BS 1910s|1916|Bollettino Salesiano Maggio 1916

BOLLETTINO SALESIANO

PERIODICO MENSILE DEI COOPERATORI DI DON BOSCO

ANNO XL - N. 5   1 MAGGIO 1916

2° SUPPLEMENTO PER I SACERDOTI

SOMMARIO

Lo spirito sacerdotale del Venerabile Don Bosco.

Il programma pratico della vita sacerdotale del Venerabile Don Bosco,

,,Sulla frequenza della S. Comunione" - Discorso inedito del Venerabile.

Ricordi e ammaestramenti paterni.

Alcuni consigli dei Ven. Don Bosco per predicare con frutto ---- Come si deve predicare „ la parola di Dio" (Da un discorso di PP. Benedetto XV).

Il vero concetto della scuola popolare di Religione. Un modello di Sacerdote Cooperatore.

,,Acta Apostolicae Sedis": riassunto di tutti gli atti pubblicati dal mese di gennaio al 30 aprile.

Azione Salesiana: Per la festa di Maria Ausiliatrice: Schemi di conferenze ai Cooperatori - Norme e raccomandazioni - Tracce di fervorini pel 24 del mese - Noterelle pratiche - Concorsi per le „Letture Cattoliche".

Ricordando.

Si diffonda l'Associazione dei divoti di Maria Ausiliatrice.

Lo spirito sacerdotale del Ven. Don Bosco.

In un lungo colloquìo, che la bontà del Sommo Pontefice Pio X mi concesse il 20 luglio 1914, cioè trenta giorni prima della sua morte, il discorso cadde sul Ven. Don Bosco, la cui causa di Beatificazione andava io patrocinando, se non con abilità, certo con grande amore e con profondo convincimento; e non potei a meno di esternare tutta la mia ammirazione per quest'uomo, che fin dai primi anni di mia giovinezza ho considerato come il piú grande e il piú benemerìto apostolo del secolo XIX. E dicevo al Santo Padre che nello studiare il voluminoso Processo di Torino, piú che la grandezza e l'esteriorità dell'opera sua colossale, mi aveva colpito quella vita interiore di spirito, da cui nacque e si alimentò tutto il suo prodigioso apostolato. Del Ven. Don Bosco molti conoscono soltanto l'opera esteriore, che poté forse a taluno sembrare un po' rumorosa, ma ignorano in gran parte quell'edificio sapiente e sublime di perfezione cristiana, che egli aveva eretto pazientemente nell'anima sua, coll'esercitarsi ogni giorno, ogni ora, ogni momento, in tutte le virtú proprie del suo stato sacerdotale. Padre Santo - io proseguiva - se tutti avessero una conoscenza intima e completa di questo secondo lato della figura di Don Bosco, quanto sarebbe maggiormente apprezzato quest'uomo, che pur gode di una estimazione cosi profonda ed universale!

Ed in verità parmi che Don Bosco abbia avuto uno spirito sacerdotale cosí perfetto, che bene a ragione potrebbe additarsi a modello a tutti i sacerdoti, i quali amano compiere utilmente e santamente il loro ministero.

Il sacerdote deve essere l'uomo di Dio, affrancato cioè da tutte le cure del mondo, per vivere in un ambiente sereno e, dìrei quasi, soprannaturale, donde possa irradiare sugli uomini la luce e il sorriso dei celesti contatti. Don Bosco, distaccato da ogni cura terrena, seppe elevarsi a questa atmosfera spirituale e, nella illibatezza dell'anima assetata del suo Dio, poggiare a quella perfezione cristiana, che rende feconda l'opera sacerdotale, perché le dà come un'impronta divina. Tutto ciò rifulge mirabilmente nel Ven. D. Bosco, la cui vita intima, fatta di silenzio e di raccoglimento, di orazione e di sacrifizio, di semplicità e di sublimità, e arrìcchita di una continua serie di atti eroici che lo tengono costantemente unito al suo Dio, è quanto di piú perfetto possa desiderarsi in un'anima sacerdotale.

Il sacerdote deve essere uno strumento docile, che si presti a secondare e coadiuvare gl'intendimenti nobilissimi del Vicario di Cristo, non solo coll'opera dìsinteressata e con lo slancio fervido del soldato, che non perda mai di mira i cenni del capitano, ma altresí con la generosità pronta a tutte le rinunzie, anche se queste dovessero costare lacrime e sangue. Questo, che è un contrassegno del vero spirito sacerdotale, abbellisce tutta la vita e l'apostolato del Venerabìle.

Dal momento che si consacra alla modesta missione degli Oratori, fino a quando pone il suggello alla sua opera grandìosa, egli ha inteso sempre uniformarsi alla volontà del Pontefice, seguendola fedelmente, interpretandola sinceramente e additando di continuo ai suoi figli, nel Supremo Gerarca, sìa la pietra miliare che deve segnare l'inizìo del loro apostolato, sia la stella polare cui debbono convergere intelletto e volontà, pensiero ed opera di tutti i membri della forte milizia cristiana.

Il sacerdote infine deve essere l'uomo del popolo, spiegando lo zelo piú ardente per provvederne ai bisogni morali e materiali, sull'esempio del Divino Maestro, che nella sua opera Messianica, rivolta sopra tutto agli umili ed ai sofferenti, indicò chiaramente quale fosse il campo di azione, ove deve svolgersi il ministero del sacerdote, e quali fossero i metodi e i criteri, cui deve ispirarsi. Don Bosco, nel contatto coi figli del popolo, ritrovò la via dell'apostolato cristiano, e su questa via corse gigante, lavorando infaticabilmente in una serie molteplice di opere, che lo rivela apostolo e combattente per la santa causa popolare. In questo lavoro lungo e paziente spicca tutto lo spirito del sacerdote cattolico. Facendosi umile cogli umili, ne conobbe tutti i bisogni e le aspirazioni legittime, che cercò di soddisfare; ne scrutò il cuore e gl'intendimenti, e si studiò di volgerli al bene; andò ai giovinetti col sorriso bonario dell'amico, e ne ebbe tutta la confidenza; diffuse su di essi le sue larghe tenerezze di padre, e ne ebbe ricambio di affetto gentile e cristiano, in cui si ravvisa il secreto dei grandi successi dell'Opera Salesiana.

Studiare, analizzare e far conoscere questo spirìto sacerdotale di Don Bosco, è, a mio avviso, la miglior maniera per creare e addestrare una legione di sacerdoti zelanti, che in quest'ora critica della storia sappiano combattere la loro onorata battaglia.

Roma,

MOns. CARLO SALOTTI.

Il programma pratico della vita sacerdotale del Ven. Don Bosco

Conclusione degli Esercizi fatti in preparazione alla celebrazione della mia prima Santa Messa. - Il prete non va solo al cielo, né va solo all'inferno. Se fa bene, andrà al cielo colle anime da lui salvate col suo buon esempio; se fa male, se dà scandalo, andrà alla perdizione colle anime dannate pel suo scandalo. Quindi metterò ogni impegno per osservare le seguenti risoluzioni

1° Non mai far passeggiate, se non Per grave necessità, visite a malati, ecc.

2° Occupar rigorosamente bene il tempo.

3° Patire, fare, umiliarsi in tutto e sempre, quando trattasi di salvar anime.

4° La carità e la dolcezza di S. Francesco di Sales mi guidino in ogni cosa.

5° Mi mostrerò sempre contento del cibo, che sarà apprestato, Purché non sia cosa nocevole alla sanità.

6° Berrò vino adacquato e soltanto come rimedio : vale a dire solamente quando e quanto sarà richiesto dalla sanità.

7° Il lavoro è un'arma potente contro i nemici dell'anima; perciò non darò al corpo più di cinque ore di sonno ogni notte. Lungo il giorno, specialmente dopo il pranzo, noi prenderò alcun riposo. Farò qualche eccezione in caso di malattia.

8° Ogni giorno darò qualche tempo alla meditazione ed alla lettura spirituale. Nel corso della giornata farò breve visita, o almeno una preghiera al SS. Sacramento. Farò almeno un quarto d'ora di preparazione ed altro quarto d'ora di ringraziamento alla santa Messa.

9° Non farò mai conversazioni con donne, fuori del caso di ascoltarle in confessione o di qualche altra necessità spirituale.

22 agosto 1842

« SULLA FREQUENZA DELLA S. COMUNIONE »

(Discorso inedito del Venerabile Don Bosco)

NOTA DELLA REDAZIONE.

Questo discorso, nella sua semplicità, nel fervore apostolico, nella materia buona, ordinata e ricca di spunti caratteristici, ci fa conoscere assai bene quale fosse già in allora lo spirito del Ven. Don Bosco. Come non pensare al futuro « Apostolo della gioventú ».leggendo queste parole: «Voi, o figli e figlie, ora che siete sul fiore di vostra età, tempo in cui le opere cotanto sono gradite al Signore, deh! venite anche voi ad abbeverarvi in queste acque e chiedete il favore di poter evitare le astuzie del serpente insidiatore, di poter conservare un cuore intemerato e puro? » Come non ricordare lo zelo di

D. Bosco nell'ammonire i facoltosi circa l'obbligo della elemosina, incontrando queste altre parole:

« Voi, ricchi, venite a chiedere di poter fare buon uso di quei beni, che il Signore ha posto in vostro potere? »

Come non ammirare la vivezza della sua fede, vedendolo fin d'allora cosí pieno d'amore per le sante indulgenze? E seguendo le varie pratiche divote che propone in onore del SS. Sacramento, chi non pensa al fondatore dell' «Associazione dei divoti di Maria Ausiliatrice », cui egli propose e concretò la divozione alla B. Vergine coll'amore a Gesú Sacramentato?

Il lettore non manchi di notar l'anno in cui il discorso fu scritto, il 1842.

Erano ancor i tempi in cui, anche in Piemonte, dominava largamente il Giansenismo : e il Ven. Don Bosco, ordinato sacerdote nel 1841, prudentemente, per non urtare i seguaci dell'opinione contraria, ma senza incertezze esprime il suo pensiero come l'avrebbe espresso al termine della vita. Non aveva attorno a sé che un piccolo nucleo di giovanetti e solo nei giorni festivi, ed egli era ancor semplice alunno del Convitto Ecclesiastico, ma le sue idee su questo punto fondamentale della dottrina e della vita cristiana, erano già nette e precise.

« Quelli che si trovano disposti per comunicarsi ogni giorno, sarà la miglior cosa che essi possano fare se ogni giorno si comunicano, e si possono assicurare d'essere per quella strada che sicuri e franchi li conduce a salvamento ».

Pensando ai tempi apostolici - quando tutti i cristiani erano costanti « nello spezzare il pane Eucaristico » - il Venerabile giunge a dire di non poter « trattenersi dal pianto » e di sentirsi « tutto commosso di compassione al paragone di quei tempi della primitiva chiesa coi tempi presenti »; ma col suo zelo seppe rinnovare quei tempi nell'Oratorio e in cento altri istituti, che saranno veramente «,suoi », finche verranno allietati ogni giorno dall'edificante spettacolo della Comunione quotidiana!

Viae Sion lugent, eo quod non sint qui veniant ad solemnitatem (Thr. Jer. c. I, v. 4).

Il profeta Geremia al vedere trasmigrato tutto il popolo di Giuda nella Caldea, condotto fra gravi angustie ed afflizioni nella dura schiavirtú di Babilonia, costretto a vivere fra gli stenti senza che gli si concedesse alcun riposo, non poté quell'uomo di Dio trattenere il pianto per le calamità della sua nazione. Ma allorché portò lo sguardo sulla città di Gerusalemme, la vide tutta caduta dal suo decoro, fatta tra mucchio di pietre, quelle contrade sí frequentate ed allora tutte deserte, oh infelice città di Gerusalemme! si pose ad esclamare, città infelice E perché infelice? Perché, continua i suoi dolorosi lamenti, perché quelle contrade per le quali si ascendeva sul monte Sion, al Santo Tempio, quelle contrade ora erbose, panni vederle prorompere in pianto inconsolabile. Perché? Perché non v'é piú fedele che le frequenti per convenire alle solennità: Viae Sion lugent, eo quod non sint qui veniant ad solemnitatem.

Oh se quel profeta fosse per le nostre contrade, con quanto piú di ragione esclamerebbe, che le porte del Santuario e le strade che ivi conducono sono deserte, piangono perché i fedeli non vengono alle sacre solennità: Viae Sion lugent. Piangono perché gli uomini, non sono condotti, ma conducono se stessi ad essere schiavi del mondo, schiavi dei piaceri, schiavi dei divertimenti, senza darsi non mai riposo, e lasciano desolate le vie del Santuario. E invece di venir frequentemente a ricevere il ristoro delle anime loro, vanno perdutamente in cerca del miele del mondo, che altro gusto non lascia, se non se amarezza ed affanni. Infelici costoro che cercano pace ove pace non si può avere, cercano conforto ove altro non v'è che afflizione. Siccome, e voi ben lo vedete, costoro la sbagliano a gran partito, cosí per disingannare e preservare gli altri da un sí pernicioso errore, ho stimato di chiudere questo triduo delle 40 Ore con parlarvi della frequenza alle solennità di questo adorabile Sacramento: non della Solennità delle 40 Ore, di cui già abbiamo parlato; nemmeno delle solennità comuni; io voglio trattenervi intorno alle solennità personali, a cui ciascheduno facilmente può intervenire con vantaggio grande dell'anima propria.

E questo lo divideremo in due parti: Nella prima parleremo della frequenza della S. Comunione; nella seconda accenneremo alcuni atti di religione che si possono esercitare verso Gesú Sacramentato, con grande utilità spirituale. Vi prego di ascoltare colla solita benigna vostra attenzione quel poco che sono per dirvi; ricordandovi fin dal principio, che Gesú in Sacramento è una fonte di grazie e di benedizioni: ma bisogna saperne il modo; e questo sono per far io questa sera.

Fra i molti favori che speriamo quel Gesú ci voglia concedere, ci conceda anche questo: di poter riportare profitto dal presente trattenimento.

Ammirano gli uomini come i primi fedeli della Chiesa fossero sí fervorosi nelle cose del divino servizio, sí perseveranti nelle orazioni, sí fermi nell'amor di Dio e del prossimo; e perciò divenissero sí gran Santi. Questo lo ammiro anch'io; ma ammiro molto piú la trascuratezza de' fedeli dei nostri tempi nel non seguirli nelle pratiche di loro virtú. E che cosa era mai che li rendeva cosí forti nelle vie del Signore? Io dico francamente che era la frequenza della Santa Comunione; giacché non v'era cosa che fosse con tanto rigore comandata. Difatti se noi leggiamo la storia dei tempi apostolici, vediamo che tutti erano costanti nella dottrina, che loro veniva insegnata dagli Apostoli; e nello spezzar il pane Eucaristico, e comunicarsi: Erant perseverantes in doctrina Apostolorum, et communicatione fractionis Panis (1): S. Dionigi Areopagita scrive che celebravasi la messa, e dopo il Vangelo, tutti quelli, che non erano preparati a ricevere la SS. Eucaristia, erano cacciati dalla Chiesa; e gli altri, che rimanevano erano dal Vescovo esortati a comunicarsi. E conchiude con dire, che comunicatosi il celebrante, e dopo lui gli altri fedeli, rendendo grazie a Dio partivano dalla Chiesa: sumpta demum, atgue .... omnibus tradita communione divina, gratias referens, finem mysteriis imponit (De Eccl. Hier. cap. 3, par. 2). Onde il papa S. Anacleto ordinò che, finita la consacrazione, tutti si comunichino, se non vorranno che sia loro vietato l'entrare in Chiesa: perché, dice, cosí hanno ordinato gli Apostoli, e cosí tiene la Santa Chiesa Romana. S. Agostino pure a questo proposito, spiegando quelle parole del Pater poster: Panem nostrum guotidianum da nobis hodie, dice: dacci oggi il nostro pane quotidiano, cioè la tua Eucaristia, cibo d'ogni dí. Questa è pure la dottrina del Concilio Tr. il quale esorta caldamente i fedeli a voler sempre partecipare del Sacrifizio della Messa per via di Comunione. Ma ohimé!

Se ai nostri tempi non si permettesse d'entrar in chiesa se non a quelli, che si comunicano, povere chiese! Quanto pochi sarebbero quelli che le frequenterebbero, e andrebbero altrove a ridersi e burlarsi di chi le frequenta!

Ora, dicono quelli che hanno poca volontà d'avanzarsi nella via del Signore, quei tempi d'una volta sono passati, e adesso il mondo è pieno di peccati; epperciò è meglio andar piú di rado a comunicarsi, tanto piú che la Chiesa ci comanda di comunicarsi una sol volta l'anno. Attendete alla risposta.

Sono passati quei tempi antichi; sí, è vero; ma il Vangelo d'allora non è altresí quello che noi professiamo al presente? Non disse a tutti i fedeli indistintamente Gesú Cristo: Se non mangerete la mia carne, e beverete il mio sangue, non avrete vita in voi? Nisi manducaveritis carnem Filii hominis, et biberitis ejus sanguinem, non habebitis vitam in vobis? (1). Sapete quello che è passato? Oh! mi rincresce il dirlo. E passato lo spirito di religione. È passata la volontà di far bene. Sono passati non i doveri dei primi cristiani, ma l'impegno della salute; e questi sono i discorsi che tengono non già le persone dabbene, ma i libertini; quelli ai quali piace vivere a loro capriccio; e cosí si scusano, ed acquetano falsamente la loro coscienza con dire che sono passati i tempi d'una volta. Falso: falso.

Dicono in 2° luogo che il mondo è pieno di peccati, epperciò indegno d'accostarsi di frequente al Santo dei Santi. Questo ha un'apparenza di umiltà, ma a me pare piuttosto superbia. Notate però che quando dico comunicarsi sovente, non intendo comunicarsi colla coscienza rea di colpa grave; perché, come dice S. Giovanni Grisostomo, in questo caso invece di santificarci accrescerebbe la nostra condannazione! Provi ciascheduno se stesso, come dice S. Paolo, e se trovasi ben disposto, ben inteso col consenso del confessore, vada pure a cibarsi di quel Pane Celeste. Ma che poi per essere gli uomini molto inclinati al male, sia sufficiente motivo per non comunicarsi, questo è falsissimo; perché se uno trova che i peccati lo rendono indegno di comunicarsi oggi, domani ne sarà piú indegno perché aggiugnerà peccati a nuovi peccati; da qui ad alcuni giorni ne sarà indegnissimo, epperò non dovrà mai più comunicarsi. Di modo che se uno non è degno di ricevere Gesú Cristo coi peccati d'un giorno, come vorrà riputarsi degno coi peccati d'un anno? Onde, dice S. Agostino: Se noi ogni giorno pecchiamo e aggiungiamo peccato a peccato, ogni giorno ancora questo Pane mistico ci è necessario, il quale è certissima medicina all'anima affaticata, ed immersa nei peccati. (Serm. Dom. 28).

La Chiesa comanda di comunicarsi una volta l'anno; eh! fosse vero che si facesse quello che la Chiesa comanda! S. Chiesa Madre benigna, che sempre desidera il bene de' suoi figli, al vedere che tanti suoi figli sconsigliatamente vanno perduti dietro alle cose del mondo, e che non una volta l'anno, ma non mai sarebbero disposti ad andarsi a comunicare, affine di eccitarli in qualche maniera, ha stabilito sotto gravi pene che almeno una volta l'anno si confessino e si comunichino. Dice almeno, per dinotare il desiderio, che ha, onde piú sovente si comunichino; perciocché pe' suoi ministri sempre inculca ai fedeli d'accostarsi frequentius, piú frequentemente a quella fonte di benedizione, e partecipino degl'inesauribili tesori di sue grazie. Eccovi i vani anzi falsi pretesti che si adducono per accostarsi di rado alla Sacra Mensa.

Vi sono poi certe persone anche buone, e desiderose di avanzarsi nella perfezione; eppure, sbigottite perché nella vita passata sono stati grandi peccatori, o si trovano al presente afflitte da gagliarde tentazioni, tribolati, angustiati, non osano ricevere frequentemente la Comunione. Anche questi io dico che sono in un grande errore, perché appunto per rimediare ai peccati commessi è stato instituito questo Sacramento. Esso è cibo dei deboli, è sollievo dei miseri, conforto degli afflitti, ristoro dei tribolati. « Venite voi tutti da me, ci dice Gesú Cristo: voi che siete affaticati ed oppressi da infermità, io vi solleverò: Venite ad me omnes..., et ego reficiam vos (1): Venite da me: Io sono vita, via e verità: Ego sum via, et veritas et vita (2) Vita che vi sostenta, strada che vi condute sicuri pei disastri di questo mondo, verità infallibile che vi renderà perfettamente felici ». State certi che avendo Gesú con voi, avrete un antidoto contro le tentazioni, un sollievo nelle vostre infermità, un riparo alle colpe commesse, un preservativo per non peccar piú, un pegno di vita eterna.

E quale sarà il tempo che uno dovrà prefiggersi per comunicarsi? Sarà bene comunicarsi piú di una volta l'anno; comunicarsi una volta al mese, od anche piú sovente? Io premetto che consiglio niuno ad accostarsi alla Sacra Mensa senza licenza del proprio Confessore, il quale esaminato lo stato del penitente saprà suggerirgli ciò che è meglio pel bene dell'anima sua. Ciò posto, io dico: che nei primi tempi della Chiesa si comunicavano ogni giorno, come chiaramente afferma S. Cipriano: « Ogni giorno, dice, dimandiamo che ci sia dato il nostro pane, cioè Cristo, acciocché noi che stiamo e viviamo in Cristo, non ci allontaniamo dalla sua santificazione e dal suo corpo »: dico che i Santi nei grandi pericoli avevano grande premura di rinforzarsi col Cibo Eucaristico: che questo Cibo spirituale è all'anima ciò che è al corpo il cibo materiale; e siccome se il corpo si lascia molto senza alimento, illanguidisce, diviene debole, non si può piú reggere, cade; cosí se l'anima tralascierà molto tempo senza essere ristorata, è moralmente impossibile che si possa mantenere in grazia di Dio; che chi vuol farsi Santo, uopo è si cibi del Pane dei Santi. Onde quelli che si trovano disposti per comunicarsi ogni giorno, sarà la miglior cosa che essi possano fare se ogni giorno si comunicano, e si possono assicurare d'essere per quella strada, che sicuri e franchi li conduce a salvamento. Fa anche bene chi si comunica ogni domenica, e ascoltando la Santa Messa partecipasse anche dell'incruento Sacrificio. Ma, per carità, almeno nelle principali solennità dell'anno, quando si fa qualche festa particolare, ognuno si pregi di ricevere quel dolce Pegno di grazie che cotanto onore rende a Dio e gloria a' Santi suoi.

Ma ohimé! Chi può trattenersi dal pianto, e non sentirsi tutto commosso di compassione al paragone di quei tempi della primitiva Chiesa coi tempi presenti! Oh tempi felici! Oh giorni andati che non siete piú, allorché i fedeli animati dallo spirito d'amor divino, perché erano inseguiti da spaventose persecuzioni, ed era loro proibito l'adunarsi, pure si congregavano nelle grotte, nelle caverne sotterranee; là procuravano d'aver un sacerdote, e benché con rischio della vita, fra tenere espressioni di santa allegria, ricevevano il Santo dei Santi. Oh tempi beati! Dove siete andati voi? Dove siete voi, o veri zelatori dell'onor di Dio, che già da tante centinaia d'anni mancate, e non avete quasi piú vestigia nel Cristianesimo? Ah! che dolore se consideriamo che la quotidiana Comunione d'una volta è ridotta non piú alle Domeniche, non piú alle principali solennità, ma stentatamente ad una volta all'anno; anzi si differisce fino agli ultimi giorni del tempo pasquale, il quale pure le tante volte si lascia trascorrere. E Dio non voglia che tanti non facciansi scrupolo di omettere piú anni senza punto pensare di tali cose se non se, e questo con molte istanze, agli estremi della vita, sul letto di morte, o col non quasi aver adempito il precetto della Comunione, oppure adempitolo con altrettanti sacrilegi. Ma cessiamo di esclamare contro costoro; preghiamo piuttosto il Signore che li illumini; e intanto noi risolviamo, almeno nelle principali solennità, di ricevere Gesú Sacramentato; giacché questo è quanto esige il nostro bisogno e l'amor di Dio. Anzi sarebbe una mostruosa ingratitudine verso Gesti, il quale si degna d'aspettarci per arricchirci di grazie, se noi le dispregiassimo! Tanto piú che il Sommo Pontefice Gregorio XIII nella Costituzione: Ad exitandum, concede in perpetuo l'indulgenza di 5 anni ogni volta che i fedeli cristiani nei giorni festivi si confesseranno e si comunicheranno, recitando qualche preghiera secondo l'intenzione sua; ed a quelli, che avranno il pio costume di fare la S. Comunione almeno una volta al mese, e nelle solennità di N. S. G. C., e nelle festività della Beata Vergine, di tutti gli Apostoli, e della nascita di S. Gio. Battista, concede ogni volta 10 anni d'indulgenza. Oh, quanto mai è pietoso il nostro Iddio! Quanto mai è benigna la sua Chiesa! Che grande obbligo abbiamo noi di corrispondere!

Il detto finora, come voi bene vedete, riguarda alla sola frequenza della S. Comunione. Diciamo ora qualche cosa brevemente delle altre occasioni dalle quali possiamo riportar comodamente grande utilità da Gesù Sacramentato. E queste saranno: accompagnarlo agli infermi, e visitarlo chiuso nel Santo Tabernacolo, ed esposto per la Benedizione. Primieramente riguardo agl'infermi spesso avviene di doversi portare il SS. Sacramento per Viatico, e spesso avviene che pochi lo vadano ad accompagnare; ed accade alle volte che gli uni per un motivo, gli altri per un altro, sí scarso sia il numero di quelli che l'accompagnano, che vi mancano sino persone per compire il numero di quelli, che sono destinati a portare i lumi od esercitare qualche altro uffizio. I Romani Pontefici per animare i fedeli ad adempiere questo dovere d'amore verso Dio, di carità verso il prossimo, hanno concesso varie indulgenze. Onde quelli che divotamente accompagneranno con lume acceso il SS. Viatico, acquisteranno ogni volta l'Indulgenza di anni 7. Quelli che lo accompagneranno senza lumi, l'indulgenza di 5 anni. Se accadrà poi che qualcheduno sia legittimamente impedito, e manderà un altro in sua vece, acquisterà l'Indulgenza di 3 anni. Inoltre quelli che sono legittimamente impediti, e non potranno personalmente accompagnarlo, se allora reciteranno un Pater ed un Ave secondo l'intenzione del Sommo Pontefice, acquisteranno l'Indulgenza di 100 giorni.

Questo riguarda all'accompagnare Gesù agli infermi. Vi sono altri modi da far acquisto dei meriti di Lui; e primieramente: Quegli che al suono della campana in segno dell'elevazione del S. Sacramento, cioè al Sanctus, dovunque uno si trovi, genuflesso adorerà l'Ostia con qualche preghiera, lucrerà un anno d'Indulgenza.

Recarsi poi alla Chiesa quando si dà la benedizione del Venerabile, oh quante grazie si possono ottenere da Gesù! Vedete: quando si dà la benedizione, il Sacerdote è qual mediatore tra gli uomini che si trovano presenti e Dio medesimo: onde il Sacerdote raccoglie tutti i voti e le suppliche dei fedeli, le presenta a quel Dio nascosto sotto quell'Ostia, e che egli tiene in mano, il quale in abbondanza largisce e conconcede tutto quello che gli è dimandato; perciò quel momento si può chiamare momento di favori, di grazie e di benedizioni. I Romani Pontefici pure hanno concesso a questo riguardo molte indulgenze a quelli che assistono. Anzi quelli medesimi che non si trovano presenti, al segno della campana recitando quelle poche parole: Sia lodato e ringraziato ogni momento il SS. e Divinissimo Sacramento, lucreranno 100 giorni d'Indulgenza. Oh quante occasioni per farsi del merito per l'eternità! Questi sono acquisti stabili, che non vengono piú meno, non si perdono piú. E nulla si ricerca che il volerlo per riuscirvi. Queste cose ho solamente accennate, sia perché ci vorrebbe molto tempo a trattarle diffusamente, sia perché vi vengono spiegate assai meglio dalle prediche che si fanno nel decorso dell'anno.

Dirò ancora qualche cosa sull'adorazione di Gesù Cristo nascosto nel tabernacolo. Qui anche vi vorrebbe molto tempo a trattar degna mente questa materia. Io vi dirò solo ciò che è piú essenziale.

Dunque Gesù nascosto nel tabernacolo è chiamato da Isaia una fonte d'acqua viva. Una fontana sempre tramanda fuori, sempre scaturisce e non mai si rivede il recipiente da dove sgorghi; e quanto piú si cava acqua, tanto piú in abbondanza zampilla limpida e chiara. Tale è Gesù nel S. Tabernacolo dell'Altare, il quale tiene ogni giorno apparecchiate infinite grazie per darle a chi le va a dimandare; anzi Egli stesso chiama ognuno, e dolcemente l'invita: - Oh voi che avete sete, venite, venite a cavar acqua di gaudio dal fonte del Salvatore! Haurietis aquas in gaudio de fontibus Salvatoris (1). Ah! dunque, anime cristiane, se avete bisogno di queste acque, venite sovente alla fonte, e ne sarete appagati. Sí, voi padri e madri, se avete bisogno di grazie per allevar bene la vostra famiglia, venite a chiederne i soccorsi innanzi al S. Tabernacolo. Dimandate a Gesù che liberi i vostri figli dai lacci che il mondo e il demonio tendono all'inestimabile giglio della purità: Haurietis aquas. Voi, o figli e figlie, ora che siete sul fiore di vostra età, tempo in cui cotanto le opere sono gradite al Signore, deh venite anche voi ad abbeverarvi in queste acque; e chiedete il favore di poter evitare le astuzie del serpente insidiatore, di poter conservare un cuore intemerato e puro. Voi, ricchi, venite a chiedere di poter far buon uso di quei beni che il Signore ha posto in vostro potere. Voi tutti insomma, poveri, ricchi, tribolati in qualunque modo, portate il peso delle vostre angustie e tribolazioni alla mensa dell'Onnipotente; tutto si cangerà in consolazione (S. Giov. Gr.): Veniant ad mensam Potentis, et tribulationes fient consolationes ; tutte le tribolazioni diventeranno consolazioni. Vi costa tanto a far questo? Venir qualche volta in chiesa a recitar qualche preghiera? E quand'anche vi costasse molto, dovete cessare di farlo? Ah! (dice S. Giov. Cris.) quale scusa o pretesto potremo poi trovare innanzi a Dio, se Egli per cagion nostra discese dal Cielo in terra; e noi troveremo cosa grave l'andare un tantino dalle nostre case alla chiesa? Quid excusabimus, aut quam veniam obtinebimus, si cum ipse nostra caussa descendit e coelis, nos ad illum vel ex aedibus ire gravemur?

Qui dirà qualcheduno: Che bisogno c'è mai d'andar cosí sovente a visitare le chiese? Basta andare una volta, e si dimanda quello di cui abbisogniamo; e basta. E poi che cosa dirgli? Che fare quando si va cosí spesso?

Questo dicono quelli che per loro disgrazia non hanno ancora la non mai abbastanza lodata pratica di visitare Gesù Sacramentato. E non sanno costoro che non solo ogni giorno, bensí ogni momento abbiamo bisogno degli aiuti divini, i quali quanto piú spesso chiederemo piú saranno copiosi. Come già vi diceva, quanto piú cavate acqua da una fonte, tanto piú limpida scaturisce. Fingete che uno volesse andare a bere una volta sola, e bere tanto che non avesse piú da sentir sete per piú anni; direste voi che è uno sciocco, e con ragione. Dite pure lo stesso di quelli che col fare una o poco piú visite (pensano) basti per aver ottenuto abbastanza.

Che cosa fare quando uno va a visitare Gesù Sacramentato? Che dirgli andandolo sovente a visitare? Il parlare cosí è un fare una grave ingiuria a Gesú, quasi che non sia ricco da poter appagare ogni nostra dimanda. Una zelante serva di Dio (contessa Feria, discepola del P. Av., Mon. di S. Chiara) che per l'amore a Gesù Sacramentato era chiamata la Sposa del Sacramento, dimandatole che facesse in tante ore che si tratteneva innanzi al Venerabile, rispose: Io starei delle ore, e starei per tutta un'eternità. E non è quivi l'essenza di Dio, che è la delizia dei Beati in Cielo? Buon Dio! Che cosa si fa innanzi a Lui? E che non si fa? Si ama, si loda, si ringrazia, si dimanda. E che cosa fa un ammalato davanti al medicò? Che fa un assetato davanti ad una fontana chiara? Che fa un affamato avanti ad una lauta mensa?

Ma io m'accorgo che alcuni vogliono farmi una forte obbiezione contro tutto quello che ho finora asserito e lo rende difficile a potersi praticare. Ed è: che quelli i quali non sono molto assuefatti a frequentar le chiese, se li vedessero recarsi piú sovente a confessarsi e comunicarsi; quando si porta il Viatico andarlo ad accompagnare; venire a far frequenti visite a Gesú Sacramentato, e trattenersi molto in chiesa, noi, dicono, diventeremo la favola di tutti. Chi ci dirà impostore o bigotto, questi ci fischierà dietro, dandoci il nome di fanatico e d'imbecille; quell'altro ci segnerà a dito, e ovunque ci farebbe arrossire rinfacciandoci che ne abbiamo fatte sinché abbiamo potuto, e adesso vogliamo darci a Dio. Eh! tempi di disonore e di vergogna!... Lo so anch'io che vi sono questi uomini codardi e vili; uomini che sono l'obbrobrio della nostra santa Religione. Oh mio caro Gesú! Questi uomini sono cristiani! Cristiani, ma veri ministri del demonio; anzi oserei chiamarli peggiori dei demonii, perché il demonio ci alletta solamente al male; e costoro non solamente vogliono indurci ad essere empi com'essi, ma vorrebbero altresí vedere abbandonata ogni pratica di divozione, bandita ogni opera di pietà, e cosí fare delle pecorelle di Gesú Cristo un ovile di Satanasso, di cui essi ne fossero i padroni; e cosí togliere il freno ad ogni loro passione, e appagarla. Eh! uomini, io lo ripeto, uomini codardi e vili! Uomini sventurati e malaccorti! A che pretendete vi voglia condurre questa vostra maniera di vivere?..., Deh! non temete, anime cristiane, e amanti di Gesú! Non temete le dicerie di costoro: essi non sono altro che cani i quali abbaiano senza che possano mordere. Dicano quello che vogliono, parlino come piú loro piace; si vinca ogni umano rispetto, trionfi l'amor di Dio; e siate certi, che dal momento, in cui voi comincierete ad essere derisi da questi mondani, oh beati voi! non siete del mondo, già siete figli divenuti cari al vostro Iddio: Beati cum maledixerint vobis, et Persecuti vos fuerint (1). E intanto verrà anche un tempo per loro. Oh Dio! Non sia vero che ciò accada ad alcuno di noi! Verrà anche per costoro un tempo, in cui vedranno le anime giuste a guisa di lucenti stelle, e risplendenti come il sole, annumerate tra gli avventurosi figli di Dio. Ecco, diranno, ecco quelli che noi stimavamo fanatici e pazzi, come adesso sono numerati tra i figli di Dio: Ecce quomodo computati sunt inter filios Dei: noi dicevamo che la loro vita era infamia; e si sono fatti santi: inter sanctos sors illorum est : e sono beati per tutta un'eternità. E noi che volevamo essere i dotti, essere gli onorati, essere i maestri in Israele, che cosa ci giovò la superbia, che ci giovò l'arroganza? Quid profuit nobis? Niente. Ci siamo stancati nella via dell'iniquità, e non abbiamo conosciute le vie del Signore: Lassati sumus in via iniquitatis... ergo erravimus (Sap. c. 5). Dunque... dunque l'abbiamo sbagliata. Voi intanto che già camminate a gran passi per la via che al Paradiso conduce, mirate quegl'infelici, e piangete la loro disavventura irreparabile. E voi... coraggio... ricorrete, ricorrete sovente a quel Dio; confidate, sperate in Lui, che è sempre mai pronto a concedervi quanto v'abbisogna. Se cosí farete, se spesso vi accosterete a quella Sacra Mensa, spesso l'accompagnerete fuori di Chiesa, spesso lo andrete a ritrovare in Chiesa; io vi assicuro, che vi troverete, ed oh quanto presto verrà! vi troverete alla fine della vostra vita con un mucchio di buone opere, con un tesoro di meriti, che vi renderanno per sempre felici; che è appunto quello, ch'io desidero, che Iddio a voi e a me conceda.

(1) Act. Apost. c. II v. 42. (1) Joan. c. VI, v. 54.

(1) Matth. c. XI, v. 28. (2) Joan. c. XIV, v. 6.

(1) Is. c. XII, v 3.

(1) Matth. c. v. v. II.

S. ALFONSO MARIA DE' LIGUORI:

La traduzione de' salmi e de' cantici che si contengono nell'Ufficio Divino.

Quando nel settembre 1866 fui ordinato suddiacono, Don Bosco, mentre mi raccomandava di recitare il Divino Ufficio, ossia il Breviario, pie attente ac devote, mi consigliava di leggere la traduzione che de' salmi e di alcuni cantici od inni in esso contenuti ne aveva fatto, circa un secolo innanzi a quell'anno per me tanto fortunato, San Alfonso de' Liguori, donandomene egli stesso una copia di un'edizione abbastanza vecchia. - I salmi diceva il buon Padre, presentano qua e colà delle difficoltà non piccole a bene intenderli; la piena intelligenza di essi entra nello spirito e nelle intenzioni della Chiesa che ne comanda la recitazione,, ed è necessaria a chi voglia gustare le celesti massime, i salutari esempi e i santi affetti che ne emanano e giovano cotanto alla nostra vita cristiana e sacerdotale. - Ed è in virtú di questi sentimenti di Don Bosco che usciva nel 1887 fra le Letture ascetiche la traduzione predetta, stampata dalla nostra tipografia di S. Benigno Canavese.

Ricorrendo in quest'anno il cinquantesimo della mia sacra ordinazione a suddiacono, diacono e sacerdote, mi parve non inutile il richiamare l'esortazione e il consiglio di quell'Uomo di Dio; esortazione e consiglio che fece tanto bene a me e credo possa farne anche a quanti altri recitano le ore canoniche. So bene che non mancano ai giorni nostri altre piú eccellenti traduzioni salmistiche; testimonio, per citarne una, la recentissima dell'erudito Fillion, tradotta e stampata dalla Tipografia Vescovile di Mondoví. Ma quella del Vescovo di S. Agata de' Goti, come in generale ogni sua produzione, spira tanta soavità, unzione e fervore, che, mentre ci presenta una chiara e piena intelligenza del testo, giova potentemente allo spirito, rasserena, santifica il cuore e trascina, direi, alla pietà, cosí da riuscire ad un tempo un eccellente libro di meditazione. A questo si aggiunge il prezzo modicissimo della cara operetta, che è di lire una, mentre quella del Fillion costra L. 3,50

La traduzione si apre con un'affettuosissima dedica a Clemente XIV, il celebre Papa Ganganelli, che tanto amava e stimava il santo vescovo ed ebbe la fortuna di essere assistito da lui negli ultimi istanti della sua travagliata vita. Segue l'Intento dell'opera, ossia un'erudita prefazione; nella quale S. Alfonso parla dell'autore dei salmi, espone l'eccellenza ed importanza del salterio, definito dal Bellarmino un compendio di tutto il vecchio Testamento; la preziosità del suo contenuto; l'utilità che ne ricavano per la vita dell'anima quanti lo recitano bene; le ragioni che indussero lui a questo lavoro; le difficoltà incontrate; il metodo seguito; il male che fanno quei che strappazzano il Breviario, o, peggio lo tralasciano con incredibile facilità; qual cumulo invece di meriti si procurano pel Paradiso quei che lo dicono volontieri, con raccoglimento e divozione, accompagnando le parole con la mente e col cuore.

La traduzione italiana porta a pie' di pagina il testo latino e delle erudite note esplicative con l'indice riassuntivo, in capo a ciascun salmo, di quanto in esso si contiene. Sonvi poi nel corso stesso di essa traduzione ed in carattere corsivo, ogni qualvolta occorre, delle parole e frasi, con cui il santo Vescovo, mentre dichiara e spiega il testo, richiama il lettore a soavissimi pensieri di fede, di speranza e di amore.

Certamente S. Alfonso segue nel suo lavoro la distribuzione de' salmi che vigeva allora e fu in vigore fino a qualche anno fa. Ma mediante l'indice alfabetico de' salmi, con cui si chiude la preziosissima operetta, si trova subito quel salino che si desidera leggere o consultare.

Possa l'opera del pio, dotto e santo Vescovo di S. Agata de' Goti produrre anche oggi in quanti recitano il Breviario que' grandi frutti di bene, di cui è apportatrice da un secolo e mezzo.

Torino, 24 aprile 1916.

Sac. F. CERRUTI.

Cerca le anime, ma non denari, né onori, né dignità.

Ven. Gio. Bosco.

Ricordi e ammaestramenti paterni.

N. d. R. - Questa rubrica è aperta a tutti i sacerdoti che avvicinarono Don Bosco e ricordano di aver udito da lui qualche parola, o consiglio, o esortazione per esercitare degnamente il sacro ministero.

I.

« Quaere lucrum animarum et non quaestum pecuniarum. »

Quanta venerazione, quanta riconoscenza e quanto amore sono sempre in cuor mio pel Ven. Don Bosco! Quanti soavi ricordi, quante dolci rimembranze dei cari, indimenticabili anni 1866-67-68-69, passati nell'Oratorio, all'ombra del Santuario di Maria Ausiliatrice, in continua compagnia di Don Bosco. Essendo allora ancor poche le case, tolte rare e brevissime assenze, Egli era sempre con noi. Con noi alla chiesa, con noi alla ricreazione; e com'era dolce, ogni sera, recitare le orazioni davanti alla statuetta della Madonna sotto il noto porticato, raccogliere dalle amabili sue labbra i saggi consigli, le paterne ammonizioni!

Più che superiore, era per noi amico, amorosissimo padre. Era il padrone delle anime nostre, il re dei nostri giovani cuori. E noi non eravamo mai sazi di stare con Lui, di udirlo, tratti dalla dolcezza e dalla amabilità, che trasparivano dal suo sembiante e lo rendevano così caro a tutti.

L'ho sempre impresso il ricordo datomi il mattino di quel giorno in cui, lasciando l'Oratorio, stavo per entrare pel Seminario Diocesano. Dopo avermi confessato:

- Mi potresti servire la messa? mi disse, potrebbe forse essere l'ultima...

- Troppo onore, gli risposi, ma l'ultima spero di no.

E noi fu davvero, perché tante altre ancora glie ne servii da seminarista e da sacerdote.

Celebrata la Messa, e spogliate che ebbe le sacre vesti:

- Inginòcchiati, mi disse, ché voglio anche darti la mia benedizione.

E, dopo avermi benedetto, tenendo e premendo la sua santa mano sul mio capo:

- Ricordati, Luigi, se coll'aiuto di Dio diventerai sacerdote, quaere lucrum animarum et non quaestum pecuniarum.

Quelle parole, pronunziate con soave accento e accompagnate dal suo sguardo penetrante, mi scossero l'animo e mi si stamparono in cuore, cosí che non le ho mai piú dimenticate. Esse furono per me un programma, furono una regola di condotta, furono come la rivelazione d'un sublime e salutare ideale; programma e ideale di quell'uomo di Dio, pel quale non fu mai niente tutto il resto, avendo unicamente a cuore la salvezza delle anime: Da mihi animas, caetera tolle.

Quindi, siccome son convinto che il Supplemento al Bollettino Salesiano per i « Sacerdoti » renderà vieppiú fruttuoso il sacerdotale ministero nei giorni cosí difficili in cui viviamo, faccio voti:

I) perché in tutti i numerosissimi figliuoli di Don Bosco, sparsi sulla faccia della terra, si mantenga ognor costante quello spirito che in loro ha saputo trasfondere l'amato Padre;

II) perché spunti presto l'alba sospirata del faustissimo giorno, in cui dalla S. Chiesa Egli sia elevato all'onore degli altari, e proclamato santo a modello di tutti i sacerdoti.

+ LUIGI SPANDRE Vescovo di Asti.

II.

« ... Fede, Speranza, Carità!... e perseveranza ».

Ho sempre avuto ripugnanza a ricordare le cose che mi riguardano in particolare perché non so parlare di me ; tuttavia, se tacessi, sarei ingrato al mio venerato e Venerabile Don Bosco, che mi ebbe nell'Oratorio per un anno e mi fu padre spirituale per parecchi anni.

La prima voce di vocazione al Sacerdozio la ebbi da Lui. I miei buoni genitori mi presentarono a Lui pregandolo ad accettarmi all'Oratorio. Essi avrebbero pagato la pensione per me, a patto che io fossi libero di compiere, in città, studi di preparazione per impieghi governativi.

Il Venerabile rispose:

- Don Bosco non accetta ragazzi che escano di casa, per il pericolo che, ritornando, non portino libri o giornali od idee mondane.

Ciò detto, fissò su di me il suo sguardo, stette un po' in silenzio e in fine mi disse:

- Se tu mettessi subito l'abito da chierico, ti potrei accettare!

Queste parole ebbero un effetto magico. Da quel punto non ebbi piú in mente alcun altro disegno, fuori di quello di farmi prete. E fui accettato da Don Bosco: e feci la seconda rettorica nell'Oratorio sotto la disciplina dei chierici Francesia e Rua; indi vestii l'abito chiericale ed entrai nel Seminario.

Fin dal primo giorno che conobbi D. Bosco notai con ammirazione il suo diportamento, le sue parole, le sue opere. ed ogni sua azione.

Ricordo che una domenica sera, dopo le funzioni, lo vidi in cortile, seduto a terra circondato da quattro o cinque ragazzi.

Mi accorsi che era in un momento di dolce espansione paterna e mi appressai. Teneva in mano il suo fazzoletto, che era sempre bianco e quella sera mi parve fosse fresco di bucato. L'aveva aperto, indi raccoltolo fra le mani, lo palleggiava delicatamente dalla destra alla sinistra. Noi stavamo silenziosi. Ed egli dopo qualche istante :

Se avessi dodici giovani, dei quali potessi disporre a mio talento, e potessi maneggiarli come faccio con questo fazzoletto, vorrei arrivare in capo al mondo!

Ricordai i dodici apostoli del Divin Salvatore, e, confesso la mia temerità, mi parve che Don Bosco avesse detto troppo; invece era profeta.

Ogni volta che l'avvicinava, udiva sempre qualcosa da imparare. Piú sere, insieme con un compagno, ebbi la fortuna di andarlo a prendere a S. Francesco di Assisi, ove si recava a studiare e scrivere nella biblioteca del Convìtto, e ricordo che per via parlava sempre di cose edificanti. Una volta, passando innanzi ad una porta, alla quale erano affissi i tappeti mortuaria, ci disse:

- Quando vediamo questi tappeti, diciamo un requiem e acquisteremo molte indulgenze in suffragio del defunto.

* *

Era di una pazienza e di una amabilità, veramente eroiche. Mi trovai nell'Oratorio nel 186o, e rammento che la sera del 26 maggio il giorno della perquisizione fatta dal fisco alla camera di Don Bosco, nel sermoncino che ci faceva dalla piccola cattedra dove si andava a gara a mettere le mani perché egli ce le battesse, parlò della visita con una calma, ed una serenità, che io non seppi dare alcuna importanza al grave fatto che si era compiuto; non inveì contro nessuno, non mosse un lamento, ma disse semplicemente che avevano frugato da ogni parte e non si era trovata alcuna cosa compromettente!

Ma non son questi i ricordi, che attendono i miei venerati Colleghi nel Sacerdozio; taccio quindi tante altre rimembranze, e vengo. a qualche cosa, che può far per loro.

La vigilia del mio possesso di parrocchia, andai a chiedergli la benedizione. Ei si raccolse, com'era solito far sempre prima di aprir bocca, e poi lentamente e con un'espressione profonda mi disse queste testuali parole:

- Ti raccomando particolarmente i poveri, i vecchi, gl'infermi, e, come è ben naturale, ti raccomando anche la gioventú.

E mi benedisse.

Pochi mesi dopo tornai a Lui. Si trovava a Valsalice. Mi domandò se le cose andavano bene.

Gli risposi

- Per grazia di Dio, sì; ma ho un fastidio. - Quale?

- Vi ho trovato 52 mila lire di debito. Ed egli, sorridendo e con grande bontà: - T'insegno io il modo di pagarle. - Parli, Don Bosco! - Giuoca al lotto!

Sorrisi io pure. E il Venerabile: -- Non vuoi giuocare al lotto? A questa replica dissi:

- Sì, giuocherò, se Lei mi dà i numeri. - Sì, che te li do!

Egli mi tenne sospeso: indi insistette - Ma li giuocherai davvero? - Sì, glielo prometto.

- Bene, i numeri sono questi: Fede, speranza, carità! Se vuoi un quaterno, aggiungi: Perseveranza.

Era Don Bosco che parlava, e quindi accettai con venerazione il consiglio che, datomi da altri, mi sarebbe parso una canzonatura.

E subito mi sentii tranquillo, sereno, pieno della miglior volontà di ravvivare e accendere sempre piú la fede, la speranza, e la carità prima nel cuor mio, poi in quello dei miei buoni parrocchiani; e il fatto sta che, perseverando nel cercare la gloria di Dio e il bene delle anime, in due anni, dico in due anni, saldai tutto il debito. Nel darne la lieta notizia ai parrocchiani, narrai loro il colloquio avuto con Don Bosco, spiegai come aveva procurato di giuocar quei numeri, e li consigliai a tutti, dicendo che i numeri di Don Bosco erano infallibili.

La mia riconoscenza al bene che il Venerabile mi ha fatto è pari alla venerazione che nutro per lui, e confido che anche dal Cielo Egli continuerà ad assistermì con le sue sante ispirazioni.

Teol. DOMENICO MURIANA

Curato di S. Teresa, Torino.

« Ti raccomando i giovani: sii sempre allegro con essi. »

Il nostro Venerabile Don Bosco, se era tutto carità e fior di gentilezza nel ricevere chiunque si presentasse a lui, lo era in modo particolare nel ricevere chierici e sacerdoti. Mi ricordo di essere stato a visitarlo nel maggio del 1872, mentre era seminarista a Torino, con sette miei compagni chierici, quanti formavamo una squadra pel passeggio. Tutti fummo edificati del modo squisitamente affabile, con cui ci ricevette. S'interessò di tutti, come se tutti fossimo stati allievi dell'Oratorio. E a tutti rivolse la sua edificante parola: Riconoscessimo la sublimità della vocazione al sacerdozio, al ministero di salvar anime : ci preparassimo a tanta dignità e a tanto uffizio colla « Comunione quotidiana » e colla « divozione a Maria SSma. ».

Fatti sacerdoti e già addetti al sacro ministero, non cessava dal raccomandarci di prender cura speciale della gioventú, e:

- Ricordatevi, ci diceva, che in questo devono distinguersi gli amici di Don Bosco!

Queste raccomandazioni io le sentii ripetere piú volte a me e ad altri, in privato ed in pubblico, specie quando ogni anno, dopo la festa di S. Giovanni, era solito accogliere a geniale banchetto l'Associazione degli Antichi Allievi dell'Oratorio.

Nel 1884, quando fui nominato parroco di questa Parrocchia di S. Antonino Martire in Bra, il Venerabile Padre se ne rallegrò in modo speciale, perché veniva parroco in una città dove Maria SS. è tanto venerata sotto il bel titolo di Madonna dei Fiori.

- Va', mi disse, colla protezione della Madre celeste avrai le piú elette benedizioni di Dio e farai gran bene. Ma sii suo gran divoto e propàgane la divozione. Don Bosco sarà con te, a pregarla per te!... E ti raccomando i giovani: sii sempre allegro con essi, come vedi a far qui, nell'Oratorio, da noi preti.

Ed accennando a certi inconvenienti succeduti in quell'anno, qui a Bra, nella venuta dell'Arcivescovo, l'Em.mo sig. Card. Alimonda di f, m., per malintesi coll'Autorità Civile, mi fece una preziosa raccomandazione, che deve servire di norma a tutti i parroci.

- E una gran virtú il saper perdonare per vivere in buona armonia con tutti. Tu, là, devi amare e rispettare tutti, confratelli e Autorità civili: - e mi pare che mi ripetesse quel testo della 1a lettera di S. Pietro: Omnes honorate: fraternitatem diligile... regem honorificate.

Nella sua bontà mi espresse il desiderio di intervenire al mio possesso parrocchiale, che fu il 24 settembre di quell'anno, ma ciò non poté fare per indisposizione.

Saputo che in questa mia parrocchia, si era dedicato un bell'altare a Maria SS. Ausiliatrice, meco si rallegrò vivamente e approvò che ogni anno un sacerdote Salesiano venisse a dirne le lodi, come si fa anche presentemente.

E quando, sul finire del 1886, seppe dei frutti copiosi, che si ricavarono dagli Esercizi Spirituali, predicati in questa parrocchia dai due Sacerdoti Salesiani prof. D. Francesia e D. Angelo Rocca, in un col Cav. D. Bartolomeo Capra, Prevosto di Roreto (Cherasco), il Ven. Padre ne godette e si degnò scrivermi la seguente affettuosa lettera.

Con somma consolazione ricevo la notizia del buon successo ottenuto dagli Esercizi, che i nostri Sacerdoti hanno dettato in questa tua parrocchia.

Dio sia sempre benedetto in tutte le cose e Maria Ausiliatrice ci aiuti e sempre ci protegga per conservarne il frutto.

Di tutto buon cuore benedico te, tutti i tuoi parrocchiani; e la Misericordia Divina ci assista sempre a vivere e morire tutti nella sua santa grazia.

Pregate anche per me, ecc.

Tanto si compiaceva quell'anima santa del bene fatto anche da altri e tanto s'interessava affinché fossero ognor piú zelati l'onore di Dio e la salute delle anime !

Teol. D. LUIGI PAUTASSO

Vicario di S. Antonino, Bra.

IV.

Programma di vita parrocchiale.

Son felice di poter in qualche modo concorrere alla glorificazione del Ven. Don Bosco, che mi fu sempre padre amoroso.

Nell'anno 1858, subito l'esame per la vestizione clericale, lasciai l'Oratorio per entrare in Seminario; ma sia da chierico, nel corso dei miei studi, sia come sacerdote, e specialmente come parroco, non ho mai dimenticato il mio caro Don Bosco. Ogni qual volta mi trovava in qualche difficoltà, ricorreva a Lui per consiglio; ed Egli mi accoglieva sempre con bontà, ascoltava i miei lunghi discorsi, e mi mandava consolato.

In una di queste udienze, mi pare nel 1882, dopo avermi udito con pazienza, mi diede quei consigli che richiedevano le mie circostanzee io, prima d'allontanarmi, con quella confidenza che il buon padre sapeva infondere nei suoi figli, gli dimandai un ricordo.

Egli prese un'immagine di Maria Ausiliatrice, che tengo preziosa, scrisse sul retro della medesima una sentenza, che a buon diritto può dirsi un programma di vita sacerdotale, e specialmente parrocchiale, e me la diede.

Ecco le sue parole:

Esto mitis et patiers, et Dominus Jesus dabit tibi volle et posse. -Cor tuum sii constanter super parvulos et egenos. - Bosco Joannes sacerdos.

Mi conceda il buon Dio di uniformare la mia condotta a queste parole, almeno nell'ultimo periodo della vita.

Teol. G. B. PIANO,

Curato della Gran Madre di Dio, Torino.

Alcuni consigli del Venerabile Don Bosco per predicare con frutto.

Un semplice ricordo.

Una sera del 1868 vi fu chi domandò a Don Bosco in qual modo un prete, specie se novello, potrebbe cavarsi d'impaccio, caso mai, in angustia di tempo, fosse invitato a fare un panegirico. Don Bosco gli rispose:

- Sarà bene prevenire questi casi, ed io ti consiglierei che fin d'ora tu incominciassi a preparare alcune prediche le quali possano, in un bisogno, valere per qualunque circostanza. Per es. componi la prima predica sulla Madonna prendendo a dimostrare: 1° la Madonna essere Madre di Dio; 2° la Madonna madre nostra. E un argomento che vale per tutte le feste di Maria. Così pure in previsione generica di qualche altro panegirico togli a trattare di una virtù, quale sarebbe la carità, o l'obbedienza, o la preghiera, o la purità, ecc.; in modo che con qualche particolare addizione possa servire per qualunque santo, presentandolo come modello di questa o quella virtù che tu hai scelta pel tuo soggetto.

Altri gli chiesero qualche avviso sul metodo di predicare con profitto delle anime ed egli disse loro:

- Non solo devesi studiare e ordinare l'argomento del quale si ha a trattare, ma è da tener conto del tempo nel quale si deve salire in pulpito. La chiesa stessa ci ordina di celebrare le feste temporibus suis e il predicatore deve assecondare le intenzioni della Chiesa. Per esempio, per l'Avvento e pel santo Natale, si dovrebbe aver di mira di preparare argomenti che possano disporre gli uditori a far sante accoglienze a Gesù Bambino. Così nella quaresima la predicazione dovrebbe aver lo scopo di condurre alla penitenza i peccatori, per la salvezza dei quali Gesù ha data la sua vita sulla croce. Per la Pentecoste si può trattare, dei doni dello Spirito Santo, della fondazione della Chiesa, dei miracoli dell'Apostolato, delle vittorie dei martiri, delle glorie del Papato, ecc. ecc.

E continuava:

- Il predicatore deve badare agli uditori i quali possono essere classificati: riguardo all'età, riguardo alla condizione sociale, riguardo alla coltura.

» Se gli uditori sono giovanetti, bisogna che l'oratore si abbassi al livello della loro intelligenza e non dia pane a chi non ha denti per masticarlo, ma latte, come dice S. Paolo a que' di Corinto. Con questa sorte di uditori cerchi il predicatore di far entrare nelle loro menti la verità per mezzo di esempi, di fatti, di parabole, e farà profitto. E per qualunque argomento ne troverà sempre. Il suo libro di testo sia il catechismo, il quale dovrebbe pur servire come tale per ogni sorta di persone.

» Riguardo alla condizione degli uditori, deve saper regolare il suo dire secondo il posto che quelli occupano nella società. Certamente che non si deve dire ai poveri ciò che è necessario inculcare ai ricchi, nè ai servi o aì dipendenti ciò che si è obbligati ad esporre ai signori: oltre i precetti comuni sono imposti da Dio varii e diversi doveri alle varie classi sociali. Ma il miele della carità temperi l'amarezza del rimprovero. Non si offendano le persone con ironie, o invettive; specialmente nelle piccole borgate non si dica parola che possa essere giudicata allusiva alla condotta di qualche individuo. Si ometta pure ogni accenno a cose politiche. Si cerchino testimonianze di ciò che si espone, dalla Santa Scrittura e specialmente dai fatti e dalle parole di N. S. Gesù Cristo; e così nessuno potrà aversela a male, se certe verità sembreranno un po' dure. Parlando per es. ai ricchi dell'obbligo che hanno di fare elemosina, senza inveire sulla durezza dei cuori, basterà senz'altro narrar la parabola del ricco Epulone.

» Riguardo alla coltura, l'oratore sacro deve adoperare quelle maniere di esporre che possano essere senza difficoltà intese, se l'uditorio è composto di persone rozze. Con queste bisogna adattarsi al loro linguaggio, pensare come esse pensano, trasportarsi nell'ambiente dove vivono: il campo, l'officina, il laboratorio e le varie professioni manuali. Così faceva il Divin Salvatore predicando alle turbe della Galilea, composte da agricoltori, pastori e pescatori. Se gli uditori sono colti, senza dubbio va più ornato il discorso, ma nei limiti che sono prefissi alla parola evangelica. Il maggior ornamento si è una grande chiarezza, nelle parole, nei pensieri, negli argomenti. L'oratore sacro attinga la sua eloquenza, non dalla sapienza del mondo, ma parli secondo lo spirito di Dio. E non divaghi in polemiche. Pare in pulpito le obiezioni dottrinali e poi scioglierle, non è un metodo da tenersi, imperocché un certo numero di uditori, seguendo l'impulso di un certo spirito di contraddizione, si mettono, anche senza avvedersene, dalla parte delle obiezione e ascoltano come giudici. Ciò impedisce talora che si riesca a produrre tutto l'effetto desiderato.

E bisogna anche notare che talvolta le risposte alle obiezioni non sono sempre capite, ma spesse volte fraintese; e in certe menti restano impressi piú gli errori che le verità opposte. Queste controversie si debbono lasciare ai dottori, forniti di ingegno non comune e di scienza acquisita con lunghi e pazienti studi. Questi le tratteranno, in modo, tempo e luogo conveniente, nelle grandi città ove se ne scorga il bisogno, e ad uditori o preparato a seguire lunghi e sottili ragionamenti.

» Se in un paese vi fossero eretici, il predicatore badi a non inasprire menomamente gli erranti. Le sue parole spirino sempre carità e benignità. Si confutino i loro errori e sofismi, provando semplicemente con solidi argomenti le verità contestate. Prevenendo le obiezioni, si tolgono le armi dalle mani dei nemici. I testi scritturali che sogliono addurre falsati per combattere, esponiamoli nel loro vero senso, e procediamo con questi a svolgere la nostra tesi. Le invettive non ottengono le conversioni: l'amor proprio si ribella. Era questo il metodo che teneva S. Francesco di Sales e che era da lui consigliato. Egli narrava che i protestanti correvano in folla ad udirlo e dicevano che loro piaceva, perché non lo vedevano infuriarsi come i loro Ministri ».

Altri ricordi, ad altri numeri.

Sac. G. B. LEMOYNE.

Come si deve predicare « la parola di Dio »

Da un discorso del s. P. Benedetto XV (1)

Il S. Padre Benedetto XV, il 6 marzo u. s., ricevendo il Collegio dei Parroci di Roma e i Predicatori della Quaresima, teneva un importante discorso, commentando le parole con cui il Vescovo benedice il Predicatore: Dominus sii in corde tuo et in labiis tuis ut digne, competenter et fructuose annunties Evangelium suum. Ne riferiamo, alla lettera, le parti sostanziali.

(1) Ved. Acta Ap. Sedis, ann. VIII, pag. 95.

* *

a) Dominus sit in corde tuo...

È facile intendere che questa forma di benedizione contiene ad un tempo un'esortazione ed un augurio...

Si comincia infatti coll'augurare che il Signore sia nel cuore del sacerdote destinato a bandire il Santo Vangelo: Dominus sit in corde tuo. Se la benedizione non fosse indirizzata a chi può vantare il pubblico attestato di stima avuto dai proprii Superiori mercé il delicato incarico di predicare al popolo la divina parola, in questa prima parte della benedizione si potrebbe scorgere un ammonimento fatto al predicatore, di dover esso rivestire la virtú di Gesú Cristo prima di inculcarne ad altri la professione. Noi vi scorgiamo l'augurio che i sacerdoti incaricati di predicare... non solo siano, ma anche appariscano forniti della virtú propria del loro stato, cosí che di ciascuno di essi si debba dire: Sacerdos alter Christus. Si può anche interpretare come augurio, che la grazia del Signore si accresca ognora piú nel sacerdote a cui è indirizzata la benedizione, perche non a caso si dice che il Signore deve essere accolto « nel cuore » del sacerdote! Dominus sia in corde tuo. La parola « cuore » si può adoperare tanto per indicare l'anima con le notissime sue tre potenze, quanto per esprimere il principio di tutte le operazioni dell'uomo: nell'un caso e nell'altro è evidente l'augurio che il predicatore sia tutto cosa di Dio, in guisa da meritare il saluto dell'Apostolo delle genti: tu autem, homo Dei. Infatti se in tutte le potenze dell'anima sua ha stanza e regno il Signore, in conformità della prima interpretazione dell'augurio: Dominus sit in corde tuo, la memoria del predicatore non può non essere occupata che dei benefici di Dio, l'intelletto di lui non può perdere di vista la divina Legge, e la sua volontà ad altro non può aspirare che a rafforzare in sè, e ad estendere in altri, il regno del Signore; ma se la memoria, l'intelletto e la volontà di un predicatore non sono occupate che di Dio, chi non dirà che quel predicatore è in tutto cosa di Dio, homo Dei? Se poi si preferisce la seconda interpretazione, per la quale nel cuore viene indicato il principio di tutte le operazioni dell'uomo, è agevole comprendere che al predicatore si dice: Dominus sit in corde tuo, perché la grazia è elemento tanto necessario alla vita dello spirito, quanto a quella del corpo è necessario il cuore: quando il cuore cessa di battere cessa anche la vita dell'uomo; del pari se venisse meno la grazia, cercherebbesi invano la vita dell'anima. Di qui apparisce ampio ed esteso il significato della prima parte della benedizione: Dominus sit in corde tuo.

b) ... et in labiis tuis...

Non fa mestieri spiegare che « Dio è sulle nostre labbra » quando amiamo di parlare spesso di lui, quando ne zeliamo la gloria, quando ne propugnamo i diritti, quando gli accresciamo adoratori, e sopratutto quando inculchiamo l'osservanza della legge da Lui emanata. Piuttosto è da osservare che l'augurio Dominus sii... in labiis tuis può avere un doppio significato, positivo l'uno, e l'altro negativo. Nulla infatti è più naturale che al predicatore si rivolga l'augurio non solo di predicare Dio, ma anche di non predicare altri che Dio. Per Voi, o dilettissimi figli, vogliamo credere superflua l'esortazione a non predicare altri che Dio. Certamente voi condannate coloro che predicano se stessi; estendete pure la vostra condanna a coloro che portano sul pulpito argomenti non istrettamente religiosi, o che vi trattano materie profane; anzi una tale condanna si dovrebbe estendere anche a quei predicatori, i quali non arrivassero al riprovevole eccesso di trattare direttamente argomenti profani, ma nondimeno non sapessero astenersi, nello svolgere il loro tema, da qualche cosí aperta allusione a cose profane che fosse capace di impressionare gli uditori piú che il tema stesso. Un tale abuso verrebbe a rinnovare nella Chiesa quelle infauste divisioni, che S. Paolo deplorava in Corinto, quando diceva essergli stato riferito il linguaggio di alcuni tra i primi cristiani: « io sto con Paolo, io con Apollo, io con Cefa ed io con Cristo » (I. Cor. I, 12). Ah non è impossibile, specialmente ai dí nostri, che qualcuno vada a predica per iscoprire a qual partito politico appartiene il predicatore: deh! Voi fate in modo che non apparisca essere Voi né di Paolo, né di Apollo, né di Cefa, ma essere soltanto di Gesù Cristo...

e) ... ut... annunties Evangelium suum...

A niuno sfugge la particolare sollecitudine, che ha la Chiesa nel precisare il Vangelo che dev'essere annunziato dal predicatore a cui il Vescovo imparte la benedizione, imperocche non dice semplicemente annunties evangelium, ma specifica evangelium suum. Nessun ammonimento può essere piú opportuno di questo, per indurre il predicatore a far buona scelta di temi; nessun criterio può essere piú sicuro di questo, per fargli comprendere se ha compiuto o negletto il suo dovere. È questa veramente parola di Dio? deve domandare a se stesso, quando prepara la predica; ho io veramente annunziata la parola di Dio? deve pur chiedere a se medesimo, quando dopo la predica torna al silenzio della sua cella.

La risposta a tali domande sarà data al predicatore, oltre che dalla propria coscienza, dal raccoglimento con cui i fedeli avranno ascoltata la sua predica, e anche meglio dai frutti di conversione che ne avrà raccolto. Degno di compassione sarebbe invece quel predicatore il quale, durante la predica, non compunzione ma divagamenti, non lacrime ma sorrisi scorgesse sul volto dei suoi uditori, e, dopo la predica, vedesse gli ascoltatori precipitarsi alla porta, senza pur riflettere un istante alle cose udite. E che dire di quel predicatore, il quale alle citazioni della Sacra Scrittura, che è vera « parola di Dio », od ai commenti dei Santi Padri che ne sono autorevoli interpreti, avesse preferita la citazione di autori profani, forse di qualche pregio letterario ma di niuna fama religiosa o morale? Ah! come ingrata dovrebbe riuscire all'orecchio di costui l'eco della parola onde il Vescovo l'aveva pur ammonito « di annunziare il vangelo di Dio! ». Non possiamo dire purtroppo di parlare solo ipoteticamente, perche anche nell'anno testé decorso dovemmo piú volte lamentare che qualche predicatore avesse dimenticato di portare sul pulpito, sempre e sola, la parola di Dio.

d) ... digne...

Per predicare degnamente, ut digne... annunties evangelium suum, è necessario non solo trattare argomenti di vero interesse religioso, come già abbiamo detto e ripetuto poc'anzi, ma è necessario altresí trattarli con castigatezza di linguaggio, con proprietà di forma, con chiarezza di esposizione, e sopratutto con lucidità di ordine, senza dare una parte troppo grande alla mozione degli affetti, affinché un passeggero entusiasmo, eccitato forse dalla brillante forma del dire, non venga a prendere il luogo della seria riflessione, madre di buoni propositi.

c) ... competenter...

... Il secondo avverbio «competenter », ut... competenter... annunties evangelium suum, è ordinato a porre in rilievo la sublimità dell'officio andato al predicatore... Voi siete altrettanti ambasciatori... Le credenziali della vostra ambasceria possono essere state firmate dal rappresentante di Gesú Cristo, ma donde traggono tutta la loro forza se non dall'essere date in nome di Cristo medesimo? Ora se, trovandovi sul pulpito, terrete vivo il ricordo che in quell'atto di predicare rappresentate Gesù Cristo, non è possibile che vogliate accogliere pensieri, pronunziare parole o avanzare proposte, le quali debbono poi essere sconfessate dal Sovrano, che vi ha fatto suoi ambasciatori presso il popolo. Portiamo invece speciale attenzione all'ultimo avverbio che dichiara il carattere piú importante della sacra predicazione ut... fructuose annunties evangelium suum...

f) ... fruttuose.

A raggiungere un cotal fine sarà d'uopo che il predicatore sia, e si mostri, principalmente sollecito della gloria di Dio e della salute delle anime. Non torneremo qui a dire che deve perciò parlare di sé il meno che sia possibile, e che da ogni suo discorso deve eliminare tutto ciò che la sua coscienza non lo assicuri dover giovare al profitto spirituale de' suoi ascoltatori; ma non vogliamo omettere di ricordare che, a, rendere fruttuosa la predicazione, il sacro oratore deve adattare il suo linguaggio alle condizioni intellettuali dei suoi uditori. Una tesi di filosofia, anche se provata coi più rigorosi sillogismi, e una dissertazione storica, anche se confortata coi piú sicuri documenti, non solo sarebbero inutili ad un uditorio di mediocre coltura, ma forse indisporrebbero siffattamente gli animi degli ascoltatori, da renderli incapaci a trarre profitto da quelle stesse piú volgari osservazioni che, in altri casi, sarebbero state feconde di molti e buoni frutti.

E riguardo agli uditorii piú scelti, ossia formati da persone di preclara intelligenza e nutrite di buoni studii, non sarà inutile avvertire che il frutto a cui deve mirare il sacro oratore non è il diletto intellettuale, non la compiacenza della fantasia, non la soddisfazione degli orecchi. Sarebbe quello il linguaggio dei maestri che S. Paolo fin dai suoi tempi diceva: Prurientes auribus, e dei quali doveva soggiungere: A veritate quidem auditum avertent, ad fabulas autem convertentur (II Tim. IV, 3). Epperò il frutto intero del sacro oratore dev'essere sempre, ed in ogni caso, la conversione del peccatore o il perfezionamento del giusto.

Il vero concetto della scuola popolare di religione.

Il concetto di scuola di catechismo ci appare ben diverso dal concetto puro e semplice di formule di catechismo presentate e imparate con processo, in tutto o quasi, esclusivamente mnemonico, sia pure attraverso a delle classifiche di allievi, senza tener conto della psicologia del fanciullo, dei metodi e dei mezzi con i quali riceve le altre istruzioni. La scuola di religione dovrebbe essere invece il processo pedagogico didattico cristiano che conduce alla conoscenza, all'amore, alla pratica delle verità compendiate nel catechismo, i nuovi cristiani, distribuendoli gradualmente per età e per coltura, né piú né meno come si fa per ogni altro insegnamento. E delle classi e corsi da organizzarsi e provvedersi i piú difficili sono gli elementari perché la scuola deve adattarsi a speciali norme della psicologia dell'infanzia e della adolescenza, e proporzionarsi anche per il metodo, al modo col quale i fanciulli vengono addestrati in ogni altro ramo di coltura.

Come può dunque sostenersi didatticamente una istruzione religiosa data con il solo o prevalente esercizio mnemonico del Catechismo, in modo speciale di fronte alle difficoltà immense che la religione e la vita cristiana oggi trovano in qualsiasi ambiente? La mnemonica poteva forse bastare (e non era esclusiva neppure nei tempi classici di tale metodo, tutt'altro) in un periodo piú cristiano, nel quale la religione era atmosfera della vita privata e pubblica, non certo oggi.

D'altra parte come può rispondere ai bisogni didattici, pedagogici e psicologici dei nostri fanciulli il frazionamento del testo ufficiale del catechismo nelle classi, sia per parti come in un certo ordine ciclico? Non è forse vero che la prima, come l'ultima formola del catechismo presenta la medesima difficoltà dal lato didattico? Non è forse il Testo ufficiale, anche nella sua forma, il compendio popolare e preciso dell'insegnamento che piú ampiamente svolge la Chiesa, come maestra della fede, della legge e della grazia cristiana? Come tale, di sua natura., non può a meno di essere astratto, ed attenersi al sistema dialogico, nel quale il maestro con la domanda include la tesi già ritenuta spiegata (p. es.: Chi è Dio?), e il discepolo, con la risposta suggeritagli dalla Chiesa, afferma di conoscere e di ritenere in sintesi precisa, quanto ha già imparato dalla narrazione e dall'insegnamento per esteso della religione. Quindi anche la preoccupazione di trovare un testo ufficiale che per brevità, chiarezza, semplicità e purezza di dizione si renda facilmente assimilabile all'orecchio e alle labbra dei fanciulli e del popolo, non toglie punto la questione principale e cioè che il Catechismo sia proporzionalmente intuito, compreso, vissuto. Qualora si raggiungesse nella dizione di tale Catechismo anche la perfezione massima, ma non venisse poi presentato e spiegato in forma di vera scuola, il suo insegnamento ai fanciulli sarebbe sempre difforme ed inferiore, per metodo e per efficacia, ad ogni altra scuola contemporanea.

Ecco quindi riassunto il concetto della vera scuola di catechismo: presentare la religione ai fanciulli divisi in classi secondo criterii psicologici e didattici, raccolti in ambienti belli, igienici, veramente scolastici, nelle migliori circostanze di personale insegnante, di sussidii didattici, con metodo adatto alla loro mentalità e uniforme alle altre scuole; - dare le formule del catechismo ufficiale, non come punto di partenza, ma come punto d'arrivo, attraverso ad un indispensabile programma d'insegnamento, compilato secondo i criterii di psicologia della prima età, distribuito classe per classe con cicli concentrici, estensivamente ed intensivamente, man mano che il fanciullo progredisce negli anni, nelle facoltà, nella cultura e nei bisogni morali e spirituali, col sussidio continuo dell'intuizione mediata ed immediata, destando sempre più l'interessamento, portando il neofito cristiano alla maturità religiosa, secondo le esigenze attuali. E di qui nasce la necessità di rendere la scuola di religione anche esteriormente attraente, di dare alla scelta e alla formazione del personale insegnante e dirigente una importanza massima, di preparare, come già si è fatto, lezioni didattiche per i maestri, che seguano un programma d'insegnamento prestabilito, e libri di classe relativi per i fanciulli che rialzino l'istruzione religiosa e non la riducano nelle sue forme e ne' suoi libri al di sotto dell'ultima edizione dei lunari popolari, per un discutibilissimo pretesto di economia, ormai assolutamente superato, anche là dove meno si credeva.

Utopie? Sogni? No, grazie a Dio, ma realtà concrete, già vissute, controllabili da tutti, in non poche diocesi, in molte diversissime parrocchie di città e di campagna. E lo vedremo.

Perché è bene ricordare che, mentre il laicismo trionfa e anche dalla « Minerva » giungono piccole schegge di regolamenti settari, a distruggere persino l'ultimo lembo di libertà dei genitori per l'educazione cristiana dei proprii figli, nelle scuole pubbliche non mancano quelli che aprono gli occhi e vicano ai ripari « immediati ». In attesa della riscossa possano i cattolici tutti mostrare la propria forza per crearsi la « scuola » che formi i piccoli cristiani di oggi e di domani!

A non pochi è sembrata una novità poco simpatica quella di parlare di vera scuola di catechismo. Ma dunque, si son detti, l'istruzione religiosa data ai nostri fanciulli fino ad ora, non costituiva, e non costituisce una scuola, anche se compartita sotto la forma della cosidetta dottrinetta o dottrinella, o scoletta? E che necessità c'è di tutto questo bagaglio moderno di organizzazione, di programmi, di testi, di locali di preparazione, d'insegnanti, di lezioni, dì diari, di sussidii didattici, di metodi, quasi che la religione abbia bisogno di tanti ausilii per essere imparata ed amata dai fanciulli? Forse che per formare le teste e i cuori delle nuove generazioni sarà proprio necessario ricorrere a tutte le novità dell'insegnamento attuale elementare pubblico, discutibile poi nella sua efficacia pratica? Queste in una forma schematica, cruda, semplice, le principali difficoltà, diciamo così, misoneiste, che vengono presentate da alcuni, alle quali si aggiungono quelle di ordine pratico, finanziario, secondo i diversi ambienti, per la costituzione di vere scuole di catechismo, anche nei piccoli paesi.

Alle une e alle altre si potrebbe facilmente rispondere; qui mi preme di far risaltare subito il principio che non si tratta di novità, più o meno cervellotiche, ma proprio di un ritorno, di un allaccio a una catena d'oro di tradizioni scolastiche catechistiche dei tempi migliori, quando in Milano e da Milano nelle altre città lombarde, si irradiava per mezzo di San Carlo tutto un meraviglioso lavoro per la scuola della dottrina cristiana, con una potente e vasta organizzazione didattica, direttiva e magistrale, che si curava anche delle più piccole parti e dei piú piccoli mezzi per rendere efficace l'insegnamento religioso.

Ed è un ritorno come scriveva in questi giorni un egregio amico - spontaneo, tranquillo, conseguenza logica dei tempi nuovi, che ci hanno persuasi di avvicinarci alla nostra sorgente, per riprendere di là tutta la poderosa energia, alla stessa guisa che dalle sorgenti le forze idrauliche incanalate, muovono le potenti macchine dell'industria e illuminano le città e le vie anche piú lontane, di mille fiamme elettriche.

Chi taccia di novatori piú o meno fanatici e idealisti coloro che cercano di adattare l'organizzazione e la dìdattica della dottrina cristiana ai tempi nostri, alle generazioni di oggi che vivono e imparano e s'istruiscono nell'ambiente e nelle scuole odierne, farebbe bene a leggere quelle pagine di storia e vi troverebbe motivo di confusione per il troppo poco che pur troppo oggi ancora si va facendo, per metterci almeno al livello degli sforzi enormi, delle iniziative mirabili che in quei tempi si compirono per dare alla scuola di religione il posto che le spettava, in corrispondenza ai veri bisogni di allora, fornendo proprio a noi un altissimo esempio di attività, di perfetta organizzazione e di sapiente pedagogia.

Il vetera è proprio qui tutto a umiliazione del nova, e mostra che la decadenza di questa opera grandiosa, negli ultimi secoli di rivoluzioni e di evoluzioni, fu certo una delle cause piú dirette che ha scossa ed affiievolita la fede e traviati i costumi.

I Cooperatori Salesiani hanno poi un sacro dovere di darsi con tutto lo zelo piú ardente a questa grande opera di rinnovamento di metodo, perché la salvezza della gioventù fu la vita della vita del Ven. Don Bosco, che anche nel campo catechistico si distinse con geniali e ardite iniziative, orientando l'insegnamento della dottrina cristiana verso la forma di vera scuola.

Trigolo (Cremona).

Dott. DON LUIGI VIGNA.

(Giovanetto) vedeva parecchi buoni preti che lavoravano nel sacro ministero, ma non poteva con loro contrarre alcuna famigliarità. M avvenne spesso d'incontrare per via il mio Prevosto col suo Vice-parrocco. Li salutava di lontano, piú vicino faceva eziandio un inchino. Ma essi, in modo grave e cortese, restituivano il saluto continuando il loro commino. Piú volte piangendo diceva tra me, ed anche con altri

- Se io fossi prete, vorrei fare diversamente; vorrei avvicinarmi ai fanciulli, vorrei dire loro delle buone parole, dare dei buoni consigli. Quanto sarei felice, se potessi discorrere un poco col mio Prevosto!

Ven. Gio. Bosco.

Un modello di Sacerdote Cooperatore (1).

« Dopo aver conosciuto Don Bosco e le sue opere » scrive mons. Taroni nelle sue memorie (1888), « io dicevo tra me: - E non potrebbero i salesiani istituire il loro terz'ordine, come i francescani, i domenicani, i carmeliti, ecc. ? - Ed ecco, verso la fine del 1876, mi arriva per la posta da Torino un plico. Lo apro, lo leggo. Era il diploma di cooperatore salesiano, ossia di terziario salesiano, come io desideravo. A questa associazione dei cooperatori, approvata da Pio IX nel maggio antecedente, io era stato ascritto il 29 novembre. E la sera del giorno, nel quale ricevetti il diploma, uscito a passeggio, avendo letto nel manifesto della Scuola Mazzini - Cooperazione - come argomento della conferenza di quel giorno, questa coincidenza mi piacque molto. Cominciai fin d'allora ad associare altri della città e diocesi ed anche del di fuori; ed oggi sono più di 200 i cooperatori registrati nel mio catalogo che leggono ogni mese il Bollettino Salesiano ».

Ma prima ancora di ricevere il diploma, Don Taroni era un cooperatore zelantissimo; non solo per la diffusione delle Letture Cattoliche e degli altri libri delle tipografie di Don Bosco, ma ancora per aver, fino dal 1871, e in privato e in pubblico parlato spessissimo ai seminaristi intorno a quel sant'uomo, alla sua vita, alle sue fondazioni, e specialmente alle missioni di America. In alcuni seminaristi era già nata la volontà di rendersi salesiani, e uno di loro, Don Giuseppe Vespignani di Lugo, ora ispettore delle case della Repubblica Argentina, aveva già dato il nome alla pia Società Salesiana e cominciato il tempo della prova.

Per mezzo del sullodato, Don Taroni ebbe invito da Don Bosco stesso di recarsi a Torino per la festa di Maria Ausiliatrice nel 1877; ed accettò, volentieri, « molto piú », come egli scrisse dieci anni dopo, « che fin da quando ebbi la grazia della guarigione nel 1870, sentiva un vivo desiderio di andare in persona a ringraziare la mia sovrana Benefattrice nel suo Santuario ».

Giunto alla stazione di Porta Nuova la sera del 16 maggio, si fece condurre da un vetturino a Valdocco; ma lungo il percorso non seppe resistere alla tentazione di domandare, al suo automedonte, di Don Bosco e dell'Oratorio, per raccogliere dalla bocca dei popolani ciò che pensavano del sacerdote da lui tanto venerato ed amato. Ecco il dialogo che ne segui:

- Chi è questo Don Bosco del quale tanto si parla?

- È un prete che ha molti collegi. Tutti i signori gli dànno dei danari. È un milionario.

- E Don Bosco che cosa ne fa di tutti questi soldi?

- Compra altri collegi.

- E chi ci sta in questi collegi? - Oh bella! dei ragazzetti.

- Sono poveri o ricchi?... e chi li mantiene?

- Poveri... e li mantiene Don Bosco.

- Dunque Don Bosco spende molto bene questi milioni: egli è certamente un santo prete. E voi, mio caro, andate mai alla messa nel santuario di Maria Ausiliatrice e a confessarvi da Don Bosco?

« In questa », continua Don Taroni, « arrivai all'Oratorio. Gli ultimi raggi del crepuscolo illuminavano la grandiosa cupola del Santuario e la statua di bronzo dorato posta in vetta... Sceso dalla vettura, giunse alle mie orecchie l'armonia delle sei campane e del grande organo della chiesa. Entrai ad ossequiare l'Ausiliatrice, che da quel suo gran quadro in mezzo allo splendore di tante faci m'apparve come una visione celeste ».

Uscito dalla Chiesa, per entrare nell'Oratorio, Don Taroni vide un sacerdote che, smontato da una carrozza, s'avviava alla porta d'ingresso e, salutatolo rispettosamente, gli domandò:

- Lei, forse entra nell'Oratorio?

- Sì; e lei pure? gli fu risposto; conosce forse qualcuno nell'Oratorio?

- Conosco, ripiglia Don Taroni, un certo Vespignani. Lei pure lo conosce?

- Sì, rispose l'altro, e adesso lo vedremo.

E mentre quello sconosciuto voleva dare la precedenza a Don Taroni, questi lo pregò di entrare pel primo come quello che doveva essere piú pratico della casa. Entrò; e Don Taroni, presso di lui, che gli chiedeva donde venisse. Appena giunti nel cortile sotto il portico, ecco da un gruppo di sacerdoti si spicca Don Vespignani e, correndo verso i due arrivati, bacia da prima la mano allo sconosciuto, salutandolo: - Buona sera, . signor Don Bosco. - E rivolgendosi al direttore: - Oh caro Direttore, come sta?

Ma egli guardandolo con meraviglia:

- Avete detto Don Bosco, disse: ma dov'è Don Bosco?

- Eccolo qui con lei: ella è con Don Bosco.

A queste parole Don Taroni cadde in ginocchio colle mani alzate, poi congiunte, ripetendo: - Ah signor Don Bosco, ed io non l'aveva conosciuto!

Don Bosco, alzatolo e abbracciatolo, domandò a Don Vespignani chi fosse e saputolo:

- Ho capito, disse, ho capito! questo è quel gran nemico di Don Bosco!... Don Vespignani, conducilo in camera a deporre la valigia, perché il Direttore ha bisogno di riposare, e questa sera mettilo a cena nel mio posto a boscheggiare... Domani poi faremo la pace; -- quindi con amorevolezza si licenziò. E mentre Don Vespignani accompagnava il Direttore di sopra, questi non si stancava di ripetere:

- Dunque quello là era proprio Don Bosco?! Adesso capisco perché ha scritto tanti libri e ha fatto tante altre cose! Non vedi con quanta calma, con quale tranquillità parla e cammina? Come si vede che è santo!

Don Taroni aveva notato nel suo taccuino tutte le grazie da domandare alla Beata Vergine in quel pellegrinaggio a Torino, cioè « la grazia della buona morte per sé e per i suoi; il coraggio nei pericoli per sé e per la sorella monaca; e per tutti i seminaristi e nipoti la riuscita nella pietà e negli studi »; e tutti i quesiti da presentare a Don Bosco « sul suo metodo di dirigere i giovani e ascoltare le confessioni, sul suo metodo di vita spirituale, e sull'ispirazione che sembravagli sentire talora di rendersi salesiano ».

Nei dieci giorni che rimase a Torino, studiò accuratamente quanto riferivasi a Don Bosco, alle sue opere e alla sua instancabile attività e notò in carta i detti e i fatti di lui.

Il 18 si confessò la prima volta da Don Bosco in camera e, tornatone, disse tutto raggiante al suo caro Don Vespignani: « Mi sono messo nelle mani di Don Bosco perche facesse di me quello che voleva... ma egli mi ha detto recisamente: - Lei per ora deve tornare nel suo seminario e coltivare i giovanetti e le vocazioni ecclesiastiche; questa è la sua vocazione. Farà da Cooperatore Salesiano spargendo buoni libri, e specialmente le Letture Cattoliche ». Quindi mons. Taroni soleva dire scherzando: - Don Bosco non mi ha voluto, ma io mi vendico mandandogli i miei figliuoli.

« Stamane, scrive nel suo taccuino, Don Bosco mi ha detto che non avrebbe difficoltà a levarsi il cappello al diavolo, purché lo lasciasse passare per andare a salvare un'anima ».

Il 23 rimase con lui in camera fino a mezzanotte. « Gli manifestai le grazie che io intendeva chiedere domani a Maria: fra le altre, la fortezza ed il coraggio. Mi rispose: - Aggiunga: fac ut ardeat cor meum in amando Christum Deum : (ond'io composi quella giaculatoria: a vivere e a morir nel santo amore - aiutatemi, o Madre del Signore.

Prima di uscire dalla sua camera gli chiesi la benedizione e me la diede ».

« Il venerdí mattina (25) lui confessai di nuovo da Don Bosco in sacrestia, dove verso le ore 10 attendeva ancora alle confessioni. Gli domandai la benedizione per i miei seminaristi, ed egli con aria da santo rispose: - Sí, preghiamo che tutti si facciano santi e qualcheduno si renda salesiano, se è volontà di Dio ».

Nel tornare a Faenza, Don Taroni, in preda a soavi emozioni, compose in treno un sonetto che terminava:

O Vergine, o Don Bosco, o Salesiani !... Felici voi, con voi felice il mondo , Se invocherà l'Aiuto dei Cristiani! e nel quaderno, ove raccolse le sue impressioni di viaggio pose, quasi per titolo, quella sentenza dell'Edipo: L'amicizia di un uomo grande è un favore degli dei.

« Per le Letture Cattoliche e per il Bollettino », scrive Don Taroni nelle sue memorie (1888), « crebbe sempre piú a Faenza la cognizione di Don Bosco e de' suoi Salesiani, e nacque il desiderio e la speranza di avere una loro casa tra noi ». Ma il direttore vagheggiava già da un pezzo questa idea.

Infatti, nel 1872, scriveva al suo dilettissimo Don Saverio Grilli: « E Don Bosco? E l'uomo della

Provvidenza per la povera gioventú d'Italia. Credilo, Saverio mio, non avremo piú studenti cristiani, se non si adotta l'istituzjone di Don Bosco... o altra simile... Ci bisogna un antidoto. Don Bosco è mandato da Dio a porgerlo all'Italia. Beati quelli che se ne prevarranno per salvare la gioventú povera! Preghiamo che sieno molti! »

Poco dopo il suo ritorno da Torino, fu visitato (l'8 giugno 1877) da Don Barberis e da Don Lazzero, e fin d'allora fondò tra i seminaristi una lega di preghiere per l'erezione di una Casa Salesiana in Faenza. E incredibile quante preghiere si facessero in Seminario a tale effetto! Basti il dire che i seminaristi, per turno, non ricordo piú quanti ogni giorno, per lungo tempo si accostarono alla S. Comunione, e che egli stesso, fin dal 29 gennaio 1878, cominciò ad applicare un gran numero di messe, « ut salesiani veniant... ut Dominus mittat operarios in messem suam ». Intanto fin dalla primavera di quest'anno (1878) si era designata come probabile residenza dei Salesiani una parte dell'ex-monastero della SS. Trinità nel borgo Durbecco, e nel marzo 1879 Don Bosco faceva scrivere a Don Taroni: - I Faentini preparino il nido e i salesiani voleranno.

A questo scopo s'istituí in Faenza, nell'autunno, una commissione di dodici personaggi, alla quale appartenne anche Don Taroni. Di quei giorni scriveva al suo Don Saverio: « Dappertutto si aprono case salesiane e in Romagna no. Questo è lui problema da studiarsi davanti al SS. Sacramento. E perche non potremmo avere a Faenza un buon Seminario pei chierici e un buon collegio pei laici?... L'uomo proponga e Dio disponga ».

Infatti da quel tempo in poi, per raccogliere i mezzi necessari, egli importuna e tempesta di lettere i cooperatori, gli amici e gli associati delle Letture Cattoliche, e per vincere gl'indugi di Don Bosco, scrive ai membri del Consiglio Superiore, a lui noti, e a' suoi figliuoli spirituali già entrati nella Pia Società Salesiana, lettere pressanti. Egli stesso modestamente si ascrive le prime parti nella fondazione della casa di Faenza, quando in un registro degli associati delle Letture Cattoliche scrive per modo di scherzo: « Napoleone III affermava che con 6o.ooo francesi avrebbe espugnato qualunque piazza forte d'Europa: in 2o anni ho sparso un 60.000 fascicoletti delle Letture Cattoliche ed ecco i Salesiani a Faenza ».

Il 25 maggio 188o si ebbe formale assicurazione da Don Bosco che i Salesiani sarebbero venuti a Faenza, e il 2o novembre 1881 inauguravasi la nuova casa nel borgo Durbecco. Pieno di giubilo, Don Taroni scriveva nelle sue memorie:

« Sia benedetto il Signore!... Dopo tante preghiere e sospiri, nel tempo dell'avvento abbiamo a Faenza l'avvento dei salesiani... Io ne ringrazio vivamente il cielo... e a me si uniscono tutti i Faentini, specialmente i cooperatori e i seminaristi ».

L'istituto salesiano di Faenza divenne il soggetto degli amori piú forti e delle cure piú squisite di Don Taroni. L'egregio sac. prof. G. B. Rinaldi, che saviamente e amorosamente lo diresse dal 1881 al 1901, lui scrive: « ... Se dovessi farle la storia de' miei vent'anni a Faenza, dovrei mandarle un volume, ov'ella troverebbe- sempre a capo d'ogni scena od atto giocondo o doloroso, a guida, a consigliere, fino, delicato, inspirato, l'amantissimo Mons. Taroni. Sue erano del tutto le nostre poche gioie, suoi sempre i nostri dolori. Quanti sacrifizi s'impose per Opera Salesiana!...»

Un egregio sacerdote salesiano, dimorato sei anni a Faenza, cosí mi scrive da Buenos Ayres: « Un giorno Mons. Taroni, entrato in collegio, passava davanti alla cantina e vedendo il cantiniere gli dice: - E cosí, quand'è che mi date da bere? - Quel semplicione gli rispose secco : Senza il permesso del superiore, mai. Un altro coadiutore presente si pose a sgridare il cantiniere: - Cosí rispondi al direttore del Seminario? - Ma Mons. Taroni: - Non vi scaldate, disse, io non ho sete... ho fatto per conoscere chi era costui e sono contento e faccia sempre cosí.

» Un'altra volta m'incontrai, sotto il portico, con Mons. Taroni... Un seminarista andava verso la cappella del Collegio... Egli mi chiama e dice: Lo vedi? è un futuro salesiano. Lo mando ai piedi di Maria perche gli dia forza di vincere le sante battaglie ».

Chi vorrà scrivere la storia della casa salesiana di Faenza, potrà attingere largamente ad un grosso quaderno, ove Mons. Taroni ha raccolto un gran numero di notizie sulla medesima, dai primordi fino all'estate del 1893; ed ove, a modo di prefazione, riassume il racconto dei nostri cronisti sulle prime fondazioni Faentine di S. Francesco, di S. Domenico e di S. Ignazio di Loiola.

Nel febbraio dei 1879 un antico allievo di Mons. Taroni, collegiale in Alassio, scriveva al Direttore: « Don Bosco mi ha detto che Ella e i suoi seminaristi sono ladri, perche gli hanno rubato il cuore; e lo costringono a venirli a trovare »: e il 4 maggio 1881 Don Bosco a me stesso, in Roma, ripeteva: « D. Taroni è un santo prete: quando egli venne a Torino, ci trattò da fratelli e noi lo ricevemmo come fratello. A Faenza ci vogliono bene e noi vogliamo bene a Faenza, e se a Dio piace, li andremo a trovare ». Il sant'uomo mantenne la sua parola nell'anno appresso.

« È giunto a Faenza stassera (13 maggio 1882) » scrive il Direttore nelle sue memorie: « e stamane (14 maggio) i miei seminaristi gli hanno servito la messa... L'hanno accolto nel cortile sotto la loggia e quindi condotto in sala. Oh le parole che loro ha detto! -- ... Vi amo da tanto tempo, da tanto tempo parlo di voi, ho pregato tante volte per voi... desideravo di vedervi, ed ecco vi veggo e sono contento;... - e raccomandò loro tre s, la santità, la sapienza e la sanità. Don Bosco domandò al Rettore se passavano a casa le vacanze: si rispose che no: e Don Bosco esclamò: - Fortunati loro!... - Gli domandariyno inginocchiati la sua benedizione, ed egli ci benedisse come un santo ».

Forse non era facile trovare un uomo che avesse per Don Bosco una venerazione piú profonda di quella di Don Taroni, che più di lui fosse persuaso che il venerando sacerdote Torinese e il suo istituto erano l'istrumento della divina provvidenza per la preservazione della nostra gioventú.

« Don Bosco è il miglior prete che io mi conosca... Don Bosco è l'uomo della Provvidenza... il suo istituto è il bisogno dei nostri tempi... Don Bosco è un santo: tocca a voi, o preti, far conoscere i santi... » Oneste e simili sentenze ricorrono le mille volte nella sua voluminosa corrispondenza; e nell'ultima sua lettera (22 marzo 1902) è tutto in giolito perché da Torino gli hanno mandato in regalo alcuni esemplari della vita di Don Bosco », e ne spedisce uno ad un amico « perché lo faccia leggere a tutto il paese ». « Quanto bene si farà!... domanda agli associati, e anche ai sacerdoti, se leggono la vita di Don Bosco ».

Mons. Taroni leggeva avidamente qualunque scritto si riferisse al Venerabile sacerdote, alla sua vita, alle case da lui fondate, alle missioni da lui istituite, e i libri da lui composti: riportavane tratti, sentenze o notizie nei suoi quaderni, ritenevale fedelmente nella memoria, e le ripeteva con singolare precisione di nomi e di date. Conosceva di persona tutti i membri del Consiglio Superiore, e moltissimi altri, o direttori di case o semplici operai della Pia Società.

Peregrinò di nuovo a Valdocco nel 1884 (3-6 novembre) « collo spirito col quale andò a S. Carlo a Torino », e si confessò di nuovo da Don Bosco, registrando nelle sue memorie i consigli e gli avvertimenti di lui.

- « Coraggio, sig. Don Taroni, gli disse Don Bosco nel licenziarlo, andremo in paradiso e vi condurremo altri ».

E vi tornò la terza volta nel 1891 (29-30 luglio) per celebrare la messa sopra la tomba di Lui in Valsalice.

Circa quaranta diocesani di Faenza hanno dato il nome alla Pia Società Salesiana, per opera più o meno di Mons. Taroni; simile in questo a S. Filippo Neri, che, quantunque rimasto fuori della Compagnia di Gesú, tuttavia si adoperò perche molti si rendessero gesuiti, a guisa delle campane che, senza entrarvi mai, chiamano la gente in chiesa.

Don Bosco, Don Rua e tutta la Pia Società Salelesiana contraccambiavano mons. Taroni di pari affetto e stima: e nel settembre del 1900, in occasione del suo giubileo sacerdotale, gl'impetravano dal S. Padre il titolo di Monsignore.

Faenza.

Can. FRANCESCO LANZONI.

(1) Ved. Suppl. n. 1. - Gennaio 1916.

Nelle fatiche e nei patimenti non si dimentichi che abbiamo un gran premio in cielo.

Ven. Gio. Bosco.

«ACTA APOSTOLICAE SEDIS »

Fo miei tutti i sentimenti di fede, di stima, di rispetto, di venerazione, di amore inalterabile di S. Francesco di Sales verso il Sommo Pontefice... Intendo che gli alunni dell'umile Società di S. Francesco di Sales non si discostino mai dai sentimenti di questo gran Santo, nostro patrono, verso la Sede Apostolica... Ritengo inoltre Cile questo si debba fare non solo dai Salesiani e dai loro Cooperatori, ma da tutti i fedeli, specialmente dal Clero.

Ven. Gio. Bosco.

Atti di PP. Benedetto XV. Apostolicae sub plumbo Litterae.

I) Inter praecipuas. - Nuova provincia ecclesiastica e nuova diocesi nel Canadà. - 4 dicembre 1915.

Con Bolla del 4 dicembre 1915, spedita il giorno 14 marzo 1916, nella provincia civile di Saskatchewan nel Canadà, venne eretta una nuova provincia ecclesiastica, separando le due diocesi di Regina e di Principe Alberto dalla provincia ecclesiastica di S. Bonifacio e costituendo in Metropolitana la diocesi di Regina, alla quale l'altra diocesi di Principe Alberto fu assegnata come suffraganea. La vasta diocesi di S. Bonifacio venne divisa in due parti: la parte orientale, ove trovasi la città di S. Bonifacio, fu assegnata all'antica chiesa arcivescovile con privilegi e diritti metropolitani, eccettuate tuttavia le diocesi di Regina e Principe Alberto; la parte occidentale, ove si trova la città di Winnepeg, venne eretta a nuova sede arcivescovile, immediatamente soggetta al Romano Pontefice. All'Arcivescovo di Winnepeg furono concessi tutti i diritti e privilegi degli altri Arcivescovi, compreso l'uso del Pallio e della Croce gestatoria. -- (Acta A. S., VIII, n. 4 pag. 89).

II) Apostolatus Officium. - Nuova diocesi nel Brasile - 2o dicembre 1915.

S. S. Papa Benedetto XV, accogliendo benevolmente le preghiere del Vescovo di Goyaz nel Brasile, con Bolla del 2o dicembre 1915, ha diviso in due questa ampia diocesi, e, riducendo alla parte meridionale la diocesi di Goyaz, nella parte settentrionale ha eretto la nuova diocesi di Porto Nacional. - (Acta A. S., VIII n. 4 pag. 92).

„ Epistolae ".

I) Ad christiani apostolatus apicem. - 6 gennaio 1916. - Lettera di lode e di incoraggiamento ai due presidenti dell'Opera della Propagazione della Fede, Carlo Hamel di Parigi ed Enrico Saint-Olive di Lione.

Il pensiero di altre oves, quae non sunt ex Ecclesiae ovili, muove il S. Padre a meglio augurare all'opera cosí benemerita della Propagazione della Fede. Ma, ahi dolore! quando n'era desiderato il maggiore incremento, ecco quei tempi, giustamente chiamati calamitosi « perche sottraggono alle Missioni Cattoliche un gran numero di sacri operai e i mezzi necessari per la loro sussistenza ». - (Acta Ap. S., VIII, n. 1, pag. 5).

II) Caritatem nunquam excidere - 31 gennaio 1916. Lettera all'illustrissimo Visconte Luigi d'Hendecourt, presidente della Conferenza di San Vincenzo, per ringraziarlo del resoconto inviato sul prospero andamento della Società.

Il S. Padre è lieto che, in mezzo alle accresciute miserie e disgrazie, si sia acceso un maggior fuoco di carità: e dichiara « essere questo un tempo, che richiede una carità cristiana la Più operosa - in ea profecto incidimus tempora, quae christianam caritatem quam quae maxime actuosam requirunt ». - Acta A. S., VIII, n. 2, pag. 33).

III) Quoniam Africanarum. - 2 feb. 1916. - Lettera ai Card. P. P. Andriesi, Arciv. di Bordeaux, sull'elemosina da erogarsi per i negri nel giorno dell'Epifania,

Il S. Padre scrive questa lettera, mosso dal desiderio di concorrere, per quanto sta in Lui, a migliorare la infelice condizione dei Negri che si trovano nei possedimenti Africani della Francia. Ricorda quanto la Chiesa ha fatto fin da principio per rimuovere il vergognoso mercato dei Negri, e, deplorando che tanta ignominia, sebbene cancellata in grati parte, non sia ancora interamente scomparsa dalla società, conferma, ad esempio di Pio X, il decreto opportunissimo di Leone XIII, col quale si ordina che ogni anno, nella festa dell'Epifania, ovunque si celebrano pubbliche funzioni, venga raccolta un'elemosina, destinata alla rendenzione dei Negri. - (Acta A. S., VIII. n. 3 pag. 57)

IV) Ai tremendo conflitto. - 4 marzo 1916.

Lettera all'Em.mo Card. Vicario, nella quale « affine di impetrare piú facilmente dalla infinita misericordia di Dio la cessazione dell'immane flagello » si esortano i fedeli, non solo di Roma, ma di tutta l'Italia e degli altri paesi belligeranti, a trascorrere la santa quaresima - e specialmente il giorno del Venerdí Santo - in una più fervorosa ed assidua preghiera e nella pratica della cristiana mortificazione; - e di adoperarsi « in modo speciale a sollievo dei miseri figli di coloro che son morti in questa orribile guerra». - (Acta A. S., VIII, n. 3, pag. 58).

Sermo.

Al Vescovo. - Discorso tenuto il 6 marzo ai Predicatori della Quaresima in Roma.

Il Santo Padre, prendendo argomento dalla formola usata dal Vescovo nel benedire il predicatore della quaresima nella sua Cattedrale: « Dominus sic in corde tuo, et in labiis tuis ut digne, competenter et fructuose annunties Evangelium suum e augura ai quaresimalisti di Roma che il Signore sia veramente nei loro cuori e sulle loro labbra affinche possano annunciare nel dovuto modo il Vangelo di Dio. Insiste particolarmente sul dovere che ha il Sacerdote di portare sul pulpito la parola di Dio, non altra dottrina; ed osserva che la sacra predicazione deve essere fatta in maniera conveniente e colla debita competenza, affinché abbia a riuscire feconda di buoni frutti. - (Acta

A. S., VIII, n. 4, pag. 95).

NB. Il discorso è riportato integralmente nella sua parte dottrinale a pag. 45.

Atti delle Sacre Congregazioni

Suprema S. congregazione del S. Ufficio.

I) Decreto. - Dichiarazione ed estensione di alcune concessioni per il tempo della guerra. - 16 dicembre 1915.

Si dichiara che i privilegi e le facoltà riguardanti le indulgenze concesse in occasione della guerra presente si estendono a tutte le nazioni belligeranti. Tali sono:

1 ° il privilegio delle Messe, che, ovunque, si celebrano in suffragio dei caduti in guerra (C. S. Ufficio, 28 gennaio 1915);

2 ° la dispensa dalla clausola « De consensu Ordinarii » per le benedizioni degli oggetti di devozione, per i Sacerdoti che si trovano tra i soldati (C. S. Ufficio 4 febb. 1915);

3 ° e 4 ° la facoltà per i Sacerdoti ascritti alla milizia d'impartire la Benedizione Apostolica in Articulo mortis e di annettere con unico segno di croce le indulgenze apostoliche a corone, croci, crocifissi, medaglie, statuette. - (Acta A. S., VIII, n. f pag. 7).

II) Dichiarazione circa la facoltà che hanno gli Ordinarci di riconciliare ed assolvere gli eretici ed apostati. - 19 febbraio 1916.

Si dichiara: 1 ° Che l'assoluzione dalla scomunica incorsa per eresia o apostasia, in foro conscientiae, come prescrive la Costituzione Ap. Sedis, è riservata speciali modo al Sommo Pontefice.

2° Ma se il delitto di eresia o apostasia per confessione spontanea od in altro modo è deferito innanzi al foro esterno del Vescovo od altro prelato con giurisdizione quasi episcopale, questi, per autorità ordinaria, premessa l'abiura in forma giuridica, può assolvere l'eretico o l'apostata pentito. Ottenuta cosí l'assoluzione nel foro esterno, si potrà ottenere l'assoluzione in foro conscientiae da qualunque confessore, mediante l'assoluzione sacramentale.

L'abiura, perché sia giuridica, deve essere compiuta innanzi al Vescovo o Prelato, oppure innanzi ad un loro delegato, e almeno a due testimonii. - (Acta A. S., VIII. n. 3, pag. 61).

S. congregazione concistoriale.

I) Nuove diocesi nel Brasile. - 1 ° Con decreto del 15 dicembre 1915 venne diviso in due parti il territorio della Archidiocesi di Marianna, riducendo alla parte occidentale l'Archidiocesi di Marianna, e formando colla parte orientale la nuova diocesi di Caratinga. - (Acta A. S., VIII, n. 1, pag. 8).

2° Con altro decreto del 3 febbraio 1916 fu pure diviso in due parti il territorio della diocesi di « Pouso Alegre », e, riducendo alla parte meridionale la diocesi di « Pouso Alegre », nella parte Settentrionale è costituita la nuova diocesi di Guaxupé. - (Acta A. S., VIII, n. 3, pag. 62.)

3 ° Anche la diocesi di Goyaz fu divisa in due parti, nel modo indicato nella Bolla pontificia succitata. - (Acta A. S., VIII, n. 4, pag. 103).

II) Erezione di nuove diocesi e della Provincia Ecclesiastica nell'Honduras - 2 febbraio 1916.

Con decreto concistoriale del 2 febbraio 1916 la diocesi di Comayagua, che abbracciava tutta la repubblica di Honduras, fu divisa in tre parti. Nella parte orientale fu costituita la diocesi di Tegucigalpa, nella parte occidentale la diocesi di S. Rosa de Capán, e nella parte settentrionale il Vicariato Apostolico di S. Pedro Sula. Questa nuova diocesi e il Vicariato Apostolico sono soggetti alla Chiesa Metropolitana di Tegucigalpa. -(Acta A. S., VIII. n. 3, pag. 62).

III) Un Vicariato Apostolico eretto in diocesi nel Canadà. - Con decreto del 7 gennaio io 16 il Vicariato Apostolico di Temiskaminque nel Canadà venne eretto in diocesi. Alla nuova diocesi fu dato il nome proprio della sua città principale, Haileybury, e fu dichiarata suffraganea della diocesi di Ottava. - (Acta A. S., VIII, n. 2 pag. 35)

IV) Circa i confini della diocesi di Otranto e di Lecce.

Con decreto del 25 novembre 1915 parte della città e del territorio di San Cesario venne separato dalla diocesi di Otranto e unita a quella di Lecce, in modo che per l'avvenire i confini civili del municipio di S. Cesario costituiscano anche i confini delle due diocesi. - (Acta A. S., VIII, n. 2, pag. 35).

V) Beneventana: - Dismembrationis territorii.

Per facilitare il ministero pastorale dell'Arcivescovo di Benevento, il S. Padre Benedetto XV, con decreto concistoriale del 23 febbraio 1916, ha stabilito che i luoghi piú distanti dalla sede Beneventana e da essa divisi dal territorio di altre diocesi limitrofe, vengano uniti alla diocesi più vicina.

La parrocchia di Casalnuovo Monterotaro venne unita alla diocesi di Lucera e le parrocchie di Lesina e Poggio Imperiale furono unite alla diocesi di S. Severo. - (Acta A. S., VIII, n. 4, pag. 102).

VI) Aggiunta di titoli Episcopali. - 15 febbraio 1916.

Alla Chiesa di Digne in Francia sono aggiunti gli antichi titoli Reiensis (Riez) e Sistariensis (Sisteron). - (Acta A. S., VIII, n. 3, pag. 63.)

VII) Provvista di Chiese. - 1° Il R. D. Giovanni Pinardi, parroco nella città di Torino, fu preposto alla Chiesa titolare di Eudossiade e co-

stituito Ausiliare dell'Em.mo Sig. Card. Agostino Richelmv, Arciv. di Torino - 24 febbraio 1916.

2 ° Il R. D. Emilio Bongiorni, Vicario Generale di Brescia e parroco Mitrato di S. Nazario, fu preposto alla Chiesa titolare di Bablana (o Sasima) e costituito ausiliare del Vescovo di Brescia. - 31 gennaio 1916. - (Acta A. S., VIII, n. 2, pag. 36).

NB. - Ci limitiamo a ricordare le provviste per le Chiese d'Italia.

VIII) Nomina. - Monsig. Andrea Caron, Arcivescovo titolare di Calcedonia, fu nominato Delegato Pontificio colle facoltà di Amministratore Apostolico per l'Abbazia Nullius dei SS. Vincenzo ed Anastasio ad Aquas Salvias - 1 gennaio 1916. - (Acta A. S., VIII, n. I, pag. 9).

S. Congregazione dei Sacramenti.

I) Clandestinitatis. - 31 gennaio 1916.

Al dubbio: «Se e come provvedere quando occorra celebrare il matrimonio religioso mentre non è possibile compiere prima il rito civile, richiesto dalle leggi sotto pena di misure coercitive », la S. C. dei Sacramenti, nella seduta plenaria del 28 gennaio 1916, rispose: « Si ricorra nei singoli casi alla S. Sede ». Si eccettua il caso in cui vi sia il pericolo di morte per uno degli sposi, nel quale ogni sacerdote può dispensare anche dall'impedimento di clandestinità,. permettendo che il matrimonio sia celebrato lecitamente e validamente coi soli testimonii. - (Acta A. S., VIII, n. 2, pag. 36.)

II) Liceitatis matrimonii. -- 28 gennaio 1916.

Si dichiara illecito il matrimonio celebrato da una giovane ebrea con un giovane cattolico innanzi al parroco non proprio, senza che questi avesse ottenuto alcuna licenza, ne' dall'Ordinario né dal parroco della sposa.

La sposa, prima delle nozze, era stata un mese intero nella parrocchia di S... ed ivi era stata battezzata e fatta cattolica, ma pochi giorni dopo il battesimo si era recata nella parrocchia del suo domicilio, ritornando poi di nuovo, dopo tre settimane in S..., ove celebrò subito il suo matrimonio nel giorno 28 aprile 1915.

Tra le « Animadversiones » proposte dalla S. Congregazione due sono degne di nota per la interpretazione del Decreto Ne temere del 2 agosto 1907:

1) La dimora di un mese richiesta dal decreto Ne temere per la liceità del matrimonio, si deve computare dal giorno d'ingresso nella parrocchia, non dal giorno della conversione, poiche il decreto non distingue la dimora del cattolico da quella del non cattolico.

2) Tale dimora deve essere moralmente continua nel tempo che precede immediatamente il matrimonio. Non basta che uno una volta abbia dimorato un mese in un dato luogo, ma si richiede che nel luogo ove intende contrarre matrimonio, avendo domicilio in un altro, sia rimasto almeno tutto il mese antecedente il matrimonio.

Nel caso, la interruzione di tre settimane è abbastanza notevole per distruggere la continuità morale della dimora antecedente nella parrocchia S... - (Acta A. S., VIII, n. 3, pag. 64).

S. Congregazione del Concilio.

I) Incriminationis. - 31 luglio 1915.

Si sospendono dai divini uffizi e dal beneficio tre sacerdoti della diocesi N., colpevoli di grave diffamazione e cospirazione contro del proprio Vescovo. - (Acta A. S., VIII, n. 1, pag. 9).

II) Oritana: - Participationis. - 27 marzo e 19 giugno 1915.

Si risolve in favore del Capitolo della Cattedrale di Oria, prov. di Lecce, una questione tra uno dei canonici e i suoi colleghi, a proposito della participazione ai frutti della massa capitolare. - (Acta A. S., VIII, n. 2, pag. 37).

S. Congregazione di Propaganda Fide per gli affari di rito Orientale.

I) Dubia circa Constitutionem « Incruentum » quoad Orientales. - 22 marzo 1916.

Si dichiara che il privilegio di celebrare tre Messe nel giorno della solenne Commemorazione dei defunti, a norma della Costituzione Apostolica « Incruentum » di SS. Papa Penedetto XV, non si estende agli Orientali, né si ritiene conveniente tale estensione. - (Acta A. S., VIII, n. 4, pag. 104).

II) Decretum de spirituali adsistentia fidelium Graeco-Rutheni ritus, in regionibus Americae Meridionalis immigrantium. -- 27 marzo 1816.

Con decreto, valevole per dieci anni, si raccolgono in 2o articoli le disposizioni emanate in questi ultimi tempi dalla S. C. di Propaganda Fide per gli affari di rito orientale, intorno all'amministrazione spirituale dei fedeli di rito greco-ruteno immigranti nell'America Meridionale.

Ecco alcune delle disposizioni piú importanti: Tutti i fedeli ed i Sacerdoti di rito greco-ruteno, dimoranti nell'America del Sud, dipendono unicamente dalla giurisdizione del Vescovo del luogo (art. I e 2). - I fedeli greco-ruteni sono tenuti a frequentare le chiese del proprio rito, ove esistono; in mancanza di chiese proprie, debbono conformarsi al rito latino quanto all'obbligo di ascoltare la S. Messa e l'uso dei Sacramenti, senza che da ciò ne segua mutazione di rito (art. 5). -- E vietato il passaggio dal rito greco ruteno al cattolico, senza licenza della S. Sede (art. 6). - I fedeli latini ed i greco-ruteni possono confessarsi e ricevere la S. Comunione da qualunque sacerdote approvato dal Vescovo, se anche non è del proprio rito. (Art. 9 e 10). - Rimangono però obbligati a ricevere la Comunione Pasquale nel proprio rito e dal proprio parroco (art. 11). - Non sono vietati i matrimonii tra cattolici di rito greco-ruteno e di rito latino, però la moglie, durante il matrimonio, può seguire il rito del marito (art. 15). - La prole dell'uno e dell'altro sesso deve seguire il rito del padre (art. 18) - I matrimonii dei fedeli greco-ruteni tra loro, o coi fedeli di rito latino, si devono celebrare nella forma prescritta dal decreto Ne temere (art. 17). -(Acta A. S., VIII, n. 4, pag. 105).

S. Congregazione dei Riti.

I) Romana seu Neapolitana. - 9 gennaio 1916. - Decreto per la Causa di Beatificazione e Canonizzazione del Ven. Giovanni Battista da Borgogna, Sacerdote professo dell'Ordine dei Frati Minori, col quale si dichiara constare delle virtù teologali e cardinali esercitate in grado eroico dal suddetto Servo di Dio; per cui si può procedere ad ulteriora : cioé alla discussione dei quattro miracoli.

Ci par degno di nota il fatto che il Decreto, rilevando nel Ven. Giovanni Battista da Borgogna un prezioso modello per la gioventù studiosa, - rivolge ad essa lui dolce invito con queste note parole: « Prima di tutto conosci i beni che possiedi, acciò tu possa apprezzarli per esserne grato a Dio, che te gli ha conceduti, e finalmente farne l'uso, che devi... Altri comincerebbe dal raccomandarti lo studio, ed io comincio dal raccomandarti la bontà, e ti prego di custodirtela nel cuore, come tesoro senza prezzo. La dottrina spesso è una vana suppellettile, che poco ci serve agli usi della vita, e della quale per lo più si fa pompa nei giorni di gala, come dei tappeti e delle posate d'argento. Ma la bontà è un utensile di prima necessità, che dobbiamo aver tra mano ogni ora, ogni momento. Senza uomini dotti, crédimi pure, il mondo potrebbe andare innanzi benissimo: senza uomini buoni ogni cosa sarebbe sovvertita ». (Epistolario di Giuseppe Giusti, 7a ediz., Vol. Unic., pagg. 165-166. Lettera a Giovannino Piacentini, 7 dicembre 1840). - (Acta Ap. S., VIII, n. 1, pag. 13).

II) Sancti Hippolyti (S. Ippolito nell'Austria Inferiore) -- 22 dicembre 1915.

Decreto d'introduzione della Causa del Servo di Dio Giov. Battista Stoeger, laico professo della Congregazione del SS. Redentore.

Nato ad Enrersfeld, presso Vienna, il 4 ottobre 1810, mori santamente il 3 novembre 1883, nella città di Eggenburg. Visse 46 anni nella Congregazione del SS. Redentore come laico, facendo il cuoco, il panattiere, l'ortolano, e in altri umili uffici. Compiva con gioia anche l'ufficio di sacrestano. Si distinse per la vivezza della fede, per angelica modestia, e osservanza religiosa. Aveva una devozione specialissima per Gesú Sacramentato e per la Madonna. - (Acta Ap. S., VIII, n. i, pag. 16).

III) Parisien. - 26 gennaio 1916.

Decreto per l'introduzione della causa di Beatificazione, o dichiarazione del martirio dei 213 Servi di Dio, uccisi a Parigi nel settembre det 1792.

Sono i celebri martiri della Rivoluzione Francese. Il loro elenco glorioso abbraccia più di due pagine degli Acta. Il decreto fa menzione speciale di tre Vescovi, i Servi di Dio Mons. Giov. Maria du Lau, nato nel 1738, Arcivescovo di Arles, zelante come S. Carlo Borromeo; Mons. Francesco Giuseppe de La Rochefoucauld, nato nel 1739, Vescovo di Beauvais, modello di carità verso i poveri ; e Mons. Pietro Lodovico de La Rochefoucauld, nato nel 1744, Vescovo di Saintes, zelantissimo nell'educazione della gioventù. - (Acta Ap, S., VIII, n. 3, pag. 67).

IV) Decreto sulla lampada del S. S. Sacramento.

- 23 febbraio 1916.

Si antorizzano i Vescovi a permettere, nei casi in cui vi è grave difficoltà di trovare olio d'oliva, che si faccia uso di altro olio, possibilmente vegetale, o di miscuglio di cera, o, ultimo loco, anche di luce elettrica - (Acta A. S., VIII, n. 3, pag. 72).

V) Decreto circa il numero dei Sacerdoti e Sacri Ministri nella benedizione e consacrazione degli olii santi. - 23 febbraio 1916.

Si concede che i Vescovi delle Nazioni belligeranti, nel 1916 e finche perduri la mancanza di Sacerdoti causata dalla guerra presente, possano consacrare gli Olii santi con quel numero di Sacerdoti e di Sacri Ministri che potranno avere, purché non siano meno di tre di ciascun ordine, aggiunta la facoltà di usare accoliti in mancanza di suddiaconi. - (Acta A. S., VIII, n. 3, pag. 73)

VI) Dubia. - 12 febbraio 1916.

Nel Decreto del 28 ottobre 1913 si dice che quando si celebra la solennità esterna di una festa. nella domenica in cui prima era fissata la festa, si si possono celebrare tutte le messe della festa trasferita, se questa è di 1a classe, e si può celebrare una sola messa, cantata o letta, se è di 2a classe.

Ora la S. C. dei Riti, rispondendo a due dubbii proposti intorno a questo decreto, dichiara che: 1° per godere dell'indulto la solennità esterna si deve celebrare nella domenica in cui prima era fissata, non in altra domenica successiva; 2° che la celebrazione delle Messe della solennità trasferita è solo facoltativa, non obbligatoria. - (Acta

A. S., VIII, n. 3, pag. 74).

S. Congr. degli Affari Ecclesiastici Straordinari.

Con Decreto del 14 dicembre 1915 sono estesi i diritti ed i poteri già concessi all'Ordinario castrense dell'esercito Belga, in modo che egli possa esercitare la sua giurisdizione, nelle cose spettanti la disciplina ecclesiastica, sopra tutti i Sacerdoti, chierici o religiosi che si trovano sotto le armi, cumulativamente coll'Ordinario della diocesi o col Superiore dell'Ordine od istituto religioso dal quale dipendono. Qualora dovesse usare misure coercitive è tenuto a informare della cosa il Vescovo della diocesi o il superiore religioso. -

(Acta A. S., VIII, n. 1, pag. 17).

Atti dei Tribunali

S. Penitenziaria Apostolica.

Dichiarazione circa l'obbligo di recitare il divino Ufficio per gli ecclesiastici in servizio militare. - 17 marzo 1916.

La S. Penitenzieria Apostolica, deplorando la eccessiva larghezza che si volle dare a una sua dichiarazione del 15 marzo 1912, coll'approvazione del S. Pontefice Benedetto XV ha emanato la seguente dichiarazione:

« I chierici in sacris costretti a partecipare alla guerra sono scusati dall'obbligo di recitare il Divino Ufficio solo quando attualmente si trovano in linea di combattimento, ossia in linea e luogo di guerra; altrimenti sono tenuti a recitare il Divino Ufficio nel miglior modo possibile nelle ore libere; nel caso poi di grave incomodo, per sè o per altri, possono e devono diportarsi secondo le norme generali date dai Teologi, udito anche, se possibile, il proprio confessore ». - (Acta A. S. VIII, n. 4 pag. 108).

S. Romana Rota.

I) Fesulana: - Iurium seu curae habitualis et actualis. -- 9 luglio 1915.

Fattispecie. - La Chiesa parrocchiale di Figline Valdarno, della diocesi di Fiesole, nel 30 luglio 1493, con bolla di Alessandro VI, fu eretta in collegiata con un'unica dignità, detta prepositura, e con 12 canonicati. La stessa bolla stabiliva che la cura delle anime spetta al capitolo « de voluntate praepositi illius Ecclesiae pro tempore existentis ».

Nell'anno 1867 i beni della Chiesa e del Capitolo furono incamerati, conservando solo la prebenda del preposto, perche esercitasse la cura delle annue. Ma essendo riuscito il preposto a riavere gran parte dei beni suddetti, sorsero questioni col Capitolo intorno alla destinazione ed amministrazione dei medesimi.

Sentenza. - Il tribunale della S. Rota si occupò di questa causa in tre turni distinti. La terza sentenza del 9 luglio 1915 conferma in omnibus la sentenza del 17 marzo 1914, la quale aveva riformata la precedente sentenza del 16 febbraio 1911.

Secondo l'ultima sentenza definitiva:

1° La cura abituale delle anime spetta al Capitolo, l'attuale spetta al preposto ed ai canonici legittimamente deputati come suoi coadiutori. Ciò si prova:

a) dalla presunzione di diritto derivante dal fatto che la Chiesa parrocchiale di Figline fu eretta in collegiata, e sopratutto,

b) dai termini espliciti della bolla di erezione, che non fu sostanzialmente modificata dai documenti posteriori.

2) La somma pagata annualmente dal governo deve anzitutto, e principalmente, essere devoluta in favore delle prebende, alle quali è annessa la cura delle anime, nel modo spiegato nella sentenza.

3) Eccezione fatta della parte che, secondo le norme vigenti, si deve depositare nella cassa diocesana, i frutti dei beni tolti dal governo debbono essere restituiti al Capitolo. ed amministrati dal medesimo colle cautele che prescriverà l'Ordinario. - (Acta A. S., VIII, n. 1, pag. 19).

II) Nicien (Nice, Francia). --- Nullitatis matrimonii. - 19 luglio 1915.

Fattispecie : - Germana Surcouf, ancora in tenera età, fu affidata dalla madre morente ad una amica, la sig. Duplessy, donna religiosa ed assai ricca. Ouesta buona Signora ed il marito di lei ebbero sempre Germana come figlia carissima, la allevarono con ogni cura, e quando, giunta a 21 anno, fu in grado di prestare il consenso richiesto dalla legge, l'adottarono a norma del codice francese, concedendole il diritto di portare il loro nome e di ereditare le loro sostanze.

Nello stesso anno la sig. Duplessy propose in matrimonio a Germana il giovane Emmanuele de Serres. Questo matrimonio dispiaceva assai a Germana, ma siccome stava molto a cuore alla madre adottiva, ella non osò opporsi alla sua volontà per non offendere colei dalla quale aveva ricevuto tanti benefizi. Il matrimonio fu celebrato il 2 giugno 1909, due mesi dopo l'atto di adozione, ma non ebbe esito felice. Dopo un anno e mezzo di vita comune i coniugi si separarono ed ottennero che la loro separazione personale fosse approvata con sentenza del tribunale civile. Quindi la sposa ricorse al tribunale ecclesiastico chiedendo fosse dichiarato nullo il suo matrimonio.

Sentenza. - La Curia di Nizza, con sentenza del 22 maggio 1914, riconobbe la nullità del matrimonio ex capite vis et metus, ex parte uxoris. Ma il tribunale della S. Rota a cui la causa fu devoluta per appello del difensore del Vincolo, con sentenza del 31 luglio 1915, dichiarò e non constare de nullitate matrimonii inter Germanam Surcouf et Emmanuelem de Serres », riformando cosí la sentenza portata dalla Curia di Nizza.

Osservazioni : - Il notissimo in diritto che solo il timore grave, quando sia ingiusto ed incusso per estorcere il consenso matrimoniale, dirime il matrimonio. Ed il timore è grave quando il pericolo, o male temuto, è grave, sia in se stesso, sia rispetto alla persona che teme. Ora il timore riverenziale, in quanto è timore di offendere il superiore, per se è leggero, quindi non dirime il matrimonio, perchè l'offesa del superiore in diritto non è considerata conte male grave neppure per la sposa. Tuttavia anche il timore riverenziale può divenire grave quando al tintore di offendere il superiore si aggiungono altre circostanze che possono turbare graveolente anche un uomo od una donna normale. Tra queste circostanze i canonisti enumerano le minacce, i rimproveri gravi, le percosse, le preghiere importune e diuturne, o anche segni di indignazione grave e duratura per parte del superiore. In questi casi il timore riverenziale, non piú semplice, ma qualificato, diventa grave e dirime il matrimonio.

Nel caso Germana acconsenti al matrimonio per non offendere la madre adottiva; per una gratitudine mal intesa non osò opporsi alla sua volontà. Patí timore riverenziale, ma era timore riverenziale semplice, non misto o qualificato; poiche, come risulta dagli atti, la madre adottiva di Germana non usò né minacce né preci importune o molto insistenti, delle quali non fa cenno Germana od altro testimonio. -- (Acta A. S., VIII, n. 4, pag. 109).

III) Parisien. -- Nullitatis Matrimonii. -- 21 maggio 1915.

Fattispecie. Agata Maria Bazin, rimasta vedova con sei figlie, si era proposta di collocarle in matrimonio appena fossero maggiorenni. Ad Elena, quarta figlia, giunta al 20mo anno, designò come marito un certo Emilio Pic. Il partito non piacque ad Elena, come piú volte dichiarò alla madre, ma infine cedette alle sue insistenze e celebrò il matrimonio nel giorno 12 agosto 1899. Durò per tredici anni la vita coniugale, ma poi fu sciolta. La moglie, ottenuto il divorzio civile, propose la causa al tribunale ecclesiastico.

Sentenza. - La causa, per commissione pontificia, fu trattata in prima istanza presso il tribunale della S. Rota, che, con sentenza del 21 marzo 1915, dichiarò: « constare de nullitate matrimonii in caso ex capite vis et metus ».

Osservazioni. - La decisione si fonda sugli stessi principii di diritto che furono accennati per la causa di Nizza.

Ma mentre nel caso precedente, avevasi timore riverenziale semplice che non dirimeva il matrimonio, nel caso presente abbiamo timore riverenziale misto o qualificato, quindi fu riconosciuta la nullità del matrimonio.

Difatti la madre impose il matrimonio alla figlia minacciando di mandarla come istitutrice in paese straniero. La figlia si oppose colle preghiere e colle lagrime fino al giorno del matrimonio.

La convivenza non fu mai tranquilla, e, sebbene sia durata per tredici anni, non poté convalidare il matrimonio. Trattandosi di un impedimento pubblico, che cioè si può provare nel foro esterno, il matrimonio, nullo ex capite vis et metus non poteva essere convalidato se il consenso non veniva espresso nella forma richiesta dal Concilio di Trento. -

(Acta A. S., VIII, n. 2 pag. 45).

IV) Mohilovien. (Mohilew). -Nullitatis Matrimonii. - 27 luglio 1915.

Fattispecie. - Il principe Michele Radziwill, nato da genitori cattolici in Berlino nel 1870, sposò nel 1898 la giovane greco-ortodossa Maria Benardaki, che da piú anni era domiciliata coi genitori a Parigi. Il principe Michele al tempo del matrimonio risiedeva a Londra; come addetto alla Legazione Russa presso il governo Inglese, e si recò colla sposa a Pietroburgo, ove trovò un certo P. Giovanni Lagrange, domenicano, il quale colla delegazione dell'Arcivescovo di Mohilew, assistette al matrimonio, prima in forma privata e, dopo la celebrazione pubblica nel rito scismatico, di nuovo in forma solenne in una chiesa cattolica. Dopo il matrimonio gli sposi lasciarono Pietroburgo e, compiuto il viaggio di nozze, si stabilirono a Londra, dove vissero per alcuni anni in buona armonia, ottenendo prole dal loro matrimonio. Ma poi, sorti dissidi, si separarono senza speranza di riconciliazione. Lo sposo, istruito sulla nullità del suo matrimonio, ricorse alla S. Sede per ottenere la dichiarazione di nullità.

Sentenza. - La causa, per commissione pontificia, fu trattata in prima istanza presso la S. Rota che, con sentenza del 27 luglio 1915, ha dichiarato: « constare de nullitate matrimonii in casu ob impedimentum clandestinitatis ».

Osservazione. - Per intendere questa decisione conviene riflettere sulle circostanze singolari nelle quali il matrimonio fu contratto. La celebrazione fu anteriore al decreto «Ne temere »; quindi la validità si deve giudicare secondo il decreto

« Tametsi » del Conc. Tridentino. Ora ambedue i coniugi nel caso erano soggetti alla legge tridentina che richiede la presenza del proprio parroco per la validità del matrimonio. Difatti sebbene lo sposo fosse domiciliato a Londra, luogo esente dalla legge Tridentina, tuttavia per celebrare il matrimonio si recò a Pietroburgo, ove la legge era in vigore per i Cattolici. La sposa invece era domiciliata a Parigi, ove il decreto Tridentino vigeva anche per gli eretici, e sebbene essa, eretica, sia andata a Pietroburgo, ove il decreto non vigeva per gli eretici e gli scismatici, tuttavia in ordine al matrimonio non poteva godere di tale esenzione, finché non avesse acquistato nuovo domicilio in quella città.

Dunque, essendo la sposa domiciliata a Parigi e lo sposo a Londra, e non essendo intervenuto in alcun modo il parroco dell'uno o dell'altra alla celebrazione del Matrimonio, avvenuta in Pietroburgo, è chiaro che il matrimonio è nullo « ex defectu formae Tridentinae ». Né giova la supposta delegazione dell'Arcivescovo di Mohilew, poiché questi non era Ordinario degli sposi in ordine ad matrimonium. - (Acta A. S., VIII, n. 3, pag. 75).

V) Beneventana - Praecedentiae. - 13 agosto, 1915.

Fattispecie : -In Montefalcione, diocesi di Benevento, esistono due confraternite; una, della Buona Morte, fu canonicamente eretta nel 1695; l'altra, del Preziosissimo Sangue, fu eretta nel 1883 e fu decorata del titolo di Arciconfraternita con breve di Leone XIII nel 1895. Tra di esse vi furono sempre aspre controversie intorno al diritto di precedenza; l'una invocava in suo favore l'antichità di erezione, l'altra invocava la sua dignità di arciconfraternita.

Sentenza : - La S. Rota trattò la causa in due turni, che emisero sentenza conforme, in favore della confraternita della Buona Morte. Con tale sentenza si dichiara: « nullum praecedentiae ius sodalitati a Pretiosissimo Sanguine super sodalitatem Bonae Mortis competere ».

Osservazioni: - Le regole di precedenza tra le confraternite sono ancora contenute nella Costituzione di Gregorio XIII « Exposcit Pastoralis e del 25 luglio 1583. Si riducono a due principali: a) possesso della precedenza, e, quando non consti del possesso di questo diritto b) maggior antichità di erezione con uso di abito speciale.

Sono queste le regole di diritto comune, seconda le quali furono costantemente risolte simili questioni di precedenza. Si ammette un'unica eccezione in favore della confraternita del SS. Sacramento, che, se porta abito proprio, nelle processioni del SS. Sacramento precede ogni altra confraternita.

Ma la dignità di arciconfraternita non costituisce un titolo sufficiente per far eccezione alle regole che ha stabilito Gregorio XIII senza distinguere affatto tra confraternita ed Arciconfraternita. Nel caso, dagli atti del processo, risulta manifesto che la Costituzione di Gregorio XIII favorisce apertamente la Confraternita della Buona Morte. - (Acta A. S., VIII, n. 4, pag. 120).

AZIONE SALESIANA.

Per la festa di Maria Ausiliatrice Schemi di Conferenze

AI COOPERATORI E ALLE COOPERATRICI.

Nel dettare questi schemi io suppongo che i reverendi Sacerdoti conoscano la vita del Ven. Don Bosco e sappiano quanta parte ebbe la Vergine nella santità di lui e nello sviluppo della Pia Società Salesiana. Il Bollettino, la classica Opera del Lemoyne, il bel lavoretto del Sac. A. M. Anzini (fascicolo 737 delle Letture Cattoliche) forniranno ad essi copiosa materia per allargare questi aridi schemi.

I.

Maria e i Santi.

La Chiesa è la regina, della quale parla il salmista: in vestito d'oro, circondata di varietà. La grandezza morale dei santi, che in sé ricopiano l'immagine di Gesú Cristo, è l'aureo vestimento della Sposa del Nazareno: in vestitu deaurato.

L'aspetto diverso, nel quale i santi ci si presentano, facendo rilucere di piú l'una o l'altra delle perfezioni del Cristo, è la varietà, che rende cosí bella la Chiesa: circumdata varietate.

Ma in tutti i santi rifulge di purissima luce la piú tenera divozione verso Maria. Dai primi secoli del Cristianesimo ai giorni nostri, gli eroi della perfezione evangelica la custodirono e se la trasmisero come un fuoco sacro, perché l'amore al Figlio non poteva essere disgiunto dall'amore alla Madre, strada regale e guida sicura per arrivare alla conoscenza intima e alla imitazione di Gesù Cristo. Ed anche in questa devozione a Maria, quale e quanta diversità di bellezza. Come ne riboccano, ma in varia maniera, le pagine dei SS. Padri e dei Dottori; ravviciniamo gli scritti di S. Agostino e di S. Giovanni Crisostomo con quelli di S. Epifanio e di S. Giovanni Damasceno; le opere di S. Bernardo e di S. Bonaventura con quelle di S. Francesco di Sales e di S. Alfonso de' Liguori... Quale e quanta diversità nello svolgimento della benefica azione sociale dei Santi... Pensiamo ai santi del secolo XVI: S. Ignazio, S. Filippo Neri, San Giuseppe Calasanzio, S. Girolamo Emiliani. E, prima che a questi, risaliamo ai due grandi Patriarchi, a S. Francesco d'Assisi e al Domenico di Calarroga...

Non meno ricca di varietà ci si offre la divozione dei santi a noi piú vicini: il beato Giovanni Maria Vianney, il Venerabile Cottolengo, il nostro Ven. Don Bosco.

Don Bosco e l'Opera sua, ecco il poema di Maria. (Qui il Conferenziere potrà scegliere alcuni dei tanti episodi della Vita del Venerabile, invogliando i suoi uditori a imitarlo nella tenera divozione a Maria, a quella divozione che è per noi un segno di predestinazione alla gloria).

II. L'Ausiliatrice.

La guerra di satana contro di Gesù si continua contro la Chiesa: Gesú l'ha detto, che l'esistenza della sua Chiesa sarà un succedersi di guerre violente da parte della potestà delle tenebre; perche, se il principe della menzogna si levò contro l'Uomo di Dio venuto nel mondo ut testimonium perhiberet veritati, non può disarmare il suo odio contro la Chiesa, depositaria e banditrice infallibile della verità.

Ma ogni guerra segna un trionfo: portae inferi non praevalebunt; trionfo che la Chiesa consegue per l'assistenza di Cristo, che è con lei fino alla consumazione dei secoli. Come però Gesú volle seco la madre nel giorno e nell'ora della grande sconfitta, e Maria fu presso la Croce a meritarsi il titolo di corredentrice, cosí volle e vuole che la Madre sua partecipi alle successive e ripetute vittorie della Chiesa; Ella, arca del patto, migliore dell'Arca simbolo e figura nei secoli delle speranze; Ella terribile per i nemici della Chiesa come un esercito in pieno assetto di guerra, terribilis ut castrorum acies ordinata. Se il titolo di Ausiliatrice, quale oggetto di speciale festa liturgica, non risale oltre il primo ventennio del secolo XIX, l'ufficio di Maria in aiuto dei popoli cristiani risale ai tempi apostolici, a quei primissimi anni della Chiesa nascente, quando Maria, ancor pellegrina nel mondo, confortava di sua presenza e sua parola il collegio dei dodici e gli scrittori ispirati della dottrina del Figliuol suo. Le rozze immagini dipinte sulle oscure pareti delle catacombe sono là per cantare le sue vittorie, come le cantano i templi superbi e le sontuose basiliche, fra gli archi e sotto le cupole delle quali ci raccogliamo a pregarla...

(Qui il conferenziere, dopo una rapida corsa attraverso i secoli cristiani, potrà mettere in rilievo la coincidenza provvidenziale della nascita di Don Bosco e della istituzione della festa dell'Ausiliatrice e mostrare la visibile protezione di Maria, quasi diremo il suo visibile intervento nell'opera del grande Fondatore, opera tutta rivolta a ritornare cristiana la società, cioé a procurare alla Chiesa un nuovo trionfo contro quello spirito maledetto, del quale la Vergine contrivit caput).

Maria e i giovani.

Nulla di piú efficace per educare i giovani a virtú e per conservare in essi il candore dell'anima, che innamorarli di Maria, invogliarli ad una tenera divozione verso di lei. Honorem habebis matri tuae. Per i giovani il nome di madre dice tutto; anche se deviano, crescendo in età, dal retto sentiero, la memoria della madre, che nell'infanzia sparse il buon seme come un raggio amico, li scuote nei momenti piú difficili; li ritrae quando stanno sull'orlo del principio... Quante volte per il ricordo materno essi tornano a Dio nell'ultima ora, e la Croce, che distese le braccia sulla candida culla, ne ombreggia la tomba. Per questa disposizione naturale del cuore verso la madre terrena è facile istillar nei giovani l'amore e la confidenza verso la madre celeste. Lo seppero i santi, ch'ebbero la missione provvidenziale di consacrare le proprie fatiche all'educazione intellettuale e morale dei giovani, e ne fecero il secreto delle loro vittorie.

(Lo si può mostrare con la vita di S. Filippo Neri... di S. Giuseppe Calasanzio... di S. Girolamo Emiliani. - Indi il conferenziere, narrando il sogno di Don Bosco giovinetto, faccia conoscere a quale alta missione per i giovani lo chiamava il Signore; descriva la bella matrona, che gli apparve in quel sogno; ripeta le parole che Maria gli rivolse; ricordi che Don Bosco nato in un giorno sacro alla Vergine, fece la prima conquista, trovò la prima pecora del futuro suo ovile, in un altro dei giorni a lei dedicato, quello della sua Immacolata Concezione. E per quanto il tempo glielo conceda, esponga come in tutta l'Opera sua egli sia stato il servo fedele dell'Ausiliatrice).

Verona.

M. GRANCELLI.

Norme e raccomandazioni.

Ai benemeriti Signori Direttori Diocesani, Decurioni e Zelatori, e alle Benemerite Zelatrici, venne diramata la seguente circolare

Nell'approssimarsi della festa di Maria Ausiliatrice, il rev.mo nostro Rettor Maggiore sig. Don Paolo Albera fa viva preghiera a quanti sono soliti adoperarsi a promovere la celebrazione di questo annuale omaggio alla nostra Celeste Patrona, di usare quest'anno ancor piú vive sollecitudini per attirare ai piedi della Madonna un maggior numero di Cooperatori e di divoti, essendo cresciuti i bisogni d'invocare l'intervento di Colei che per eccellenza è chiamata l'Aiuto dei Cristiani.

A questo intento e anche perche abbia miglior esito la Conferenza Salesiana prescritta dal Regolamento per questa ricorrenza, è conveniente che in ogni luogo si raccolga in antecedenza il Comitato Salesiano, ove esiste, e in sua mancanza si radunino almeno alcuni fra i Cooperatori e le Cooperatrici più zelanti, per gli accordi opportuni. Queste adunanze, quasi familiari, sogliono giovare assai, non solo in queste circostanze ma in ogni altro tempo, per ravvivare e ordinare il lavoro d'Azione Salesiana nella nostra Pia Unione. Sia adunque impegno, di quanti sono in grado, d'interessarsene e di non trascurarle...

Ad ogni Conferenza si privata che pubblica, il Direttore o Decurione, quando non fa egli stesso il discorso, prenda sempre la parola per porgere ai convenuti un saluto e un ringraziamento, e dare quegli avvisi o rivolgere quelle esortazioni che crede del caso...

Sarebbe pur bene che specialmente in questa occasione si cercasse di diffondere sempre piú largamente il pio uso di collocare permanentemente in pubbliche chiese e cappelle, alla venerazione di tutti i fedeli, il quadro o la statua di Maria Ausiliatrice.

Neppur quest'anno si tralasci di raccomandare l'obolo pei bisogni sempre crescenti delle Onere e Missioni Salesiane, giacché, mentre per la guerra diminuiscono i sussidi, crescono invece le opere, come sempre accadde in tempo di pubbliche calamità.

Tracce di fervorini

PEL GIORNO 24 DI OGNI MESE. Oltre gli schemi suddetti

IV.

Maria Ausiliatrice e le Opere Salesiane.

Dio totum nos habere voluit per Mariam (San Bernardo). In tutti i tempi si ricorse a Maria e non mai indarno; Essa è l'Ausiliatrice dei Cristiani. A questa celeste Ausiliatrice ricorse qual figlio anche Don Bosco, e debbono ricorrere quanti seguono lo spirito e favoriscono le Opere e Missioni Salesiane da lui fondate.

I) Motivi che inducono Maria ad aiutare i Cristiani, specialmente quelli che l'invocano con maggior fervore e per gravi necessità o grandi imprese: ricordi storici.

S. Pio V. - La vittoria di Lepanto - Maria Auxilium Christianorum nelle Litanie Lauretane.

Pio VII, prigioniero - Ritorna trionfante in Roma - Istituisce la festa di Maria Ausiliatrice.

Quando fu istituita tal festa nacque Don Bosco, il quale doveva esserne il propagatore.

II) La vita e le opere di Don Bosco furor tutte una grazia della Madonna; perciò Don Bosco attribuì la sua vocazione e tutte le sue imprese all'ispirazione, protezione ed intervento materno e potentissimo di Maria Ausiliatrice.

III) Storia miracolosa del Santuario di Maria Ausiliatrice in Torino. - È il porto benedetto da cui partono tanti Missionarii - Diffusione della divozione a Maria Ausiliatrice in tutte le parti della terra - Maria Ausiliatrice, madre e sostenitrice di tutte le Opere e Missioni Salesiane.

D. Bosco sul letto di morte esclamava: Oh quante anime Maria Ausiliatrice salverà per mezzo dei Salesiani!... Predicate, diffondete la divozione a Maria Ausiliatrice!

IV) Questa divozione la devono praticare in modo particolare i Cooperatori Salesiani e gli ascritti all'Associazione dei divoti di Maria Ausiliatrice - Mezzi pratici: Cooperiamo colla Madonna a diffondere le Opere Salesiane. Don Bosco diceva sovente: Chi vuol ottenere delle grazie da Maria Ausiliatrice aiuti le Opere e Missioni Salesiane!

Innumerevoli fatti confermano pienamente la verità di queste parole.

NOTERELLE PRATICHE.

Spigoliamo dalle lettere dei nostri cari Cooperatori Sacerdoti. Uno di essi, che ha provveduto la sua Parrocchia di opere popolari - comitato parrocchiale, cassa rurale, casa, del popolo, oratori festivi, - ci scrive dal Piemonte

Incominciando da questo mese, ho innestato nella Chiesa Parrocchiale l'esercizio della Buona Morte con quello della Domenica Eucaristica, che da oltre un anno celebriamo con molto concorso di popolo e con molta divozione, la prima domenica d'ogni mese. Mentre finora per la Domenica Eucaristica si cantava la Messa coram Sanctissimo, seguita dal canto delle Litanie dei Santi e dalla benedizione, ora ho invece stabilito la Messa letta coram Sanctissimo : al Vangelo la Meditazione, e poi, durante il seguito della Messa, si recitano dal pulpito le preghiere per l'esercizio della Buona Morte, e, finita la Messa, si cantano le Litanie dei Santi, e si impartisce la Benedizione. Alla sera poi vi è l'ora solenne di adorazione predicata.

Questo è per tutta la Parrocchia: per le Figlie di Maria e in generale per tutte le nostre operaie e per tutte le anime pie che ne vogliono approfittare, ho stabilito il giorno di ritiro mensile nella nostra casa e nella nostra Cappella dell'Oratorio, il primo Mercoledí d'ogni mese. Al mattino presto vi è la messa e la meditazione; lungo il giorno si osserva nella casa il silenzio, e si fanno delle pie letture, ed alla sera, prima di chiudere la giornata, si canta il Miserere, si recitano le preghiere della buona morte, e si dà la benedizione.

Abbiamo incominciato oggi, primo Mercoledí di Febbraio, e la funzione riuscí commoventissima per concorso di popolo e per la pietà dimostrata; è stata una vera giornata di raccoglimento e di preghiera, e spero che Maria SS. avrà benedetto al fervore di tante anime, desiderose di pensare e provvedere sul serio alla propria salvezza.

Ora ho deciso anche di far erigere canonicamente dal mio Veneratissimo Vescovo l'associazione dei divoti di Maria Ausiliatrice nella devota Cappella del nostro Oratorio: Le sarò perciò riconoscente se vorrà avere la bontà di farmi mandare qualche copia dello Statuto ed indulgenze di tal compagnia, nonché il librettino: Norme pratiche per l'erezione di essa. Son certo che la cosa, convenientemente spiegata e preparata, riuscirà bene ed otteremo ben presto numerose iscrizioni.

L'assicuro che ho ricevuto con vera venerazione e con sentito entusiasmo il primo numero del Botlettino Salesiano destinato a noi Sacerdoti: esso è proprio una manna celeste e sono certo che farà un gran bene, ravvivando, e suscitando nelle anime sacerdotali lo spirito del Venerabile Don Bosco a vantaggio del popolo e specialmente della gioventú, Grazie, grazie infinite, di questo nuovo regalo che stringerà sempre meglio ai benemeriti Figli di Don Bosco il nostro Clero e servirà potentemente ad aiutarne e promuoverne lo zelo.

Un altro ci scrive dall'Italia media

Da sei anni mi trovo Parroco in una borgata di 26oo abitanti. Curai d'essere ascritto tra i Cooperatori Salesiani, subito dopo che uscii dal caro Ospizio del Sacro Cuore ed è d'allora che ogni mese leggo con piacere il Bollettino Salesiano. Ho fatta ascrivere alla Pia Unione quanti pii secolari e sacerdoti ho potuto, ho indirizzato giovanetti e giovanette ad essere educati in Collegi salesiani, ho propagato la buona stampa, servendomi quasi escluesclusivamente delle Librerie Salesiane; ho promosso e incoraggiato l'istruzione popolare in questa mia Parrocchia, mettendo nelle mani dei figli e delle figlie del popolo i testi di « G. Irlandi e F. Nolleti » Bontà e sapere (in tutto circa 8oo copie) ritirate dalla Buona Stampa di Torino e di Catania; ho impiantato una biblioteca circolante popolare, ove tengono il primo posto la Vita del Ven. Don Bosco, la sua Storia Sacra e le altre sue opere, e via dicendo, e ogni mese mi arrivano, freschi freschi, i volumetti delle « Letture Cattoliche ... Spero di poter far piú in avvenire ».

Concorsi per le „Letture Cattoliche,,.

Al concorso bandito in questo Bollettino, il 1 gennaio, per un fascicolo delle Letture Cattoliche parteciparono sei egregi scrittori, inviando i rispettivi manoscritti contrassegnati come segue:

1° (Senza titolo). - Motto: Si ad legendum accedat, non tam quaerat scientiam quam saporem. (Bern.).

2° Providentia Dei. - Racconto d'oggi di « Tutto per tutti ». - Motto: Tutto per tutti.

3° Verso la luce. -Racconto. - Motto: Carità! 4° La parrocchia di Provvidenza. - Motto: Non veni solvere, sed adimplere.

5° Fiori alpestri. - Motto: In te, Domine, speravi.

6° Fra cielo e mare. - Motto: Omnia et in omnibus Christus.

La Commissione sta esaminando i manoscritti. Ne daremo il giudizio nel prossimo numero di questo Bollettino-Supplemento.

Ora invitiamo ad un altro concorso per un fascicolo delle Letture Cattoliche, sul tema L'educazione dei figli

Una parola sincera ai genitori cristiani.

Avvertiamo:

1 ° Il fascicolo delle Letture Cattoliche abbia non meno di 90 pagine, e non superi le 120 pagine dell'attuale suo formato ;

2° Dev'essere scritto non come un trattato, ma come una facilissima conversazione aneddotica, che piaccia alla gente del popolo;

3° I concorrenti evitino qualsiasi frase, qualsiasi parola che possa riuscire inopportuna per un giovinetto ;

4° Ciascun manoscritto sia contrassegnato con un motto, che si dovrà ripetere sopra una busta chiusa, nella quale sia stato messo l'indirizzo esatto del concorrente;

5° Il vincitore avrà in premio tanti libri, editi dalla Libreria internazionale della S.A.I.D. Buona Stampa, pel valore di cento lire, a norma del catalogo;

6 ° Il lavoro premiato diverrà proprietà esclusiva della suddetta Libreria Editrice. L'autore avrà, gratuite, cento copie;

7° I manoscritti non pubblicati, se richiesti dagli Autori entro un mese dalla notificazione dell'esito del concorso, saranno restituiti; non richiesti, vulcano tradentur;

8 ° Il tempo utile per la spedizione dei manoscritti scade il 31 ottobre del 1916.

Torino, 1 maggio 1916.

La Direzione delle Letture Cattoliche,

Via Cottolengo, 32.

Post scriptum.

Pregàti, diamo, a chi volesse collaborare per le Letture Cattoliche, alcuni temi:

1° Galileo Galilei: - Vita popolare.

2° Giordano Bruno. - Vita popolare.

(La massima oggettività si richiede in codesti due lavori: si veda, ad esempio, il fascicolo che abbiamo pubblicato sull'Inquisizione).

3 ° Gli ultimi grandi Convertiti. - Ritratti per il popolo.

4° Gl'insegnamenti della guerra. - Conversazioni familiari.

5° Un paese modello.

(Si ritragga la vita d'un paese reale o... ipotetico, in cui tutte le varie forme dell'azione cattolica siano fiorenti).

6° Più cristiani e più italiani! Consigli a chi emigra e a chi non emigra.

7° I difetti del popolo. - Parole chiare e buone. 8 ° Le virtù del popolo. - Incoraggiamenti.

9° La conquista cristiana dell'Africa. - Fatti delle Missioni cattoliche.

10° Nell'Asia. - Episodi delle Missioni Cattoliche.

11° Coi Missionari nelle Americhe. - Fatti interessanti.

12° Un contadino modello. - Racconto contemporaneo.

13° Un operaio modello. - Racconto contemporaneo.

14. Un padrone cristiano: Leone Harmel.

15. Il Papa e la guerra. Storia contemporanea.

Preghiamo chi scegliesse questo o quel tema per trattarlo, d'avvertirci subito.

Com'è giusto, ci riserviamo piena libertà nel giudicare i manoscritti che ci fossero inviati.

Agli autori dei manoscritti pubblicati daremo cento copie dei propri fascicoli e un grazioso compenso a nostra scelta.

Vogliamo fare una confessione : le Letture Cattoliche non sono, nel bilancio, un attivo; ci costano sacrifici e denari, che noi spendiamo per amore di bene: d'un bene voluto dal Ven. Don Bosco.

Il M. R. Sig. D. Giuseppe Bernardi di Montecreto (Modena) ci scrive: « Quí, come, credo, in tutti i luoghi, è sentito il bisogno d'un opuscolino che fornisca,... nel modo piú ristretto, brevissime - quasi a modo di indice - ma sufficienti cognizioni sul Perché si deve credere, su che cosa si deve credere, su che cosa si deve fare Per l'eterna salute. Il libriccino dev'essere popolare e di esiguo prezzo (centesimi 10, al piú) ».

Chi vuol scrivere il libretto proposto?

La Civiltà Cattolica nel fascicolo del 15 aprile u. s. parla cosí del nostro supplemento.

« Entrando nel suo 40° anno, il « Bollettino Salesiano », che si pubblica ogni mese in nove lingue e con una tiratura di 300.000 esemplari, inizia la pubblicazione di un supplemento per i Cooperatori salesiani «Sacerdoti».

» Esso risponde ad un desiderio del ven. Don Bosco, il quale fu udito esclamare molte volte: - Ah! se avessi un gran numero di sacerdoti zelanti! quanto bene di piú si potrebbe compiere in tutte le parti della terra! - Questo desiderio esprime anche il degno successore del Venerabile, rev.mo Don Paolo Albera, in una breve lettera (messa a principio del 1° supplemento) che egli dirige ai Cooperatori Salesiani Sacerdoti. Il detto supplemento sarà pubblicato tre volte all'anno, e dal primo numero possiamo ben giudicare quanto profittevole esso tornerà a suscitare ed a promuovere lo zelo sacerdotale, secondo i varii propositi espressi nel programma e compendiati felicemente in quello di voler essere « un umile e ardente propagandista dello spirito sacerdotale del Ven. Don Bosco ».

» Li vediamo anzi messi in effetto nei primi articoli, tra i quali, un prezioso discorso inedito di Don Bosco; un articolo, riportato dalla Civiltà Cattolica, sulla missione educativa di Don Bosco; un breve e chiaro ragguaglio degli Acta Apostolicae Sedis, e varii altri scritti riguardanti il ministero sacerdotale e l'educazione della gioventú ».

Chi non avesse ricevuto il 1° Numero, ne faccia richiesta e gli sarà prontamente inviato.

RICORDANDO Mons. Raniero Sarnari Vescovo di Macerata e Tolentino.

Il 24 gennaio u. s. - giorno da noi consacrato alla Commemorazione mensile di Maria SS. Ausiliatrice, spirava santamente uno dei nostri piú affezionati e zelanti cooperatori, il Vescovo di Macerata e Tolentino, Mons. Raniero Sarnari. Cinque ore prima gli veniva recato solennemente, tra una folla di popolo, il Santo Viatico. Nella camera del morente erano il confessore, il parroco, il Vicario Generale e i parenti. All'ingresso di Gesú, quell'anima bella si protese con slancio verso l'Ostia Santa, della cui devozione era sempre stato fervido propagatore. Ed ecco una scena commovente, tra lo strazio e l'angoscia dei presenti. Il santo Prelato aveva preparato per iscritto la sua estrema preghiera, e volle che fosse letta in pubblico. Essa diceva così

Quando si avvicinerà la mia ultima ora, e possibilmente nel momento in cui riceverò il Santo Viatico, se vi sarà presente Mr. Vicario, in mancanza di lui il mio confessore, leggerà a chiara voce questi miei sentimenti con i quali intendo di esalare il mio spirito. Bramo che questa lettura si faccia alla presenza di quei sacerdoti che si potranno raccogliere intorno al mio letto, e si faccia in un momento in cui la mia mente sia ancora lucida, perché possa accompagnarla almeno col cuore.

- Gesú mio, permettetemi che all'appressarsi del mio passaggio da questa terra, io ripeta le sante parole, che rivolgeste al Padre Vostro nel sermone della cena, prima d'andare a morire per vie: « Pater, venit hora ». E giunta l'ora suprema della mia dipartita da questo mondo. O mio dolcissimo Redentore, deh! potessi anch'io dirvi, con verità, d'avervi glorificato su questa terra, e d'aver compiuto bene l'opera che m'avete affidato : « Opus quod dedisti mihi ut faciam ». Ma pur troppo molto diversamente son vissuto, cercando forse la mia gloria a scapito della vostra, e contravvenendo alla vostra Santa Volontà per fare la mia. Vi supplico pertanto, non come figlio, non son degno di questo nome, « non sum dignus vocari filius tuus », e neppure come servo fedele, ma come un povero peccatore, che mi glorifichiate per la vostra misericordia infinita, come faceste col ladro sulla croce, a cui faceste sentire le dolci parole : « Hodie mecum eris in Paradiso ».

Se non ho compiuto esattamente l'opera, che m'avete affidata innalzandomi alla dignità di sacerdote e di vescovo, intendo compierla con tutta la generosità del mio cuore almeno in quest'ora offrendovi la mia vita ed accettando lietamente la morte in espiazione dei miei peccati: « Opus consummavi ». Non ho altro da darvi, o Gesú mio. Gradite questa mia povera offerta.

Vergine Maria, mia dilettissima madre di Misericordia, accoglimi fra te tue braccia materne, perché come per tanti anni ho dimorato presso il tuo caro e venerato Santuario quaggiú, cosí concedimi d'esser presto vicino a Te nello splendore dei Santi a pregare per le mie diocesi, per i miei cari che lascio in questa valle di lacrime. Maria mater gratiae - Dulcis parens clementiae - tu nos ab hoste protege - Et mortis hora suscipe. S. Giuseppe, assistimi nell'ora decisiva, come tac fosti assistito e consolato dalla presenza di Gesú e di Maria. S. Giuliano, Protettore di questa Diocesi, S. Catervo, Protettore di quella di Tolentino, S. Nicola da Tolentino, Protettore delle anime Purganti, S. Francesco di Sales, delle cui virtú fui sempre innamorato fino dalla prima giovinezza, senza però imitare la tua mansuetudine e la dolcezza ammirabile, Santi Angeli Custodi delle mie diocesi e di me, pregate ed intercedete per me.

Un'altra preghiera, o Gesù, che si rassomiglia pure a quella che tu facesti nelle ore estreme della Tua vita, che con tanto ardore rinnovai ogni giorno sull'altare per i miei sacerdoti, e per quelli in particolare che ricevettero dalle mie mani la S. Ordinazione: « Padre Santo, custodiscili nel tuo Santo Nome ». Miei cari confratelli, amatevi sempre scambievolmente; tutto il vostro studio, tutta la vostra gloria, consista nell'amore. « Qui non diligit, manet in morte ». Se i primi cristiani erano fra loro un cuor solo, voi a cui Gesú disse: «Non vi chiamerò servi, ma amici miei, perché v'ho manifestato tutti i segreti del Padre mio », voi avete l'obbligo d'amarvi con amore tutto celeste. Da questo amore soltanto si conoscerà che siete i veri discepoli di Gesú Cristo : « In hoc cognoscent quod discipuli mei estis, si dilectionem habueritis ad invicem ». Questa è la tessera del vero Sacerdote. Lavorate sempre e pregate instancabilmente sull'esempio del nostro divino Maestro, di cui leggiamo : « Erat pernoctans in oratione Dei ». Siate martiri della fatica : non cercate interessi vostri, ma quelli di Cristo e della sua Chiesa, in servizio della quale siete stati ordinati. Raccomando a tutti il mio Seminario, nel quale si formò la vostra educazione. Siate elemosinieri « Beatus qui intelligit super egenum et pauperem. In die mala liberabit eum Dominus ».

Finalmente, in questo estremo addio, sento anche il dovere di domandare perdono a chiunque fra voi avessi recato dispiacere; ma persuadetevi, Iddio mi è testimonio, non fu per malo animo, ma per adempiere, forse con zelo poco misurato, al comando fatto a noi Vescovi : « Vigilate ». Ad ogni modo prometto di riparare.

La mia preghiera al trono del Divin Giudice sarà prima per quelli a cui avessi arrecato qualche disgusto nell'esercizio del mio difficile ministero. Miei cari confratelli, ricordatevi sempre di me nel S. Sacrificio dell'altare, come io mi ricorderò di voi. Addio. Arrivederci in Paradiso. Cosí sia.

Scritto con mano tremante la sera del 17 dicembre 1915.

Il venerando Pelato accompagnò la lettura con piena lucidità, mostrando un'energia ed una forza superiore al profondo abbattimento fisico causato dalla malattia. Ricevette quindi il Santo Viatico con la piú grande edificazione, e, dopo breve raccoglimento, benedetto il suo Clero e il popolo amato, non potendo trattenere la piena del suo cuore ardente, si provò a volgere ai presenti la parola:

- Amatevi, egli esclamò, amatevi, amatevi! - E non seppe e non poté dir altro; tanta fu la sua commozione.

Amiamoci, amiamoci, amiamoci, o cari Confratelli... Ricordiamolo sempre questo grande ammonimento di cosí pio e virtuoso Prelato.

Di questo e di tutti gli altri Confratelli defunti, facciamo fraterna menzione nel S. Sacrifizio e nelle nostre visite a Gesù Sacramentato.

.... Quando l'idea di Dio, che è la sorgente di ogni diritto e la sanzione di tutti i doveri, viene ad oscurarsi nelle moltitudini o cessa di essere popolare, quando il contadino, il bracciante, l'operaio, l'artista ignorano il proprio destino, e volgono le spalle al prete che parla di Croce e di sacrificio, per correr dietro al giornalista che predica il diritto alla felicità e la morale del godimento; quando l'uomo di lettere e l'uomo di spirito si fanno beffe dell'immortalità dell'anima, dei premi e delle pene di un'altra vita, come di sciocchi pregiudizi; allora la vita non è più che un trastullo o un calcolo di tornaconto; alle gioie austere dello spirito si sostituisce la raffinatezza dei piaceri materiali, all'amore del dovere la cupidigia dell'interesse personale, allo spirito di sacrifizio l'egoismo, ed è suonata inevitabilmente l'ora della decadenza.

Or bene a prevenire e scongiurare questi mali, checchè ne dicano i filosofi dei nostri tempi, la ragione è impotente e non vi è che un farmaco tutto divino, quanto semplice altrettanto efficace, ed è il catechismo.

Don Bosco non si era ingannato nel conoscere il bisogno principale del nostro tempo, ed i suoi Oratorii, i quali non mirano ad altro che a far crescere la gioventù nel santo timor di Dio e nella purezza del cristiano costume, rispondono ad una vera necessità dell'epoca in cui viviamo.

Mons. G. Rossi, dei Pred.

Si diffonda l'Associazione dei Divoti di Maria Ausiliatrice.

Il compianto Pontefice Pio X, di s. m., con. Rescritto del 24 gennaio 1906 concesse a tutti i fedeli cristiani che prendono parte al pio Esercizio solito a praticarsi il 24 di ogni mese in onore di Maria Ausiliatrice nelle Chiese ed Oratori pubblici della Pia Società Salesiana il favore dell'Indulgenza plenaria.

Ora, annuendo alle istanze del rev.mo nostro Rettor Maggiore Don Albera, il Santo Padre Bedetto XV, con Rescritto del 24 marzo u. s. ha esteso lo stesso favore ad septennium a tutte le Chiese ed oratori pubblici, ove sia eretta l'Associazione dei divoti di Maria Ausiliatrice.

Ad allargare vieppiú questo favore, noi torniamo a pregare i revv. Parroci e Rettori di Chiese, nostri a Cooperatori », a voler erigere l'Associazione suddetta nelle loro Chiese. A tal fine essi devono:

1° presentare gli Statuti dell'Associazione, che noi invieremo gratuitamente, al proprio Rev.mo Ordinario per ottenere il decreto di erezione canonica;

2° comunicare il decreto di erezione al Rettor Maggiore della Pia Società Salesiana chiedendo l'aggregazione all'Arciconfraternita, mercé la quale vengono comunicate agli ascritti presenti e futuri tutte le indulgenze.

L'erezione dell'Associazione servirà mirabilmente a preparare la via al pio Esercizio del 24 mese, esercizio che torna cosí efficace a promuovere la frequenza ai Santi Sacramenti e quindi la pietà tra il popolo cristiano.

A facilitare tale erezione il nostro Rettor Maggiore Don Albera invierà a quanti glie ne faranno domanda tutti i moduli necessari.

Or ecco i documenti dell'accenata concessione. Beatissimo Padre,

Il Superiore Generale dei Salesiani, prostrato al bacio del sacro piede, umilmente supplica la Santità Vostra a degnarsi di voler estendere a tutte le Chiese ed Oratori pubblici in cui trovisi eretta l'Associazione dei Divoti di Maria Ausiliatrice, l'indulgenza plenaria, che con Rescritto del 24 gennaio 19o6, si concedeva a tutti i fedeli che, confessati e comunicati, avessero preso parte al divoto esercizio che ha luogo il 24 di ogni prese ad onore di Maria Ausiliatrice e nelle Chiese Salesiane.

Che della grazia, ecc.

Die 24 Martii 1916.

SS.mus D. N. D. Benedictus Div. Prov. PP. XV, in Audientia R. P. D. Adsessori S. Officii impertita, benigne annuit pro gratia iuxta preces, servato tenore concessionis in supplici libello memoratae. Praesenti ad septennium valituro. Contrariis quibuscumque non obstantibus.

Card. MERRY DEL VAL.

+ DONATUS ARCH.PUs EPHESINUS,

Adsessor.

Associazione dei Divoti di Maria Ausiliatrice

REGOLAMENTO DELL'ASSOCIAZIONE.

1 ° I divoti di Maria Ausiliatrice si propongono di promuovere le glorie della divina Madre del Salvatore, per meritarsi la protezione di Lei in vita e particolarmente in punto di morte.

2° Due mezzi speciali si propongono: dilatare la divozione alla Beata Vergine e la venerazione a Gesú Sacramentato.

3° A tal uopo si adopreranno con le parole, col consiglio, con le opere e con l'autorità di promuovere il decoro e la divozione nelle Novene, Feste e Solennità che, nel corso dell'anno, si compiono ad onore della B. V. Maria e del SS. Sacramento.

4° La diffusione di buoni libri, immagini, medaglie, pagelle; intervenire e raccomandare l'intervento alle Processioni in onore di Maria SS. e del SS. Sacramento; la frequente Comunione, l'assistenza alla Santa Messa, l'accompagnamento del SS. Viatico agli infermi, sono le cose che gli aggregati si propongono di promuovere con tutti i mezzi compatibili col loro stato.

5° Gli associati si daranno massima cura per sé e presso le persone da loro dipendenti d'impedir la bestemmia e qualunque discorso contrario alla religione o ai buoni costumi, e per quanto sta in loro di togliere qualunque ostacolo che possa impedire la santificazione dei giorni festivi.

6 ° Ogni Associato, secondo il consiglio dei Catechismi e dei Maestri di spirito, è caldamente esortato di accostarsi alla Santa Confessione e Comunione ogni quindici giorni od una volta al mese, e di ascoltare ogni giorno la santa Messa, purché le obbligazioni del proprio stato glielo permettano.

7 ° In onore di Gesti Sacramentato gli Associati, ogni giorno, dopo le ordinarie preghiere del mattino e della sera, reciteranno le giaculatorie: Sia lodato e ringraziato ogni momento il Santissimo e Divinissimo Sacramento; ed in onore della B. V.: Maria, Auxilium Christianorum, ora pro nobis. Pei sacerdoti basta che nella santa Messa mettano l'intenzione di pregare per tutti gli Aggregati a questa pia Associazione. Queste preghiere serviranno come di vincolo a unire tutti gli Associati in un cuor solo ed in un'anima sola per rendere il dovuto onore a Gesú nascosto nella santa Eucaristia e all'augusta sua Genitrice, e a partecipare di tutte le opere di pietà che si compiono da ogni Associato.

VANTAGGI SPIRITUALI PER GLI ASSOCIATI Indulgenze plenarie.

1° Nel giorno dell'ascrizione.

2° Nelle solennità di Natale, Circoncisione, Epifania e Ascensione di N. S. G. C., nella Domenica di Pentecoste e nel giorno del Corpus Domini.

3° Nelle feste dell'Immacolata Concezione, Natività, Presentazione al Tempio, Annunciazione, Visitazione, Purificazione, Assunzione della B. V., e nella Solennità di Maria SS. Ausiliatrice (24 maggio).

4° In punto di morte, se confessati e comunicati, o non potendo, invocando il SS. Nome di Gesú almeno col cuore, se non possono con la bocca.

5 ° Il 24 di ogni mese prendendo parte al pio esercizio che si compie in onore di Maria Ausiliatrice nella Chiesa od Oratorio pubblico dove è istituita l'Associazione.

Indulgenze Parziali.

1° Di 7 anni e di altrettante quarantene in ciascun giorno che gli associati intervengano alle pratiche di pietà che si compiono nel Santuario in occasione di Tridui o Novene in onore di Maria.

2° Di 300 giorni ogni volta che gli Associati reciteranno con cuor divoto e contrito la giaculatoria: « Maria, Auxilium Christianorum, ora pro nobis ».

3° Di 100 giorni una volta al giorno dicendo la sola invocazione: « Auxilium Christianorum, ora pro nobis ».

4° Di 100 giorni ogni volta a tutti coloro che interveranno alle pratiche di pietà che si compiono quotidianamente nel Santuario di Maria Ausiliatrice.

Indulgenze stazionali.

Visitando la Chiesa o Cappella dell'Associazione nei giorni indicati nel Messale Romano, e ivi pregando secondo l'intenzione del Sommo Pontefice godranno le stesse indulgenze di dette Stazioni.

Altri Vantaggi spirituali.

1° Tutti gli Associati intendono di fare comunione di tutte le opere buone che fanno in privato e in pubblico.

2° Partecipano delle pratiche di pietà che si compiono all'Altar Maggiore della Basilica di Maria Ausiliatrice, che è privilegiato in perpetuo ad instar di quello di S. Gregorio al Monte Celio in Roma.

3° Ogni anno, dopo la festa di Maria Ausiliatrice, si canta una Messa da Requiem con altri particolari suffragi per le anime dei Soci defunti.

4° I Soci ammalati o chiamati da Dio a miglior vita sono raccomandati tutti i giorni nelle preghiere che si compiono nel Santuario.

5° Tutte le Messe, che si celebrano pei Soci defunti, in qualunque Chiesa o pubblico Oratorio, valgono come se fossero celebrate ad un altare privilegiato.

6° Il Direttore dell'Associazione, o chi per esso, se inscritto fra i Cooperatori Salesiani, può impartire ai fedeli cristiani la benedizione di Maria Ausiliatrice, approvata dalla C. dei S. R.