia in bene sia in male, abbia dovuto di essi notare durante la permanenza nella sua diocesi.

8) Per espresso volere e disposizione del Santo Padre le prescrizioni presenti hanno forza e valore di legge ed obbligano tutti alla piena loro osservanza, contrariis quibuslibet minime obstantibus. - (Acta A. S., VIII, n. 8, pag. 266).

VI) Provvista di Chiese. - Chiese Cattedrali d'Isernia e Venafro pei rev.mo D. Nicolò Rotoli (28 marzo 1916) - Cattedrali di Calvi e Teano pel rev.mo D. Calogero Licata (14 aprile) - (Acta A. S., VIII, n. 5, pag. 150).

Chiesa Cattedrale di Diano pel rev.mo D. Orazio Caldarola (8 maggio) - C. Cattedrale di Nicastro pel rev.mo Mons. Eugenio Giambro, Vescovo di Sarsina (22 maggio) - C. Cattedrale di Lacedonia pel rev.mo D. Francesco Maffei (id.) - (Acta A. S., VIII, n. 6, pag. 177).

Chiesa Metropolitana di S. Giacomo di Cuba pel rev.mo Mons. Felice Ambrogio Guerra, della Pia Società Salesiana, già Vescovo di Amata (17 aprile) - Chiesa Cattedrale di Fano pel rev.mo D. Giustino Sanchini (6 giugno) - C. Cattedrale di Rieti pel rev.mo D. Francesco Sidoli (19 giugno) - C. Cattedrale di Sarsina pel rev.mo Mons. Ambrogio Riccardi. - (Acta A. S., VIII, n. 7, pag. 225).

Chiesa Cattedrale di Soana e Pitigliano pel rev.mo D. Recaredo Carlesi; Chiesa Cattedrale di Norcia pel rev.mo D. Vincenzo Migliorello (8 luglio) - Chiese Cattedrali di Nepi e Sutri pel rev.mo D. Luigi Olivares, della Pia Società Salesiana, parroco di S. Maria Liberatrice in Roma (15 luglio) -- (Acta A. S., VIII, n. 8, pag. 270).

VII) Nomine. - Mons. Vincenzo Sardi, Arcisescovo tit. di Caserta, è stato nominato Amministratore Apostolico di Tivoli (7 lugli 1816) - Mons. Giovanni Règine, Arcivescovo di Trani e Barletta, è stato nominato Amministratore Apostolico di Andria, finchè durala malattia del Vescovo Mons. Staiti. - (Acta A. S., VIII, n. 8, pag. 270)

S. Congregazione del Concilio.

Concordien. - Juris patronatus. - 19 giugno 1916.

Fattispecie. - Il beneficio parrocchiale di Arsene, diocesi di Concordia, è di giuspatronato della famiglia dei Conti di Valvasone. Nel Veneto però anche per le parrocchie de iure patronatus laicorum s'indice sempre il concorso in forma Tridentina e il Patrono deve presentare al Vescovo uno già riconosciuto idoneo nel concorso. Essendosi detta parrocchia resa vacante al novembre 1915, venne indetto un primo e secondo concorso che andarono completamente deserti: e il patrono rispettosamente annunziò al Vescovo di essere in diritto di presentare chi voleva senza che si bandisse altro concorso. Ma il Vescovo ne volle indire un terzo; e non essendo stato riconosciuto idoneo l'u nico che vi si presentò, scrisse al Patrono paroeciam evasisse in casu liberae collationis e spettarne al solo Ordinario la collazione. Il Patrono, in ossequio al Vescovo disse di disinteressarsi, per questa volta, della nomina del parroco di Arsene, ma ricorse alla S. Congregazione del C. perché gli fosse riconosciuto il diritto libere eligendi et praesentandi post duplicem frustra indictum seu peractum concursum.

Sentenza. - La S. C. emanò sentenza favorevole al Patrono; sentenziò cioè: post concursum semel iterumque frustra indictum vel peractum... manere patrono ius eligendi et praesentandi.

Osservazioni. - Il concorso pel conferimento delle parrocchie risale al Concilio Tridentino. Prima erano conferite vel libera collatione ab Episcopo, vel praevia simplici praesentatione Patrona, coll'obbligo che il presentato venisse, praevio examine, riconosciuto idoneo. Riuscendo però deserti o nulli due concorsi, torna in vigore il diritto vigente prima del Tridentino, e ciò non solo per le parrocchie di collazione vescovile, ma anche per quelle di giuspatronato, tanto civile che ecclesiastico; a meno che vi sia qualche consuetudine contraria, che non si riconobbe esistere nella diocesi di Concordia. - (Acta A. S., VIII, 4-8, pag. 271).

S. Congregazione dei Sacramenti.

I) Praesumptae mortis coniugis. -25 febbraio 1916.

P. N. sposa T. R. il 9 luglio 1879 e la massima concordia regna fra i due sposi. Nel 1890 la moglie si reca nella città di M. per trovare i suoi parenti, ed il marito diligentemente le scrive, consigliandola anche a rimanere colà finché i loro figliuoli non abbiano fatta la prima comunione, essendo il luogo W., dove essi abitavano e nel quale lui lavorava come fabbro ferraio, sprovvisto di chiesa. Nell'ultima lettera, scritta da lui alla moglie, annunzia la sua partenza per R. per visitare i suoi parenti; poi da quell'epoca (1890) il T. R. scompare, e nessuno, né la moglie, né i testimoni, per quante ricerche si facciano, può avere piú notizie di lui. Intanto alla moglie si presenta l'occasione di rimaritarsi e ne fa domanda al suo Ordinario. La causa viene portata a questa Congregazione, la quale formola il dubbio: Se alla richiedente P. N. si possa permettere nel caso il passaggio a seconde nozze.

Argomenti. - Quantunque manchino testimoni oculari o auricolari provanti la morte di T. R., tuttavia le circostanze son tali da far credere la morte non solo probabile, ma moralmente certa. Difatti: 1) T. R. scompare nel 1890 e tutte le ricerche possibili fatte successivamente dalla moglie, dai parenti, dalla Società presso la quale il T. R. lavorava, ebbero esito negativo. 2) Lasciando la sua città egli non volle certamente abbandonare la famiglia. Testifica anzi la moglie, con giuramento, l'amore di lui per la famiglia, e adduce come prova le lettere a lei scritte durante la sua lontananza, ed anche il fatto, che, pur non essendo ricco, il marito lasciava a W. la sua casa provvista di tutte le suppellettili esistenti. 3) In R., come asseriscono i suoi parenti, non giunse mai, né piú si ebbe notizia di lui. Il viaggio che doveva compiere per recarvisi, presentava qualche pericolo per la traversata di un gran lago. Nessuna maraviglîa che il povero fabbro, infermo ad un braccio, dedito al vino e alle bevande alcooliche, come si desume dalle testimonianze, sia perito nel viaggio per qualche infortunio. 4) Non mancarono ricerche private e pubbliche dirette allo scopo di trovarlo nelle dette regioni, ma tutte riuscirono senza effetto. Si ricorse fino ai registri delle carceri, ma il suo nome non si rinvenne. 5) Da questo complesso di fatti, nacque in quei luoghi la persuasione comune che il povero operaio fosse rimasto vittima di un infortunio e che morisse senza poter dare in alcun modo notizia di sé alla famiglia. Nessuna altra causa infatti può ragionevolmente assegnarsi alla sua lunga assenza di più di venticinque anni. 6) il rev.mo Ordinario che trasmette il processo dà la piú ampia testimonianza dell'onestà e veridicità della donna P. N. ed esprime il suo parere favorevole alla presunta morte del marito.

Sentenza. - Esaminata la causa., gli Em.mi Padri al dubbio surriferito relativo alla concessione alla P. N. di passare a seconde nozze, il 25 febbraio 1916 risposero: affermativamente. -- (Acta A. S., VIII, n. 5, pag. 151).

II) Irregularitatis. -- 3 aprile 1916.

Tini chiesta alla C. S. de D. S. come debbano comportarsi gli Ordinari: 1) Si qui derivi, sacris vel presbyteratus, vel diaconatus, vel subdiaconatus Ordinibus initiati, praesenti bello, contracta e defectu corporis irregularitate, excedant, et ut ab hac irregularitate ad susceptos exercendos Ordines, vel etiam ad superiores recipiendos dispensentur, postulent; 2) si qui maioribus Ordinibus nondum initiati praesenti bello, pariter contracta ex defectu corporis irregularitate ad sacros recipiendos Ordines, dispensentur postulent.

Si rispose: Ad I. Recurratur in singulis casibus. Ad II. Non expedire ut promoveantur. -- (Acta A. S., VIII, n. 5, pag. 153)

S. Congregazione dell'Indice.

I) Decretum. - 5 giugno 1916.

Sono state condannate e poste all'Indice dei libri proibiti le opere seguenti:

L. Salvatorelli ed E. Hühn, La Bibbia. Introduzione all'antico e al nuovo Testamento (L'indagine moderna vol. XIX). Milano, ecc. Remo Sandrou. s. a.

P. Juan de Guernica, La Perla de la Habana. Sor María Ana de Jesús Castro, Religiosa Capuchina del Convento de Plasencia, Zaragoza, 1914, 2 vol. in-12.

Ludovico Keller, Le basi spirituali della massoneria e la vita pubblica. Todi, 1815.

Rivista di Scienza delle Religioni. Roma, Tip. del del Senato, 1916 (Decr. S. Off. 12 apr. 1916).

Dr. Henri Mariavé, La leçon de l'hópital Notre-Dame d'Ypres. Exégèse du secret de la Salette. Tome I, Paris, 1915; tome II, Appendices, Montpellier, 1915 (Decr. S. Off. 12 apr. 1916) - (Acta A. S., VIII, n. 6. pag. 178).

II) Subiectionis declaratio. - Cirillo Macaire si è sottomesso al Decreto del 12 aprile 1915, con cui fu condannato e messo all'Indice un libro da lui scritto. - (Acta A. S., VIII, n. 6, pag. 179).

S. Congregazione di Propaganda Fide.

Nominatio Vicarii Apostolici. - 28 aprile 1916.

Con Breve Apostolico è stato nominato Vicario Ap. di Canton Mons. Giovanni Battista Maria de Guébriant, Vescovo tit. Euroensis, già Vic. Ap. di Kiengtchang. -- (Acta A. S., VIII, n. 7, pag. 225).

S. Congregazioni dei Riti.

I) Taurinen. -- 12 aprile 1916. -Decreto per l'introduzione della Causa di Beatificazione e Canonizzazione della Serva di Dio, Luigia Borgiotti, Confondatrice delle Suore di Gesù Nazareno.

Questa Serva di Dio nacque a Torino il 16 febbraio 18o2, nella parrocchia della Metropolitana. In età ancor tenera dimostrò un grande amore alla Passione di N. S. Gesú Cristo e alla Vergine Addolorata, e fu la sua caratteristica in tutta la vita. Passò la giovinezza, in opere di zelo e di carità, finché fu eletta Superiora e maestra delle Religiose di Gesú Nazareno, fondate nel 1865 dal sig. Marco Antonio Durando, sacerdote della Congregazione della Missione, per l'assistenza dei malati a domicilio. La Serva di Dio aveva famigliare, come saluto, la giaculatoria: Sia lodato Gesù Cristo. Morì santamente il 23 febbraio 1873. Il suo corpo fu trasferito dal camposanto generale alla chiesa della Visitazione nel 1905. - (Acta A. S., VIII, n. 5, pag. 154)

II) Dioecesium totius Italiae et insularum adjacientium. -- Della festa della Traslazione della Santa Casa della Madonna. -- 12 aprile 1916.

Il S. Padre Benedetto XV, dopo aver accennato al primato di celebrità che il Santuario della Madonna di Loreto ha sii tutti i Santuari Mariani e dopo aver ricordato la prodigiosa traslazione della S. Casa, nella quale Verbum caro factum est, accogliendo la domanda di tutti i Vescovi del Piceno e pro sua quo qua spectata erga Deiparam pietate, ha decretato che in tutte le diocesi d'Italia e delle Isole adiacenti, non esclusi gli Ordini Regolari e le Famiglie Religiose, il 10 dicembre di ogni anno si celebri la Festa della Traslazione dell'alma Casa della B. V. M. (o della santa Casa di Loreto) con rito doppio maggiore e coll'Officio e Messa già prima approvati, « ne tanti Virginei Sacrarii cultus longe lateque diffusus sensim in dies aliquid detrimenti capiat », indulgendo che egual festa sia concessa a tutte le Diocesi e Famiglie Religiose dell'Estero, che ne faranno domanda. - (Acta A. S., VIII, n. 6, pap. 17o).

III) Bavariae Regni. - Del titolo, festa ed ufficio della B. V. Maria, Patrona della Baviera. -26 aprile 1916.

Il S. Padre, accogliendo la domanda di Lodovico III, re di Baviera, e della sua consorte la regina Maria Teresa, dichiarò e costituí la B. V. Maria Patrona della Baviera e fissò la festa della Beata Vergine Maria, sotto il titolo di Patrona Bavariae, per tutte le Diocesi del regno, al giorno 14 maggio, con rito doppio di 1° classe e con Ottava. - (Acta A. S., VIII, n. 6, pag. 181).

IV) Sedunen. - Dubbi sulla festa della dedicazione della Chiesa. - 5 maggio 1916.

Il rev.mo Mons. Abbet, Vescovo di Sion, ha domandato alla S. C.: 1) La festa della dedicazione, se è noto il giorno in cui la Chiesa fu consecrata, si deve fissare a tal giorno, rinviata la solennità esterna alla domenica in cui si celebrava prima? 2) La festa della Dedicazione si deve fissare ad un giorno del mese, in modo che la domenica seguente sia la stessa domenica in cui la festa della dedicazione era celebrata? 3) La solennità esterna della dedicazione della Chiesa Cattedrale deve essere celebrata in tutta la Diocesi, o solo nella città vescovile? - La S. C. dei R. ha risposto:

Ad 1) Affirmative quoad Festum cum, officio et Missa. Posse et non teneri quoad solemnitatem externam. Ad 2) affirmative, si non innotescat dies consacrationis, aut agatur de Festo Dedicationis Ecclesiarum consacratarum, una eadem die celebrando. Ad 3) Posse et nullibi teneri, iuxta decretum S. R. C., dici 28 octobris 1913, tit. 1, n. 2 (Acta A. S., VIII, n. 6, pag. 182).

V) Vizagapatamen. et Nagporen. - Dubia. - 5 maggio 1916.

Dalle diocesi di Vizagapatam e Nagpur vennero proposti vari dubbi strettamente locali, cui la S. C. rispose : Serventur decreta... Serventur Rubricae novissimae... Nihil innovetur, ecc. - (Acta A. S., VIII, n. 7, pag. 226).

VI) Dubia. - Della Messa. Votiva del S. Cuore di Gesú e « De precibus post Missam » - 2 giugno 1916.

La Messa Votiva del S. Cuore di Gesú, concessa da Leone XIII pel 1° Venerdí del mese, è vietata non più in omnibus festibus Domini, ma soltanto in Festis Christi Domini, ad mentem novarum Rubricarum tit. IV, n. 7, tit. VI, n. 4 et iuxta Notanda in Tabellis n. 8.

Le Preces post Missam non si possono ommettere da chi celebra nell'Oratorio di una comunità religiosa, quando questa fa la meditazione, o assiste ad un'altra messa, o si accosta alla comunione, o recita preghiere in comune; -- né da chi celebra all'altare del SS. Sacramento e deve amministrare la Comunione. Nel primo caso il sacerdote dica le preci col serviente; nel secondo dica prima le preci e poi amministri la S. Comunione. - (Acta ,3. S., VIII, n. 7, pag. 227).

VII) Avenionem. - 14 giugno 1916. - Decreto per l'introduzione della Causa di Beatificazione, o dichiarazione di Martirio delle Serve di Dio Suor Ifigenia di S. Matteo della Congregazione delle Suore dell'Adorazione Perpetua del SS. Sacramento, Suor Elisabetta Teresa del S. Cuore di Gesù dell'Ordine delle Orsoline, Suor Maria Rosa dell'Ordine dei San Benedetto, Suor Maria di. S. Enrico dell'Ordine Cistercense, « et Sociarum », uccise in odio alla Fede in Orange (Avignone) nel mese di luglio del 1794.

Sono trentadue Suore, vittime del Terrore, ai tempi della Rivoluzione Francese. Tredici erano religiose dell'Adorazione Perpetua del SS. Sacramento; sedici Orsoline; due Cistercensi; una Benedettina. Suor Elisabetta Teresa del S. Cuore stette quattro mesi in carcere e condotta dinanzi al Tribunale e chiesta chi fosse: « Son figlia di S. Chiesa », rispose, e non volle assolutamente prestare il giuramento che le si chiedeva, dicendo di non poter preferire le leggi umane alle divine, ed ebbe mozzo il capo. - (Acta A. S., VIII, n. 7, pag. 228).

S. Congregazione dei Seminari e delle U. di St. Dubia. - 7 marzo 1916. - Dubbi sul Motu proprio « Doctoris Angelici » e sulle XXIV tesi filosofiche, rivedute e approvate dalla S. Congregazione degli Studi.

L'accennato Motu proprio di papa Pio X, del 29 giugno 1914, prescrisse come libro di testo per tutte le Università e gli Istituti conferenti gradi accademici e laurea di Teologia la Somma di S. Tommaso; e la Sacra Congregazione degli studi esaminò ed approvò 24 tesi filosofiche, come esprimenti la dottrina genuina di S. Tommaso.

Ora vien dichiarato:

1) La Somma. Teologica di S. Tommaso è da usarsi come libro di testo per la parte scolastica delle questioni. Cioè, insieme con un altro testo che segni l'ordine logico delle questioni e la parte positiva, si abbia per le mani e si spieghi la Somma Teologica per la parte scolastica.

2) Le 24 tesi filosofiche, di cui sopra, esprimono la dottrina genuina del Tommaso, e s'insegnino come sicure norme direttive. --- (Acta A. S., VIII, n.5, pag. 156).

Atti dei Tribunali S. Romana Rota.

I) Parisien. --Nullitatis matrimonii (CharrierGodet). - 4 novembre 1915.

Fattispecie : - Edoardo Charrier, in età di 17 anni, si recò a Parigi in cerca di lavoro. La zia Maria Godet dapprima collocò il giovane presso un salumiere, di poi lo ricevette in casa sua per dargli comodità di attendere agli studii e di conseguire il titolo di maestro nelle scuole pubbliche. Ma le cose andarono male per Edoardo, poiche Berta, figlia della zia, essendosi innamorata del cugino, ardentemente desiderava unirsi con lui in matrimonio. Edoardo si mostrò riluttante da pricipio ma poi, cedendo ai desiderii della cugina, il 2 luglio del 1892 celebrò con lei il suo matrimonio nella chiesa parrocchiale di « Autervilliers ». Gli sposi coabitarono per quindici anni ed ebbero quattro figli. Tuttavia non mancarono dissensi e contese, più volte fu rotta per qualche mese la vita coniugale, finché i coniugi si separarono definitivamente. Allora lo sposo, il 10 maggio 1910, ricorse alla Curia di Parigi domandando che il suo matrimonio fosse dichiarato nullo propter metum sibi illatum a consobrinis, e, avendo ottenuto sentenza sfavorevole, da essa appellò al tribunale della S. Rota.

Sentenza. - La causa fu discussa dinanzi ai rev.mi Monsignori Sebastianelli, Decano Ponente, Many e Prior, Uditori di turno, sul seguente dubbio: An constet de nullitate matrimonii -in casu. E con sentenza del 4 novembre 1915 fu deciso : Non constare de nullitate matrimonii in casu, confermando in tutto la sentenza della Curia di Parigi.

Osservazioni. -Ad ius quod attinet, Alessandro III nel capo 15 , titolo 1° de spons. et matr., nel libro IV delle Decretali di Gregorio IX, stabili che i contraenti debbono essere immuni da ogni violenza e timore. Questo si deve intendere del timore grave almeno relativamente alla persona che lo patisce, poiche il timore leggero facilmente si disprezza e, per altra parte, se bastasse ad invalidare il matrimonio, causerebbe, turbamenti troppo frequenti, tanto nella società civile che nella religiosa. Lo stesso Alessandro III nel capo ultimo del medesimo titolo ed Innocenzo III nel capo 4, titolo 4o del libro I, dichiarano grave il timore che « cadit in constantem virum ». E l'Em.mo Gasparri riduce a due le condizioni del timore grave, richiede cioè:

ut malum instans vel futurum sit grave pro illa persona quae timet, et ut haec persona persuasum. habeat illud malum sibi revera imminere (De Matr., II, n. 940). Inoltre il timore non si presume, sed ab allegante probari debet et satis probatus censetur, quoties testium depositiones, adminicula, coniecturae et praesumptiones in animo iudicis prudentem persuasionem et moralem certitudinem de eius existentia gignere possunt.

Ad factum quod spectat. - Il timore è bensì affermato dall'attore, ma non è provato né dalle deposizioni dei testimonii né dalle circostanze del matrimonio. Anche ammesso che Edoardo non sia stato pienamente libero nella celebrazione dei matrimonio, questo timore nel caso non potrebbe essere grave.

Appare manifesto che Edoardo, sebbene non senza qualche ripugnanza, volle però contrarre matrimonio con Berta, forse perché sperava non pochi vantaggi da questo matrimonio, come attesta il padre, Eugenio Charrier: « In fondo mio figlio sentiva ripugnanza per tali nozze. Tuttavia mi fece notare che la condizione della cugina istitutrice era vantaggiosa ». - (Acta A. S., VIII, n. 5, pag. 156).

II) Pitilianen (Pitigliano, prov. di Grosseto). - - Nullitatis matrimonii (Santelli-Stettiner). - 16 agosto 1915.

Fattispecie. - Penelope Cortini-Santelli dopo la morte del secondo marito, trovandosi assai angustiata per una causa mòssale intorno alla eredità del medesimo, accolse volentieri la proposta di sposare la figlia Liberata con Torquato Stettiner. Ella sperava di sistemare in tal modo la figlia e nello stesso tempo di avere in casa un uomo che potesse tutelare i suoi interessi. Anche i genitori dello Stettiner desideravano tale matrimonio perché volevano allontanarlo dalla compagnia d'una donna da cui aveva già avuto un figlio, ed anche perché vedevano nella Santelli, finanziariamente parlando, un buon partito per il loro Torquato. Le trattative incominciarono tra i parenti degli sposi nel dicembre del 19o5 mentre Liberata non aveva che quattordici anni. Primo a parlarne fu lo Stettiner padre, e, dietro suo consiglio, nel novembre 19o6 Liberata fu messa nel collegio di Pienza, dove nel febbraio successivo le fu presentato il futuro sposo. Nel giugno fece ritorno in famiglia, ed un mese dopo fu ivi condotto anche Torquato che rimase in casa fino alla celebrazione del matrimonio avvenuta nel 14 ottobre 19o7. Ma la vita coniugale non fu felice, e, sebbene abbiano avuto prole, nel marzo del 19o9 i coniugi si separarono senza speranza di riconciliazione. Liberata si ritirò colla figlia in casa di sua madre e nel novembre 1912 impugnò di nullità il suo matrimonio ex capite vis et metius sibi a matre incussi.

Sentenza. - La causa per commissione pontificia fu trattata in prima istanza presso il tribunale della S. Rota sul seguente dubbio: « An constet de matrimoni nullitate in casu ». Ed i rev.mi Monsignori Sincero, Ponente, Mori e Cattani, Uditori di turno, omnibus tum in facto tum in jure perpensis, il giorno 16 agosto 1915, emisero sentenza definitiva rispondendo al dubbio proposto: Affirmative, seu constare de nullitate matrimonii in casu.

Osservazioni. -Ad jus quod spectat, è notissimo che non solo la violenza assoluta, ossia la coazione fisica, che distrugge affatto il volontario, ma anche il timore, ossia la, coazione morale, che gravemente diminuisce la libertà dell'atto, rende il matrimonio nullo nel suo inizio. Secondo la dottrina comune e la costante giurisprudenza canonica, perché il timore sia dirimente si richiede ut sit gravis et cadens in constantem virum, et feminam prudentem, ut sit ab extrinseco et iniuste incussus, atque dirette incussus in ordine ad matrimonium. Ordinariamente il timore in ordine ad matrimonium è incusso dalle persone, da cui i contraenti, per lo più la sposa, dipendono , ed allora prende il nome di timore reverenziale. Se si fonda solo sul rispetto verso dei parenti, non è neppure timore propriamente detto; se si teme solamente di offendere o disgustare i parenti, il timore per sé è leggero; se invece prudendemente si teme di provocare in loro indignazione grave e diuturna e, sopratutto, se al comando ed alle preghiere insistenti dei parenti si aggiungono minacce, percosse, od altre circostanze simili, il timore reverenziale diventa grave e qualificato, atto a dirimere il matrimonio. Nel giudicare poi la gravità e la natura del timore reverenziale si deve tenere conto dell'indole delle persone che lo mentono, dell'indole della persona che lo subisce e della condizione sua riguardo alla famiglia.

Factum quod attinet. - Ex artis plene constat metum incussum a matre Penelope Santelli in filiam omnes praeseferre conditiones ad matrimonium irritandum. - (Acta A. S., VIII, n. 6, pag. 184).

III) Parisien. - Nullitatis matrimonii (De Payer-Level) - 4 marzo 1916.

Fattispecie. - Alicia de Payer era nel suo vigesimo anno quando la madre le propose il matrimonio con un giovane di distinta famiglia, di nome Paolo Level. Il partito non piacque ad Alicia, non solo per il carattere di Paolo e le sue idee religiose, ma anche perché già si era innamorata di un altro giovane, il conte Jametel, che avea mostrato desiderio di sposarla. Un anno dopo questa proposta, trovandosi la madre gravemente ammalata, Alicia non seppe resistere ai suoi rimproveri e si lasciò sfuggire questa espressione: « Eh bien, nous verrons ». Il giorno seguente si presentò Paolo, che sollecitarnente era stato informato della cosa, e, come se tutte le difficoltà fossero appianate, offri ad Alicia l'anello nuziale. Essa non osò rifiutarlo, quindi, instantibus praecibus et continuis obiurgationibus matris, il matrimonio fu celebrato in Parigi il 1 luglio 19oo. Ma ebbe un esito assai infelice; poiché essendo divenuta intollerabile la vita coniugale, Alicia, quattro anni dopo, ottenuta sentenza di divorzio dall'autorità civile, lasciò definitivamente lo sposo, e ricorse alla Curia di Parigi domandando che il suo matrimonio fosse dichiarato nullo « ex capite vis et metus ». La Curia, con sentenza del 21 gennaio 1915, le fu favorevole, ma il difensore del vincolo, come è di diritto, appellò al Supremo Tribunale della S. Rota.

Sentenza. - La causa fu discussa innanzi a Rev.mi Monsignori Sebastianelli, Decano Ponente, Many e Chimenti, Uditori di turno, sul dubbio seguente: « An constet de nullitate matrimonii in casu ». E con sentenza del 4 marzo 1916 fu deciso: constare de nullitate matrimonii in casu, cioè fu confermata la sentenza della Curia di Parigi.

Osservazioni. - La decisione si fonda sugli stessi principii di diritto accennati nella precedente causa di Parigi e nella causa di Pitigliano. Si osserva in particolare, citando l'autorità dei D'Annibale, che l'indignazione della persona da cui dipendiamo, anche senza percosse e minacce, se è grave e diuturna, costituisce male grave sufficiente per rendere grave il timore reverenziale. Anche nel caso presente le circostanze di fatto furono giudicate tali da rendere grave il timore incusso dalla madre ad Alicia. Infatti, così risulta dagli atti del processo. - (Acta A. S., VIII, n. 6, pag. 200).

IV) Claramontana. -- Restitutionis. -- 16 agosto 1915.

Fattispecie. - La signora Antonia Debrige, nata il 5 aprile 188o, frequentò fin dai primi anni in Clermont le scuole delle Suore di S. Giuseppe, comunemente dette del Buon Pastore, avendo per maestra Suor Celestina, della medesima Congregazione. All'età di dodici anni perdette i genitori che la raccomandarono a detta Suor Celestina, dandole però il tutore di legge. Allora Antonia entrò nell'Istituto delle medesime Suore per compiere la sua educazione e vi rimase fino alla maggiorità, pagando la pensione convenuta. Dopo circa un anno passato nel secolo, nel maggio del 1902 ritornò all'Istituto domandando l'abito religioso che ottenne il 22 gennaio 1903; e nel 1909, senza aver emessa la professione, lasciò di nuovo la casa religiosa. Quindi, nel 1912, presentatasi alla Superiora Generale delle Suore di S. Giuseppe, le manifestò di aver imprestato a Suor Celestina somme di danaro che allora, computati gli interessi, ammontavano a 23 mila lire, e la pregò di indurre la sopradetta Suora a riconoscere il suo debito sottoscrivendo le obbligazioni. Ciò fece Suor Celestina riconoscendo che doveva alla sig. Antonia Debrige la somma di L. 23 mila, avuta a titolo di prestito all'interesse del 4%. Nel frattempo Suor Celestina per la sua condotta era stata espulsa dalla casa religiosa; e, giacché essa ricusava di pagare il suo debito, Antonia Debrige ricorse alla Superiora Generale perché pagasse in sua vece; quindi, siccome questa negava di avere tale debito, chiese alla S. Sede di intentare causa alla stessa Congregazione delle Suore di S. Giuseppe, presso il tribunale della S. Rota.

Sentenza. - La causa, ex commissione SS.mi, fu trattata in prima istanza dalla S. Rota sul seguente dubbio concordato tra le parti: An Congregatio Sororum a S. Joseph, vulgo a Bono Pastore, solvere teneatur pecuniam, quam a domina Antonia Debrige Soror a S. Coelestino habuit.

Ed il 16 agosto 1915 i rev.mi Monsignori Sincero, Ponente, Mori e Cattani, Uditori di turno, emisero sentenza definitiva, rispondendo negativamente al dubbio proposto, cioè: ex hactenus deductis in causa, Congregationem Sororum a S. Joseph, vulgo a Bono Pastore, solvere non teneri pecuniam, quam a domina Antonia Debrige soror a S. Coelestino habuit.

Osservazioni. - I patroni dell'attrice ritenevano che la Congregazione era obbligata a restituire il danaro che Antonia Debrige aveva imprestato a Suor Celestina per due motivi: 1) quia monasterium seu conventus in causis civilibi tenetur loco sudditi seu religiosi; 2) quia in caso damnum, quod Antonia passa est, superioribus eiusdem Congregationis ob earum negligentiam imputandum est.

Orbene quanto al primo motivo: a) il principio giuridico secondo il quale e in causis civilibus non est conveniendus Religiosus sed Monasterium ipsius » vale per i religiosi di voti solenni, ma non si può applicare ai Religiosi di voti semplici. Questi conservano la personalità giuridica, quindi nelle obbligazioni che contraggono, possono e debbono essere citati essi stessi, non la Congregazione a cui appartengono. b) In materia non è possibile l'estensione da un caso all'altro, narra diversa omnino est ratio, et « quae a iure communi exhorbitant, nequaquam ad consequentiam sunt tractanda » (R. I. 28 in 6°). c) Anche se ha luogo il consenso dei superiori, questo, nelle Congregazioni di voti semplici, toglie l'obice che il religioso aveva a contrarre, ma per se non obbliga la Congregazione stessa, nisi consensus explicite, vel saltem ex rerum circumstantiis induat naturarn mandati.

Nel caso la Congregazione delle Suore di San Giuseppe è senza dubbio di voti semplici; inoltre trattandosi di mutui, contratti segretamente, il consenso delle superiore non si può presumere, ma si deve provare.

Quanto al secondo motivo, il danno patito da Antonia Debrige non si può attribuire alla negligenza, delle superiore nel vigilare sulla condotta di Suor Celestina: a) Questo danno non deriva dal fatto che Antonia Debrige ha imprestato il suo danaro a Suor Celestina, ma piuttosto dal fatto che questa non restituisce la somma ricevuta. b) Se poi si vuol dire che Suor Celestina ha abusato della semplicità di Antonia usando frode per ottenere il prestito, si dovrebbe provare ciò giuridicamente e di più provare la colpa e la negligenza delle Superiore. Non bastano congetture e presunzioni, praesertim quia clam soror a S. Coelestino mutuum contraxit et accepit pecuniam, facta Antoniae lege secreti. At, ex hucusque allatis in causa, iuridica probatio deest.

Infine non si può dire che, anche prescindendo da colpa, la Congregazione sia obbligata nel caso quatenus mutuata pecunia conversa sit in utilitatem Congregationis, poiche ex actis et oblatis in causa non si prova che il danaro in tutto od in parte sia tornato a vantaggio della Congregazione. - (Acta A. S., VIII, n. 7, pag. 232).

V) Romana. - Circa la collazione d'un Beneficio. - 10 maggio 1916.

Fattispecie. - Il giorno 10 novembre 1914 moriva in Montefiascone Don Federico Savignoni, chierico beneficiato della Basilica Vaticana, ed avendo il rev.mo Capitolo, fra i moltissimi privilegi, dei quali gode, anche quello di conferire i Benefici minori della Basilica stessa, vacanti per morte del beneficiato in Roma, in qualsivoglia mese dell'anno, Mons. Ascenzo Dandini, Canonico di turno, nominò al beneficio già posseduto dal Savignoni il sacerdote Don Bernardino Bocchini, da circa 23 anni incardinato alla Basilica Vaticana e annoverato fra i chierici inservienti al Capitolo. Questa nomina fu impugnata dalla Dataria Apostolica, non solo perché ritenne che il Beneficio nel caso fosse riservato, ma anche perché era stato conferito ad un Chierico non Romano, contro il disposto della Bolla Dum singularem di Papa Leone X.

A risolvere tale questione il Sommo Pontefice, con biglietto della Segreteria di Stato in data 19 luglio 1915, nominò una Commissione speciale composta dei rev.mi Monsignori Sebastianelli, Decano della S. Rota, Cattani e Rossetti, Uditori del medesimo tribunale, alla quale concesse pieni poteri per giudicare definitivamente siffatta controversia ed emanare una sentenza iuris ordine servato.

Sentenza. -- La causa fu discussa sulla base del dubbio seguente, concordato tra le parti: « Se attesa la Bolla di Benedetto XIV Ad honorandam, la facoltà, che ha il Capitolo Vaticano di conferire i Benefici vacanti nella sua Basilica, sia soggetta alla riserva dei mesi contenuta nella Regola IX della Cancelleria Apostolica, nonché alla disposizione della Bolla Dum singularem di Papa Leone X ».

E la Commissione Pontificia, considerate attentamente in diritto ed in fatto le allegazioni delle due parti, in virtù delle facoltà speciali di cui fu munita dal Sommo Pontefice, decise che il rev.mo Capitolo Vaticano nella collazione dei Benefici minori della Basilica è soggetto alla Regola IX della Cancelleria Apostolica e alla disposizione della Bolla Dum singularem di Leone X; cioè rispose affermativamente alla prima ed alla seconda parte del dubbio proposto.

Osservazioni. --- La Regola IX della Cancelleria Apostolica con una formula generale, riserva, senza eccezione alcuna, tutti i benefici di qualsivoglia specie, in qualunque luogo esistenti, ed appartenenti a qualunque Chiesa, anche degna di speciale menzione, come sono le Patriarcali Basiliche di Roma, non esclusa la Vaticana, quando la vacanza avvenga extra Romanam Curiam, nei mesi di gennaio, febbraio, aprile, maggio, luglio, agosto, ottobre e novembre. Per questo tali mesi si dicono papali per distinguerli dagli altri quattro mesi (marzo, giugno, settembre, dicembre) che sono concessi agli Ordinari delle Diocesi.

Questa regola non solo è universalissima, ma conserva tutto il suo valore, se ad essa non viene fatta una deroga espressa ed esplicita.

Ora tale deroga in favore del Capitolo Vaticano non è contenuta nella Bolla di Benedetto XIV Ad honorandam, del 27 marzo 1752. Non solo non è contenuta esplicitamente, ma neppure si deduce dallo scopo che con essa Benedetto XIV si propose. Ed infatti come si dimostra con un minuto esame della Bolla, Benedetto XIV non intese di ampliare i diritti del Capitolo Vaticano in rapporto alla collazione dei Benefici, ma bensì i diritti rispetto alle chiese unite alla Basilica, nobilitate con speciali facoltà fino ad essere elevate ad un certo grado di giurisdizione.

Oltre alla Regola IX della Cancelleria Apostolica, il Capitolo Vaticano è anche soggetto alla Bolla Dum singularem di Leone X, la quale nei chierici da investire dei Beneficia di Roma richiede la qualità di cittadino Romano. Questa disposizione fu data per favorire i cittadini Romani di origine. Difatti nella stessa Bolla si eccettuano i Cardinali, ma questa eccezione sarebbe assolutamente inutile, se la qualità di cittadino Romano considerata nella Bolla fosse non solo l'originaria, ma anche l'acquisita o per ragione di domicilio, o per ragione di privilegio; imperocché, essendo i Cardinali cittadini romani di diritto, quantunque non sempre romani di origine, sarebbero stati compresi nella disposizione generale della Bolla Pontificia, senza bisogno di fare per essi una esplicita eccezione. In questo senso la Bolla citata fu intesa anche dalla consuetudine. Essa mantiene tutto il suo primitivo valore anche per la Basilica Vaticana, perché nella Bolla Ad honorandam, di Benedetto XIV non si legge una deroga espressa alla medesima. (Acta A. S., VIII, n. 7, pag. 239).

VI) De Manila. -Legatorum piorum. - 7 febbraio 1916.

Fattispecie. - Il 22 aprile 1565 approdarono alle Isole Filippine alcuni religiosi Agostiniani, i quali con tanto zelo attesero alla predicazione del Vangelo che meritamente furono detti apostoli di quella regione. In breve tempo si riunirono in una provincia a cui diedero il titolo del SS. Nome di Gesú, dividendola in quattro dipartimenti, cioè di Manila, della Pampanga, di Reslocos e di Zebut, e nell'anno 1578 nel paese di Candaba, a quindici leghe dalla città di Manila, edificarono un convento con una chiesa dedicata a S. Andrea, compiendo in essa tutti gli uffizi parrocchiali. Un secolo dopo questa fondazione, la piissima e ricchissima signora Lucia Gumamela, con suo testamento del 10 maggio 1679, lasciò due legati con onere di messe alla provincia sopraddetta ed al convento di Candaba.

Nella clausola 115 del testamento determinò una porzione di terreni dichiarando: « Li dono in elemosina alla provincia del SS. Nome di Gesú del nostro P. S. Agostino. A volontà del nostro P. Provinciale si dovranno fondare cappellanie ed applicare messe pei i miei genitori, per i miei fratelli... e per me ».

E nella clausola 116 designò altra porzione di beni dichiarando: « Li lascio in elemosina al convento di S. Andrea di questo paese di Candaba, e che il Priore... a sua volontà eriga cappellanie, perché godano di messe le anime dei miei genitori e dei miei fratelli ». Gli Agostiniani presero possesso dei beni loro donati dalla pia signora ed adempirono agli oneri imposti nella propria chiesa. Le cose, dopo varie vicende, continuarono in questo modo fino all'anno 1898, nel quale le Isole Filippine passarono sotto il dominio degli Stati Uniti. Allora i Religiosi furono obbligati a lasciare le loro chiese ed in loro vece furono messi preti secolari. Nel paese di Candaba la cura d'anime col convento e chiesa di S. Andrea fu affidata al rev. Vicenzo Lapus, il quale, reputando che i beni lasciati dalla signora Gumamela appartenessero alla chiesa di S. Andrea, nel 31 dicembre 1904 citò i Padri Agostiniani dinanzi al tribunale dell'Arcivescovo di Manila domandando che a lui, come parroco di Candaba, fosse ceduta l'amministrazione dei beni sopraddetti. Nel 14 agosto 19o8 usci sentenza favorevole all'attore. Contro questa sentenza la provincia del SS. Cuore di Gesú ricorse al vescovo piú vicino della diocesi Nova Caceres, a cui l'appello spetta di diritto secondo la Costituzione Exposcit di Gregorio XIII; ma avendo il Procuratore della provincia lasciato trascorrere il termine utile di trenta giorni senza comparire innanzi al giudice di appello, la lite fu dichiarata deserta e la sentenza passò in giudicato.

Nella consegna dei beni sorsero nuove difficoltà, poiché il parroco rifiutò i beni designati nella clausola 116 affermando che a lui erano dovuti anche i beni designati nella clausola 115. Inutilmente gli Agostiniani chiesero una istruzione speciale che determinasse quali beni si dovevano consegnare, e protestarono contro l'ordine di consegnare tutti i beni nel termine di otto giorni. Per evitare scandali la Provincia fece la consegna dei beni, ma nello stesso tempo fece ricorso al Supremo Tribunale della S. Rota.

Sentenza. -- La causa fu trattata presso la S. Rota sui seguenti dubbi concordati tra le parti:

1) An sit locus restitutioni in integrum a sententia Curiae Archiepiscopalis de Manila die 14 augusti 19o8. Et quatenus affirmative . 2) Ad quem pertineat dominium controversorum bonorum cum fructibus legatore;, a pia femina Lucia Gumamela in casu.

Ed i rev.mi Monsignori Sebastianelli, Decano Ponente, Many e Prior, Uditori di turno, omnibus rite consideratis ac sedulo perpensis, con sentenza del 7 febbraio 1916, risolsero i dubbi proposti in favore dei Padri Agostiniani, cioè risposero:

Ad I. affirmative ; Ad II. dominium controversorum, bonorurn (cum fructibus) legatorum a pia femina Lucia Gumamela pertinere ad Fratres Augustinianos Provinciae SS.mi Nominis Jesu.

Osservazioni. - 1) La restitutio in integrum è un rimedio giuridico straordinario « remedium iuris extraordinarium, quo notabiliter laesus in eum statum, seu ius reducitur, in quo fuerat ante lesionem ». Richiede tre condizioni: a) lesione grave; b) inganno dell'avversario, oppure negligenza od ignoranza del procuratore; c) causa giusta. Quando però si tratta di minorenni o di istituti ecclesiastici, che in materia sono equiparati ai minori, la causa giusta non si richiede, o piuttosto si presume sempre, ob favorem infirmae aetati aut religioni debitum. Nel caso la sentenza del tribunale di Manila recò grave danno agli Agostiniani e l'appello mancò del suo effetto per ignoranza o negligenza del Procuratore; per questo fu loro concessa la restituito in integrum, tum contra sententiam 14 augusti 19o8, tum contra decreta, quae ab illa pendent.

2) La soluzione del secondo dubbio si fonda sulla natura dei legati costituiti dalla signora Lucia Gumamela. Il Berardi nei suoi commentarii in ius ecclesiasticum universum (vol. 1, pag. 441), cosí spiega la differenza tra la cappellania propriamente detta ed i semplici legati: « Distat capellania ab anniversariis ceterisque piis defunctorum relictis, quod in capellania certi fundi demonstrantur, atque a patrimonio seu hereditate fundatoris, segregantur, quasi dos eiusdem capellaniae adsignanda capellano, sed in anniversariis ceterisque piis relictis, praecipua habetur personalis obligatio heredibus imposita, etiam sine ulla designatione fundorum ». Talvolta il testatore destina certi terreni per l'adempimento del legato, però la designazione non ha per effetto di separare tali beni dalla massa della eredità, ma solo di far conoscere agli eredi quali sono i fondi coi quali debbono eseguire la sua volontà. Dalle quali cose appare che la sig. Gumamela nelle clausole 115 e 116 del suo testamento non fondò vere e proprie cappellanie, ma solo costituí anniversaria aut salaria cum onere missarum. Ed in questo senso intesero la volontà della testatrice i legatari, i quali presero possesso ed amministrarono i beni lasciati dalla signora Gumamela in nome della provincia e del convento di S. Andrea, separandone una parte per eseguire la volontà della sia signora.

Con ragione adunque, nella sentenza, tanto i beni della clausola 115, come quelli della clausola 116, furono attribuiti ai Padri Agostiniani: a) perché a loro appartengono secondo la disposizione della testatrice; b) perché non si prova che la parrocchia di S. Andrea ha acquistato tali beni né per legittima cessione degli stessi religiosi, né per legittima prescrizione.

3) La restituzione dei frutti si deve fare secondo le norme del diritto comune. Quindi: a) si debbono restituire tutti i frutti percepiti dopo la domanda di restituzione in integrum; i frutti già consumati devono essere restituiti in altera specie p. e. in danaro; b) quanto ai frutti percepiti prima di tale domanda, non si devono restituire quelli che praescriptione triennali acquisiti sunt, tutti gli altri si devono restituire, modo non sint consumpti.

Non si può invocare in favore del parroco il principio che possessor bonae fidei omnes fructus facit suos, perché si tratta di un istituto speciale, della restituzione in integrum, quae propriis legibus regitur et cui proìnde applicari nequit theoria possessionis bonae fidei.

Si deve però notare che i frutti si computano, fatta la deduzione delle spese contratte per la loro raccolta e conservazione. - (Acta A. S., VIII, n.8, pag. 275)

Supremo Tribunale della Segnatara Apostolica.

I) Vicentina. - Exemptionis et funerum. - 28 aprile 1916.

Fattispecie. - A Vicenza esistevano anticamente l'Ospedale di S. Antonio ed altri minori, i quali nel 1773 furono riuniti in un solo, che sorge tuttora nel territorio della parrocchia di S. Marco, col nome di Ospedale grande degli infermi e poveri, detto anche di S. Bartolomeo, perchè gli fu assegnata la chiesa dedicata a questo santo. La cura spirituale dell'Ospedale fu affidata prima ai Cappuccini (1775-1806), poi ai Minori Osservanti (1807-1810), in seguito a sacerdoti secolari (181o-1824), e in fine dal 1824 fino ad oggi ai Frati Minori Riformati. Negli statuti dell'anno 1773, e in una convenzione stipulata il 13 febbraio 1786 tra l'Ospedale ed il parroco di S. Marco, si riconosce all'Ospedale l'esenzione dalla cura e giurisdizione parrocchiale; ed i Minori Riformati, che dal 1824 esercitano l'uffizio di Cappellani, presero la cura dell'Ospedale col patto, accettato dal Vescovo, di osservare gli statuti dell'anno 1773.

Ora l'attuale parroco di S. Marco riprese la questione che aveva già incominciato il suo antecessore contro i cappellani dell'Ospedale di San Bartolomeo circa la giurisdizione del parroco di S. Marco ed il diritto di sepoltura per i fedeli morti nell'Ospedale. La S. Rota, con sentenza del 3o marzo 1915, confermando il dispositivo di una precedente sentenza della Curia di Vicenza, aveva deciso essere l'Ospedale di S. Bartolomeo pienamente esente dalla giurisdizione parrocchiale, eccettuati solo i Sacramenti del Battesimo e del Matrimonio. Contro la sentenza della S. Rota il parroco ricorse alla Segnatura Apostolica, e tra le parti furono accordati i dubbi seguenti:

1) An sit locus circumscriptioni seu rescissioni sententiae Rotalis in casu? Et quatenus « negative »:

2) An sit locus restitutioni in integrum?

Sentenza. -- Gli Em.mi Membri del Supremo Tribunale, nella piena Segnatura dell'11 marzo 1916, a relazione del Prefetto Card. Lega, dopo maturo esame della questione, risposero ai dubbi proposti: Negative ad utrumqua; scilicet non esse locum neque nullitati Sententiae Rotalis in casu, neque circumnscriptioni seu rescissioni, neque beneficio restitutionis in integrum.

Osservazioni. - 1) Anzitutto si stabilisce il principio che la Segnatura sottopone ad esame le Sentenze Rotali che, essendo conformi ad altra precedente, costituiscono la res iudicata e sono perciò in via di esecuzione.

In tale revisione non si propone di determinare il diritto delle parti, ma giudica solamente se la sentenza sia a no conforme alle leggi o norme cano niche. Non si può quindi chiamare tribunale di appello, ma come i supremi tribunali civili, detti di Cassazione, è tribunale costituito pro vigili legum tutela, ne istae scilicet in iudiciis pessumdentur.

2) Ora il procuratore del Parroco di S. Marco denuncia la Sentenza Rotale in questione di nullità, od almeno ne chiede la cassazione, perchè la ritiene fondata su una base falsa, cioè sulla prescrizione, che nel caso non potè aver luogo, mancando l'elemento fondamentale del possesso non equivoco, continuato per il tempo richiesto dalla legge. Infatti, afferma il procuratore, dalle deposizioni dei testimoni non si prova che i cappellani siano stati in possesso o quasi possesso del diritto di compiere i funerali propriamente detti, secondo le leggi del rituale, e che questo possesso sia stato diuturno, continuato cioè per lo spazio di 4o anni. Inoltre il possesso nel caso sarebbe stato solo apparente e precario in quanto che i cappellani debbono ogni anno domandare alla Curia la conferma delle potestà ministeriali.

3) Ma contro tali affermazioni si osserva anzitutto che i difetti accusati non provano punto la nullità della sentenza, perchè non si eccepisce alcun difetto di citazione, di competenza, di mandato, od altra mancanza sostanziale o formale per cui si debba dichiarare la nullità della medesima. Neppure nel caso si può trattare del rimedio straordinario della restitutio in integrum, non trovandosi la parte in condizione giuridica diversa da quella in cui era quando fu pronunziata la Rotale; non produce infatti documenti nuovi, nè dimostra la falsità dei documenti già prodotti.

4) Dunque non rimane che l'esame della rescissione, se cioè la sentenza si manifesti erronea per falsa interpretazione della legge applicata, oppure per falso apprezzamento del fatto prospettato nel caso. Ma dall'esame della sentenza, in confronto cogli atti della causa, risulta chiaro che io stato di fatto non è alterato. Infatti l'Ospedale fin da quando cominciò ad esistere e poi sempre in seguito si trova in possesso dei diritti di esenzione, come si deduce dagli Statuti dell'anno 1773 e dal testo della convenzione del 1786.

Inoltre il fondamento giuridico di questo fatto storico si trova nelle leggi sinodali Vicentine, sia antiche che recenti, ed anche nella speciale convenzione con cui i Minori Riformati nel 1824 accettarono la cura dell'Ospedale,

5) Stando così le cose in diritto ed in fatto, si giudica degna di conferma la Sentenza Rotale. Non nuoce il fatto che essa, scartando le altre motivazioni della Curia di Vicenza, adduce come fondamento giuridico solo la prescrizione, la quale di fatti non poté avere luogo, poiché non si poteva prescrivere un diritto che in realtà i parroci non hanno mai esercitato e neppure poterono esercitare opponendovisi le leggi diocesane. Si tratta solo di una lieve inesattezza di espressione giuridica che in nessun modo influisce sul dispositivo della Sentenza Rotale, tanto piú che essa anziché di prescrizione sembra tratti di consuetudine, e sovente invoca questa consuetudine immemorabile, elle ha origine anteriore all'unione stessa degli Ospedali. - (Acta A. S., VIII, n. 6, pag. 206).

II) Salutiarum. -lurium, sive nullitatis sententiae Rotalis, - 28 giugno 1916.

Fattispecie. - La chiesa parrocchiale di Saluzzo, in diocesi di Torino, nel 1483, con decreto del Card. Domenico della Rovere, vescovo di Torino e Legato Apostolico nella Savoia, fu eretta in Collegiata, e nel 1511 fu elevata da Giulio II alla dignità di chiesa cattedrale. Il Legato Apostolico aveva stabilito che la cura d'anime spettava alla dignità arcipresbiterale; tuttavia nel corso dei secoli non mancarono controversie tra l'Arciprete ed il Capitolo, ed anche recentemente nacquero questioni concernenti la cura abituale ed attuale. Di esse già si occupò il tribunale della S. Rota in tre turni successivi. La prima sentenza era stata favorevole all'Arciprete, ma la seconda del 1° luglio 1913, confermata poi dalla terza del 15 luglio 1915, fu favorevole al Capitolo. Il dispositivo dell'ultima sentenza nella sua parte sostanziale si riduce a due punti: 1) In base al diritto comune, alla Bolla di erezione ed alle congetture, spetta al Capitolo la cura d'anime abituale, all'Arciprete l'attuale; 2) All'Arciprete compete tutta la cura attuale, meno quattro diritti acquistati dal Capitolo, in virtú di una consuetudine immemorabile. Tali sono il diritto di cantar messa praesente cadavere, il diritto di benedire le case nel tempo pasquale, il diritto di predicare ed il diritto di ascoltare le confessioni dei fedeli. Essendovi due sentenze conformi si formava la res iudicata, contro cui da parte dell'Arciprete si fece ricorso alle Segnatura Apostolica proponendo i seguenti dubbi:

1) Sitne nulla rotalis sententia, vel situe locus eius circumscriptioni seu rescissioni in caso.

Et quatenus negative:

2) Sitne focus restituzioni in integrum in casu.

Sentenza. - Nella piena Segnatura del 13 maggio 1916, a relazione del Card. Cassetta, i due quesiti furono sottoposti a maturo esame, dopo il quale gli Em.mi Membri del Supremo Tribunale risposero: Negative ad utrumque.

Osservazioni. - 1) Quanto al primo quesito. - Siccome la parte ricorrente non insiste sulla questione della nullità, la controversia si riduce a due punti, se cioè laa sentenza impugnata: a) manifeste in legem peccet, an b) factorum perversionem

Ed il Supremo Tribunale, con attenta e minuta analisi degli argomenti addotti nel ricorso, dimostra che essi non sono sufficienti per provare che nella sentenza ebbe luogo manifesta violazione delle leggi canoniche o tale travisamento dei fatti, per cui si debba venire alla cassazione della medesima.

2) Quanto al secondo quesito. -- Brevemente si osserva che nel caso non si verifica nessuna delle cause che sarebbero richieste perché si debba concedere il rimedio straordinario della restituzione in integrum. Di fatti non si dimostra falsità o adulterazione, dei documenti già prodotti, non si trovò alcun documento pubblico o privato con cui si provi un fatto nuovo che possa influire nella causa. Né infine intervenne alcuna ragione non ancora considerata che dimostri detrimento grave e manifesto del buon diritto. -- (Acta A. S., VIII.. n. 8, pag. 287).

AZIONE SALESIANA.

I.

Diffondiamo la conoscenza degli Istituti Salesiani.

I Cooperatori Sacerdoti conoscono assai bene le varie nostre case, Collegi, Istituti ed Ospizi, disseminate in ogni regione d'Italia, con scuole elementari, ginnasiali, normali, tecniche e liceali, o con scuole professionali. Ebbene, a chi li richiedesse di un collegio ove collocare qualche giovinetto, al quale si vuole che sia data una sana educazione religiosa e civile senza timore di pregiudicare la buona riuscita scolastica, vogliano additare l'indirizzo delle varie direzioni per avere il programma dell'istituto. E un'opera buona che essi faranno, della quale e le famiglie e i figli di Don Bosco saranno loro altamente riconoscenti.

NB. - Si vedano ad es. nel Bollettino comune di settembre, a pag. 286, i brillanti risultati ottenuti dagli alunni del Collegio Municipale di Alassio sulla riviera ligure, con scuole elementari, ginnasiali e liceali, e del Collegio S. Basilio di Randazzo in Sicilia.

II.

Zeliamo l'adozione di buoni libri di testo.

Ai Rev.mi Rettori ed Insegnanti delle scuole medie dei Seminari e a tutti i RR. Parroci e Sacerdoti, rendiamo noto che la Libreria Editrice Internazionale della «Buona Stampa» pubblicherà quanto prima il nuovo Elenco dei Libri di Testo per l'anno scolastico 1916-1917.

La scelta dei libri di testo per le scuole è indubbiamente una delle cose che maggiormente preoccupano gli educatori in genere, i padri di famiglia in ispecie. Trovare un libro ben fatto, il quale risponda pienamente alle esigenze dei programmi e delle disposizioni governative e nel tempo stesso nulla contenga che disdica sotto l'aspetto morale e religioso, sicché il giovane allievo possa adoperarlo senza pericolo alcuno, è cosa delicata e insieme difficile e importante. Nell'intento di provvedere a questo bisogno universalmente sentito, vari Congressi Salesiani fecero voti che i Figli di Don Bosco dessero in tempo la maggior pubblicità possibile all'elenco dei Libri di testo, che unitamente al programma scolastico sogliono diramare ogni anno alle loro Scuole Liceali, Ginnasiali, Normali, Complementari ed Elementari. E cosí abbiam fatto. Anche quando la Libreria Internazionale della « Buona Stampa » si fece rilevataria della Libreria Salesiana di Torino, non mancammo di assicurarci che la santa iniziativa avesse a continuare inalterata: e siamo ben lieti di dichiarare che realmente essa continua ad essere, sotto ogni aspetto, degna di fiducia.

Anche la produzione libraria della Libreria Internazionale della « Buona Stampa » merita ogni elogio. Basta dare uno sguardo ai catalogi.

Nel Catalogo EDIZIONI SCOLASTICHE per le Scuole elementari, urbane, rurali, popolari, serali e festive, troviamo i libri di lettura : Bontà e Sapere di G. Irlandi e F. Nolleti, Serate utili del prof. Carlo Zanoni, Vita Campagnola di Carlo Prandi, e Scuola di Campagna di Ines Signorini Benedetti: la Grammatichetta della lingua italiana di F. Tonelli e A. Bongiovanni: la Grammatica italiana e Per imparare a comporre di Secondo Mollo; e tanti altri testi, ben fatti e ben stampati, che dobbiamo, valendoci delle nostre conoscenze personali e della nostra influenza, largamente diffondere.

Nel catalogo per le Scuole Medie, le antologie: Per la mente e pel cuore di F. Zublena, Voci della Vita di Carlo Calcaterra, le varie Antologie Italiane del Martina, e, con tanti altri testi, le nuove collane di Scrittori latini e Scrittori greci commentati per le scuole, superiori ad ogni encomio, meritano egualmente, nei Seminari e in tutti i buoni Istituti, e nelle stesse pubbliche Scuole, la più larga diffusione.

Ben a ragione, la Civiltà Cattolica si domandava: « Dove sono in Italia i buoni libri di testo? » e rispondeva: « Ben è vero che tra noi non ce n'è quell'abbondanza che hanno avuto cura di comporre per tempo i cattolici in Francia, ma ce n'è a sufficenza e può vederlo ciascuno da sé nei catalogi di libri scolastici, messi a disposizione di tutti gli istituti cattolici dalla Libreria Editrice Internazionale della « Buona Stampa e di Torino, rilevataria delle edizioni salesiane. Ivi sono enumerati i migliori e piú sicuri libri di testo, non solo di propria edizione, ma anche di tutte le altre case editrici italiane, quali quelle di Paravia. Vallardi ed altre. Favoriamola questa buona stampa!... ».

« Favoriamola! » ripetiamo anche noi, e chi, interessato, non avesse ricevuto gli accennati Catalogi delle Edizioni scolastiche o non ricevesse il nuovo Elenco, li chieda alla Libreria Internazionale della « Buona Stampa » di Torino, o alle sue filiali di Parma e di Catania e sarà soddisfatto. Abbiamo poi tutti la cura di esaminarli e di sceglierne e consigliarne tutti quei libri che ci è possibile, affidando le relative commissioni di acquisto alle Librerie suddette che si pongono a nostra disposizione e c. faranno ogni possibile facilitazione.

Cerchiamo nuovi Cooperatori.

Il Ven. Don Bosco, istituendo la Pia Unione dei Cooperatori Salesiani, intese di suscitar nel mondo una nuova e operosa potenza di bene. Infatti affidò ad essi lo stesso programma della Pia Società Salesiana, affinché fossero altrettanti Salesiani in mezzo al mondo. Coloro che non possono operare direttamente, aiutano colle loro elemosine i Salesiani, e tutti procurano alle Opere di Don Bosco l'appoggio materiale e morale di altre persone e le benedizioni di Dio colla preghiera.

Per iscrivere nuovi Cooperatori a Cooperatrici Salesiane basta inviare il loro nome, cognome e indirizzo al Successore di Don Bosco, rev.mo sig. Don Paolo Albera, o all'Ufficio dei Cooperatori .Salesiani, Via Cottolengo, 32 - Torino.

IV.

Sosteniamo l'opera dei Figli di Maria Ausiliatrice.

Il Ven. Don Bosco per procurare alla Chiesa nuovi e zelanti sacerdoti, istituí l'Opera dei Figli di Maria Ausiliatrice, la quale consiste in un corso speciale di studi per giovani adulti che intendono consacrarsi a Dio nello Stato Ecclesiastico. A questo fine sono destinati vari nostri istituti, tra cui il Collegio S. Pio V di Penango Monferrato. Questo, anche per la sua posizione climatica, è assai confacente a giovani che in età un po' avanzata intraprendono gli studi classici, trovandosi l'istituto in aperta campagna e in collina. Colà si possono inviare quei buoni giovani (dai 15 ai 25 anni) che, compiute le elementari, diano speranza di riuscir degni ministri del Signore. Noi facciano calda preghiera a tutti i zelanti Cooperatori Sacerdoti, in modo speciale ai RR. Parroci e Direttori di Oratori festivi, perche, trovato un giovane che meriti di esser avviato per questa via, lo aiutino a superare le difficoltà di famiglia e gli altri impedimenti, e procurino di indirizzarlo all'accennato Istituto. A coloro che hanno ferma volontà di recarsi nelle nostre Missioni Estere si faranno grandi facilitazioni.

Penango Monferrato si trova sulla linea AstiCasale-Mortara. Il nome della Casa è Istituto San Pio V. Si domandi a quella direzione o al sig. Don Paolo Albera, Via Cottolengo, 32 - Torino, copia del programma per piú ampie spiegazioni.

V.

Promuoviamo ascrizioni all'Associazione dei divoti di Maria Ausiliatrice.

L'associazione dei devori di Maria Ausiliatrice fu stabilita dal Ven. Don Bosco nel 1869, e nel 1870 elevata dal S. Padre Pio IX al grado di Arciconfraternita.

Agli ascritti si propongono due cose: « Promuovere la gloria della Madre del Salvatore, per meritarsi la protezione di Lei in vita e particolarmente in punto di morte; e promuovere e dilatare la venerazione a Gesù Sacramentato ».

Non occorre alcuna offerta né alcun modulo per l'ascrizione. Ogni Cooperatore può cercare nuovi ascritti. Noli manchi però d'inviare a Torino il loro nome e cognome. Per chi desidera la medaglia e il libretto dell'Associazione, ove sono elencati i favori spirituali concessi agli associati, è sufficiente una libera offerta, anche di pochi centesimi.

VI.

Curiamo l'erezione di nuove associazioni dei divoti di Maria Ausiliatrice.

Preghiamo i rev.mi Parroci a Rettori di chiese ad erigere localmente l'Associazione dei divoti di Maria Ausiliatrice. A tal fine essi debbono:

1° presentare gli Statuti dell'Associazione al proprio rev.mo Ordinario per ottenere il decreto di canonica erezione;

2° comunicare il decreto di erezione al nostro Rettor Maggiore, chiedendo l'aggregazione all'Arciconfraternita, mercé la quale vengono comunicate agli ascritti tutte le indulgenze.

L'erezione dell'Associazione, servirà mirabilmente a preparare la via al pio Esercizio dei 24 del mese, esercizio che torna cosí efficace a promuovere la frequenza ai Santi Sacramenti e quindi la pietà tra il popolo cristiano.

NB. - A facilitare tali erezioni il nostro Rettor Maggiore Don Albera invierà a quanti gliene faranno domanda tutti i moduli necessari.

Tracce di fervorini

PEL GIORNO 24 DI OGNI MESE.

Non potendo dare alcuni schemi relativi al Culto di Maria SS. Ausiliatrice, ci permettiamo di proporre i temi seguenti :

24 settembre. - Istituzione della festa di Maria SS. Ausiliatrice (di cui parlammo largamente l'anno scorso in occasione della ricorrenza centenaria) ;

24 ottobre. - Il culto di Maria SS. Ausiliatrice e la divozione del S. Rosario;

24 novembre. - L'aiuto che Maria Santissima dà ai veri cristiani in vita, in morte e specialmente dopo morte, liberandoli dalle pene del Purgatorio;

24 dicembre. - Maria Ausiliatrice e la pace nell'ora presente. (Si promuova una funzione speciale pro pace).