BS 1890s|1895|Bollettino Salesiano Novembre 1895

ANNO XIX. N. 11   Esce una volta al mese - NOVEMBRE 1895

BOLLETTINO SALESIANO

SOMMARIO.

UN GRANDE AVVENIMENTO    281 RICORDIAMOCI DELLE SS.ANIME DEL PURGATORIO , 282 IL XIII CONGRESSO CATTOLICO ITALIANO E LA PIA SOCIETÀ SALESIANA    283

ESEMPI ALLA GIOVENTU'    284 NOTIZIE DEI MISSIONARI DI DON Bosco: - COLOMBIA: Una grande impresa a favore dei lebbrosi. - BRASILE: Tra i selvaggi del Matto Grosso. - Varie    286

GRAZIE DI MARIA AUSILIATRICE   300

ECO DEGLI ORATORII FESTIVI    082

VARIETÀ    341

BIBLIOGRAFIA    306

COOPERATORI DEFUNTI   867

UN GRANDE AVVENIMENTO,

31 Ottobre 1895.

MENTRE il presente numero sta per andare in macchina, nella chiesa di Maria Ausiliatrice in Torino si compie uno straordinario avvenimento, ricco di edificazione e di consolazione per le anime nostre. È una nuova numerosissima schiera di Missionari Salesiani, che, benedetti da Dio, da Maria Ausiliatrice e dal nostro veneratissimo Arcivescovo, dànno l' addio alla patria, agli amici, ai parenti, ai confratelli ed ai superiori e partono per varie regioni dell' America, dell'Asia e dell'Africa in cerca di anime da salvare. Lo spettacolo é imponentissimo. Tra Sacerdoti, Catechisti, Coadiutori e Suore di Maria Ausiliatrice ascende a cento il numero di questi valorosi, che ora partono alla volta del Messico, della Venezuela, dell'Equatore, della Bolivia, del Perù, del Chili, dell'Argentina, dell'Uruguay, del Brasile, della Terra del Fuoco, dell' Algeria, della Tunisia e della Palestina. È questa la maggior spedizione che siasi fatta finora, in vent'anni dacché sono iniziate le Missioni Salesiane. Quelli che recansi nell'America, sono diretti dal nuovo nostro Vescovo Mons. Giacomo Costamagna, Vicario Apostolico di Mendez e Gualaquiza, e dal Rev.mo Mons. Giuseppe Fagnano, Prefetto Apostolico della Patagonia Meridionale e della Terra del Fuoco. Le Suore di Maria Ausiliatrice sono accompagnate dalla loro Superiora Generale. - Che i venti siano loro propizi, che l' Angelo del Signore li guidi fino a loro destinazione senz'alcun pericolo e dia a ciascuno di loro di raccogliere abbondanti frutti per la gloria di Dio e la salute delle anime! - Intanto i nostri lettori preghino con questo fine e vedano di assecondare il caldo appello che alla loro carità rivolse il nostro amatissimo Rettor Maggiore, onde estinguere le ingenti spese incontrate per questa nuova spedizione.

RICORDIAMOCI delle SS. Anime del Purgatorio.

NELLA nostra santissima religione tutto è amore. Dio è infinita carità e l'amabilissimo Gesù, Redentor nostro, ci amò fino a darsi tutto a noi nella SS. Eucaristia ed a spargere fino all' ultima stilla il suo preziosissimo sangue per la salvezza delle anime nostre. Or bene, l' amore richiede amore; epperò Iddio Signor nostro vuole che noi lo amiamo. E non solo vuole che noi amiamo Lui, nostro Creatore, Redentore e Conservatore , ma ci comanda pure di amare i nostri simili; imperciocchè la perfetta carità consiste nell'amar Dio sopra tutte le cose ed il prossimo come noi stessi per amor di Dio.

Ciò posto, chi non vede che per precetto divino noi dobbiamo amare eziandio le S. Anime del Purgatorio? Parte de' nostri prossimi vivono con noi in questa terra d'esilio, e con noi combattono le stesse sante battaglie per poter conseguire la corona di gloria imperitura. Altra parte di essi per le loro virtù hanno già conseguito il premio che Iddio promette a chi legitime certaverit, e godono lassù nel cielo quella pace, alla quale noi pure aspiriamo. Ma non pochi de' nostri prossimi si trovano nel Purgatorio, a scontare i debiti contratti colla Divina Giustizia e non bene soddisfatti in vita.

Tra queste sante Anime poi vi sono persone a noi carissime, persone a noi legate coi più stretti vincoli di natura, di religione, di patria, d'amicizia e di sangue, e che soffrono tali e tanti tormenti che mente umana non può immaginare. In quel luogo del dolore e del pianto forse vi è quel conoscente.... quell'amico.... quel benefattore.... che tanto fece a nostro vantaggio; forse quel congiunto, che, pel desiderio di lasciarci ogni ben di Dio, mostrò troppo attaccamento alle sostanze di questa misera terra....; forse quel padre amoroso e quella madre affettuosissima che tanto sudarono pel nostro allevamerito, per la nostra educazione, ed ora in quel carcere dolorosissimo soffrono pene indicibili per purificarsi forse del soverchio affetto che a noi portarono. Colà forse vi saranno anche de' nostri cari Cooperatori e Cooperatrici... ; ma deh! affrettiamo il giorno della loro liberazione co' nostri suffragi.

La carità ce lo comanda, la pietà e la giustizia ce l'impongono. Lo stato di queste Anime benedette è miserando, compassionevole al sommo ; esse soffrono immensamente, e non potendo in nessun modo aiutarsi da loro medesime, del continuo vanno gridando a noi: Miseremini mei, miseremini mei, saltem vos, amici mei, quia manus Domini tetigit me! Ohi sì, noi possiamo alleviare le sofferenze di queste care Anime ; anzi Iddio misericordioso, il quale vuole che tutti i membri dell'intiera Chiesa siano stretti fra di loro con vincoli giovevoli, a noi rese assai facile il suffragare questi nostri cari fratelli. L'incruento sacrificio della S. Messa fatto celebrare o semplicemente ascoltato, la S. Comunione ben fatta , l' acquisto delle S. Indulgenze, la preghiera, la limosina e tutte le altre opere buone sono mezzi che noi abbiamo in mano, nostra e possiamo disporne ad ogni momento in vantaggio dei poveri trapassati.

Deh! o cari Cooperatori e pie Cooperatrici, raddoppiamo, specialmente in questo mese consacrato alla divozione delle Anime Purganti, raddoppiamo il nostro fervore nel ben fare, raddoppiamo il nostro zelo nelle opere di carità e di misericordia, indirizzando tutto a suffragio di queste. S. Anime. Ricordiamoci che il pregare per i defunti è non solo cosa santa, ma ben anche salutare (1). Tutto ciò che la pietà e la carità c' inspirano di fare per i nostri morti, si cangia in opere meritorie per noi, e sul finir della nostra vita noi riceveremo centuplicato ciò che avremo dato (2).

(1) II Macabei, cap. X.

(2) S. Ambrogio.

IL XIII CONGRESSO CATTOLICO ITALIANO e la Pia Società Salesiana.

Per dovere di cortesia pubblichiamo la seguente lettera indirizzata al nostro Superior Maggiore, Rmo Sig. D. Michele Rua, dal Consiglio Direttivo dell' Opera dei Congressi e dei Comitati Cattolici d'Italia, dopo l'ultimo Congresso tenutosi a Torino.

Reverendissimo Signore,

SE il Congresso Cattolico di Torino riuscì non solo splendido, ma superiore a tutti gli altri dodici Congressi Generali che lo precedettero, lo dobbiamo in tanta parte a V. R. Ill.ma, all'aiuto di tutta la Congregazione Salesiana e all'opera intelligente e fervorosa del Rev.do D. Trione, membro della Congregazione stessa.

Ed in vero, dopo la parola autorevole di S. E. Rev. ma Mons. Arcivescovo di Torino e quella dell' Episcopato Piemontese, è dovuto all'opera di D. Trione l'avere acquistato al Congresso un gran numero di persone non solo disposte a seguirlo, ma, quel ch'è più, bramose, prima ancora che incominciasse, di aiutarlo e secondarlo. Che se noi trovammo e dove accogliere splendidamente nella luce della massima pubblicità l'Episcopato numerosissimo e i numerosissimi Congressisti per le Adunanze Generali e nel tempo stesso un asilo riposato e tranquillo per le pacifiche e feconde discussioni delle nostre Sezioni e pei nostri studii, ciò si deve alla Chiesa e all'Istituto Salesiano di S. Giovanni Evangelista : Chiesa ed Istituto, nei quali noi ci siamo trovati in presenza di Sacerdoti pur Salesiani, tanto ammirabili per sapere ed operosità, quanto modesti, sì da fuggire risolutamente tutto ciò che avrebbe giovato a farli conoscere ed, a porli nella debita luce.

E ben giusto perciò, che oltre agli atti di doveroso ossequio compiuti verso V. R. Ill.ma dalla Presidenza del nostro Congresso, un altro atto si compia da parte del nostro Consiglio Direttivo; e che sieno ripetute verso V. R., verso D. Trione, verso i Preposti e Maestri della Chiesa ed Istituto di S. Giovanni Evangelista e verso tutta la Congregazione Salesiana, i sensi della nostra più viva e profonda riconoscenza.

E se preghiamo, come preghiamo in effetto, il Signore a compensare almeno in qualche parte il debito che abbiamo verso le LL. SS. MM. RR. e che si degni di glorificare al più presto l'umile suo servo Don Bosco, il quale certo ha ottenuto particolari benedizioni al Congresso nostro, noi, a dir vero, crediamo con tali preghiere di non soddisfare che ad un nostro preciso dovere.

Si degni V. R. di accogliere colla sua solita benignità questi nostri sentimenti, facendoli gradire in particolare a D. Trione ed ai Preposti e Maestri della Chiesa e dell'Istituto di S. Giovanni Evangelista ; e degnandosi ancora di tenerci sempre presenti nelle sue orazioni e nei suoi sacrifizii, e di procurare che abbiamo ad esserlo nelle orazioni e sacrifizii della Congregazione, mi conceda l'onore di protestarmi

Di V. S. Ill.ma

Venezia, li 19 Settembre 1895. Dev.mo Obb.mo Servo

G. B. PAGANUZZI.

ESEMPI ALLA GIOVENTU'

Onoranze al giovine Domenico Savio.

Tra gl'innumerevoli giovani che Don Bosco educò agli studi ed alla virtù nel suo Oratorio di Torino, moltissimi ve ne furono che si segnalarono per grandi meriti, e di alcuni, ancor in giovane età chiamati da Dio al premio eterno, D. Bosco stesso pubblicava gli esempi edificanti. Tra questi ultimi primeggiò il pio giovane Domenico Savio, il quale essendo ormai al termine del ginnasio, quindicenne di età, assalito da grave malattia dovea abbandonare l'Oratorio e recarsi in Mondonio nella casa paterna, ove moriva con un sorriso di Cielo il 9 marzo del 1857. Alcuni anni dopo la sua morte, la salma, che giaceva senza distinzione nel pubblico Cimitero, veniva traslocata in luogo appartato, al riparo dalle intemperie e presso l'altare della Chiesuola del Cimitero stesso.

La vita, che di lui scrisse D. Bosco, piacque oltremodo: ristampata più volte e tradotta in più lingue, ne rendeva popolare il nome presso un numero straordinario di giovanetti. Gli allievi dell' Oratorio di Torino specialmente tennero sempre cara la memoria del Savio Domenico; e recentemente vennero nel pensiero di erigere, presso la casa ove il pio giovine moriva, un monumento che ne ricordasse il venerato nome e fosse qual segno di riconoscenza e di ammirazione di quell'Oratorio che egli aveva edificato colle sue rare virtù. Ben presto pertanto quanto si era ideato si compiè, ed ecco difatto ciò che ne pubblicava l' Italia - Corriere di Torino il 9 ottobre ultimo scorso

« Mondonio, piccolo paesello del mandamento di Castelnuovo d' Asti, lunedì u. s. fu in gran festa per la solenne inaugurazione d'una lapide commemorativa dell'ottimo allievo di D. Bosco, Domenico Savio. La sera precedente tutto il paese era sfarzosamente illuminato a festa in preparazione al fausto avvenimento, e per la mattina del lunedì erano stati preparati archi trionfali, addobbi ed un elegante viale, che dal piano della valle conduceva fino alla casa del pio giovane.

«Alle ore 9,30 ant. al primo giungere del Rev.mo Mons. Giuseppe Fagnano, Prefetto Apostolico della Patagonia meridionale e della Terra del Fuoco, che veniva a rappresentare il successore di D. Bosco, il Rev.mo Don Michele Rua, incominciò il festivo suono delle campane e lo sparo dei mortaletti dall'alto del paesello, che distendesi con varietà sul pendio di un incantevole colle. Accompagnavano Mons. Fagnano i musici dell'Oratorio Salesiano di Torino e varie rappresentanze.

« Il primo passo fu alla tomba di Savio Domenico, che giace sotto l'altare della Chiesuola del Camposanto comunale; il quale trovasi prima della salita che conduce al paesello. Ivi si recitò una preghiera in suffragio del compianto giovine, e poi si ascese fino al luogo della solenne cerimonia.

« Il ricevimento ebbe luogo al principio della salita e fu imponentissimo. Eravi tutta la popolazione, con a capo il Parroco ed il Sindaco in forma ufficiale, con tutto il Consiglio comunale: s'erano pure degnati d'intervenire il Vicario Foraneo e tutti i Parroci della Vicaria.

« Giunti, tra i concenti della banda musicale e l'entusiasmo del popolo, al luogo della solenne funzione, si eseguì dai cantori un primo cantico accompagnato dalla banda. Poscia salì su d'un palco preparato presso la lapide il sac. D. Stefano Trione, il quale pronunciato un breve discorso d'occasione a nome dell'Oratorio salesiano, consegnava pubblicamente il caro monumento alle Autorità del paese, con preghiera che avessero la bontà di riceverlo e di custodirlo.

« Al suono d'una marcia pertanto e tra fragorosi ed universali applausi calava la tela che copriva la lapide, e compariva il bellissimo ritratto del giovane Domenico Savio, lavoro dell'esimio pittore Giuseppe Rollini, anch'esso allievo di D. Bosco, e sotto vi sii leggeva la seguente inscrizione:

IN QUESTA CASA ADDI 9 MARZO 1857 SANTAMENTE MORIVA IL GIOVANE DOMENICO SAVIO NATO A RIVA DI CHIERI IL 2 APRILE 1842 IL SACERDOTE GIOVANNI BOSCO LO ACCOGLIEVA DODICENNE IN TORINO NELL'ORATORIO DI SAN FRANCESCO DI SALES LO ELEVAVA A SUBLIME PERFEZIONE CRISTIANA E NARRAVANE POSCIA LE ANGELICHE VIRTU' IN AUREO LIBRO CHE IN PIU' LINGUE NE DIFFONDEVA LA FAMA FINO AGLI ULTIMI CONFINI DELLA TERRA QUESTA LAPIDE I CONDISCEPOLI POSERO PERCHE' NON RESTI IGNORATO UN LUOGO ONORATO DA SI' VIRTUOSE MEMORIE

« Furono lette quindi pubblicamente varie lettere, tra le quali la prima veniva dal Vaticano e portava la benedizione del Papa, poi una lunga e stupenda del Cardinale Parocchi ed altre dei Cardinali di Parigi, Verona, Capua, Ferrara e Bologna; l'approvazione ed il plauso dell'Ordinario diocesano Mons. Vescovo d'Asti, le lettere dell'Arcivescovo di Torino, dei Vescovi di Fossano, d'Ivrea e di altri esimii personaggi.

« La musica eseguì poscia un grandioso inno d'occasione, dopo il quale Mons. Fagnano pronunciò un eloquente ed affettuoso discorso che fu coronato da universali applausi. Parlò pure applauditissimo e commosse la sterminata udienza l'antico allievo di D. Bosco, il carissimo sig. Carlo Gastini, il quale a nome dei compagni di Savio Domenico porgeva affettuosi ringraziamenti a tutti gli intervenuti a quella festa.

« La banda musicale ripigliò infine i festosi concenti e la folla saliva frettolosa per tentar di trovar posto nella Chiesa Parrocchiale, ove Mons. Fagnano impartiva solennemente in ringraziamento la benedizione col SS. Sacramento. »

Fin qui il sullodato giornale.

Noi che assistemmo e di gran cuore a tal festa , non possiamo far altro che esclamare che fu un grande e veramente solenne trionfo.

Ne ringraziamo quindi la folla sterminata che accorse, ed in particolare il caro popolo di Mondonio, che si dimostrò animato da tanto entusiasmo. Sovratutto poi presentiamo i nostri più vivi ringraziamenti al Clero, alle Autorità ed agli altri esimii personaggi che presiedettero la bella cerimonia, nonchè ai signori fratelli Bertello, proprietari della casa in cui morì Savio Domenico, i quali con grande benevolenza concedettero che vi si apponesse la monumentale lapide.

Il lunedì 7 ottobre del 1895 sarà uno dei giorni più cari nei fasti salesiani e richiamerà per sempre la nostra riconoscenza verso quanti si degnarono di concorrere a renderlo così grandemente solenne e memorabile.

Documenti in omaggio a Domenico Savio.

Così scrive l'Eminentissimo Card. L. M. Parocchi, Vicario di S. S. e Protettore dei Salesiani, a proposito di Savio Domenico:

« Parmi segno di predestinazione agli Ordini religiosi l'acquisto di giovani maturi al Cielo. Così Lodovico di Tolosa e Giovanni Battista di Borgogna a' Minori, Imelda Lambertini alle Suore di S. Domenico, Michele Desanti a' Trinitari Scalzi, Girolamo Tiraboschi a' Figli di San Camillo, la Redi alle Teresiane, il Ven. Castelli ai Barnabiti, Fratel Gabriele dell'Addolorata alla Congregazione de' Passionisti, e, per tacer di tant'altri, quel sublime ternario del Kostka, del Gonzaga e del Berchmans alla Compagnia di Gesù, se non bastarono a portar i frutti degli anni adulti, ne offrirono uno più grande, lo spettacolo di un' ammirabile santità entro la cerchia di un'età breve.

» A' nostri tempi erano adunque a Don Bosco augurii di felice successo quel cari giovani di Gabriele Fassio, Luigi Rua, Camillo Gavio, Giovanni Massaglia ed altri, i quali, rapidamente compiuta la vita, finirono per eguagliare il corso di tempi non pochi. Di nessuno però, ch'io mi sappia, scrisse con tanto affetto, con tanta unzione, con tanto paterno compiacimento il piissimo fondatore de' Salesiani, come del trilustre Domenico Savio. Nell'opuscolo della vita di lui, che vale un volume, limpida si rispecchia e fedele la fisionomia di Don Bosco, ed è tanto più meraviglioso il fatto, quanto è espressa più al vero la soave immagine di quell'innocente. Tutto del Signore e sapiente in lui e dagli anni più teneri, fa esclamare chi lo ripensi: Domine, praevenisti eum in benedictionibus dulcedinis. Il caro fanciullo a quattro anni, come a quindici, sempre eguale a sè, olezzò come giglio, tutto pietà e candore, in Murialdo, a Castelnuovo d'Asti, a Mondonio, a Torino.

» In casa con i suoi genitori, modelli di vita cristiana, nella scuola verso i maestri ed i condiscepoli, nell'Oratorio di Don Bosco verso i superiori ed i compagni, spiegò una virtù sì virile e diede prove di sè tanto straordinarie da dover dire, riguardandole, che saranno gli atleti, se i piccoli sono qui tanto grandi, che tesori di santità serba Iddio alla progenie del Bosco, quando nell'orto di lui coglie fiori di tanta grazia per trapiantarli nel suo giardino!

» Ma se Domenico Savio tornò a gloria dei Salesiani, non meno è riuscito ad essere esemplare di perfezione alla gioventù de' nostri tempi. Se Luigi Comollo, or fanno cinquantasei anni morto fra i seminaristi di Chieri, fu tipo ai chierici, e il Ven. Nunzio Sulpizio agli artigiani, il nostro Savio sarà modello imitabile di virtù agli studenti del ginnasio.

» Il rigoglio della vita fisica e la stessa indole degli studi espongono gli studenti a pericoli, indipendenti, come oggi direbbesi, dall'ambiente. Che dir poi se vi si aggiunge il contagio delle amicizie ree, lo scandalo de' condiscepoli, il guasto insegnamento de' professori?

» Facciano questi poveri giovani, facciano la conoscenza del Savio, imparino da lui, come santificarsi anche di mezzo a' pericoli, come annodare l'austerità all'allegria, l'innocenza del costume all'espansione dell'anima affettuosa, la franchezza al riserbo, la dignità alla modestia, la vita interiore altissima fino all'unione intima col Signore, agli esercizi assidui, molteplici, faticosi della vita esteriore; apprendano da lui, com'essere diletti a Dio ed agli nomini, e lasciare di sè benedetta memoria ai venturi.

» Vorrei essere costì allo scoprimento della lapide, certo che non vi sarà nulla che possa danneggiare la causa del Savio, una volta che a voce di Cielo si dovesse iniziare; ma ci verrò in ispirito, per dire ai giovani, che assisteranno alla cerimonia, per ripeterlo anche gli assenti : Inspicite et facite secundum exemplar.

Albano Laziale, 4 ottobre 1895.

L. M. Card. PAROCCHI Protettore dei Salesiani..

S. R. Rev.ma Mons. Arcivescovo di Torino scrive: « Come prendo sempre la più viva parte alle gloria ed alle gioie salesiane, così sarò presente in ispirito a detta simpatica funzione, la quale mira ad eternare la memoria di un così degno e santo giovanetto, privilegiato da Dio di doni affatto straordinari e meritevole per le singolari e commoventi sue virtù d'essere proposto a modello della cara gioventù. »

L'Eminentissimo Cardinale Capecelatro, Arcivescovo di Capua : « Mi rallegro vivamente nel sentire che in Mondonio si renderanno solenni onoranze al caro e santo giovane Domenico Savio. Le onoranze che si rendono alla virtù, sono le sole degne dei Cristiani; perciocchè nella virtù risplende quella luce del Signore che vieppiù ce lo fa conoscere ed amare. Io mi unisco dunque con la mente e col cuore ai vostri festeggiamenti; tanto più che il vostro Istituto mi è caro, e carissimo quel miracolo di carità che fu il vostro Don Bosco, il quale specchia così bene nel secolo XIX la immagine del mio dolcissimo San Filippo.»

L' Eminentissimo Cardinal Mauri, Arcivescovo di Ferrara: « Prenderò vivissima parte con l'affetto a codesta festa, ringraziando il Signore di avere in quell'anima santa di Savio Domenico mostrato la potenza prodigiosa della sua grazia e del magistero educativo di Don Bosco. Possa l'esempio di quell'angelo in carne avere una salutare efficacia nelle generazioni novelle, e far sorgere in ogni parte della nostra penisola una gioventù di mente, di cuore, di vita veramente cristiana, una gioventù che onori ad un tempo la Chiesa e la Patria. »

L'Eminentissimo Cardinale Domenico Svampa, Arcivescovo di Bologna

« Apprendo che tra pochi giorni la cara famiglia Salesiana sarà in festa commemorando una sua gemma candida e preziosissima nell'ammirabile giovinetto Domenico Savio. Ne ricordo col nome le edificanti memorie che la penna del nostro Don Bosco lasciò scritto di quel carissimo tra i suoi figli, e unito col cuore alla loro gioconda festa, come a festa di famiglia, auguro al caro Oratorio Salesiano che lo spirito del santo giovanetto, novello Gonzaga, aleggi propizio sui giovani allievi, li innamori di sue virtù, li salvi dai pericoli, e son tanti che una società guasta e pagana loro apparecchia. »

S. E. R.ma Mons. Vescovo di Fossano scrive una lunghissima stupenda lettera, di cui riproduciamo i seguenti brani : « ...Come non sentirsi preso da ineffabile tenerezza al pensiero del caro giovanetto Savio di nome e di virtù? Giglio eletto della sua terra nativa, spara de la più soave fragranza, e risana l'atmosfera infetta dei tempi nostri, intanto che quasi stella splendente nel firmamento irradia il mondo coi suoi esempi, rapisce coi suoi prodigi; e prodigio è per me il suo eroismo nell'esercizio delle virtù cristiane, l'assoluta padronanza di sè, il senno di molto superiore all'età, lo sguardo suo sempre fisso e sicuro nel mondo invisibile dello spirito e della grazia. Egli vedeva ciò che il mondo ignora, non curava ciò che il mondo apprezza, aveva saputo trovare l'amore dell'anima sua, lo teneva stretto e mai l'abbandonava... Quella sua affascinante modestia, dalla quale traspariva l'interno candore dell'anima, quella santa semplicità, sublime sempre nel linguaggio dell'innocenza, quella volontà scopre efficacemente risoluta nel bene operare e nel fuggire fosse pure l'ombra del male; quella dolcezza d'amore nell'abbracciare il sacrificio e nel puntare la croce delle sofferenze e delle umiliazioni, sono altrettanti raggi di luce che si riverbera sulla terra sua natia, terra fortunata e benedetta. Luce che si sprigiona là dove il venerato Savio aveva fissato lo sguardo ed il cuore : la sua conversazione era in Cielo, e Dio, che ama colloquiare coi semplici, inebriava di sentimenti e di amore celestiale il suo diletto.

« Quanto è bello l'ammirare un fanciullino che, senza spolverare tanti volumi penetra nei segreti della vera sapienza, si colloca al disopra della scienza del mondo, abbraccia con sicurezza la verità, la segue ovunque, ed in essa si bea e n'è felice ! Oh se la gioventù prendesse un simile metodo d'insegnamento, se tenesse fermo nello studio della verità per apprendere il segreto di vincere e trionfare sempre ed arrivare fino al massimo dei beni, Dio! Il venerato giovanetto Savio è primizia eletta dell'Oratorio Salesiano, è mirabile fiore primaverile uscito dal cuore di Don Bosco, è un saggio della mente e dell'ideale che D. Bosco portava impresso nel cuore. ecco ciò che io voglio, pare abbia detto D. Bosco, voglio consacrare la mia vita nel formare giovani simili al mio caro Savio, Chi vuol seguirmi, prenda questo esemplare e ne moltiplichi le copie fedeli. Questa è la nobile impresa dei Salesiani. »

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L'Eccellentissimo Mons. Vescovo d'Ivrea scrive

« Lodo il pensiero di onorare la cara memoria del giovine Savio Domenico.

« Fin dalla fanciullezza ho famigliare tal nome; e desso naturalmente viene nella mia mente ad associarsi all'indimenticabile figura del grande Don Bosco. Io mi unisco adunque cogli ammiratori del Savio, faccio voti perchè lo spirito del medesimo sempre aleggi fra la gioventù che si istruisce ed educa nelle Case Salesiane, e prego il buon Dio perchè possa io medesimo co' miei diletti Sacerdoti e Chierici arrivare a quella meta, a cui già da tempo confidiamo essere giunto il nostro giovine eroe. »

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L'illustre Cav. Can. Giambattista Anfossi scrive

« Condiscepolo del caro e santo giovanetto Savio Domenico, applaudo alla deliberazione di apporre una lapide alla casa ove morì, dolente di non potere assistere personalmente alla funzione dello scoprimento. Il ricordo delle sue virtù valga a destare molti imitatori. »

NOTIZIE DEI MISSIONARI DI D. BOSCO

COLOMBIA

Una grande impresa a favore dei poveri lebbrosi.

REVER.mo E CARIS.mo PADRE,

Villavicencio, 2 Febbraio 1895.

MENTRE attendo che mi si procurino le mule necessarie per far ritorno alla Capitale, le darò una breve e succinta relazione della missione che mi toccò disimpegnare nel decorso gennaio. Duplice era lo scopo. Il primo era soddisfare ai desiderii più volte manifestati dall'Illustrissimo e Reverendissimo Arcivescovo di Bogotà, che i Salesiani accettassero le Missioni de los Llanos de S. Martin, dipendenti dall'Archidiocesi. Il secondo aveva un fine umanitario: coll'autorizzazione di ambedue le Autorità, l' ecclesiastica e la civile, era cercare nelle estesissime pianure di S. Martin un punto adeguato, dove o più presto o più tardi erigere un gran Lazzaretto, che contenesse i 15 o 20 mila lebbrosi che soffrono sparsi in tutto il territorio di questa Repubblica. L'idea mi venne or sono alcuni mesi, dopo una visita fatta al Lazzaretto del dipartimento di Santander (1). Furono tante e tali le miserie viste in quel Lazzaretto, furono tanti i lebbrosi che trovai sul mio cammino, nei punti di passaggio, che risolsi occuparmene sul serio e nel miglior modo possibile. Conseguenza fu un Informe che presentai al Governo al mio ritorno, e che ebbi la soddisfazione di vedere accettato, almeno nei punti principali. Primo passo nella realizzazione di questi miei ideali si è la venuta a queste terre.

Nell'anno 1893, dopo prolungate discussioni sulle questioni lazzarine e la necessità urgente di un unico gran Lazzaretto tenute nel primo Congresso medico di Colombia, che raccolse più di 100 medici a consiglio, si decise destinare a questo scopo una delle Isole che la Repubblica di Colombia ha nell'Oceano Pacifico. Il Governo fece buon viso a queste proposte, e mandò una Commissione ad hoc, per investigare e trovare l'isola più adatta a questo scopo. Coimba, a poche leghe al Sud di Panama, nel Pacifico, fu la prescelta. Ma si presentarono subito tante difficoltà, quando si trattò in serio la questione, che si abbandonò del tutto il progetto come irrealizzabile. La prima e più grave difficoltà sorse da parte dei lebbrosi, che fecero capire al Governo, che non accettavano in nessun modo la sua proposta, e che mai sarebbero andati a così lunga distanza, in un punto così isolato ed abbandonato. Il condurre poi a termine il progetto, anche lo avesse intentato il Governo colla forza, presentava difficoltà seriissime e gravissime. Come trasportare tanti ammalati e di tal malattia, a così enorme distanza? Qual vapore li accetterebbe? E qualora pure qualche vapore li accettasse, non sarebbe esporre tutta la Costa ad essere allagata dal male? Una volta fatto il Lazzaretto, chi si curerebbe dell 'amministrazione? Come fare a mandare i viveri necessari per tanta gente) Ci vorrebbero i milioni dell'Inghilterra! Infine si presentarono tante e tali difficoltà, che ben si può dire che il progetto nacque morto e come morto fu sepolto davvero; non se ne parlò più.

(1) Ne parlammo nel Febbraio scorso pag. 47.

I Piani di S. Martino. - Pericoli del viaggiatore in queste regioni. - Grandiosità della natura.

Più fattibile assai è il nuovo progetto, di fare questo Lazzaretto nelle pianure di S. Martin. Non dico che difficoltà non ve ne siano; ve ne sono ed anche delle ben gravi, ma almeno la cosa è possibile. Si è per questo che il Governo si degnò approvare il progetto salesiano, e la mia venuta a queste regioni si era trovare il punto più opportuno allo scopo indicato. Per questo, accompagnato da un medico, un ingegnere ed una persona del Governo, la prima autorità di questa Intendenza, il 5 del p. p. gennaio, lasciammo Bogotà in direzione a los Llanos de S. Martin, come qui si chiamano. Sono pianure immense, estesissime che dalle Cordigliere Orientali della Colombia giungono fino all'Oceano Atlantico; sono migliaia e migliaia di leghe in lunghezza e larghezza; ci vogliono dei mesi per attraversarle da un capo all'altro, e non credo che alcuno lo abbia fatto mai fino al giorno d'oggi. Si figuri le nostre magnifiche pianure del Monferrato senza le sue colline, prolungate indefinitamente, ed avrà una idea di quello che sono queste pianure. Sono un quid simile de las Pampas della Repubblica Argentina, ma più belle, più pittoresche ed anche immensamente più vaste. Al Nord ed all'Oriente hanno per limite il mar delle Antille e l'Atlantico; al Sud l'Amazzone, all'Occidente le Cordigliere che giungono fin al Mar Pacifico. Non hanno però la monotonia delle Pampe dell'Argentina. Colà lei cammina giorni e giorni e non trova un albero, non una pietra; erba e bestie che pascolano, pochi fiumi e null'altro ; qui è una varietà che incanta e rapisce. Prima foreste vergini che pare non abbiano limiti; la mano dell'uomo ha trovato tuttavia modo di aprirsi una strada, almeno per alcune di esse, dove però non arrivando mai i raggi del sole per la grande spessezza del bosco, e piovendo mesi e mesi senza interruzione, la strada si forma torrente e pantano, sicchè il viandante deve passare sopra una bestia con una lentezza tale, che mortifica e cavallo e cavaliere. Così ci toccò viaggiare durante 24 ore per passare da Villavicencio a S. Martin.

A ciò si aggiungano i fiumi grossi e rapidi che si devono traghettare. In queste regioni i ponti non si conoscono; quindi per passare da una riva all'altra è giuocoforza deporre ogni timore, assicurarsi bene sugli arcioni, scalzato e denudato fino al ginocchio, aggrapparsi alla criniera della bestia, e fattosi il segno di croce e raccomandatosi all'Angelo Custode, gettarsi tra le onde e lentamente fare la traversata. La mula tra le gambe più robuste e la vista più chiara, difficilmente inciampa e cade; non così il cavallo; il quale facilmente mette il piede in falso od inciampa in grosse pietre, ed allora siamo ai guai; facilissimamente uno si trova a bagno senza volerlo. - Ai viaggiatori novelli occorre un altro pericolo. Nella traversata dei fiumi grossi che hanno rapida corrente, la vista s'intorbidisce, uno non sa più dove si trovi : si crede fermo e cammina; e viceversa, quando è in moto crede che stia fermo; pare che le acque trascinino la povera bestia ed il cavaliere si crede perduto. Per questo nessun viaggiatore passa solo questi fiumi ; sempre si fa accompagnare da una guida che li conosca bene e che conosca i punti meno profondi. Anzi è cosa prudente legare il proprio cavallo alla coda di quello della guida e lasciarsi menare; così faceva io, aggiungendo un'altra precauzione, distrarre cioè la vista, non guardando mai fissamente le onde, oppure tener chiusi a dirittura gli occhi, e così passare da una sponda all'altra. - Queste precauzioni si prendono nei mesi d'estate, che è quando si possono passare i fiumi; chè d'inverno è assolutamente impossibile. In questa stagione chi è buon nuotatore, si getta a nuoto, se ha gran premura e necessità di passare; se no, retrocede e desiste dall'impresa. In certi punti v'è una piccola barca, stretta e lunga, fatta col tronco di un albero, ma senza barcaiuolo che la guidi; uno deve saper remare allo stesso tempo che deve tirarsi dietro il cavallo. Questo si lega al fianco della barca : se è docile passa, ma molte volte avviene che si spaventa e resiste al passaggio, anzi cerca di retrocedere; allora il pericolo è grave, poichè essendo la barchetta molto stretta, perde l'equilibrio e si capovolge. Il cavallo non affoga mai, chè sempre torna alla riva; non così il cavaliere, il quale spesse volte, se non arriva ad afferrare la coda della bestia, resta tra i vortici.

Altro pericolo assai grave nel passaggio di questi fiumi, pericolo che trattiene anche i più valenti di gettarsi a nuoto, si trova nei coccodrilli, i veri padroni di queste acque. In queste terre ardenti, i coccodrilli si trovano a centinaia e migliaia in tutti i fiumi ! Nelle ore fresche della mattina e della sera non abbandonano il letto del fiume; ma nelle ore calde, escono a galla, cercando la sabbia della riva, dove passano le ore sdraiati colla boccaccia aperta, trattando di digerire la preda fatta durante la notte. Generalmente fuggono, se la persona li avvicina, a meno che sentano gli stimoli della fame , nel qual caso assaltano e perseguitano; ma se uno cade fra le onde, è perduto; famelici o no, abboccano la preda e la trascinano al fondo. La difesa è impossibile, perchè il coccodrillo non ha parte vulnerabile; il coltello non entra nella pelle, la quale pare di ferro, e le palle di fucile scivolano sulla sua schiena, senza penetrarvi. M'assicurano che l'unico modo di liberarsi dalle sue fauci per chi ha la disgrazia di cadervi, si è acciecarlo mettendogli due dita negli occhi; in questo caso abbandona la preda; ma è per un momento, chè torna ad assalire, non appena ricupera l'uso della vista. Ginnastica un po' seria e difficile per chi si trova stretto fra i suoi grossi ed affilati denti ! Per me non ho la più piccola voglia di farne l'esperienza.

Per tutti questi motivi il passaggio dei grossi fiumi è sempre pericoloso, e d'inverno generalmente non si viaggia. Quando poi uno, estenuato dalla fatica e dal calore, desidera bagnarsi in alcuna di queste acque, deve evitare un altro pericolo. Vi sono in questi fiumi anche di piccolo corso, due pesci, la cui morsicatura è quasi sempre mortale. Qui li chiamano raya e temblador; vivono sepolti nella sabbia e si fanno invisibili; al mettervi il piede sopra feriscono, ed è gravissima ed anche mortale questa ferita. Nei punti dove sono pietre, invece di sabbia, questi pesci non si trovano, ed è qui dove con preferenza si bagna il viaggiatore.

La pesca è abbondantissima in questi fiumi. Ricordo che un giorno che si dovè pescare per aver di che nutrirsi, in brevissimo tempo si colsero all' amo due pesci, chiamati qui amarillos, del peso di 4 rubbi l'uno e l'altro di 5. È questo il vitto ordinario di tutti i selvaggi di queste terre. Anche la cacciagione è abbondante; di uccelli in queste foreste se ne trovano a dovizia; son quasi tutti differenti dai nostri; differenti nel canto, nel colore, nella grossezza. L'uccello che più abbonda è il pappagallo. Nelle ore mattutine chi attraversa la foresta, gode di una musica affatto speciale; è il Benedicite Domino, omnes volucres coeli, del Profeta Daniele; al sentire tanta armonia l'uomo che sa pregare sente la necessità di farlo; quegli che non sa pregare, si sente vergognato; per me so dire che mi sentiva più compenetrato e raccolto e pregava con più fervore, che non lo faccia ai pie' degli altari. Quante grandiosità e bellezze presenta la natura in questi deserti ! Non oso neppure toccare di volo la flora e la fauna di queste parti; è una cosa veramente prodigiosa vedere tanta varietà di piante, di erbe, di fiori, etc.; le poche cognizioni apprese nei piccoli volumi, or sono tanti anni, nei corsi di filosofia, non bastano per dipingere sulla carta, neppure nelle sue linee principali, il grandioso e superbo manto, col quale la natura si ricopre e si abbella.

A Villavicencio. - Nel deserto. - Orario della giornata. - Dove e come si dorme.

Ma troppo presto mi sono lasciato trasportare dall'entusiasmo, e mi trovo fuori di carreggiata. Riprendo la mia narrazione. In quattro giorni da Bogotà siamo arrivati a Villavicencio, popolazione di circa 1500 anime che segna il confine tra la parte civile e la barbara; da una parte, tutto è montagne fin al Pacifico, dall'altra tutto pianure fino all'Oceano Atlantico. Or sono pochi anni, questo paese fu totalmente distrutto da un incendio, e può ripetersi quando che sia, essendo il tetto delle case tutto di paglia o di legno. I privati riedificarono le loro case in poco tempo; ma i cristiani non ebbero ancor tempo a riedificare un tempio al loro Dio; è quindi un paese senza chiesa, perchè non può chiamarsi chiesa una stanza stretta, lurida, dove si celebrano i divini misteri. È piccola; appena si arrivano a capire da 30 a 40 persone; ma è ancor troppo grande. Oggi, 2 febbraio, festa della Candelara , che qui è di precetto, la chiesa era quasi vuota durante la Messa. Il campanile è un albero fronzuto che si eleva in mezzo alla piazza vicina; due campanelle sono in alto assicurate ad un ramo della pianta, e bisogna saper ginnastica per arrivare fino ad esse e farle suonare; generalmente è un bambino che si arrampica sopra dell'albero, per dare i tocchi che anunziano le funzioni religiose. Nella stessa piazza, a due metri dal suolo, si vedono già i fondamenti di una nuova chiesa che si progetta; ma sono interrotti i lavori, e poca speranza vi è che si riprendano. La pietà qui è al grado zero, e zero marca il termometro religioso di quasi tutte queste popolazioni di confine.

Dopo una fermata di due giorni, che si impiegarono nel fare le provviste più necessarie di commestibili, nel provvedere le bestie e cercare una persona che conoscesse il deserto, ci mettemmo in cammino. Il nostro piano era semplicissimo; riconoscere prima la parte Sud del deserto, poi la parte del Centro e rimontare la parte Nord. Toccammo appena il paese chiamato S. Martin, altra popolazione di circa 2000 anime, posta a circa 70 chilometri al Sud di Villavicencio, e che dà il nome a tutte le pianure. Pieni di entusiasmo e di coraggio ci mettemmo nel deserto. Eravamo otto persone; i tre più sopra accennati, lo scrivente, un altro medico, eccellente Cooperatore Salesiano, che si offrì ad accompagnarmi in tutto il viaggio, un religioso Domenicano, missionario in queste parti già da trentadue anni e che conosce a puntino questi deserti, e due uomini di servizio, uno per accompagnare le bestie da carico, l'altro per accompagnare noi ed aver cura delle nostre bestie. Si viaggiò in direzione Sud per tre giorni, nei quali non si trovarono che due miserabili casupole per passarvi la notte : nessuna persona : pochissime bestie, che pascolavano liberamente negli immensi prati. Di tratto in tratto un piccolo bosco, che era per noi una vera oasi nel deserto, dove si entrava con piacere, perchè trovavasi un po' di ombra e magari qualche sorgente di acqua, non tanto per dissetarsi il cavaliere, quanto per dissetare la stanca bestia che cavalcava.

Avevamo il nostro orario, che, fatte poche eccezioni, si osservò sempre. Molto di buon'ora Messa, che si celebrava dovunque ci trovavamo, o nelle foreste, o nel porto, o sulla sponda di qualche fiume. A tal fine io portava tutto il necessario da Bogotà; ed eccettuati quattro giorni, che non fu proprio possibile, durante tutto il viaggio fino ad oggi potei celebrare sempre il S. Sacrificio. Dopo la S. Messa, colazione molto leggiera., un po' di caffè e galletta, e subito a cavallo fino alle 6 della sera, ora in cui ci fermavamo per riposare e passare la notte : qui prendevamo la refezione principale, o dirò meglio , unica della giornata. Si aprivano i bauli, e col miglior appetito del mondo , si mangiava quel po' di ben di Dio che avevamo portato da Bogotà, ma con molta parsimonia, perchè non avesse poi a mancarci più tardi il necessario : in queste regioni , i milioni di Roschild non basterebbero per pagare un uovo, per la semplice ragione che non se ne trovano. In seguito veniva la parte più romantica, come passare la notte. Avevamo, sì, la nostra tenda di campagna, ad uso militare, ma non conteneva che due persone e si piantò una sola volta, sia perchè costava fatica a metterla in ordine, sia perchè non serviva per tutti, e più specialmente per la stanchezza che ci sentivamo tutti.

Il modo di dormire in questi deserti è molto semplice; ogni viaggiatore porta seco quello che qui si chiama hamaca, oppure un chinchorro. E l'hamaca un pezzo di tela ben forte, che ha alle due estremità una corda; si lega questa a due tronchi di alberi, uno di fronte all'altro, a certa distanza, di modo che la tela resti sospesa a certa altezza dal suolo. È tutto il letto : uno si getta sopra, e vi dorme saporitamente. Ma succede spesso che questo letto riesce incomodo per il troppo calore. Quindi quasi sempre si preferisce il chincorro. Il chinchorro è una rete fatta con fili durissimi estratti dalle palme ; ha la lunghezza della persona, alle estremità molte cordicine fatte pure di palma, che tutte poi si raccolgono in una sola. Quando si vuol dormire o semplicemente riposare, si assicurano i due capi delle corde a due alberi, di modo che la rete resti sospesa; uno si ravvolge in essa e dorme saporitamente; il fresco passa da tutte le parti; e quando è troppo, allora si fa uso di una coperta che sempre si getta ai piedi per averla in pronto. Somma imprudenza sarebbe dormire sul nudo suolo, prima per l'umidità mantenuta o dalle acque vicine o dell' erba folta, e poi per il pericolo dei rettili velenosi che pullulano per ogni dove, principalmente in vicinanze alle acque. Se piove, non vi è che un rimedio; lasciar piovere e bagnarsi ! Per gran fortuna non ci toccò nessuno di questi bagni. Le prime notti io trovava qualche incomodità nello strano letto ed il sonno tardava a venire , malgrado la stanchezza; tanto più che credeva prudente coricarmi vestito; ma poi mi sono assuefatto, e sfidava tutti i compagni a chi dormisse di più e meglio. Il letto sopradescritto non è usato solamente dai viaggiatori del deserto, ma se ne fa un grande uso anche nelle popolazioni; quasi tutti lo preferiscono ad ogni altra sorta di letto. Non vi è casa, dove all'entrare non si trovi penzoloni in mezzo alla stanza o l'hamaca o il chincorro; chi vuol riposare nella giornata, invece di sedersi, si getta sopra uno di questi due arnesi.

Alla mattina generalmente erano i passerini che ci destavano; e noi ai primi raggi dell'aurora ci levavamo; si faceva un po' di toeletta sulla sponda del vicino rigagnolo, si preparava l'altare colle nostre casse o bauli, e , detta la S. Messa , si faceva colazione, si montava in sella, e poi giù di sprone al cavallo, per non fermarsi più fino alla sera.

Incontro con un orso ed un serpente. - Le scimmie. - Un punto incantevole.

Siccome ci avevano consigliati di procedere con cautela e di andare prudenti, perchè le bestie feroci abbondano in questi deserti, tre della compagnia portavano un buon fucile; quasi tutti poi, coltellacci della lunghezza di un metro. - Il fucile in caso necessario serviva pure per provvedere la cacciagione; il coltello più che di arma difensiva, serviva per aprirci la strada per entro i boschi. - Nei ventotto giorni di viaggio, non avemmo nessun incontro pericoloso. È vero che sono molte le tigri e i leoni ìn questi deserti, ma non assaltano mai , quando le persone sono molte. E poi non soffrono la fame; quando vogliono mangiare, non hanno che ad uscire dal bosco, afferrare il primo vitello che trovano e divorarselo. Più che per le persone, sono un pericolo per le bestie domestiche; i proprietarii di bestiame ne fanno una caccia permanente. Uno dei due giovani che ci accompagnavano, ci assicurava che con quel fucile che portava a tracolla aveva ucciso ben quaranta fra tigri e leoni; un altro giovane appena di diciott'anni, ne contava già sedici; e mi vendeva la pelle di una magnifica tigre, fresca ancora, perchè uccisa pochi giorni prima. Noi non avemmo nessuna occasione di difenderci, perchè non fummo assaliti; l'unico incontro fu con un orso, che appena ci vide scappò; più tardi con un serpente cascavel: era proprio sul sentiero, per cui dovevamo passare; forse ferito dal primo cavallo, subito si drizzò sulla sua coda, come per difendersi; il mio cavallo s'arrestò d'un tratto e non volle avanzarsi; parimenti fecero gli altri; deviammo di alcuni passi e non fummo molestati. Generalmente queste bestie, se non sono assalite o mortificate, non sono pericolose, non assaltano, ma fuggono.

Un bel divertimento per noi al passare fra i boschi era vedere le scimie; spaventate al nostro passaggio, saltavano da un ramo ad un altro con una agilità sorprendente; e le madri subito correvano al fianco dei loro piccini, e colle loro strida impedivano che ci avvicinassimo. Ve ne sono di molte qualità, le une grosse, piccole le altre, ma piucché di pericolo, servono di divertimento al passeggiero.

Dopo tre giorni di viaggio dentro il deserto, ci arrestammo in un punto che ci parve incantevole. Uno dei più grossi fiumi di queste regioni, chiamato l'Ariari ci scorreva ai piedi; più in là un torrente chiamato Chajurray; sopra una delle sue rive, una laguna magnifica, di due chilometri circa di lunghezza per uno di larghezza; e poi da una parte boschi immensi e dall'altra pianure nude, ma sollevate in modo da rendere impossibili le inondazioni delle acque vicine. In questo punto passammo tre giorni per visitare le regioni circonvicine, e vedere di trovare il punto che favorisse i nostri piani. A circa due leghe di distanza, trovammo un altro fiume piccolo, ma profondo, chiamato S. Vicente. Desiderando passarlo, l'ingegnere in meno di due ore ci fece un ponte con tronchi di alberi, un vero ponte militare; naturalmente non era molto solido, troppo elastico ancora, e si passava tremando , l'uno afferrato alla mano dell'altro per sostenerci, e lì alla vista un buon nuotatore pronto a tuffarsi in caso di caduta di qualcheduno. Non ne fu nulla; sani e salvi ci trovammo tutti alla sponda opposta ; le bestie passano sempre a nuoto; e così potemmo seguitare la nostra escursione fino a che la notte ci obbligò a ritornare al nostro accampamento.

I primi selvaggi. Un battesimo in mezzo al deserto.

Fu precisamente sull'imbrunire di questo giorno (18 gennaio) che trovammo sul nostro cammino i primi selvaggi. Erano cinque ; un uomo sui trent'anni, due giovani sui venti ed una donna con un bambino in braccio. Ci videro a certa distanza; e sorpresi o spaventati cercarono fuggire. Si fecero loro segnali di amicizia e di pace; il missionario Domenicano si avvicinò il primo per farsi riconoscere e rassicurarli; allora si fermarono; si promise loro qualche regalo, perchè ci accompagnassero fino al nostro alloggio, e dopo certa violenza, i due giovani accettarono; gli altri non vollero e si ritirarono alla loro barca. Ai due che ci accompagnarono, si diedero fazzoletti, spilli ed altre coserelle che avevamo, e prima di partire ci promisero che alla mattina sarebbero tornati cogli altri. Verso le 10 del mattino vennero infatti, nessuno mancava; i giovani erano carichi di uova di tartaruga per venderceli e di certe collane fatte con denti di leoni e di tigri e d'altre bestie. Per pochi fazzoletti ed altre bazzecole ci vendettero tutte le uova ed alcune collane, due delle quali le porto meco per mandare, alla prima occasione, al nostro museo di Valsalice. Stettero tutto il giorno con noi, senza aver più il minimo timore. Il P. Domenicano potè farsi intendere, e richiese l'uomo e la donna se permettevano si battezzasse il loro bambino, al che accondiscescero con visibile indifferenza, ed io lo battezzai col nome di Vincenzo. Gli uomini non avevano altro vestito che un pezzo di tela alla cintura; la donna aveva una tela che, annodata alle spalle, le cadeva fino ai piedi. Avevano il viso pitturato di rosso; le orecchie forate da parte a parte, con dentro un pezzo di legno; alle coscia ed alle braccia, certi circoli di filo, strettamente legati, nella convinzione che questo dia loro robustezza; i capelli piuttosto arricciati come gli Africani. Il colore della pelle è abbronzato, tutta la persona ben formata, robusta, particolarmente i giovani. Hanno un linguaggio tutto gutturale; qualche cosa ne capiva il P. Domenicano. Uno dei giovani parlava discretamente lo spagnuolo , gli altri uomini qualche parola, le donne nulla affatto. Ma è meglio che riservi di parlare a parte degli Indi ; allora mi dilungherò a discorrere delle loro tribù, numero e costumi, secondo le notizie che potei raccogliere, principalmente dalla bocca del missionario Domenicano, che passò trentadue anni fra loro.

Una grave disgrazia.

Dopo questa giornata di riposo, pensavamo di rimetterci in cammino e portarci senz'altro al Centro; ma nessuno osò accompagnarci per non esservi nessun cammino e non sapere i pericoli che potremmo incontrare. Fu necessario rifare la via e tornare a S. Martin, e là cercare gente che conoscesse i luoghi che volevamo percorrere. - Frattanto ci toccava una disgrazia che poteva avere tristi conseguenze. Uno della compagnia, precisamente il medico che spontaneamente si era offerto di accompagnarmi, di mano in mano che ci inoltravamo nel deserto, ogni dì più dava segni di alienazione mentale. I forti calori, gli strapazzi del viaggio, il mangiare e dormire male, forse tutto questo gli fe' perdere la testa. Fatto sta che non stava quasi più con noi, lasciava il cavallo a briglia sciolta attraverso le pianure con pericolo di perdersi. Un giorno si perdè davvero, e ci vollero più ore per trovarlo. Una notte scappò, e fu a dormire solo nel bosco ; sentivamo da lungi i colpi di fucile e temevamo qualche disgrazia. Sulla mezzanotte il cavallo arriva solo; i nostri timori crebbero ; ma alla mattina si potè rinvenire, e senza resistenza tornò ad unirsi a noi; ma fu un continuo tormento per tutti, ed in particolare per me che ne aveva tutta la responsabilità. Più non dormiva nè giorno, nè notte. Era un continuo parlare e gridare, ma cose senza senso e senz'alcuna connessione. Certe volte gli venivano attacchi di furia spaventosi. - Un giorno si presentò tutto stralunato, tremante la persona, colla bava alla bocca, gli occhi pieni di sangue, impugnando il tremendo coltellaccio e minacciando tutti di morte. Si potè disarmare e tranquillizzare, ma eravamo di continuo sopra avviso per ogni evento. Altro giorno non volle accompagnarci in una ispezione; era precisamente il giorno dell' incontro coi selvaggi. Al ritorno ci si presentò con una terribile lancia nella destra, grondante di sangue, il volto insanguinato, la camicia e tutto il vestito pure macchiato di sangue. - « P. Evasio, mi disse, finalmente le ho trovate e le ho uccise ; sono qui, le mostrerò le teste; che lotta accanita! ma fui vincitore : adesso sì sono contento e felice ! Aveva promesso a quei di Bogotà che non sarei tornato senza uccidere almeno due tigri ; oggi vi sono riuscito, e porterò le teste e le pelli, come prova del trionfo. » - Che era stato? In quel giorno si era ucciso un vitello per prepararci carne, ed egli aveva voluto aiutare; di proposito aveva intriso la lancia di sangue ; con sangue si era macchiato le mani, la faccia, tutto il vestito, per farsi credere macchiato di sangue di tigre. Mi mostrò poi i due teschi da tigri, ma erano già secchi da molti mesi ; ad ogni modo li volle per sè e portarli a Bogotà, per far credere che da solo aveva potuto ammazzare due tigri. Voleva poi comprare la lancia a qualunque prezzo, ed offrì per essa nientemeno che il suo orologio d'oro; negozio che non si fece, perchè lo impedii ad ogni costo. Da quel giorno tutta la sua preoccupazione era incontrarsi colle tigri e combattere corpo a corpo con esse; passava le ore appiattato nell'entrata di un bosco, colla lancia impugnata, in somma attenzione, credendo che ad ogni momento la bestia si dovesse presentare ed incominciare la lotta. Di giorno e di notte, anche nel sogno, non faceva che parlare di tigri, era una vera mania. Per questo, appena fummo di ritorno a S. Martin, fabbricai varii telegrammi , fingendoli scritti in Bogotà, coi quali gli si faceva urgenza per tornare alla capitale; ed egli non oppose resistenza , ed accettò di ritornare; e ben accompagnato arrivò sano e salvo , ma completamente matto, come mi riferirono varii telegrammi della famiglia. Cosa strana! nelle sue maggiori furie, appena gli parlava di Don Bosco, subito rinsaniva e mi mostrava una piccola memoria di questo buon Padre, che egli portava al collo, aggiungendo che era sicuro che nulla gli avverrebbe di male, perchè D. Bosco lo avrebbe liberato da ogni pericolo e ricondotto incolume a Bogotà. Che la Madonna Ausiliatrice, per i meriti di D. Bosco, ridoni presto la salute a quel caro amico , eccellente cristiano e modello di padre di famiglia!

Il luogo prescelto pel futuro Lazzaretto. - Una trista notizia. - Si deve ritornare.

Allora pensammo seriamente all'esplorazione del Centro. Senza indugio, trovate altre bestie, chè le prime non potevano più reggere alla fatica, ed un buon conoscitore di quelle parti, ci mettemmo in viaggio. - C'inoltrammo per altri tre giorni, attraversando altre pianure, altri boschi ed altri fiumi. Qui trovammo un paesucolo di una quarantina circa di persone, occupate tutte nella pastorizia. Questo punto si chiama Jiramena. Riposammo qualche ora, e poi in una barca attraversammo il famoso fiume Meta, che è fra i maggiori dell'America del Sud, per visitare le coste. Da informazioni prese, speravamo trovare qui il punto sospirato e lo trovammo davvero. È una pianura di circa 50 chilometri di lunghezza, per varii di larghezza, fiancheggiata da una parte dal maestoso Meta , dall'altra da un fiume minore chiamato Nare, che precisamente sbocca nello stesso Meta, formando così una magnifica ed enorme penisola. Nostro ideale era trovare un' area di terreno sufficientemente vasta all'uopo, che formasse penisola, che avesse abbondanti acque, terreno fertile e salubre, dove raccogliere i 15 o 20 mila lebbrosi della Colombia. A questo punto si die' da tutti la preferenza, per le ragioni suddette, ed anche principalmente perchè il fiume Meta è navigabile. Sulle sue acque potranno arrivare al punto scelto tutti i lebbrosi delle provincie settentrionali di Colombia. Già da due anni s'introdusse la navigazione in questo fiume, in comunicazione coll'Orenoco e coll'Oceano. I vapori di una Compagnia francese arrivano già carichi delle merci europee fino al porto di Orocue, ad un giorno di distanza dal punto da noi segnalato. Ha quindi molti vantaggi questo posto, e vogliamo credere che il Governo, convinto delle convenienze che avrebbe il Lazzaretto in quelle parti, non opporrà ostacoli per la sua erezione.

Alla sera eravamo di ritorno a Jiramena, e qui ci attendevano funeste notizie. Un messo speciale venuto dalla frontiera e mandato dalle Autorità governative, ci portava dispacci urgenti, colla brutta notizia che la rivoluzione era scoppiata in varii punti della Repubblica, e che quindi ritornassimo senza indugio, prima che le cose si facessero più gravi. Per questo alla mattina seguente, 30 gennaio, ci mettemmo in cammino alla volta di Villavicencio. Il Padre Domenicano solo si fermò nel piccolo paese di Jiramena per certe funzioni religiose, per le quali si era compromesso, essendo più di quattro anni che non visitava quella popolazione.

Gravi pericoli fortunatamente superati. - Non si trovano più bestie.

Tornammo gli altri. Ad un certo punto, nell'attraversare un torrente detto Jiramena dal paese vicino, quasi ci toccava una catastrofe che poteva avere conseguenze fatali. Quella mattina io montava una bestia nuova; non conosceva quindi nè i difetti suoi, nè i suoi capricci. Una delle sponde era assai ripida, e bisognava passarvi; io vidi il pericolo e cercai di discendere; ma la bestia non mi diede tempo; tentò spiccare il salto ed afferrare la cima; ma non potendo, perdè l'equilibrio e rotolò nel torrente portando seco il povero cavaliere, e d'improvviso mi trovai con mezza la persona nell'acqua. Per disgrazia una delle gambe era restata sotto la bestia, ed io non poteva movermi. Le mule in generale sono capricciose, e, quando cadono, prima di rialzarsi hanno il cattivo uso di dar calci a dritta e a sinistra, senza nessuna compassione ; altre volte si rialzano dalla parte opposta della caduta facendo un capitombolo, o meglio uno schienitombolo. Non temeva il primo pericolo, perchè mi trovava dalla parte opposta ai ferri della mula, ed i suoi calci non mi coglievano ; piuttosto temeva il secondo pericolo, cioè che le desse il ticchio di girar sopra se stessa, tanto più che era sulla pendente, ed era difficile rialzarsi dalla parte della caduta. Come Dio volle, la mula si rizzò dinnanzi, ed io mi trovai affondato nell'acqua. Se si fosse drizzata dalla parte opposta, o mi avrebbe annegato, o mi avrebbe rotta tutta la persona. Tutto questo passò rapidamente; i compagni erano già lì coll'aqua fino al ginocchio per aiutarmi a sollevare. Conseguenze gravi nessune; tutto finì con un buon spavento, un'ammaccatura ad una gamba, una graffiatura nella faccia, e finalmente in un bagno estemporaneo. Dovei lì per lì cambiarmi da capo a piedi e subito, per evitare che la roba bagnata si seccasse sulla persona e mi incogliesse qualche febbre. - La stessa cosa era giorni prima passata ad un compagno della comitiva, ma in terreno secco. Allora il pericolo fu anche maggiore; la mula che andava dietro a quella che cadde, si spaventò, e si cacciò sfrenata per entro il bosco dove ci trovavamo, portando seco il povero cavaliere, il quale cadde subito contro il primo albero che trovò nella precipitosa fuga. Anche qui si ebbero ammaccature e graffiature, non però cose gravi. Dico queste cose, perchè veda, caro Padre, quanta protezione abbiamo avuto in questo viaggio, e ci aiuti a ringraziare il Signore per tanti benefizi.

Finalmente il giorno 31 gennaio, alle ore cinque pom., giungevamo incolumi a Villavicencio. Eravamo passati durante giorni e giorni per ignem et aquam; ma senza nessuna conseguenza. Dissi che passammo per ignem, ed è veramente infuocato il sole di questi deserti, specialmente in certe ore della giornata. Basti dire che queste pianure di San Martin sono poste al 4° grado di latitudine Nord, cioè vicinissime alla linea equatoriale e che quasi si trovano al livello del mare, non contando che 200 metri all'incirca sopra questo; quindi il calore è soffocante. S'aggiunga che è questa l'epoca degli incendii delle grandi pianure; è qui costume nei mesi secchi di estate, perchè l'erba si riproduca e cresca, bruciare la vecchia, alta un metro e più. In tutte le parti si vedono in lontananza incendii enormi, colonne di fumo e di fuoco, che pare tocchino il cielo; e questo accresce assai il calore già troppo ardente di per sè. Per gran fortuna, in questi mesi, dalle 9 del mattino alle 3 di sera, precisamente nelle ore più ardenti, soffiano costantemente i venti elisei mandati qui dall'Oceano Atlantico; e questo giova assai a temperare la violenza del calore, e rende possibile l'andare per queste pianure senza pericolo. Ad ogni modo, per qualunque evento potesse succedere, eravamo preparati. Ad evitare l'insolazione qui usano mettere nel cappello del cotone, il quale mantiene fresca la testa, oppure portano la testa fasciata con un fazzoletto bagnato con acquavite, od usano certe foglie od erbe, alle quali i naturalisti attribuiscono l'efficacia d'impedire le insolazioni. Noi, grazie a Dio, di nulla avemmo bisogno; e siamo qui di bel nuovo sani e salvi.

Adesso si tratta di tornare a Bogotà, ma non si trovano bestie per quest'ultima parte di viaggio, a nessun prezzo. Il motivo si è che siamo in tempo di rivoluzione, tempo in cui più nessuna legge protegge il proprietario. Un viaggiatore va tranquillo per i fatti suoi sul suo cavallo; d'improvviso si presentano varii individui sconosciuti che obbligano il cavaliere a discendere e consegnar loro la bestia; non vale far proteste, non conviene uscire in minaccie; si risponde che il bando politico ha bisogno di quel cavallo, e conviene cedere, prima che succeda di peggio. Nei giorni passati, nella stessa Capitale, alle due ore dopo mezzodì, per opera di sconosciuti rivoluzionarii si arrivò a rubare dalle scuderie pubbliche, che si trovano nello stesso centro della città, ben 800 (ottocento) dei migliori cavalli. Nelle campagne succede peggio; non essendovi la forza pubblica per tutelare le proprietà, nulla si risparmia, cavalli, buoi, vacche, muli etc., tutto resta a discrezione dei nemici, che se ne servono per sostenere la rivoluzione ed accrescere i loro squadroni. Quindi tutti cercano di nascondere le loro bestie o di venderle, se è possibile; ma nessuno le vuol prestare ; gli stessi padroni non ne fanno più uso. Di qui il timore che le bestie che debbono portarci a Bogotà, ci vengano sequestrate nel cammino e non le possano più riavere; e quindi difficoltà enormi per riuscire ad avere una bestia, a qualunque prezzo. In ultimo caso, compreremo noi i cavalli con rischio di perderli per istrada e di restare a piedi; oppure ci faremo accompagnare dalla forza pubblica, per evitare o diminuire il pericolo.

Quando sarò a Bogotà, informatomi delle cose della rivoluzione, le darò certezza di tutto, ed appena possa, terminerò questa corrispondenza, toccando la parte tralasciata , specialmente quanto riguarda ai selvaggi ed alle future Missioni. Se la rivoluzione prende corpo e si estende, non finirà tanto presto ; ed allora per qualche tempo bisognerà lasciare ogni progetto e di lazzaretto e di Missioni. Ho visto quello che è avvenuto colla rivoluzione del Brasile ; è durata anni ed anni, ed ancor non è finita; così succede adesso nel Perù, e così in tutte queste disgraziate Repubbliche. Le rivoluzioni durano mesi ed anni; basta che un corpo di 200 uomini rivoluzionarii si getti attraverso a queste gole di montagne, o fra questi deserti immensi, perchè la guerra duri con tutte le sue conseguenze. Che il Signore salvi questa religiosa Repubblica dagli orrori della guerra civile.

Mi perdoni, Rev.m° ed Amatissimo Padre, la lungaggine di questa relazione, la brutta calligrafia ed il cattivo italiano con cui fu scritta. Mi aiuti a ringraziare il Signore per tutti i benefizi ricevuti in questo lungo e pericoloso viaggio, e preghi per i suoi figli Salesiani di Bogotà, in particolare per lo scrivente, che più di tutti ne abbisogna, e che si protesta tutto suo nel Signore

Devotissimo ed Umilissimo figlio Sac. EVASIO RABAGLIATI.

BRASILE Le Missioni del Matto Grosso

Dalle lettere di Mons. Lasagna, pubblicate varii mesi addietro, i nostri lettori appresero come i Missionari di D. Bosco nello scorso anno 1894 si sono portati a Cuyabà, capitale del Matto Grosso. Quivi presero la direzione di una Parrocchia, dedicata a S. Gonzalo, aprirono Oratorio festivo, Scuole ed Ospizio d'Arti e Mestieri. Ma questo era un primo passo per spingersi dipoi tra i selvaggi; ciò che avvenne infatti di quest'anno.

Nella Gazeta Official dello Stato di Matto Grosso leggiamo il seguente Atto dell' Amministrazione dell'Ecc.m° Presidente Signor Manoel Josè Murtinho, datato dal giorno 19 Aprile 1895:

« N° 610. - L' Ecc.m° Signor Presidente dello Stato, vista la convenienza di affidare ai Missionari Salesiani, venuti a questo Stato tra gli altri fini per catechizzare e civilizzare gli Indii della Colonia Teresa Cristina (sulle rive del fiume S. Lorenzo), risolve di nominare Direttore di detta Colonia il Reverendo Don Giovanni Balzola e Vice-Direttore il Rev. D. Giuseppe Solari, ambidue degli stessi Missionari, i quali disimpegneranno le rispettive loro cariche in conformità delle Regole della Congregazione cui appartengono e delle istruzioni date da questa Presidenza. »

Il periodico settimanale O Matto Grosso, dopo aver riferito questo commendevole atto del Presidente Murtinho, soggiunge : « Già altre volte ci siamo occupati di questo assunto, dimostrando l'importanza delle Missioni Salesiane del Matto Grosso. Ora poi, che questi Missionari si trovano fra di noi pronti ad intraprendere la campagna altamente umanitaria e filantropica di chiamare alla civilizzazione i selvaggi, rendendoli utili alla società, atti alle grandi lotte del lavoro produttivo e del progresso, non abbiamo per loro che parole d'incoraggiamento, sperando dalla loro esperimentata attività e dai loro sforzi ben incamminati il più completo buon esito. In pari tempo dirigiamo una parola di ben sentito encomio all' Ecc.m° Sig. Presidente Dott. Manoel Murtinho, illustre mattogrossense, durante la cui savia e brillante amministrazione avviene un sì fausto avvenimento, in favore del quale egli tanto ha contribuito con grandi sforzi e colla sua buona volontà, tante volte eloquentemente manifestata durante il suo governo onesto e fecondo di ottimi risultati. »

Noi ci associamo a questo periodico nell'encomiare l'ottimo Presidente dello Stato di Matto Grosso e lo ringraziamo con tutta l'effusione dell'animo nostro per l'appoggio e l'aiuto volonteroso che porge a quei nostri cari confratelli. I quali, pieni di zelo e di entusiasmo, questa primavera, desiderati pur dagli Indii, si spingevano alla Colonia Teresa Cristina, come apprendiamo dalla lettera seguente diretta allo stesso Mons. Lasagna.

Alla volta della Colonia Teresa Cristina.

ECCELLENZA REV.ma,

Colonia Teresa Cristina, 17 Giugno 1895.

FINALMENTE siamo giunti alla Colonia

Teresa Cristina. Il giorno 20 del passato maggio, alle due e mezzo pomeridiane, accompagnati dal signor Alfonso Roche, lasciavamo Cuyabà, imbarcati nella lancia a vapore Antonietta. Impiegammo poco meno di quattro giorni in discendere il fiume Cuyabà, fermandoci di tratto in tratto per battezzare e benedire matrimonii. Arrivati al S. Lorenzo, la navigazione fecesi molto più difficile, non solo perchè si andava contro corrente, ma più ancora perchè si navigava in acque sconosciute. Si navigava solamente di giorno, perchè non sapendo dove andavamo, c'era, pericolo di restare arenati, o, quello che sarebbe stato molto peggio e di gravi conseguenze, dar di cozzo contro alcuno dei numerosi tronchi d'albero che, trascinati dalla corrente, si piantano qua e là fra le acque del fiume. Neanche di giorno si navigava continuamente, dovendoci fermare di tratto in tratto per penetrare nella foresta a tagliar legna per la macchina, che, come sa, è il carbone di questi paesi. Io approfittavo di questi tempi, ed accompagnato dal sig. Roche, penetrava nella selva a cacciare uccelli per poi imbalsamarli. Il sig. Roche mi insegnò bene questo mestiere, e così potremo poi inviare a Villa Colon e a Torino qualche cosa.

Era varco noi i primi a navigare formalmente il S. Lorenzo : prima di noi non passarono per questo fiume se non canoe. In generale non è così tortuoso come il Cuyabà, ed ha maggior abbondanza di acque. Dalla foce fino al Piguiry la navigazione è facile, e dalla foce del Piguiry fino al Tarigara, che è un braccio del S. Lorenzo, l' acqua star-, seggia molto : si è che le acque penetrano per detto braccio con. molta forza ed il S. Lorenzo resta, direi, quasi asciutto. Più in su del Tarigara la navigazione ritorna migliore; fa d'uopo però star sempre attenti per non dar contro i tronchi sommersi nelle acque.

Incontro cogli Indii.

Prima di giungere al Tarigara, discendendo nella selva notammo orme fresche di uomo, ed il sig. Roche ed io ricevemmo un buon spavento per varii ruggiti di tigre che ascoltammo non molto lungi da noi. Appena passato il Tarigara, scorgemmo poco lungi dalla spiaggia due Indii, i quali al vederci si internarono nella foresta. Fermammo il vaporino, e gridando li invitammo ad avvicinarsi per ricevere qualche regaluccio. Dopo alcun tempo sbucarono dalla selva cinque Indii che ci stavano a spiare; demmo a ciascun di loro un paio di calzoni e continuammo avanti. Dopo non molto cammino, incontrammo gran parte della tribù dei Bororos-Coroados dell' estinta Colonia Isabel, col loro Cacico. Tirammo avanti ed in poche ore si giunse al luogo dove esisteva questa Colonia.

C'è un articolo nel Regolamento de terras e coloniçaçoès che dice « che il terreno abitato da indigeni non può essere venduto; e solo quando gli indigeni saranno giunti ad uno stato di civilizzazione, tal terreno sarà distribuito tra di loro. In forza di questo articolo il terreno di detta Colonia doveva essere riservato per gli Indii esistenti; ma alcuni individui ebbero cura di far credere al Governo che già colà non esistevano più indigeni e così comprarono quel terreno. In vero colà adesso non esistono più selvaggi, perchè furono scacciati dai nuovi padroni e confinati più in giù; ma avendoci visto a passare, il giorno seguente molto di buon mattino arrivava il Cacico colla sua turba. Egli è ancor giovine, possiede un po' di civilizzazione, sa discretamente il portoghese ed è battezzato. Da bimbo fu catturato e con. dotto in città, dove frequentò un poco la scuola. Adesso però dimenticò tutto e vive come gli altri. Parlando io con lui, tra le altre cose gli dissi essere molto facile che qualche Sacerdote tra breve vada a stare con loro per insegnar loro a vivere da civilizzati e da cristiani. Dopo alcune ore, si avvicinò al signor Roche per chiedergli se fosse vero ciò che io gli aveva detto, perchè in tal caso ordinerebbe ai suoi di fabbricare una bella capanna pel Sacerdote. Il sig. Roche confermò le mie parole, poichè tutti rimanemmo animati a perorare la causa di questi infelici. È veramente cosa deplorevole lasciarli abbandonati. Sono selvaggi, ma di un'indole assai buona, molto migliori che non quelli della colonia Teresa Cristina. Riunirli con questi sarà impossibile, perchè i selvaggi sono ostili fra di loro. È necessario dunque aprire colà una seconda colonia, dove si raccoglierà forse migliori frutti che non nella colonia Teresa Cristina. A tal uopo si propone il sig. Roche di lavorar molto col Governo. Quivi battezzammo due Indii già adulti che dimorano con una famiglia cristiana colà stazionata.

Dopo tante difficoltà, morsicature di moscherini ed un lungo viaggio, finalmente a mezzodì del 5 giugno si arrivava alla nostra Colonia. Il clarino militare salutò fra lo sparo dei mortaletti il nostro arrivo. I selvaggi ci ricevettero nei loro svariati costumi. Non mancò fra loro chi fosse vestito solamente con un frak senza maniche e con in testa un decalitro senza fondo. Era una vera comparsa carnevalesca. Il giorno seguente al nostro arrivo distribuimmo a tutti il vestiario che avevamo con noi. Fra uomini e donne si vestirono un trecento e più, ma molti rimasero in istato adamitico : non mancarono di quelli che esigevano che dessimo loro le nostre vesti. Per vestir un maggior numero di uomini, agli uni davamo una camicia e ad altri un paio di calzoni. Ora ci tempestano continuamente per aver coperte, onde coprirsi durante la notte, specialmente in questa stagione del freddo, ma ne abbiam così poche

Una vittima del baire.

Il secondo giorno dopo il nostro arrivo, trovammo in una capanna una povera india, alla quale la notte anteriore avevano già cantato il bacururù (1) per essere prossima alla morte. Giaceva la meschina sul nudo suolo, in mezzo ad ogni sorta di immondezze, ed avendo per guanciale un pezzo di legno coperto con una pelle di scimmia. Era uno scheletro con solo un piccolo residuo di vita, perchè già da vari giorni non mangiava nulla. Aveva la faccia pitturata d'urucù (2) con ghiribizzi di color nero, e la testa, come tutto il corpo dal collo fino alla cintura e le braccia, escluse solo le mani, intonacate di resina, urucù, grassa, e penne fine di arara (specie di pappagallo). Le gambe poi erano in istato orribile e schifoso per la resina nera, di cui erano coperte. Tali sono fra questi infelici le preparazioni alla morte. Pareva come fuori dei sensi: non si muoveva, e solo conservava gli occhi spalancati, ma senza vita, ed aveva una respirazione che notava essere agli estremi. Io senz'altro presi un po' di acqua e la battezzai sotto condizione si es capax. Il sig. Roche le fece trangugiare una medicina che portava seco e ci ritirammo. Dopo due ore passammo di bel nuovo a vederla e l'incontrammo assai migliorata e con pieno conoscimento. Il sig. Roche le diede altra dose della sua medicina, e ci ritirammo per combinare di farla trasportare dalle Suore per curarla e difenderla dal baire (stregone) ; ma non fummo più in tempo. Non era per anco passata un'ora, quando un Cacico ci annunzia che la poverina era morta. Appena usciti noi da quella capanna, entrò il baire, stese sulla faccia della meschina un pezzo di stuoia ed intonò la cantilena del bacururù, accompagnato dai circostanti; poi, messo un piede sullo stomaco dell'infelice, passò la mano sotto la stuoia e la soffocò. Temeva il malvagio che noi volessimo salvarla e così smentire la sua profezia. Quando noi arrivammo, il cadavere era già involto in una stuoia. Ululati e grida infernali era il pianto delle donne che la fasciavano nella stuoia. Il vedovo marito spezzava tutti i suoi archi e freccie e stendeva i pezzi in fasci sul cadavere; poi preso il bicchiere, in cui la defunta aveva bevuto la medicina, lo ruppe e coi pezzi cominciò a tagliuzzarsi barbaramente le gambe. Trasportato il cadavere fuori dalla capanna da quattro robusti giovinotti, i baire cominciarono ad agitare i loro zuccotti e cantare il bacururù, mentre il marito e gli altri parenti continuavano l'orribile carneficina in tutto il loro corpo, ed il loro sangue grondava ad inaffiare il cadavere. È questa una scena atroce; io me n'andai non potendo resistere a tal vista, e Don Balzola s'affaticava per impedire tanta barbarità, ma il suo era fiato sprecato. Il giorno dopo il marito stava con una febbre da cavallo.

(1) Incomprensibile cantilena, accompagnata da musica, che si canta ai morti.

(2) Celebre pomata rossa con cui si ungono i selvaggi del Brasile.

Difficoltà di questa Missione.

Questa nostra Missione presenta molte difficoltà e più gravi di quello che pensavamo. Adesso procuriamo d'imparare l'idioma di questi Indii, che per altro non è difficile. Già raccolsi un duecentocinquanta vocaboli e credo che con altrettanto sarò in possesso di tutta la loro letteratura. Pel mese venturo penso di inviare a V. E. Rev.ma una copia di questo dizionario. I selvaggi della estinta Colonia Isabel parlano il medesimo idioma, e quindi avremo maggior facilità per quella Missione. Già cominciamo a far lavorare un poco i nostri selvaggi, che non sono poi così feroci come si diceva, anzi nel fondo sono vili. Tutti i giorni passiamo a visitarli nelle loro capanne, ma sono troppo esigenti sempre vogliono qualche cosa e non sono mai soddisfatti.

I soldati qui stazionati sono in numero di venticinque. Per dare buon esempio ai selvaggi hanno di moda l'ubbriachezza.

Il lavoro qui è tanto che non sappiamo come attendere a tutto. Siamo Missionari, governatori, delegati di pulizia, giudici di pace ecc. ecc. Dobbiamo attendere a tutte le esigenze ed importunità degli Indii... insegnar loro a fabbricarsi un poco meglio le capanne, prender in mano gli attrezzi necessari, lavorare la terra, atterrare alberi e via dicendo. Quando Vostra Eccellenza ci verrà a visitare, e speriamo sia presto, si vedrà certamente obbligata a mandarci altro personale. Fabbrichi preti, chierici e coadiutori, che per tutti si troverà abbondante lavoro. Il sig. Roche ha intenzione di comprare qualche vaporino e mettersi al servizio della Colonia. Lo farà quanto prima per avere l' onore di trasportare V. E. nella prossima visita. È questo signore un vero amico, si interessa per noi come fosse un vero Salesiano.

Finisco pregando V. E. a voler salutare tutti i confratelli. Diedi parola a Las Piedras di mandar loro notizie, ma mi manca il tempo. Se V. E. lo giudica bene, potrà passar loro questa mia. Mi benedica e preghi per il suo

Umil.m° figlio in G. C. D. GIUSEPPE SOLARI

Missionario Salesiano.

Pernambuco (Brasile). - Inaugurazione del Collegio Salesiano e dell' Oratorio festivo - I nostri confratelli arrivati a Pernambuco nel dicembre scorso , inaugurarono solennemente il Collegio in quella città ai 10 di febbraio, come apprendiamo dalla relazione seguente del Sac. Clelio Sironi.

« Il Sacro Cuore di Gesù continua a mostrar maggiormente la sua special protezione verso di questa Casa a Lui dedicata. Ne sono una prova molto evidente la simpatia destatasi per noi in questa città, le molte dimostrazioni di affetto e promesse di aiuti, ed in fine i tanti lavori compiuti in breve tempo per adattare il locale e formare una decorosa e divota cappella. Era oltremodo bello il vedere come molti di questi ottimi signori nostri Cooperatori andassero a gara nell'occuparsi a formare ed adornare la nostra chiesuola. Venivano essi stessi a lavorare, dividendosi tra loro il lavoro. Alcuni attendevano a tappezzare, altri ad ordinare e disporre l' altare, i quadri e gli altri oggetti. Si distinsero in modo particolare in questi lavori il Can. Curio ed il degnissimo suo fratello il Dottor Curio, Maggiore Medico Militare. Questi si interpose presso il Sig. Governatore di questo Stato per ottenere l' altare, la bella Via crucis, molti arredi sacri e suppellettili per la chiesa e la sacrestia. Inoltre per accelerare i lavori, invitò alcuni soldati artigiani del suo reggimento a prestare aiuto. - Ordinata in tal modo la casa, si credette conveniente inaugurare il Collegio con una piccola festa al 10 del passato febbraio. Al mattino, alle ore 8, S. Ec. Rma. il nostro Vescovo Diocesano, Mons. D. Manoel, benedetta la cappella, vi celebrò la santa Messa. Erano presenti i nostri principali benefattori, alcuni Prelati della città, diversi rappresentanti dei vari Ordini religiosi qui esistenti, ed un numero considerevole di soldati ed ufficiali coi loro superiori primari. All' Evangelio il nostro Direttore parlò ottimamente di D. Bosco e delle sue opere lasciando in tutti affettuose impressioni per le medesime. - Durante il giorno vennero a visitarci molto altre ragguardevoli persone, tra cui l' Illust. Sig. Governatore di questo Stato. Visitò ogni cosa e volle essere informato convenientemente dello scopo delle Case Salesiane. Si entusiasmò assai della nostra istituzione: manifestò la sua contentezza di poter avere nella capitale del suo Stato una tale istituzione; e partì invitando il Sig. Direttore a recarsi all' indomani a prendere una sua offerta e assicurando che egli avrebbe continuato ad aiutarci. - Alla sera, un distinto Canonico, parroco della principale Parrocchia di questa città, tenne un analogo discorso, animando tutti ad amare i Salesiani pel bene che sono venuti a fare in questa città; poi il Superiore dei Francescani ci benedisse la Via Crucis; ed in fine si impartì solennemente la benedizione col SS. Sacramento, essendo presente un numero considerevole di popolo. - Con questa festa si aprì il Collegio e all' indomani incominciammo a ricevere qualche ragazzo. - Abbiamo anche aperto l' Oratorio Festivo. Ci si assicura che è oltremodo difficile il poter raccogliere un numero considerevole di giovani, poichè altri tentarono ciò inutilmente. Tuttavia il nostro caro Direttore confida di riuscire in questo, valendosi scrupolosamente della carità e delle belle arti che usava D. Bosco fin dai primi tempi della Congregazione per attirare i giovani ».

Araras (Brasile) - Inaugurazione di un Collegio femminile. - Il 2 febbraio di quest' anno in Araras si è inaugurato il Collegio di N. S. Ausiliatrice, in un vasto locale gentilmente donato da un illustre cittadino di Araras, certo Sig. Barào, già benemerito verso la sua città per altra importantissima opera di beneficenza. La cerimonia d'inaugurazione consistette nella benedizione dei locali, Messa e Conferenza tenuta dal Sacerdote Salesiano D. Alessandro Fia. Vi assistette gran numero di signore e signori. La direzione di questo nuovo Collegio fa affidata alle Suore di Don Bosco, alle cui fatiche auguriamo tale fecondità di frutti che corrisponda all'abbondanza della messe che presenta quella città. Noi dal canto nostro manifestiamo qui pubblicamente la nostra sentita riconoscenza verso del sullodato Sig. Barào, nonchè verso di quel Rev.mO Sig. Vicario D. Antonio Augusto de Alkmim, sempre generoso nell'ospitare e nel trattare i figli di Don Bosco.

Terra del Fuoco. - La Missione della Candelara. - Sopra di quest'importante Missione Salesiana della Terra del Fuoco leggiamo nella Nacion, giornale di Buenos Aires, quanto segue, che dice di aver appreso da alcuni abitanti di Usuahia, capitale di detta terra:

« Da più di due anni i Salesiani e le Suore di Maria Ausiliatrice si trovano stabiliti sulle sponde del Rio Grande, in un punto che denominarono Candelara, per aver sbarcato quivi il due febfraio 1892. Ivi si riunirono poco a poco circa trecento indigeni onas, dei quali un centinaio non si allontanano mai dalla Missione, dovendo i Missionari somministrar loro, insieme coll'istruzione religiosa e civile, alloggio, pane e vestito. Dapprima era la goletta Maria Ausiliatrice, di proprietà salesiana, che portava alla Candelara il necessario per la Missione. Poi, facendosi troppo difficile l'uso di quella imbarcazione in quelle coste e canali, si trovarono obbligati i Missionari a comprare un vaporino, ed è sempre un giorno di vera allegria per la Candelara l'arrivo del Torino, che conduce al suo bordo per la Missione nuovi compagni raccolti sulle coste e nei canali, il pane e le coperte per difenderli dai freddi, la cui intensità è con frequenza a nove gradi sotto zero. - La Missione della Candelara non ha ancora potuto raggiungere i risultati di quella di San Raffaele nell'isola Dawson ; però i suoi modesti principii, i sacrifici dei Missionarii e delle Suore di Maria Ausiliatrice e la guerra stessa, che ha reso difficile la sua fondazione, ci ispirano la fiducia che avrà esito. E questo risultato si potrebbe assicurare ogni dì più, se il Governo nazionale non contento di rischiarare, colle autorità locali, il cammino a questi abnegati e valorosi soldati del progresso, loro prestasse pure la sua protezione, affinchè non fosse troppo lenta ed ardua l' opera loro tanto benefica per quei figli raccomandati allo zelo dei nostri Governi nella Costituzione. In una importante pubblicazione, che vede la luce in questa città, abbiamo riuniti dati che devono tenere in conto i nostri mandatarii per riconoscere i servizi di coloro che con vera abnegazione lavorano con noi per il progresso del paese. Le spese delle Missioni Salesiane nei Territori del Rio Negro, del Neuquen, Chubut e Terra del Fuoco si calcolano a cento mila pezzi (scudi) annuali. Or bene, questa ingente somma, fatta eccezione di qualche sussidio del Governo federale e di alcune limosine dei cattolici argentini, è frutto del lavoro e del sacrifizio personale dei Missionari salesiani e di soccorsi implorati da società di beneficenza straniere. Secondo la stessa pubblicazione, più di cento mila franchi in oro sono venuti da Roma e da Parigi solamente, per sostenere le Missioni tra i nostri indigeni dal 1885 fino adesso. È bene che il Governo e tutti noi abbiamo presenti questi dati e servizi per istimarli e corrisponderli ciascheduno nella sua sfera. »

Isola Dawson. - Per la Missione di S. Raffaele. - La goletta Maria Ausiliatrice partì da Punta Arenas il 3 di maggio, col Direttore della Missione Salesiana nell' isola Dawson, il Rev. D. Bartolomeo Pistone, collo scopo di percorrere lo Stretto di Magellano e raccogliere quanti Indii incontrasse nel cammino desiderosi di andare alla Missione di Dawson. II giorno 23 dello stesso mese ritornava a Dawson, dopo venti giorni di viaggio per lo Stretto. Per causa del cattivo tempo, non potè far molto cammino. Nel porto Gallant e S. Michele ricevette varii Indii e passò nell' Isola Castellano, dove aveva varato una balena, che gli Indigeni avevan quasi fatta finita, lasciandovi solo una costola ed un pezzo di spina dorsale. Quivi trovò molte capanne fatte di rami: pareva un piccolo paese; ma gli Indii se ne erano allontanati. La goletta andò quindi all'isola Carlo I, e voleva portarsi anche all'isola Carlo III, dove eranvi molti Indii, ed alla penisola Ulloa ; ma un forte vento contrario la obbligò a retrocedere al porto S. Michele, ove fu costretta a fermarsi otto giorni. - Ricordando che nell'Isola Dawson si bisognava di viveri, D. Pistone non continuò il viaggio, ma ritornò alla Missione con pochi Indii e arrivò precisamente quando non vi era più che mezzo sacco di farina. La goletta andrà presto ancora in cerca di Indii. Ma tosto partì da Punta Arenas per l' isola Dawson col seguente carico

200 coperte (cotalogne) pel valor di 550,00 pesos

200 sacchi di farina » 1.680,00 » 50 quintali di patate » 200,00 » 25   »   di fagiuoli   »   200,00 »

20   »   di riso   »   240,00 » 10 » di zucchero » 120,00 » Varie altre vettovaglie » 1.050,00 » 100 lastre di zinco » 374,40 »

Legname lavorato   »   1.060,00 »

Totale   5. 474,40 pesos

Questo è più o meno quanto la Maria Ausiliatrice porta ogni mese alla Missione dell'Isola Dawson.

Progressi di questa Missione. - Altri sei battesimi. - La popolazione dell'isola Dawson intanto va via via aumentando. Di quest'anno solo, alla fine di maggio, già sommavano a 79 gli Indii nuovi della Terra del Fuoco che s'erano colà ricoverati sotto l'ombra della Croce. - La Domenica in Albis fu una gran solennità per tutta quella popolazione. Gli uomini adempivano con edificante contegno il precetto pasquale, e tra di essi v'erano dieci novelli cristiani che con gran fede e devozione ricevevano per la prima volta il Pane Eucaristico. Dopo la S. Messa, il Superiore della Missione, D. Pistone, amministrava pur solennemente il S. Battesimo a 6 neofiti. Indicibile fu la gioia provata in quel giorno dai Missionari e da tutto quel popolo. A render più solenne la festa tutto fu messo in opera, il suono giulivo delle campane, gli allegri concenti della musica, l'agape fraterna dei novelli cristiani presieduta dai Missionari, la corsa dei cavalli .... ed altri vari divertimenti .... in un paese civile non ci sarebbe a desiderar di meglio !

Bogotà (Colombia). - Solennità di M. Ausiliatrice. - Ci scrivono da Bogotà in data 25 maggio quanto segue : « Oggi partirà la posta e perciò m'affretto a darle qualche cenno della bella festa di ieri. - Crescit eundo... ogni anno più solenne riesce tra noi la cara festa di Maria Ausiliatrice, così mi osservava un nostro buon Cooperatore. Ed in vero fu solennissima in tutte le sue parti. Predicò il novenario il nostro bravo D. Evasio, che sempre fu ascoltato con religiosa attenzione da numeroso concorso. S. Ec. R.ma il Delegato Apostolico pontificò ai primi Vespri della festa, ed il dì 24 disse la Messa della Comunità, distribuendo il Pane degli Angeli a numerosi divoti della Vergine.

» Verso le 9, la nostra chiesa era letteralmente stipata di gente; v'erano le rappresentanze di varie comunità religiose, varii del clero della città, molti dei nostri Cooperatori anche di città e paesi lontani; ed ecco che giunge l'Ecc.mo nostro Signor Arcivescovo per il Pontificale. Rompe la nostra banda in una marcia religiosa, s'intona dopo il Sacerdos et Pontifex, e s'incomincia la funzione, l'ora più bella, più soave della festa. La profusione delle tappezzerie... dei doppieri... delle luci... degli incensi... quell'altare, quel trono della Vergine, che, come gettato in aria, s'ergeva con tanti ornamenti.., la bellissima statua dell'Ausiliatrice dei Cristiani che attraeva a sè gli sguardi di tutti... il piccolo clero che come schiera di angioletti formavale corona.... le ora dolcissime ed ora robuste note della Messa di Weber che rapivano la mente e commuovevano il cuore... tutto tutto ci trasportava in un' atmosfera di Paradiso. A tutto ciò si aggiunse un veramente magnifico panegirico detto dal P. Càceres della C. di G. che fu una corona di diamanti, con che volle incoronare la fronte della nostra Sovrana Imperatrice e quella del suo servo e nostro amorosissimo D. Bosco, di cui si mostrò entusiasta ammiratore.

» Verso le tre della sera aveva luogo la Conferenza ai Cooperatori, che si fece secondo la prescrizione del Regolamento. In essa il superiore di questa Casa dava conto al suo numeroso uditorio del rapido prodigioso stendersi della Congregazione in tutto il mondo e del moltiplicarsi in sì gran numero ogni anno le nostre case. Terminava esponendo il progetto, già combinato con il Signor Arcivescovo, dell'apertura di un nuovo Oratorio festivo in una parte di questa città dove n'è maggiore il bisogno. A Domino factum est istud et est mirabile in oculis nostris, fu l'esclamazione generale di quanti assistettero alla Conferenza. Seguì la benedizione solenne, data da S. Ec. R.ma il Delegato Apostolico, anunziando che tutti i Cooperatori e le Cooperatrici presenti potevano lucrare le Indulgenza plenaria. Speriamo che la nostra buona Madre Maria Ausiliatrice abbia gradita la nostra festa, e ci farà sentire sempre meglio l'efficacia del suo patrocinio, affinchè possiamo compiere con frutto la nostra missione. (D. O. M.) ».

- Gara catechistica nell'Oratorio festivo. -

Il giorno 30 di giugno nell'Oratorio festivo di Bogotà si celebrava con grande solennità la festa del Patrono della gioventù, S. Luigi Gonzaga. Al mattino fuvvi una consolante comunione generale. Dopo mezzogiorno ebbe luogo una riuscitissima gara catechistica: i due primi vincitori si ottennero un posto gratuito nel collegio salesiano. Presenziava questa bella festa l'Ill.mo e Rev.mo Arcivescovo Dott. D. Bernardo Herrera Restrepo, il quale amministrò pure la S. Cresima ad una trentina di ragazzi; e con amabile semplicità si degnò accettare la medaglia di S. Luigi Gonzaga, rendendo così un grand'onore ai giovanetti di questa Compagnia che possono così vantare a loro Presidente Onorario nientemeno che l'ottimo loro Pastore Diocesano. Il quale infine rivolgendo loro un tenero discorsino, ben dimostrò quanta consolazione innondava il suo cuore in quel giorno e quanta affezione porta egli alla cara gioventù.

Lima (Perù). - Onoranze al Rappresentante del Sommo Pontefice. - Traduciamo da un giornale peruano quanto segue:

« Gli allievi della Scuola d'Arti e. Mestieri che si educano sotto le paterne cure e la savia direzione dei benemeriti Salesiani, diedero il 30 luglio un bel trattenimento letterario-drammaticomusicale ad onore dell'Ecc.mo Sig. Delegato Apostolico, Mons. Macchi, (il quale, scampato parecchie volte dai colpi della rivoluzione, aveva tanto contribuito per rimettere la pace in quella travagliata Repubblica), nonchè in ringraziamento alla Società dell'Unione Cattolica di Signore. Posta la simpatia che godono i figli di D. Bosco ed il grande e sincero affetto che seppe cattivarsi coi suoi meriti Mons. Macchi, il concorso non poteva essere meno numeroso e scelto. Si diè principio con un grazioso inno dedicato al Rappresentante di Sua Santità e che fu di assai buon effetto. Seguì uno scherzo comico rappresentato con molta naturalezza; quindi si declamarono bellissime poesie con un graziosissimo intermezzo. Tutti coloro che presero parte, sostennero le loro parti con molta correttezza e disinvoltura, manifestando alcuni buonissime doti nel canto e nella declamazione. La festa, degna in tutto delle rispettabilissime persone, cui era dedicata, e di gradimento della distinta udienza che la presenziò, fu coronata da un breve, ma stupendo ed opportuno discorso dell'Ecc.mo Sign. Delegato. E noi presentiamo sincere congratulazioni ai figli di D. Bosco per gli ottimi risultati che vanno di giorno in giorno raccogliendo dalle loro continue fatiche, risultati che si meritano la gratitudine di tutta quanta la società. »

Santiago (Chili). - Nuovo Oratorio festivo. - Annesso al Collegio Salesiano « Patrocinio S. Josè », ma completamente separato da esso, i Salesiani hanno aperto nel mese di maggio un nuovo Oratorio festivo col nome di Don Bosco.

I giovani che vi accorrono ascendono a trecento, tra i quali si è già iniziata la Compagnia di S. Luigi, che conta una cinquantina dei più buoni, ed una scuola di musica strumentale. Quei nostri cari confratelli fanno conto pel ritorno di Mons. Fagnano, Ispettore anche di quelle Case, di presentargli un cinquecento piccoli frequentatori dell' Oratorio festivo.

Mendoza (Argentina). - Una nuova Casa delle Suore di M. A. - Durante il mese di maggio le Suore di Maria Ausiliatrice hanno portate le loro tende anche in questa città, che dista una trentina di ore in ferrovia da Buenos Aires. La nuova Direttrice, Suor Enrichetta Darmello, ci annunzia come anche colà la Divina Provvidenza si manifesta amorosissima verso di queste Istituto che dall' Ausiliatrice dei Cristiani prende il nome. Incominciarono tosto ad aprire un Oratorio festivo per le ragazze, delle quali alla seconda Domenica ve ne accorse una cinquantina. Benedica Iddio le loro fatiche e le renda feconde di ottimi frutti !

Buenos Aires (Argentina). - Sei novelli Sacerdoti. - Leggiamo nel Cristoforo Colombo

« Commoventissima fu la funzione che ebbe luogo la domenica III di settembre nella chiesa parrocchiale di S. Giovanni Evangelista in occasione della consacrazione di sei nuovi sacerdoti, due dei quali sono nati nella Boca. La chiesa era riboccante di popolo che assistette con religioso raccoglimento alla solenne funzione e abbiam visto molti occhi molli di lacrime. Monsig. Cagliero pronunziò prima dell' ultimo Vangelo una tenera allocuzione sulla grandezza del sacerdozio. I novelli sacerdoti, tutti Salesiani e addetti alle varie Case dell'Argentina, sono: D. Cristoforo Baglietto, D. Valentino Bonetti, D. Achille Pedrolini, D. Giuseppe Costa, D. Giovanni Farinati e D. Emanuele Montaldo. Essi ricevettero molte felicitazioni dai loro parenti, e dai membri dei Consigli direttivi della Società Cattolica, della Gioventù Cattolica e del Circolo di Operai che assistettero alla funzione ». Questi novelli leviti vogliano gradire pure le congratulazioni che di cuore loro inviano, per nostro mezzo, tutti i loro confratelli d'Europa.

Equatore. - Durante la lunghissima rivoluzione dell'Equatore, quei nostri confratelli si trovarono in criticissime circostanze. Ora però, ringraziando Iddio, pare che l'orizzonte si rassereni anche per loro. Noi li raccomandiamo tuttavia alle preghiere dei nostri Cooperatori e Cooperatrici.

GRAZIE DI MARIA SS. AUSILIATRICE

Liberata dal cancro. - La Signora N. N., Religiosa del Monastero di S. Giuliano in Catania, minacciata d'un cancro in una gamba, dopo un anno e più di sofferenze e spese, avendo letto nel Bollettino le grazie della Vergine Ausiliatrice, a lei raccomandatasi, si sentì. tosto a migliorare ed ora trovasi perfettamente guarita. Desidera sia la grazia pubblicata e manda per ora L. 10 alla Vergine.

Sac. ALBERTO BIELLI.

Salus infirmorum, ora pro nobis. - Colpito e travagliato da circa un anno da forte mal di cuore, che lentamente mi divorava, dopo aver tentato invano i mezzi dell'arte umana, mi rivolsi con fiducia a Maria SS. Salute degli infermi, promettendole una offerta a grazia ricevuta. Ora coll'animo commosso e riconoscente verso sì buona Madre, adempio alla fatta promessa; giacchè Maria Ausiliatrice dei Cristiani mi La ottenuta la perfetta guarigione.

Fonzaso, 12 Settembre 1895.

GIOVANNI COLAO.

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Ricorriamo sempre a Maria. - Oramai la SS. Vergine Ausiliatrice dei Cristiani è divenuta la cara nostra Avvocata presso Dio, e fiduciosi noi a Lei ricorriamo in tutti i nostri bisogni. Questa Madre Divina, che lo scorso anno tornava alle carezze di una madre forsennata dal dolore il suo bimbo morente, nel febbraio di quest'anno salvava pure la vita della giovino madre stessa, che è mia sorella, minacciata da congestione cerebrale in seguito a risipola facciale d'indole maligna. Quante grazie dunque non ci ottiene Maria! È proprio qui il caso di ripetere col divin Poeta:

« La tua benignità non pur soccorre A chi dimanda, ma molte fiate Liberamente al dimandar precorre. »

Atripalda, 12 Settembre 1895.

Sac. TEODORO METTOLA.

Una data memoranda. - Nelle traversie di questa misera vita invochiamo sempre Maria SS. sotto il titolo di Aiuto dei Cristiani ed Essa ci esaudirà. Maria è Madre di Misericordia, è la Speranza nostra, la Salvezza del peccatore. Essa sta a proteggere, a vigilare ed a soccorrere pietosamente chi a Lei ricorre, chi la chiama in aiuto ! Io per me non dimenticherò giammai quel giorno cotanto felice, quel giorno per me di grande consolazione, nel quale sono stato ascritto tra i Cooperatori Salesiani. Proprio in quei giorni (luglio testè decorso), in cui l'animo mio giubilava, per tale ascrizione, ecco che la Madre di Dio, la Protettrice di D. Bosco, ha voluto addimostrarmene il suo gradimento. Due volte da me invocata, mi ha concessa la guarigione da gravi malattie; e poi mi li a liberato da una disgrazia che per me sarebbe stata fatalissima. Faceva accomodare il tetto ad una mia casetta, cui nel passato inverno, pel peso delle copiose nevi cadute, si ora spezzato il trave del comignolo, il quale perciò si doveva sostituire con un altro nuovo. Il mastro fabbricatore con altro operaio si accingono al lavoro, che prosegue senza disturbi. Però, per farlo eseguire con più facilità e con minor fatica degli operai, penso salir su anch'io per dar loro una mano. Quand'ecco, inavvedutamente, sotto i nostri piedi si spezza una trave, si apre un precipizio.... il muratore precipita a testa in già avvolto tra calcinacci, embrici.... In quel frangente io, confuso ed oltremodo sbigottito, chiamo Maria SS. in aiuto... Io rimango sull'orlo, e meco vi rimane pure l'altro operaio! Ma credevamo che il povero muratore fosse già morto ! - Ma no. La Madonna lo ha salvato! Tranne una grande paura avuta ed una leggiera contusione ai lombi, non ebbe altro a soffrire. Pensando a questo funesto avvenimento, e considerando che la Madre di Dio mi ha voluto liberare da tanta disgrazia, ho pianto e piango ancora di consolazione. Oh! non sarà mai che io mi scordi di Maria, nè della data memoranda della mia ascrizione tra i Cooperatori Salesiani! Viva sempre Maria!

Postiglione, 29 Settembre 1895.

ANTONIO FRAGETTI.

Una famiglia consolata. - Spedisco L. 5 per la celebrazione di una Messa ad onor di Maria Ausiliatrice, in ringraziamento di una grazia straordinaria ottenuta ad una nipote della Sig. Maria Chiodin di questo luogo. Questa ragazza in sui 14 anni, fin dal principio dell'anno in corso, fu colpita da un male sì strano, che nessuno sapeva conoscerlo. Il suo corpo in poco tempo fu ridotto in uno stato sì miserabile, da render compassione a quanti vedevanla. Tutta slogata nella nervatura, il suo moto era un gesticolare continuo, incapace di star in piedi, di mangiare, di bere, se non coll'aiuto di altri. La sua guarigione era disperata. Solo una grazia particolare poteva salvarla, e questa si ottenne mercè l'intercessione di Maria SS. Ausiliatrice, aiuto e conforto di noi miserabili. Votata la fanciulla a questa Madre di Misericordia, in poco tempo risanò sì bene, da essere la gioia e la consolazione di tutta la famiglia, la quale desidera sia registrata questa straordinaria grazia nel Bollettino Salesiano.

Malamono, 20 Settembre 1895.

D. GIOVANNI SCARPA. ***

Riconoscenza a Maria - Io sottoscritta ringrazio fervidamente Maria SS. Ausiliatrice per speciale grazia ottenuta e La prendo ora e sempre per protettrice della mia famiglia. Fui sotto il peso di acuti dolori, e avendo fatto a Lei ricorso, fui consolata. Ricorrete tutti a questa Madre pietosa, la sola che può ottenerci la pace e la tranquillità su questa terra. Invio la tenue offerta di L. 5, quale pegno di perenne riconoscenza.

Imola, 6 Ottobre 1895.

SANTINI QUINTAVALLI - MONDINI.

Una Messa ad onor di Maria. - Coll' animo grandemente riconoscente alla Vergine SS. Ausiliatrice, mi faccio premura di adempire al dovere ed alla fatta promessa, di renderle pubbliche grazie per mezzo del pregiato Bollettino, e di inviarle una benchè tenue offerta, per quello scopo che si crederà più opportuno. Nel settembre ora scorso, mio marito veniva colpito da violenta asma nervosa e bronchiale da renderlo convulso addirittura. E questo malore, anzichè cedere ai pronti rimedii ed alle cure più assidue, lo tenne infermo abbastanza gravemente per ben venti giorni. Addolorata al sommo di vederlo soffrire, mi rivolsi fiduciosa a Maria, quale salute degli infermi, implorandone il suo aiuto, facendo celebrare una Messa al di lei Altare. Non furono vane le nostre speranze : perchè nello stesso giorno, il respiro si fece più calmo e regolare, l' infermo potè prendere qualche ristoro, ed in capo a due giorni era in grado di lasciare il letto ed entrare in piena convalescenza. Tale miglioramento dura tuttora, e gli permette di attendere alle gravi occupazioni del suo ufficio quale magistrato, senza risentire alcun disturbo. Siano adunque rese le più vive grazie alla gran Vergine Ausiliatrice e voglia Essa continuarci la valida sua protezione.

Sondrio, 7 Ottobre 1895.

ADELE SCUTI - TERZANO.

* *

Viva Maria Ausiliatrice! - Rivolgetevi tutti a Maria invocata sotto il titolo di Aiuto dei Cristiani, perchè chi a Lei ricorre con fiducia, ottiene qualunque grazia. Fin dal 13 giugno scorso io mi trovavo infermo da febbre reumatica, con forte debolezza agli arti; malattia che mi ha tenuto per più d'un mese in letto, e che mi ridusse ad uno stato tale di debolezza da non potermi reggere nemmeno in piedi, senza l' aiuto del bastone. In tale lagrimevole condizione sono stato fino a pochi giorni or sono. Nel giorno 3 del corrente mese, fui consigliato da un buon Cooperatore Salesiano di fare con viva fede una novena alla B. V. sotto il titolo Auxilium Christianorum e di far voto di portarmi nel sabato successivo , 12, al venerabile Santuario detto della Sassola in Campogalliano (Modena), per ivi fare le mie divozioni e rendere grazie per la sicura guarigione. La sera stessa, unitamente alla mia famiglia, diedi principio alla novena, e subito nel secondo giorno cominciai a camminare senza l'aiuto del bastone , e nel successivo quarto giorno intrapresi i miei lavori da falegname, con quella forza e vigoria che avevo una volta. Nel giorno di sabato poi, 12, mi sono portato al detto Santuario a rendere le dovute grazie a Colei, che giustamente viene dai Cattolici invocata coi soavi titoli di Mauro delle Divine grazie e Salute degl'infermi. Ciò rendo di pubblica ragione, perchè tutti vengano a conoscere quanto è potente Maria!

Saliceto Buzzalino, 17 Ottobre 1895.

MASSIMILIANO RIGHI.

Grazie a Maria! Essendo mia moglie a causa di polmonite ridotta quasi agli estremi, ed avendo ricevuti tutti i conforti di nostra Santa Religione, ricorremmo a Maria Santissima Aiuto dei Cristiani, promettendo, se guariva, di fare un'offerta alla chiesa di Maria SS. Ausiliatrice in Torino; ora essendo perfettamente guarita, adempio alla mia promessa unendo qui il presente vaglia. - Deo et Mariae gratias.

Vignale, 1895.

LUIGI RE.

Rendono pur grazie a Maria Ausiliatrice per segnalati favori ricevuti mercè la sua potentissima intercessione i seguenti:

La Marchesa santalfano, nata Bonanno, Baronessa del Polino - Carolina Reggis, Ved. Bassi, Nave. - Anna Pio , Corneliano d'Alba. - Antonio Boroli , Mura. - B. E., Chieri. - Vincenza Trucchi, Torrione-Bordighera. - Cellarengo, con graziosa offerta. - Un devoto di Maria, Valmontone. - C. M. A., che ottenne dalla Vergine una Santa morte ad un' anima peccatrice. Fortunata Vismara, Dazio. - Ruggiero Viviani, Flesso Umbertiano. - Suddiacono Achille Refalo, Gozo. - Sac. Venceslao Costi, Reggio Emilia. - Elisa Bonin - Guarnieri, Ronche di Pordenoone. - Caterina Grassi, S. Venerina (Catania). - C. C. B.,Mondovì. Filomena Gabotto, Mirabello. - Canonico D. Luigi Volpi Costa, Vicario Foraneo, Marina di Caronia - Una Suora di Maria Ausiliatrice - Maria Genero, La Loggia. - Pietro Cibello, !Angela Busello, Paolo Lusso, Agnese Careggio, Maria Caretta, Giuseppe Blati Maria Antonino, Castelrosso. - Catterina Rittatore, Saluzzo. - Pietro Grosso, Carmagnola. - Maria Fumero, - Laura Ballari, Salnzzo. - N. N. Torino. - Francesco Larino, Carmagnola. - Maria Golzio, Castelrosso - Domenica Viarigi, Castiglione. - Giovanna Tavella, Moretta. - Teresa Colombo, Ceresole Reale. - Maria Franchino, Robella di Trino. - D. Giamello, Cortemiglia. - Catterina Vallino, Saluggia. - Giuseppina Bertinetti, Rivarolo. F. L. da M. A, Mondovì - Vincenzo Battù, Casalborgone. - D. Pietro Barassi, Gerola. - Maria Arduino, S. Stefano Bavero. - Giovanni Parodi. Grognaldo. - Domenico Deprato, Torino. - Luigia Gaia, Ceresole d'Alba. - Famiglia Audisio, Piazzo. - Maddalena Scamussi. Rosa Rinaldi, Lù. - Carlo Falchero, Torino. Maria Liberi, Arcola. - Giuseppina Carletta, Bianzè. - Legrina Pignatta, Caramagna. - Virginia Barra, Chiovazza. - Tommaso Cappello, Ceresole d'Alba. - Ch. Carlo Rosa, Torlona. - Petronio Mazzetti, Bologna.

Monumento a D. Bosco

È aperto il concorso pel Monumento a Don Bosco da erigersi in Castelnuovo d'Asti (Piemonte), patria del compianto nostro Padre. I concorrenti, per conoscere le condizioni del Concorso si rivolgano al Sindaco del sullodato paese.

Ci approfittiamo di questa occasione per animare tutti gli amici dì D. Bosco, a voler concorrere all'erezione di tal monumento. Le offerte si possono inviare al Sindaco, od al Parroco di Castelnuovo d'Astì, ad al Sig. D. Rua. A quelli che mandano o raccolgono maggiori offerte sarà spedito uno speciale Diploma di benemerenza.

Gli zelatori e le zelatrici si procurino tutti questa cara memoria.

ECO DEGLI ORATORI FESTIVI

 S. Giovanni La Punta.

Già i lettori del Bollettino hanno avuta qualche notizia dell'Oratorio, che í Salesiani fondarono, e con tanto amore mantengono alla Punta, uno degli ameni paesi di cui è ricco il declivio etneo che guarda Catania.

Volevasi in quest'anno, l'8 Settembre, Natività di Maria SS. , coronare con una modesta festicciuola i corsi catechistici, distribuendo i premi a quelli più assidui, studiosi e buoni, mentre sarebbesi ancora celebrata la solennità di S. Luigi Gonzaga; ma la cosa riuscì grandiosamente, e produsse tanto bene morale e religioso, da meritar di venir conosciuta da tutti coloro che bramano seguire lo sviluppo degli Oratori Festivi. - Nei tre giorni antecedenti si veniva manifestando fra quei vispi fanciulli un fervore ìnsolito che tutti li animava e metteva in movimento per prepararsi, aiutati dai loro maestri; finalmente di buon mattino si riversano nell' Oratorio, lo riempiono aspettando il momento delle sacre funzioni. E qui un dolce spettacolo fece esultare i cuori di santa gioia, chè quasi cento ragazzi divotamente s'accostarono al Celeste Convito : spettacolo veramente grande per chi considera la necessità che Gesù regni nelle anime giovanili per la S. Comunione, qualor si voglia farlo regnare nei costumi del popolo. Compiuta la Messa furono serviti di pane e caffè ; poi si poterono divertire a loro bell' agio ; verso le 10 Messa cantata e panegirico del Santo. - Nelle ore pomeridiane, dopo i soliti giuochi, recatisi i giovani in Chiesa, ebbe luogo la benedizione solenne : quindi venne improvvisata una simpatica processione per trasportare la statua di S. Luigi ad un altare preparato in cortile sotto elegante padiglione. Il popolo accorso gremiva tutto lo spazio e vivamente partecipò all' Accademia, la quale principalmente consistette nella distribuzione dei premi, cantandosi e recitandosi negli intervalli dagli stessi giovani inni e poesie in onore del Santo. Gli evviva S. Luigi uscivano con tanto slancio da quei piccoli petti, che era un piacere a sentirli. Non mancò anche la bella illuminazione e l'ascensione di due palloni areostatici. Un interessante discorso dell' egregio direttore, sac. Salvatore Camuto, pose fine a quella cara, festa che lasciò in tutti gli intervenuti le più belle e salutari impressioni. Non possiamo tacere del concorso efficacissimo avuto dal Clero locale, il quale si mostrò verso i Salesiani benevolo e generoso.

A. M.

S. Gregorio di Catania.

Dai giovanetti dell'Oratorio Festivo Immacolata Concezione dovevasi, nella prima Domenica di Settembre, celebrare la festa di S. Luigi Gonzaga, la quale ha somma importanza, dacchè vogliono i Salesiani, che a questo Santo drizzino le lor menti i fanciulli, e di lui s'invaghiscano e delle sue virtù, unico mezzo per farle poi praticare. Ma quest'anno, che può dirsi il prìmo di tal' opera benedetta in S. Gregorio, il zelante suo direttore, Sac. Stefano Quartino, aggiunse solennità a questo giorno coll'inaugurazione di un monumento al Padre ed Educatore dei figli del popolo, al Fondatore dei Salesiani stessi, D. Giovanni Bosco ! Bellissimo pensiero ; chè in tal guisa vieppiù sembrerà aleggiare lo spirito di sì grande Apostolo fra i nostri fanciulli ! - La festa ebbe principio di mattino con la S. Messa, in cui un buon numero di giovanetti s'accostò alla Mensa Eucaristica. Distribuita quindi loro un' abbondante colazione, parteciparono all'estrazione di ben cento premi di ricca lotteria ; poscia si trattennero a giuocare, finchè non fu ora della Messa solenne, alla quale assistettero assieme ad un immenso popolo, quanto contener ne poteva la vicina Chiesa dell'Immacolata, da cui prende nome lo stesso Oratorio. - Verso le 17 incominciava l'accademia per l'inaugurazione. Era il vasto cortile tutto adorno di bandiere e festoni ; vi si vedeva un piccolo teatrino improvvisato, e tutti quei divertimenti, stampelle, altalene, passo volante, bigliardino, bersaglio, che in sì poco tempo l'egregio direttore seppe procurare. Attirava più che tutto l' ammirazione un'elegante barchetta con vela ed àncora, la quale serve per il giuoco del trapezio, reso così e più bello e meno pericoloso. - Al canto dell'Inno Salesiano, eseguito dai Chierici del Seminario Salesiano pur esistente in questo paese, si scopre il busto; ed allora prolungati battimani e unanimi grida di Viva D. Bosco. Poggia D. Bosco su svelto piedestallo di pietra bianca siracusana, sulla quale leggesi : - A D. Bosco - L' Oratorio Festivo. - L'accademia, intercalata dalla recita di alcune farse, in cui il tradizionale Pasquino siciliano tenne assai viva l'allegria degli intervenuti, si prolungò sino a sera già tarda, ed allora si accesero i molteplici lampioncini già bellamente disposti per cura degli stessi Chierici che con tutta generosità tanto s'impegnarono per la riuscita di questa festicciuola. S'innalzarono anche varii palloni areostatici. - L'interesse preso dal popolo ben si può conoscere dalle generose offerte fatte nella stessa accademia dai signori ed anche dai poveri che vi presero parte, i quali tutti ne ricevettero la più cara impressione e meglio conobbero l' opera salesiana.

Voglia Iddio accrescere e qui e nella Sicilia intiera il numero di quei zelanti Cooperatori che dànno ai Salesiani mezzi di compiere opere tali al bene della civile e religiosa società.

A. M.

VARIETA

Due edificanti Conversioni.

Una cara e memorabile funzione ha avuto luogo a Nizza Monferrato nella Chiesa dell'Istituto Salesiano di Maria Ausiliatrice, il giorno 6 ottobre, solennità del SS. Rosario. Due Signorine protestanti di Zurigo hanno abiurato l' eresia e ricevuto solennemente (sotto condizione) il S. Battesimo.

Le eccellenti disposizioni delle catecumene, la pietà e il fervore con cui esse han ricevuto il primo de' Sacramenti, e conseguentemente la S . Cresima e la SS. Eucaristia, hanno fatto tal senso e tali emozioni han prodotto nei tanti presenti, che tutti ne piangevano di gioia; gioia che certo ha avuto eco in Cielo, come avrà destato rabbia nell'inferno.

Principale ministro di tanta festa è stato S. E. R.ma Mons. Giacomo Costamagna Vescovo di Colonia (Armenia) e Vic. Apost. dì Mendez e Gualaquiza (Equatore) , il quale ai SS. Sacramenti amministrati aggiunse acconci fervorini.

La festa è stata resa ancora più soddisfacente e splendida per le persone intervenute, fra le quali i parenti d'una candidata e la madrina dell' altra, l' egregia Sig.ra Lina Lavatelli-Cassola, consorte del Sindaco di Cassolnovo, Cav. Ing. Angelo Lavatelli. Procur. Gen. di Casa Arconati-Visconti; la quale, non paga di donare un bel calice con patena d'argento, che S. E. Rev.ma accettò commosso e porta, seco nel suo ritorno in America, vi aggiunse generosamente una vistosa somma per l' Istituto, oltre poi altri oggetti di occasione. Dio la benedica la munifica e pia, Signora ! Il suo nome è già registrato nell'elenco delle Benefattrici dell' Istituto, nè mai verrà cancellato dal cuore delle Suore di Maria Ausiliatrice.

Le due neofite, felici d'una felicità mai provata, sono deliberate di romperla del tutto anche col secolo, effettuando così il pensiero già manifestato nel prepararsi al S. Battesimo, cioè di farsi Suore, ed una già l' indomani ha vestito la divisa di Postulante, mentre l' altra, impedita al momento, si prepara per l' occasione che sarà prossima.

La storia delle due neofite non è senza interesse; forse a miglior tempo verrà pubblicata. Intanto di tutto ne sia benedetto l' Autor d' ogni bene, Iddio, e quanti hanno avuto parte a preparare il salutare e lietissimo fatto !

Un Cooperatore.

La Madonna di D. Bosco.

Andiamo debitori della seguente relazione all'egregio Direttore di quel bel periodico giovanile scientifico-letterario che si pubblica in Castellamare di Stabia col titolo Alessandro Manzoni (prezzo L. 2 annue).

Se tutte le Case Salesiane sono provviste della immagine di Maria Ausiliatrice, non poteva questa fiorente Casa di Castellamare restarne priva più a lungo. Il perchè l'egregio Direttore D. Bilieni pensava di provvedersene tosto ed affidava l'esecuzione della statua di grandezza naturale allo scultore Reccia di Napoli. Dopo lungo attendere l'opera fu condotta a termine, e la statua della Vergine arrivata in questa città nelle prime ore del 19 luglio veniva esposta nella cattedrale, evo in tutto il giorno un numeroso stuolo di fedeli accorreva ad ammirare le care sembianze di quella immagine che inspirava nell'animo dei ii visitatori un sentimento di amore per la Madonna di D. Bosco. La benedizione e trasporto della statua era fissata per le ore pom. del medesimo giorno, e difatti non appena alcuni colpi di cannone davano l'annunzio che l'ora della sacra funzione era giunta, fu un accorrere di gente al sacro tempio. Alle 18 1/2 scendeva nella Cattedrale l'Ecc. nostro Monsignor Vescovo che, indossati i paramenti pontificali, dava principio alla solenne cerimonia. La benedizione è fatta, ed il tenero canto del Magnificat, intuonato dai RR. Eddomadarii della Cattedrale e ripetuto da cento voci, echeggia per le vaste volte del tempio maestoso come sospiro d'amore alla Potente Regina Ausiliatrice, che dal trono ov'è collocata pare sorridere ai figliuoli di Stabia.

« Dopo la sacra funzione si ordina la processione per il trasporto della S. Immagine alla Casa Salesiana. Precedono i giovanetti dell'Oratorio festivo con stendardo, seguono gli artigianelli, gli studenti della Casa, i Chierici della città con Croce, gli Eddomadarii in cappa ed un Canonico. La banda municipale, prestatasi gratuitamente, allieta con i suoi concerti l'animo degli astanti. E la cara immagine della Madonna Ausiliatrice procede lentamente sotto una pioggia di fiori, mentre le campane delle Chiese suonano a festa, e migliaia di persone cantano le lodi sacre alla Vergine. Si ascende finalmente per l'erta di Scanzano, sempre stivata di gente, ed eccoci all'Ospizio Salesiano in sul far della sera.

« E` un colpo d'occhio stupendo. Da tutte le arcate del cortile pendono lampioncini a colori, e gli archi e le colonne sono bellamente ornati con fiori, erbe, bandiere ed iscrizioni allusive. Nel mezzo del vasto cortile è eretto un bel trono, ove verrà posata la Vergine. Il momento è solenne. L'illuminazione è completa, le campane della vicina Chiesa suonano a distesa, la banda cittadina ed il concertino Salesiano intonano l'inno reale, e la statua della Madonna fra il lieto canto dei Sacerdoti e lo sparo di bombe-carte viene a pigliar possesso della Casa Salesiana. Finito il canto il Direttore D. Bilieni ascende sul pergamo all'uopo preparato e con voce commossa recita un fervoroso discorsetto, spiegando al grandissimo numero di fedeli, che è attento ad udirlo, il perchè viene dato a Maria il titolo di Ausiliatrice. Al discorso segue il canto dell' Ave Maria del Gounod; continua lo sparo di bombe-carte fra l'accensione di fuochi di bengala e l'ascensione di globi areostatici ed il concertino salesiano eseguisce fino ad ora inoltrata buoni pezzi di musica.

» Così fu dato fine alla cara funzione che è rimasta perenne nell'animo degli Stabiesi.

« Voglia intanto la Vergine SS. spargere su questa novella Casa Salesiana e sulla città intera l'abbondanza delle sue grazie, come fa in tutte le città e Case che posseggono sì prezioso tesoro.

Sac. ELIA ROTONDO ».

La festa del Rosario ove nacque D. Bosco.

Parlammo già più volte di Castelnuovo d'Asti (Piemonte), paese natio di D. Bosco, e specialmente della frazione o piccola borgata detta dei Becchi, ove conservasi ancora, quasi cadente però, l'umile casetta ove nacque e passò i primi anni della sua vita il nostro caro Padre.

D. Bosco stesso aveva poi fatto erigere in vicinanza a quella piccola casa, una cappelletta dedicandola alla Madonna del Rosario, ed ogni anno vi si recava con parecchi allievi dell'Oratorio di Torino, a celebrarne la festa titolare.

Tale pia pratica si continuò da noi e quest'anno specialmente riuscì assai solenne.

Dopo la novena celebratasi con predicazione da due Sacerdoti Salesiani, vi giungeva il nostro Mons. Fagnano, Prefetto Apostolico della Terra del Fuoco e della Patagonia meridionale, accompagnato da una schiera di musici del nostro Oratorio di Torino.

Non bastando la cappella per le sacre funzioni solenni, fu trasformato in chiesa campestre l'ampio cortile annesso, nel quale D. Bosco da giovanetto soleva con giuochi da saltimbanco attirare gli abitanti del vicinato, per far quindi loro sentire un po' di predica e recitare il S. Rosario.

Nel pomeriggio, dopo cantici religiosi e la predica, fecesi una solenne processione col SS. Sacramento.

Quei buoni abitanti avevano preparato un passaggio veramente trionfale, e tra quelle vigne e sul dolce pendio di quell'incantevole colle, per cui D. Bosco trascorreva più anni umile pastorello, mescendo al lavoro lo studio e la preghiera, sospirando al ministero sacerdotale, i figli suoi portavano ora in trionfo il Divin Redentore in Sacramento.

A questa processione prendevan parte circa tre mila fedeli, e riusciva così solenne ed imponente da superare ogni aspettazione.

Mons. Fagnano non potè ;trattenersi dopo un così consolante spettacolo, dal rivolgere agli accorsi eloquenti parole d'elogio per la loro pietà e d'incoraggiamento a perseverare nella loro ardente cattolica fede.

Dopo le sacre funzioni, si passò ad altro vasto cortile ove si tenne una popolare accademia musico-letteraria, nella quale il sempre giovane menestrello Carlo Gastini, già assai noto colà quale Marchese dei Becchi, per nomina di D. Bosco stesso, seppe esilarare, con la più cordiale e viva gioia quei buoni amici, tra cui i più giocondi e contenti erano alcuni vecchierelli, compagni carissimi dei primi anni di D. Bosco.

Fu quello per noi uno dei più bei giorni della nostra vita. Voglia Iddio concederci di ripeterlo ancora per molti anni.

Leone Harmel.

Il giorno 21 ottobre scorso fu di passaggio a Torino ed ospitò nel nostro Oratorio il valoroso campione delle Opere sociali in Francia, Leone Harmel, proveniente dal Congresso di Assisi, dove egli pure ha contribuito così efficacemente, col suo zelo instancabile, ad utilizzare in favore delle opere sociali il prezioso concorso dei terziari francescani, conforme il vero spirito della loro istituzione.

Altare Monumentale al Sacro Cuore di Gesù.

Leggiamo nell'Italia Reale-Corriere Nazionale del 23 ottobre scorso quanto segue:

Presso i marmisti signori Poli e Gastini, in via Tarino, abbiamo ammirato con singolare compiacenza un grandioso altare destinato dai fedeli oblatori alla nuova Chiesa del Sacro Cuore di Gesù, che i Salesiani hanno testò eretto in San Paolo nel Brasile, quale tempio votivo di quella Nazione : opera di colossali proporzioni e di un assieme architettonico assai armonico, sebbene di uno stile non ben determinato, ma che nel complesso arieggia a rinascimento.

Esso si eleva su di un gran basamento con due coppie di mensole lateralmente aggiuntevi, che lo allargano e lo alleggeriscono, e, protendendosi in avanti, sull' alzata di tre gradini, ne forma la mensa, che misura ben m. 3,60 in larghezza. A ridosso di questa, a guisa di palliotto, fra colonnine binate di marmoriccio, s'incornicia in un bel verde di Susa un grande bassorilievo, il quale reca la pietosa effigie di Gesù Cristo morto, con corona d'angeli in adorazione.

Sorge nel bel mezzo un gran piedestallo in marmo rossetto di Verona, da cui distaccasi in avancorpo il frontispizio del tabernacolo in marmo bianco, a colonnine di giallo Siena binate, e il fregio della trabeazione decorato di pietre dure, incastonate a forma di dischi con fregi di bronzo intercalati, dì ottimo effetto. Una cornice semicircolare risvoltata sui piè dritti dell'arco fa bel coronamento alla lunetta, nella quale si è voluto effigiare in accurato mosaico il Padre Eterno colla colomba in seno, come a rappresentare colla umanità del Verbo velata nel S. Ciborio la Triade sacrosanta: ottimo concetto che l'egregio signor pittore Reffo dipinse e poscia fu ritratto dalla Società musiva veneziana.

Il solo prospetto del tabernacolo misura ben metri 1,40 in larghezza e in. 2 in altezza; e la porticella in lamiera argentata apresi in doppio battente; il che venne maestrevolmente mascherato da buone decorazioni in bronzo dorato. Ai fianchi si protendono due ali a guisa di un alto gradino, portanti a ridosso due bassi-rilievi, incorniciati da un bel diaspro greco, l'uno dei quali rappresenta la cena di Emrnaus, e l'altro la nascita del Salvatore.

Sul piedestallo corre un attico che si ritaglia seguendo la sporgenza del tabernacolo, dalla cui sommità resta compenetrato; e più sopra si eleva un maestoso tempietto destinato ad essere trono d'amore del Dio Onnipossente. Egli sorge con quattro fasci di colonne ternate, di marmo bardiglio, scannellate ed ornate di bei bronzi dorati alla base, nel capitello e nella fascia a rilievo che le cinge ad un quarto di loro altezza, ove incomincia la scannellatura.

Sormontate da rispettivi pezzi di trabeazione sorreggono una volta a padiglione impostata su quattro archi di frontespizio, corrispondenti alle quattro facciate, coronate superiormente da cornice orizzontale che si ritaglia a faccia quadra sugli angoli smussati ; e tutto questo in un sol pezzo che cuba oltre a tre metri. A questo sta sovrapposto un ultimo pezzo di finimento, movimentato con grazia, specialmente nelle quattro mensole che fronteggiano sugli angoli, e vi campeggia nel bel mezzo, su fondo bardiglio, una bianca nube col simbolico triangolo, da cui sfolgorano raggi argentati. In alto, su cornice e antefisso di coronamento, tutto si restringe a formare il basamento ottagonale destinato a reggere la bella statua del Sacro Cuore, cui si volle dedicare l'altare e tutto il tempio. Essa è in marmo bianco, e ci basti dire che ritrae assai bene l'amabile figura di quella icona d'altare che il prelodato signor Reffo dipinse per la cappella del S. Cuore in S. Dalmazzo qui in Torino.

La statua resta così collocata all'altezza di ben otto metri dal piano, e misura metri 1,40 essa stessa.

Ai signori Poli e Gastini va tributato uno speciale encomio non solo per la scrupolosa arte di lavorazione da loro usata, ma anche per la scelta ben armonizzata dei marmi e per la composizione di certe parti, su di che fu loro concessa piena libertà, non appena l'architetto salesiano signor Delpiano ebbe conosciuta la lor valentia; come altresì va loro attribuito merito di tutta la parte figurativa che essi diressero, e che accrese tanto decoro a questo sacro monumento.

BIBLIOGRAFIA

La ragione guida alla fede. Corso d'istruzione religiosa ed apologetica ad uso delle scuole superiori del TEOL. FRANCESCO PAGLIA Sac. Salesiano. Vol. I. Torino, tipografia e libreria salesiana, 1895. Pag. 880. Prezzo L.4,00.

Nella Scuola Educatrice, egregio periodico settimanale pedagogico didattico di Roma, diretto dall'illustre Prof. Mons. A. Avoli (prezzo annuo L. 7), leggiamo quanto segue:

« Lode e ringraziamenti all'ottimo e illustre teologo D. Francesco Paglia. Lode per l'opera vasta, importantissima, intrapresa e in parte compiuta; ringraziamenti per aver fornito i nostri giovani, le nostre scuole e, dirò pure, i nostri professori di religione, di un lavoro di cui era sentito vivamente il bisogno. Non è da questo periodico farne una larga recensione per farne vedere le doti principali: dottrina francamente cattolica, ragionamento a filo di logica, lucidità e forza di argomentazioni, risposte sicure e convincenti alle obbiezioni, testimonianze autorevoli, abbondanti, varietà, erudizione, e dire or semplice e piano, ora caldo di eloquenza, ora severamente scientifico, ora spigliato e brioso, e in tutto aver sempre di mira la verità, nient'altro che la verità; ma non possiamo passarci di notare che l'egregio autore nel suo lungo lavoro si è trovato in pieno accordo con quanto La Civiltà Cattolica, il principe dei periodici italiani, come lo chiama esso, il Paglia, scrisse non ha guari, (16 febbraio 1895, pag. 411 e segg.) intorno l'insegnamento religioso ai tempi nostri, riducendone la somma a questi tre capi 1° l'insegnamento religioso non dee darsi alla leggiera; 2° nell'insegnamento religioso si dee dar più importanza all'apologetica; 3° è assolutamente necessario che nella scuola di religione si passino in rassegna le principali questioni moderne. - Questa opera, dice l'autore nella prefazione, fu scritta specialmente a servizio degli studenti d'Università, di Liceo e dell'Istituto Tecnico, i quali o non hanno un'apposita scuola, o non possono frequentarla. Per gli studenti poi del ginnasio superiore, del corso tecnico, non meno che del corso normale, sia maschile, sia femminile, può bastare il breve COMPENDIO (1), massime se hanno il benefizio della scuola o di un professore che loro lo spieghi. Nel qual caso il Compendio potrebbe servire agli allievi di testo da studiare, e l'opera maggiore ai professori di guida e di aiuto a spiegare il compendio. - All'opera bella, grandiosa, utilissima auguriamo la più lieta accoglienza e la più larga diffusione. »

(1) Compendio dell'opera LA RAGIONE GUIDA ALLA FEDE, redatto dallo stesso autore Teol. Francesco Paglia. Torino, tipografia e libreria salesiana 1895. L. 1,00

La vergine del rosario - Periodico mensile; 32 pag. in 4, - copertina colorata - carta di lusso - tipi nuovi. Questo periodico si pubblica in Roma sotto gli auspici del S. Padre e corrisponde perfettamente alle venerate esortazioni contenute nelle encicliche papali sul S. Rosario, tantochè Sua Santità si degnò chiamarlo ECCELLENTE PERIODICO. Contiene tutte le notizie riguardanti la divozione alla Vergine del Rosario anche sotto il titolo di N. S di Lourdes. La storia, la importanza, la efficacia e la utilità della pia pratica del Rosario , danno materia ad elaborati articoli che mentre servono al popolo per riaccendere in esso la fede e sono molto istruttivi, servir possono agli oratori sacri per argomenti di discorsi sul Rosario; molti esempi storici e fatti edificanti danno pur materia al periodico, che ha eziando una speciale rubrica di notizie d'interesse religioso e morale.

Abbonamento per l'Italia L. 3 per un anno con diritto ai fascicoli arretrati dell'annata: per l'estero L. 4. Le associazioni si ricevono in tutti gli uffici postali del Regno. - In ROMA alla direzione della Vergine del Rosario, Via S. Chiara 39.

Cooperatori Salesiani defunti in Settembre e Ottobre.

1. Baldelli D. Francesco Parr. - Civitella d'Arno (Perugia).

2. Boffano Eugenia n. Conti - Cuneo. 3. Bressan Annua - Cittadella (Padova) 4. Calleri Clelia di Sala - Torino. 5. Carla Lorenzo - Ferrania (Genova) 6. Ciccolungo Gio. Batta - Fermo. 7. Cocchis Simone - Torino.

8. Dameglio Maria n. Piasco - Lamporo (Novara).

9. Faccini Can. Dott. D. Luigi - Ronciglione (Roma).

10. Favero Giulia - Binzago (Milano). 11. Ganziotti Severa - Mosogno (Svizzera)

12. Garegnani D. Carlo - Ansato (Milano).

13. Gatti Ernestina - Montafia (Alessandria).

14. Giovenale Teresa Maestra - Villauova d'Asti (Alessandria).

15. Gneme Eleonora - Roma.

16. Habe Iohan- Kraimburg (Austria). 17. Leofroddi Annunziata in lacobiul - Genzano (Roma)

18. Locurto Giuseppe fu Salv. - Serra

di Falco (Caltanisetta)

19. Lotesanti Franciosini - Bolsena (Roma).

20. Lonardi Chiara - Rosà (Verona). 21. Magrinello Andrea - Chiari (Brescia).

22. Marconi Giuseppe - Brugnolo (Cremona).

23. Molla Cont. Teresa - Vercelli.

24. Monfrini Antonio - Solbiato Olona (Milano).

25. Bava Baronessa Caterina - Catania. 26. Oliboni Angela - S. Pietro Incariano (Verona).

27. Peretti D. Giuseppe Prov. - Forno (Novara).

28. Piani D. Bernardo - Zanò (Vicenza) 29. Piantavigna D. Giuseppe - Erbe (Verona).

30. Polli Dottor Carlo - Viscone di Torre (Austria).

31. Salatena Apollonia - Grossotto (Sondrio).

32. Sardi Conte Luigi - Lucca.

33- Sanare D. Giovanni Parr. - Castelnuovo Bocca d'Adda (Milanoo.

34. Scarpa Enrichetta Bortoli - Pellestrina (Venezia).

35. Schiapparelli Maurizio- Occhieppo Inferiore (Novara).

36. Sismondi D. Nicola V. F. - Livorno Vercellese (Novara).

37. Sona Angela - Negrar (Verona). 38. Strageneg Maria -Campitello(Mantova).

39. Toffol Bortolo - Livo (4ustrtia-Tirolo.

Pater, Ave, Requiem,

I nostri lettori vorranno nei loro quotidiani esercizi di pietà ricordarsi delle sante Anime di questi cari che in vita ci furono congiunti coi dolci e forti vincoli della carità. I Sacerdoti facciano ogni giorno un memento di esse nel santo Sacrificio della Messa; gli altri offrano Comunioni, preghiere speciali e buone opere pel loro eterno riposo. Ricordiamoci sempre che questi suffragi ci verranno ripagati ad usura dalle sante Anime del Purgatorio, e che questa fiorita carità che noi usiamo verso di esse, altri la useranno con noi medesimi dopo la nostra morte.