BS 1880s|1886|Bollettino Salesiano Agosto 1886

ANNO X - N. 8.   Esce mia volta al mese.   AGOSTO 1886

BOLLETTINO SALESIANO

DIREZIONE nell'Oratorio Salesiano. - Via Cottolengo, N. 32, TORINO

SOMMARIO - L'onomastico di S. Santità Papa Leone XIII - Augurii - La festa di S. Giovanni - Storia dell'Oratorio di S. Francesco di Sales - Il Cuore di Gesù e la Mansuetudine - Missioni della Patagonia - Elenco dei Cooperatori defunti.

L' ONOMASTICO DI SUA SANTITÀ PAPA LEONE XIII.

Ogni anno andiamo lieti di esortare i nostri Cooperatori e Cooperatrici a dare prove particolari di venerazione e di amore al Santo Padre Leone XIII nel giorno di S. Gioachino, del quale riportò il nome al sacro fonte. In ogni anno inculcammo speciali opere buone da compirsi in quel faustissimo giorno, per ottenere a sua Santità lume e conforto in tanta tristizia di tempi, e sappiamo che le nostre raccomandazioni. vennero di buon grado accolte ed assecondate.

In quest' anno non troviamo poter dare prova migliore del nostro affetto alla S. Sede che quella di assecondare l'invito fatto a tutti i Cattolici, dal Comitato femminile pelle nozze d'oro del S. Padre, sotto la direzione dell'Eminentissimo Cardinale Vescovo di Verona. Il giorno della festa di S. Gioachino sia per noi il principio di una preghiera costante, acciocché Dio voglia consolare il suo Vicario nel suo giubileo sacerdotale.

Noi riportiamo il nobilissimo appello delle Signore di Verona, appello uscito da cuori che credono ed amano ed hanno riposta tutta la loro fiducia in Gesù Cristo e nella sua santissima Madre.

A tutti i Cattolici del mondo.

A voi anime amanti di Gesù; - a voi tutti che zelate il suo onore e la sua gloria; - che bramate le sue benedizioni e misericordie e sospirate il trionfo della sua onnipotenza, ci rivolgiamo a voi fidenti. - I nemici di Dio e della sua Chiesa hanno retto guerra accanita contro Dio stesso ed il suo Cristo. Loro duce è Satana, loro arma ogni nequizia, loro scopo distruggere, annichilare, radere dalla terra il cattolicismo. - A noi dunque Gesù Cristo stesso concede l'onore di difendere, combattere, vincere, a salute dell'opera sua la Chiesa e delle anime nostre. E come non ci daremo noi a sì nobile e vantaggiosa impresa, con tutte le forze dell'anima nostra, con tutti i mezzi possibili?

Ebbene nella cara ricorrenza delle Nozze d'oro o Giubileo sacerdotale del nostro Santo Padre Leone XIII, in mezzo all'entusiastica gara mondiale di festeggiarlo solennemente con ogni maniera di omaggi, si accese in Verona una scintilla preziosa, cui si spera voglia secondare grande incendio; ciò è offrire per la incolumità del Papa, pel trionfo della Chiesa, per la conversione di tutti i nemici del bene (che noi vorremmo abbracciare fratelli) quante più ognuno possa Comunioni divotamente fatte e Rosarii, o terze parti di Rosario ben recitati, da ora a tutto dicembre 1887. - Comunioni e Rosarii! Sì Comunioni e Rosarii, armi ridevoli nella bocca degli increduli; ma armi infrangibili, vittoriose sempre, in mano dei fervorosi e saldamente credenti. La Comunione sarà sempre la nostra forza, il nostro nutrimento, la nostra difesa, il nostro usbergo, la perenne ispiratrice di santi pensieri, di opere sante, il fuoco del tempio, che, nell' unione del nostro cuore a quello del nostro Gesù, ci fa riardere d'amore divino. Ed il Rosario sia ognora la nostra spada, la dolce catena che ci tenga stretti a Maria, la mistica scala per cui ascendano le nostre preci e ne discendano le grazie, gli aiuti, le benedizioni tutto potenti della nostra cara Madre e Regina. Se la terra altre volte ottenne pel Santo Rosario trionfi e salute, perché non otterrà ora per esso la diffusione ed il consolidamento per tutto il mondo del soave regno di Cristo? Nè taluno opponga: - Ho già assegnato le mie comunioni ed orazioni a scopi particolari ed a suffragio delle anime sante del purgatorio : aggiungere intenzionì è avvalorarle tutte; ed è anzi a sperare che, impegnando allo scopo anche la Chiesa purgante, più presto si possa ottenere il sospirato trionfo della Chiesa militante.

E voi, madri avventurate, che in quest' anno, o nel venturo, avrete la grazia di apparecchiare i vostri figli e le vostre figlie alla prima comunione, deh, raddoppiate a tal uopo il vostro fervore ! - Santificate voi stesse per poter santificare i vostri figli; e, solidamente unite alle madri cristiane di tutto il mondo offerite concordi queste prime comunioni dei vostri figliuoli pel santo fine suddetto. Sarà questo il più prezioso gioiello della corona che andiamo intrecciando : sarà la delizia di quel Gesù che si compiace de' cuori puri ed innocenti; sarà quel caro manipolo di mistici fiori che innalzerà il suo più soave profumo sino al trono dell'Altissimo, per attrarne su essi e su voi le più elette e desiderevoli benedizioni; sarà una delle singolarmente gradite offerte che riceverà il nostro sommo Pontefice Leone XIII, che Iddio ci conservi incolume per lunghissimi anni, e, liberato da ogni podestà nemica, renda eziandio in terra beato !

Modalità da osservarsi.

Il foglio sul quale si noteranno le cifre delle Comunioni e de' Rosari dovrà essere di centimetri 36 per largo, 26 per lungo. Sarà inviato a

Verona, nel miglior modo, onde non soffra guasti, per essere riunito in un album. Le sottoscrizioni saranno compendiato a migliaia colla sola firma del raccoglitore o raccoglitrice, o per parocchia con quella del M. R. Parroco. Le Comunità, gli Istituti religiosi, Educandati, Oratorii, ecc., ecc., verranno compresi nella cifra e firma della superiora o presidente. Le prime Comunioni figurino gemma a parte. Alle Comunioni ed ai Rosari si possono unire Messe, Ore d'adorazione, Novene, Tridui, ecc., ecc. Il maggior contingente ci verrà certo dato dagli Istituti femminili ove le suore sogliono comunicarsi ogni dì, o quasi, e recitare ogni dì il Rosario. - A questa circolare sia data ogni dì la maggior diffusione, sia comunicata alle case madri, affinché ne partecipino l'idea alle loro figliali, e facendo tosto l'intenzione affine di non perdere un sol giorno, che ci defrauderebbe di parecchie migliaia. Dal calcolo di un mese, si avrà anticipata la somma totale, se non esatta, molto approssimativa delle Comunioni da farsi e Rosari da recitarsi a tutto il dicembre 1887. Quindi i fogli si potranno spedire qui anche fra breve.

Sarà bene accompagnare le cifre con un motto d'affetto o d'augurio, a piacere degli offerenti e raccoglitori; ed il foglio si potrà fregiare con un contorno a disegno, a proprio gusto, nel che son sempre sì valenti le monache; - da ciò si avrà uno svariatissimo assortimento di idee e di voti per una causa stessa, coll'impronta caratteristica delle diverse località anche più remote; decoro ed ornamento altresì materiale del più prezioso dei regali che verrà offerto a Leone XIII nelle sue Nozze d' oro; compendio di voti di tutto il mondo cattolico pel trionfo della religione e la benedizione del Rappresentante di Dio; resa efficace dal valore della unione nella preghiera. La borsa non è tocca menomamente. - la propaganda - l'offerta è di solo affetto; - esso è il più potente suggeritore, - esso la luce, la fiamma, la calamita che farà prodigi! - Dio fecondi l' opera nostra colla sua infinita onnipotenza e l'avvalori colla sua infinita misericordia!

IL COMITATO FEMMINILE

Pelle Nozze d'oro del S. Padre MARCHESA ATALA FUMANELLI. CONTESSA EMANUELLA CARTOLARI. CONTESSA ROSA GUARIENTI.

CONTESSA GIULIA PALETTA DE-SIGISMONDI. SIGNORA LAURA BOTTAGISIO.

Noi, che già approvammo l' idea qui sopra caldeggiata, raccomandiamo a tutte le anime buone di accoglierla con zelo, di secondarla e di consolare il cuore del nostro Santo Padre colla bella offerta di milioni di Comunioni e di Rosari.

+ L. Card. Di CANOSSa Vescovo.

Direzione : Al Comitato femminile per le Nozze d'oro del Santo Padre. Casa Cartolari, S. Sebastiano. Num. 4. - VERONA.

AUGURII,

All' Eminentissimo Principe Cardinale Arcivescovo GAETANO ALIMONDA pel

giorno 7 di Agosto presentiamo i nostri augurii e le nostre felicitazioni, accompagnate dalle preghiere che innalzeremo a Dio benedetto per mezzo della Vergine Ausiliatrice, acciocchè molti e felici sieno ancora gli anni di sua vita per la gloria della Chiesa Cattolica e dell'Archidiocesi Torinese.

LA FESTA DI S. GIOVANNI BATTISTA.

Vorremmo dar qualche cenno della festa di S. Giovanni Battista, celebratasi nell'Oratorio, riuscita ancor più splendida degli anni scorsi, render grazie a quei signori Francesi e Spagnuoli rappresentanti delle società Cattoliche venute espressamente per dividere con noi e coi nostri giovanetti la gioia di quel giorno, ma la moltiplicità della materia ci costringe a dir sole poche parole in elogio dei nostri antichi compagni.

Conformemente all'invito ricevuto dal Sig. Gastini Carlo presidente della Commissione circa trecento antichi allievi dell'Oratorio di S. Francesco di Sales, rappresentati da una cinquantina di colleghi domiciliati in Torino, convennero la mattina del 24 ora scorso Giugno per attestare all'amato Padre e Maestro D. Giovanni Bosco, nella ricorrenza del suo Onomastico, i sentimenti della loro figliale devozione e gratitudine.

Allorquando il venerato Padre discese dalle sue stanze per venir a prender posto nella sala destinata al suo festeggiamento, uno scoppio vivissimo di applausi indicavagli quanto fosse la loro gioia, di poterlo salutare novellamente in sì fausta circostanza.

Uno splendido paramentale in color rosso, vagamente disposto sopra un tavolo nel mezzo della sala, formava l' ammirazione di tutti. Era l'oggetto che recavano in dono a D. Bosco gli antichi suoi alunni riuniti.

Succeduto il silenzio, l'egregio Geometra Giacomo Belmonte si fece ad esporre a D. Bosco, in un breve ma riuscito discorso, i sensi di giusto affetto dai quali sono costantemente animati gli anziani suoi figli, ed i motivi che li traevano a lui in quel giorno che essi vorrebbero rivedere ancora mille volte, come quello che loro risveglia tante care rimembranze. La sua parola franca e cordiale meritò le lodi non pur di D. Bosco, che volle mandato il discorso alle stampe, ma dell'onorevole uditorio che l'aveva ascoltate con attenzione.

Seguì tosto la lettura dei nomi degli Aderenti alla dimostrazione che è già la diciasettesima; l'elegante Album che li racchiudeva, a perenne ricordo, venne rimesso nelle mani di D. Bosco.

Egli allora parlò ; e, quantunque stanco nella persona e commosso nell'animo, il suo linguaggio fu tale che impressionò dolcemente l'adunanza. Egli di tutto cuore ringraziò i suoi veterani delle prove di affetto che gli vanno rinnovando ogni anno e del dono prezioso con cui loro piace di accompagnarle: ma soggiunse che appunto perchè aumentano gli anni, sentesi avvicinare più a gran passi l' eternità. Nondimeno se le forze glielo avessero acconsentito, espresse il desiderio di passare anche quest' anno alcune ore allegramente coi vecchi suoi amici : ed a questo fine gli invitò tutti ad un pranzo nell'Oratorio, in due giorni distinti, affinché ognuno potesse avere la comodità d'intervenirvi. Prese infatti le necessarie intelligenze colla Commissione, fissò la Domenica 11 Luglio pel pranzo dei Secolari e Giovedì 15 pel pranzo dei Sacerdoti.

In questa occasione il giorno 11 D. Bosco pronunciò le seguenti parole.

« Desidero di indirizzarvi alcune parole e mi é stimolo a parlare il pensiero dell'incertezza del potermi anco trovare un altro anno in mezzo a voi. Certo sarei contento di passare ancora una e più volte questo bel giorno in vostra compagnia, ma gli incomodi della vecchiaia mi avvertono di non lusingarmi. Io vi ringrazio adunque d'essere venuti a pranzo con me, e con voi anche questi signori che l'amicizia ci condusse qui dalla Francia. Oggi non convennero qui tutti i miei buoni amici, i cari figliuoli, perché non era possibile per la lontananza e per i molteplici affari. Ma voi incontrandoli dite loro che vedendo voi, in voi ho visto essi, ringraziando voi ho ringraziato essi pure dell'affetto che continuano a portarmi: dite che D. Bosco è sempre pronto a dividere con essi il suo pane, perché non è pane di D. Bosco ma sibbene è il pane della Provvidenza. D. Bosco vi ama tutti in Gesù Cristo, perchè voi lo amate e spero che Nostro Signore ci darà la grazia di vedere tempi migliori. D. Bosco pregherà sempre per voi, e voi aiutatemi colle vostre preghiere perchè possiamo dar mano a nuove opere, e continuare le incominciate. Guardate quanto fu buona la Provvidenza con noi! Oggigiorno sono migliaia e migliaia i ricoverati nelle nostre case, i quali certo non si nutriscono di grilli e di fiori, eppure dal principio dell' Oratorio fino ai giorni nostri il pane non mancò mai una sola volta, anzi coi bisogni andarono sempre crescendo i mezzi. Ed io vi assicuro che le cose nostre continueranno a crescere sotto le ali di questa Divina e amabile Provvidenza. Voi, e i vostri figli e i figli dei figli vostri vedrete e godrete prendendo parte alle nostre sorti, alle nostre fortune. Siamo fedeli alla nostra santa religione e tutti saranno costretti a stimarci ad amarci, nessuno potrà detestarci perchè la carità è il vincolo che lega i cuori. Io vi prometto che continuerò ad amarvi, come fratello, come padre, finchè il nostro amore sarà coronato in quel giorno nel quale udremo quelle soavi parole : -Entrate nel gaudio del Signore poichè avete osservata la mia santa legge. »

Il giorno 15 poi in sul terminare della lieta festa di famiglia, così risponde ai voti, agli augurii, alle promesse, ai brindisi ed alle poesie.

« Io godo molto delle parole che furono dette. Ho intese, ho gustate le vostre espressioni, le vostre proteste. Il signor Curato della Gran Madre di Dio ha detto che nessuno supera in amore verso di me i giovani antichi dell' Oratorio. Il signor ingegnere Buffa asserisce che gli amici cooperatori non sono secondi a nessuno nel portarmi affezione e che questa affezione di mille e mille è senza limiti. Ora tocca a me rispondere chi sia da me più amato. Dite voi: questa è la mia mano; quale di queste cinque dita è più amato da me? Di quale fra queste mi priverei? Certo di nessuno perchè tutte e cinque mi sono care e necessarie egualmente. Or bene io vi dirò che vi amo tutti e tutti senza grado e senza misura. Molte cose io vorrei dire in questo momento che riguardano i miei figli ed i Cooperatori Salesiani. La proposta del Curato della Gran Madre di eccitare cioè ciascun di voi all'incremento dell' Opera dei Cooperatori Salesiani, è una proposta delle più belle, perchè i Cooperatori sono il sostegno delle opere di Dio, per mezzo dei Salesiani... Il sommo Pontefice Leone XIII è non solo il primo cooperatore, ma il primo operatore. Vi basti osservare la facciata della Chiesa del Sacro Cuore! Essa vi dice che l'opera dei Cooperatori, l' opera del Papa, è fatta per scuotere dal languore, nel quale giacciono, tanti Cristani, e diffondere l'energia della carità. Essa è l'opera che in questi tempi appare eccezionalmente opportuna, come ha detto lo stesso sommo Pontefice. Un uomo poteva far ciò che si è fatto da noi? Un uomo poteva portare il vangelo in tanti luoghi e a tanta distanza? No che un uomo non lo poteva! Non è D. Bosco, è la mano di Dio, che si serve dei Cooperatori! Ascoltate! Voi avete detto in questo momento che l'opera dei Cooperatori Salesiani è amata da molti! Ed io soggiungo che questa si dilaterà in tutti i paesi, si diffonderà in tutta la Cristianità. Verrà un tempo in cui il nome di cooperatore vorrà dire vero Cristiano ! La mano di Dio la sostiene! I cooperatori saranno quelli che aiuteranno a promuovere lo Spirito Cattolico. Sarà una mia utopia ma pure io la tengo. Più la S. Sede sarà bersagliata più dai Cooperatori sarà esaltata, più la miscredenza in ogni lato va crescendo e più i Cooperatori alzeranno luminosa la fiaccola della lor fede operativa...

Non dobbiamo omettere che in questa circostanza tutte le case Salesiane di Spagna, Francia America si erano con molti indirizzi unite a quelle dell'Italia. Noi qui riportiamo la sola lettera del Mons. Cagliero.

« REV. E CARISSIMO SIG. D. Bosco.

« Viva S. Giovanni, e viva in eterno nel cuore dei figli questo dolcissimo nome del Padre !

Mi unisco a quanti le scriveranno in questo faustissimo giorno, dalla lontana Patagonia.

Essi le faranno manifesto il loro giubilo, i loro auguri e felicitazioni, e verseranno la piena degli affetti, coi più teneri accenti e con le più ardenti espressioni del cuore.

E volendo ancor io presentarle in questo dì solenne alcunchè di gradito, ho pensato di offrirle il raccolto di tutto un anno, ossia il frumentum electorum ed il vinum germinans virgines che i suoi figli Salesiani hanno con me mietuto e ricavato in questa nuova vigna e campo evangelico della Patagonia. E sono

1300 battesimi di Indii e di indigeni del Rio Negro.

1000 comunioni fatte dai nostri neofiti.

3000 comunioni fatte dai più divoti delle nostre famiglie Cristiane.

200 comunioni mensuali che si sono ottenute e si otterranno dai ragazzi e dalle ragazze che frequentano le nostre scuole.

Sono i frutti raccolti dopo il mio arrivo in questo finora sterilissimo deserto. Formatone una corona di preziosissimi gigli intrecciata di olezzantissimi fiori, e tempestata di brillanti ricchissimi gliela pongo sul venerando suo capo dicendo « Copre i figli la gloria del padre » Gloria filiorum pater eorum (Prov. 17, 6).

Benedica il suo

Patagones 24 Maggio 1886.

Affmo. in G. C. + GIOVANNI Vescovo di Magido.

STORIA DELL'ORATORIO DI S. FRANCESCO DI SALES

Parte seconda. CAPO XVI.

Altra ispezione provocata dal cav. Gatti - Visita nelle scuole - Dante, Guelfi e Ghibellini, e il dominio temporale del Papa - Belle parole e tristi fatti - Don Bosco e il Ministro della pubblica istruzione - Gatti in un armadio - La storia e l'intingolo - Il dolce dall'amaro - Disgrazie e morte di Gatti.

La riferita vittoria riportata da D. Bosco mediante il decreto di approvazione, ottenuto dal Regio Provveditore Selmi a favore delle nostre scuole, parve togliesse il sonno al cav. Gatti, il quale, nella speranza di spuntarla pur una volta, ci provocò dal Ministero una nuova visita od ispezione. Eravamo sulla fine di maggio dell'anno stesso 1863 , quando un mattino verso le ore 9 un signore elegantemente vestito si presenta all'Oratorio e domanda di D. Bosco. Era costui un Professore di filosofia. Fatti i primi convenevoli il professore gli annunzia come era incaricato dal Ministro di pubblica istruzione di fare una ispezione alle scuole dell'Istituto, e ne mostra il mandato. Don Bosco non tralasciò di fare qualche riflesso sulla convenienza di ripetute inquisizioni nella casa di un libero cittadino, che albergava caritatevolmente e gratuitamente istruiva più centinaia di poveri giovanetti del popolo, - ma in ossequio dell'autorità che la S. V. rappresenta, egli soggiunse, io passo sopra ad ogni osservazione, ed ella eseguisca pure il suo mandato. Mi raccomando solamente che non si facciano ai giovani domande inopportune, e non si getti lo sgomento nei loro animi. - E in cortesi parole gli venne promesso.

Troppo lungo sarebbe il riferire le domande fatte dall'ispettore e le risposte date dagli allievi in ciascuna delle cinque classi del ginnasio, e perciò daremo solo un semplice cenno di quanto fece nell'animo nostro più profonda impressione e ci lasciò indelebile ricordo. Notiamo anzitutto che il professore sebbene si mostrasse con D. Bosco, coi maestri e cogli allievi cortese e garbato, dava tuttavia a divedere che ei faceva una visita con un piano preconcetto, non per esaminare, ma per iscoprire, non per sapere se eravamo istruiti, ma per sorprenderci, non per conoscere la legalità dell'insegnamento, ma le idee ed opinioni politiche, che da noi si professavano. Lasciando a parte la letteratura latina, egli scelse di trattenersi su materia più acconcia alla sua capziosa inspezione. Nelle classi superiori interrogò sopra Dante Alighieri, e nelle inferiori sulla geografia d'Italia; anzi in alcune scuole, chiamati a sé presso la cattedra alcuni dei giovani, spinse le sue indagini sin nel santuario della coscienza, domandando come in confidenza che cosa dicesse loro D. Bosco in confessione.

Nella 1a e 2a rettorica, ossia in 4a e in 5a classe ginnasiale, si fermò mattino e sera sopra la prima Cantica della Divina Commedia, e a tutti gli altri preferì quei canti e quelle terzine, dove il poeta per mire politiche e personali inveisce ingiustamente contro i Papi e specialmente contro Bonifacio VIII, che reputava cagione di sua cacciata da Firenze. L'ispettore pertanto domandò l'origine dei Guelfi e dei Ghibellini, quali le idee degli uni e degli altri, a quali partiti corrisponderebbero oggidì in Italia, a quale dei due apparteneva Dante, e che opinione avesse egli intorno al dominio temporale del Papa , ed altre consimili interrogazioni più o meno insidiose. Con queste pare che egli mirasse a trarre dai giovani qualche risposta poco considerata, la quale gli servisse almeno di pretesto per riferire che la istruzione, che s'impartiva nel nostro Oratorio era avversa alle moderne instituzioni del Governo ; ma per la Dio mercé e per la corretta condotta e prudenza dei professori e degli alunni ei fu deluso nella sua speranza.

Nelle classi del ginnasio inferiore interrogando sulla geografia d'Italia, trovò finalmente di che rallegrarsi. Un giovane della prima, nel dire la divisione dell'Alta Italia, si lasciò sfuggire, quasi per abitudine, l'antica denominazione di LombardoVeneto siccome appartenente all'Impero austriaco. Ciò udito , il signor ispettore diede tosto segno di grande stupore e disapprovazione, e disse : - Come ? E non sa ancora che fin dal 1859 la Lombardia è disgiunta dal Veneto ed appartiene al Regno d'Italia? E le importa sì poco il conoscere le glorie della patria comune? - Al riflesso fatto tosto dal maestro che quello era un errore di lingua, cagionato più da consuetudine che da ignoranza, l'ispettore mostrò di crederlo, ma poi in difetto d'altro non tralasciò di segnalare questo fatto innocentissimo nella sua relazione e farcene un aggravio presso al Ministero.

Ma una cosa forse a suo malgrado lo riempì veramente di maraviglia, e fu il silenzio, la disciplina, il buon ordine che trovò in tutte le scuole. Fra le altre la 3a ginnasiale, composta di oltre a 130 alunni, lo convinse che tal disciplina non era passeggera e fittizia, ma soda e reale. Terminata la visita, il maestro in segno di gentilezza volle accompagnarlo nell'altra scuola, ma l'ispettore cercò di dissuadernelo, adducendo per ragione che la sua assenza dalla classe, ancorché solo momentanea, avrebbe dato a tanti vispi giovanetti ansa a levare rumore e mettersi in disordine. - Non tema, signor professore, rispose il maestre, perché io sono sicuro che niuno di essi aprirà bocca o si muoverà di posto. - Questo mi pare impossibile , riprese l'ispettore, impossibile che 130 scolari stiano zitti nell'assenza del maestro. - Si lasciò nondimeno accompagnare per un tratto, e poi: - Ritorniamo indietro, disse, e andiamo ad ascoltare se fanno il silenzio che ella dice -; e così dicendo si accostò pian pianino all'uscio della scuola , origliò e spiò dal buco della serratura, e trovò appunto tutta la numerosa scolaresca immobile e silenziosa, come se il professore sedesse in cattedra. A. tal vista si allontanò di là, ripetendo : - Non l'avrei mai creduto , non l'avrei mai creduto ! Questa è una maraviglia, e fa onore a lei e a' suoi scolari.

Quello, che era una maraviglia per l'ispettore governativo, per noi era cosa usuale e succedeva in tutte le scuole ; imperocchè i giovani dell'Oratorio apprendevano a fare il bene e a fuggire il male, non già pel riguardo dell'uomo, ma per riguardo di Dio; non pel premio o pel castigo del maestro o del superiore, ma per dovere di coscienza.

La ispezione del professore suddetto durò ben due giorni. Congedandosi ei si mostrò con D. Bosco grandemente soddisfatto, usando espressioni che facevano credere che la sua relazione al Ministero ci sarebbe stata favorevolissima. Oltre a questa testimonianza avevamo motivo ad aspettarla tale, e perché i giovani avevano di fatto risposto adeguatamente, e perché il detto ispettore godeva stima di un uomo onesto e giudicavasi incapace di fare studiosamente un torto. Ma a parole buone non corrisposero i fatti. In verità alcuni giorni dopo, con grande suo stupore e dolorosa sorpresa, D. Bosco venne a sapere da persona amica che il signor ispettore stava per presentare al Ministro una relazione malevolissima. Secondo questa tra noi tutto era disordine, immoralità, reazione. - Noti, Vostra Eccellenza , scriveva il relatore tra le altre cose al signor Ministro, noti che havvi uno spirito così ostile al Governo , che in tutto quel vasto stabilimento non si rinviene il ritratto del nostro augusto Sovrano e signore. - All'udire tal cosa, fuvvi tosto chi disse: - Se la relazione è fatta in questo senso, è fuor di dubbio che vi entra la zampa del Gatti. - Nè questo era punto un giudizio temerario, poiché, oltre a quello che aveva già fatto contro di noi, dava ragione a sospettare di lui un suo confidente, che spesso lo rimproverava e cercava di ridurlo a sani consigli. Questi ci assicurò più volte che quando poteva rompere una lancia a danno di istituti governati da preti o da monache, il cav. Gatti ne menava vanto come di una prodezza, e ne andava in festa.

Ma chiunque fosse il precipuo autore di cotale falsità, D. Bosco, appena avutone sentore, studiò di prevenirne le conseguenze, di spegnere cioè, come egli si esprimeva, i fulmini prima che ne succedesse lo scoppio, e di scongiurare il temporale prima che ne cadesse la grandine. A quest'uopo portossi al palazzo del Ministero e domandò di parlare col Ministro della pubblica istruzione Michele Amari, cui doveva essere presentata la relazione famosa (1). Era un giorno del mese di giugno. Ottenuta a stento udienza, verso sera, ebbe luogo la seguente conversazione, accompagnata da un lepido episodio

- In che cosa potrei servirla, mio caro abate? domandò il Ministro.

- Io sono continuamente vessato da perquisizioni , rispose D. Bosco, e non ne posso sapere la ragione. Prego perciò la E. V. che me la voglia notificare. Io sono sempre stato suddito fedele al mio Sovrano, e se mai fu trovato in me qualche fallo, desidero vivamente di conoscerlo per potermene guardare.

- In buona grazia, chi è lei?

- Io sono il sac. Giovanni Bosco , direttore dell'Istituto detto Oratorio di S. Francesco di Sales, avente per iscopo di raccogliere poveri ragazzi, per educarli ed istruirli e provvederli di una bnesta carriera.  

- Godo di poterla conoscere e mi congratulo con lei del nobile ministero che esercita; ma ella non deve allontanarsi dalla lodevole meta che si è prefissa. Si dice che il suo filantropico Istituto abbia degenerato, e siasi convertito in una congrega di reazionarii, e che lei ricusi persino di. sottomettersi agli ordini dell'autorità scolastica. Ecco la ragione per cui venne ordinata una visita alle sue scuole. Credo peraltro che il signor ispettore abbia usato i riguardi dovuti a lei ed ai suoi allievi, come ho appunto ordinato.

- Ignoro gli ordini dati dalla E. V., ma posso dirle che si spinse la ispezione sino nei pensieri dei giovani ; si fecero dimande spettanti più alla politica che alla materia d'insegnamento, e alcuni allievi furono fin anche interrogati sopra, cose di confessione. Il simile aveva già fatto il cav. Gatti tre anni sono, meritando la disapprovazione dello stesso ministro Mamiani.

- Questa non era di certo la missione del cav. Gatti, nè del professore da me incaricato. Essi devono presentarmi la relazione dell'ispezione da me ordinata, e da loro potrò avere le informazioni che ne attendo.

Qui il Ministro suonò il campanello, e presentatosi un usciere lo mandò a chiamare i due mentovati signori. Venuti l'un dopo l'altro, nel crepuscolo della sera, . non si accorsero essi della presenza di D. Bosco, onde, invitati, si sedettero presso di lui per discorrere col Ministro ,. che, rivolto all' ispettore, domandò

- Come riuscì la visita fatta alle scuole di D. Bosco?

- Come era da aspettarsi , Eccellenza. Dalla relazione che avrò l'onore di presentarle, la E. V. potrà avere una chiara idea del cattivo spirito, che domina in quell'Istituto.

- Per mezzo del cav. Gatti io l'aveva incaricata di esaminare la legalità degli insegnanti e della materia insegnata ; orbene , come risultarono questi due punti?

- Poco soddisfacenti, Eccellenza; s'immagini che in quell'Istituto non vi ho neppur trovato il ritratto dell'augusto nostro Sovrano.

- Ma sulla legalità degli insegnanti e dell'insegnamento che cosa ha da dirmi? rìprese il signor Ministro un po' stizzito, perchè vedeva l'ispettore uscire affettatamente di carreggiata , e, non rispondere a tono.

- A questo riguardo D. Bosco ha carpito un decreto di approvazione al regio Provveditore, che per quest'anno tollera quelle scuole.

- Dunque per la parte legale non havvi a ridire.

- Stiamo per altro carteggiando, disse qui il cav. Gatti, col regio Provveditore, e pare che il. decreto da lui lasciato a D. Bosco non sia legale.

- Se pare solo che non sia legale, è segno che non è ancora deciso che non lo sia, e finchè la questione è pendente non dobbiamo inquietar alcuno. Ma D. Bosco si è lagnato che si fecero a' suoi giovani domande indiscrete ed inopportune, e questo mi rincresce.

- La E. V. avrà la bontà di persuadersi che ciò non è vero, riprese l'ispettore.

- Abbiamo qui lo stesso D. Bosco, soggiunse il Ministro ; lasciamolo parlare, e così verrà appurata la verità. Sì, la verità, e null'altro che la verità, e guai ai menzogneri , ripeté con forza , guai agli impostori , ché non tollererò giammai che mi traggano in inganno.

Qui ognuno può figurarsi lo sbalordimento del l'ispettore e del Gatti, quando si accorsero di trovarsi con D. Bosco , e udirono le risolute parole del sig. Ministro. Non è iperbole il dire che il primo diventò rosso come lo scarlatto per la vergogna di essersi di propria bocca dato a divedere uomo di due faccie, lodando a cielo le nostre scuole alla presenza di D. Bosco e de' suoi maestri, e poi coprendele d'infamia alla presenza del Ministro ; e che al secondo saltarono i brividi della febbre pel timore che venissero finalmente scoperte le sue gherminelle contro di noi e contro di tanti istituti di simil natura. Il fatto sta che il Gatti non sentendosi l'animo di sostenere quell'inaspettato incontro, sotto pretesto di dover spicciare affari di premura, domandò di allontanarsi per un momento e più non comparve, lasciando solo nell'impaccio il suo collega.

E qui avvenne un episodio, che vogliamo ricordare, per far vedere quanto poco costi al Signore l'umiliare un uomo superbo, ancorchè potente. Adunque tanta fu la confusione che in quel momento incolse il povero Gatti, che nell'uscire dalla sala sbagliò direzione, e invece di aprire l'uscio aperse un armadio. A quell'atto il Ministre sorrise , e - adagio, adagio, disse, signor cavaliere; quello é un armadio ; torni indietro ; - ed alzatosi andò egli stesso ad aprirgli la porta. Il Professore poi volendo mutar sito e scostarsi alquanto da D. Bosco, inciampò col piede nel piccolo strato, e per poco non cadde lungo e disteso nella sala.

Intanto, partito il Gatti e postosi a sedere l'ispettore, D. Bosco, invitato dal signor Ministro, prese a parlare così

- Eccellenza, io la ringrazio della facoltà che mi dà di parlare. Io non intendo di accusare alcuno , ma di difendere la mia causa e la causa de' miei fanciulli. Questi fanciulli furono interrogati indiscretamente , furono torturati con domande insidiose, e taluni persino in materia di coscienza, con indegne insinuazioni contro ai loro superiori, e con parole che è bello il tacere. Una tale inquisizione è contraria allo Statuto, è contraria alla stessa onestà naturale, e se fosse conosciuta ecciterebbe la pubblica riprovazione. Aggiungo altro, ed è : Il signor ispettore alla presenza mia, alla presenza di più altre persone dell'Istituto confessò che le nostre classi potevano proporsi per modello di studio, di moralità e di disciplina, e che non vi aveva trovato che ridire; anzi soggiunse che sarebbe a desiderare che le pubbliche scuole fossero regolate come le nostre; e poi qui in faccia alla E. V. asserisce tutto il contrario. Dice che nel mio Istituto non si trova il ritratto del Sovrano, ed invece ne osservò ben tre in tre distinte camere.

- Sì, ma sono ritratti bruttissimi, riprese il Professore.

- Se sono brutti, replicò D. Bosco, la colpa non è mia, ma di chi li ha incisi o dipinti; se fossero più belli piacerebbero anche più a me. Ma una cosa non può piacere a nessuno, ed è il nascondere il vero e travìsare i fatti al cospetto delle pubbliche Autorità, a danno di chi consacra la propria vita a sollievo delle umane miserie e soprattutto a vantaggio della gioventù abbandonata. Questa è una congiura contro la verità e la giustizia ; questo è un opprimere l'innocenza; questo è un ingannare il Governo.

Dalla franchezza con cui parlava D. Bosco e dalle contraddizioni e dai cavilli dei relatori il Ministro non tardò ad intendere da che parte stesse la ragione , onde - Basta , disse , basta così ; ho capito tutto. Ho capito che furono trasgrediti i miei ordini, e che per soprappiù mi si vorrebbe trarre in errore. Questo poi no. Ella, signor professore, vada pure in uffizio ; ci riparleremo in altre tempo.

Uscito l'ispettore il sig. Ministro proseguì a discorrere con D. Bosco, e disse

- Non mi pensava di essere così malamente servito. Questo peraltro mi è di norma per conoscere chi mi circonda. Ma intanto, per passare ad altro, ella, signor D. Bosco, mi dica un poco su qual fondamento poggiano tante dicerie , che corrono così sfavorevoli a lei e al suo Istituto. Qualsiasi segreto , qualsiasi fatto anche compromettente me lo confidi come ad amico, e l'assicuro che non ne avrà danno, anzi, occorrendo, le darò opportuno consiglio.

- Mille grazie, Eccellenza , io le rendo della cortesia e della bontà con cui mi parla. Confidenza domanda confidenza. Orbene, da quanto ha udito poc'anzi dai due relatori , ella può argomentare di tutte, le altre imputazioni. La malignità e l'ignoranza accumularono menzogne sopra menzogne; queste furono segnalate dalla stampa avversa ai sacerdoti e agli Istituti di cristiana educazione; alcuni impiegati governativi le raccolsero e le vollero ritenere per verità, e in tal modo si andò formando una falsa opinione a mio danno, o meglio a danno de' miei giovanetti, che si vorrebbero da me allontanati, cacciati e dispersi. Ecco l'origine , ecco il fondamento delle male dicerie. Finora io non fui e non sono combattuto che colle armi della calunnia , e lo dico e lo affermo senza timore di essere smentito. Sono oltre a 20 anni che dimoro in Torino, e il più di tal tempo passai o sulle pubbliche piazze coi figli del popolo , o nelle carceri coi prigionieri, o negli ospedali cogli ammalati. Ho tenuto conversazioni con ogni ceto di persone , ho predicato , ho fatto catechismi , ho scritti e pubblicati libri. Ora sfido chiunque a citarmi una parola, una linea, un fatto che meriti biasimo in faccia alle Autorità, in faccia alle leggi, e ove si citi e si provi sono contento di essere severamente punito. Debbo invece aggiungere con dolore che sono malamente corrisposto da chi dovrei essere, se non rimunerato , almeno rispettato e lasciato tranquillo. Non parlo dei capi del Governo, non parlo della E. V.; ma di certi subalterni, i quali o per la vanagloria di essere creduti zelanti e progredire in carriera, o per un futile puntiglio, o per un sordido guadagno, si giovano del loro posto per tribolare gli onesti concittadini, a costo financo di compromettere i reggitori della pubblica cosa.

- Mi piace questo schietto parlare e le ripeto che questa sua confidenza non rimarrà senza effetto ma non ha ella pubblicata una Storia d'Italia, che mi dicono contenere principii e massime incompatibili coi tempi nostri?

- La Storia d'Italia, a cui fa cenno la E. V., fu scritta colla miglior volontà di un cittadino. Appena stampata ne mandai copia al Ministro della pubblica istruzione, Giovanni Lanza, il quale la fece esaminare, e, trovatala preferibile a tutte quelle che correvano per le scuole, la encomiò , diede un premio di mille lire all'umile autore , e poco dopo venne annoverata tra i libri da distribuirsi in premio nelle pubbliche scuole. Essa fu presa ad esame e lodata da uomini competenti in materia, e tra gli altri da Nicolò Tommaséo, i cui principii lascio alla E. V. il giudicare se siano incompatibili coi tempi nostri. Fra le altre cose egli dice di questa mia opera - « Ecco un libro modesto che gli eruditi di mestiere e gli storici severi degnerebbero forse appena di uno sguardo, ma che può nelle scuole adempire gli uffizi della storia meglio assai di certe opere celebrate. » Ora non capisco come un libro cotanto beneviso al Ministero e lodato da uomini di tal fatta sia divenuto pericoloso allo Stato.

- Io ne ho letto una parte, e davvero che non vi ho trovato quel malaccio che taluni vanno dicendo. Tuttavia , dacchè ne uscì la prima edizione, i tempi subirono un radicale cambiamento, le idee vestirono nuova forma, e parmi che sarebbe anche bene che ogni volta che il pollo vien portato in tavola fosse pure diversamente condito e accompagnato con novello intingolo. Che ne pare a lei?

- Che ciò si faccia coi polli da portarsi a mensa non ho che ridire, ma giudico che questo non si possa praticare coi fatti storici. La storia è sempre la stessa, perchè il vero non può essere falso , come il bianco non può essere nero. I fatti avvenuti una volta non mutano col mutare dei tempi, e perciò vanno presentati al pubblico come sono succeduti, e non già travisati o ravvolti in abiti oppure in intingoli, che li facciano apparire tutt'altro da quello che sono; altrimenti la storia, cangiando col cangiar di gusto o di testa di chi la racconta o di chi la scrive, invece di farsi stabile e verace maestra della vita, diverrebbe una mascherata, una contraddizione, una congiura contro la verità.

- E vero ; le idee degli uomini variano, mentre i fatti tramandati dalla storia veridica ed imparziale non variano più. Tuttavia io consiglio la S. V. a rileggere la sua Storia, e riscontrando certi riflessi, che pugnano troppo apertamente colle idee del giorno , li modifichi a segno che non offendano la suscettibilità di taluni. Mi ha ella compreso?

- Ho compreso benissimo, signor Ministro, e se la E. V. si degnerà di farmi notare le cose meritevoli di modificazione, le do parola di farne tesoro per la prima ristampa del povero mio lavoro.

- Siamo dunque d'accordo; ed ora lei vada tranquillo, chè niuno andrà più a recarle disturbo. Nascendo difficoltà intorno alle sue scuole, venga pure direttamente da me e non dubiti. Finchè io sarò al Ministero della pubblica istruzione, lei avrà il mio appoggio e la mia protezione.

- Ringrazio V. E., conchiuse D. Bosco, di sua alta benevolenza , e io non potendo altro pregherò e farò pregare i miei giovanetti, che Iddio le conceda in compenso una vita lunga e felice, e a suo tempo una morte preziosa.

Questa conversazione scongiurò non solo la minacciata tempesta, ma pose la corona all'edifizio, o, per meglio dire, assicurò il frutto della vittoria alle nostre scuole , anzi a tutto l'Oratorio. Imperocchè il Ministro della pubblica istruzione si persuase che D. Bosco, non avendo altro di mira che il giovare alla gioventù povera ed abbandonata, non era uomo da incutere timore al Governo, e intanto si premunì contro i nostri calunniatori. Il Gatti a sua volta cominciò ad esperimentare la verità del proverbio che dice Tanto va la gatta al lardo che vi lascia lo zampino, e potè capire che se quel giorno ebbe a confondersi così da entrare persino in un armadio, avrebbe potuto in altra occasione cader di seggio e rompersi la testa, e quindi rallentò la guerra ingiusta e vile ad un tempo che moveva contro di noi. Dal canto suo il regio Provveditore, vedendo che dal Ministero più non gli si contrastava la legalità di sua approvazione ai nostri insegnanti, ne fu lieto anch'esso, e si convinse che il favorire D. Bosco non gli cagionava alcun danno, e ci continuò la sua benevolenza.

Oltre a queste buone conseguenze , altre ancora ne derivarono pur degne di essere qui segnalate. Interrogando D. Bosco sui fatti riferiti, lo abbiamo più volte udito a dire : - Dio è buono, Dio è grande ed onnipotente. Egli spesso permette tribolazioni, ma per trarne maggior bene, e mostrare la sua misericordia e la sua possanza. Gravi disturbi ci cagionarono le perquisizioni, ma finirono con nostro vantaggio, e dall'amaro ne uscì il dolce. - Così fu realmente. Anzitutto il Governo ebbe ad assicurarsi che le nostre relazioni compromettenti coi Gesuiti, coll'Arcivescovo Fransoni, col Papa non erano che prette invenzioni, come era invenzione che questi personaggi facessero cosa disdicevole al loro carattere; e i delatori furono riconosciuti per mentitori solenni. Insieme col Governo anche le Autorità inferiori si convinsero che, non ostante il mutar dei tempi e della politica, D. Bosco ed i suoi sapevano conciliare il dovere di buoni cattolici con quello di onesti cittadini, e perciò cessarono dal prenderci in sospetto, e, se non sempre ci favorirono, ci lasciarono peraltro abbastanza liberi nel fare il bene secondo il nostro scopo. Le prefate vessazioni ci fecero anche meglio avvisati del radicale cangiamento dell'ordine pubblico. Prima le case che avevano anche sola aspetto di beneficenza o scopo religioso, od erano amministrate da famiglie religiose , venivano lasciate libere a se stesse senza che le Autorità governative vi s'immischiassero ; ma da quel tempo in poi si volle regolare ogni cosa a rigore di legge e mettere la mano dappertutto. Per la qual cosa D. Bosco fu in tempo di provvedere ai nuovi bisogni, e prevenire i pericoli a cui parecchi altri istituti andarono esposti. A quest'uopo si trovò non solo opportuno, ma indispensabile di assoggettarsi a subire gli esami di abilitazione all'insegnamento elementare, classico ed universitario, a fine di poter aprire collegi , sostenere scuole pubbliche e private, e non vedersi esclusi dalla istruzione e dalla educazione della gioventù, con gravissimo danno della religione e della civile società; e perciò D. Bosco fu il primo in quei tempi che diede l'esempio a far preparare e mandare giovani, chierici e preti a prendere esami pubblici, onde riportarne legale diploma ; esempio seguito poscia dai Vescovi e financo a Roma sotto gli occhi del Romano Pontefice. Si trovò pure vantaggiosa e da adottarsi la massima, nelle case nostre costantemente osservata, di non immischiarsi in politica né pro nè contro, e perchè la politica non è pane per giovani, e perchè in tempo di partiti trattando di politica è facile lasciare sfuggire espressioni, che a chi siede al Governo possono dare pretesto a malignare contra all'intero Istituto , ed anche perchè un superiore, un maestro, un capo d'arte non deve essere uomo di partito, ma avere per unico fine dell'opera sua la savia istruzione e la morale educazione de' suoi allievi. Quindi è che presso di noi ciascuno è libero di tenere in politica un'opinione più che un'altra, purchè acconsentita dalla Chiesa, ma a niuno è permesso di farne in casa soggetto di disputa o trattarne pubblicamente co' giovani, come pure non si tengono associazioni a giornali politici. I tempi, i luoghi e la prudenza diranno quando tali massime avranno da subire modificazioni.

Vantaggio non da passare sotto silenzio fu eziandio il gran credito, che d'allora in poi andò acquistando il nostro Oratorio nella pubblica opinione; imperocchè i buoni, vedendolo vessato al pari di tanti altri rinomati ed ottimi Istituti, gli conservarono ed accrebbero la stima che già ne avevano, ed i cattivi o gli avversari scorgendo che, non ostante il gran chiasso fatto dalla pubblica stampa e le più minute inquisizioni praticate dallo stesso Governo, allo stringere dei conti non erasi trovato presso di noi alcun che di biasimevole, deposero il mal animo che in buona o mala fede avevano contro di noi concepito, e ci riconobbero non immeritevoli di loro simpatia.

Questa buona opinione si sparse non solo in Torino, ma al difuori e per tutto il regno; onde accrebbe di tanto il numero delle dimande per ottenere l'accettazione di giovanetti tra noi, che fu d'uopo pensare all'apertura di altre case, corne da più luoghi facevasi istanza. Molti prelati, tra cui mons. Luigi Calabiana, vescovo di Casal Monferrato, e varii Municipii, come quelli di Lanzo, di Cherasco, di Alassio, di Varazze, furono i primi ad intavolare trattative con D. Bosco, per avere un suo collegio nelle rispettive loro Diocesi e Comuni. Per tal guisa cominciavano ad avverarsi le parole rivolte a D. Bosco dal servo di Dio, il canonico Luigi Anglesio, rettore della Piccola Casa della Divina Provvidenza , successore del venerabile Cottolengo. Il giorno dopo alla prima perquisizione , venuto egli personalmente a congratularsi con D. Bosco della patita violenza, gli disse : - Si rallegri nel Signore , mio caro D. Bosco. L'opera sua fu provata. Quando cominciò la persecuzione contro gli Apostoli. questi uscirono da Gerusalemme e andarono a portare la fede anche in altre città, in altre contrade, e così avverrà della sua istituzione.

Ma se le violenze , che abbiamo narrate in questo e nei capi precedenti, furono per noi fonte di benedizioni, non possiamo dire che siano state altrettanto per coloro, che le hanno ordinate ed eseguite. E questo appunto ci pare luogo acconcio a segnalare un fatto, nel quale si scorge la Giustizia di Dio aver fatto pesare tremenda la sua mano sopra colui, che più colpevolmente attentò alla distruzione del nostro Oratorio. Ci è testimonio il Signore che noi fummo sempre lontani dall'invocare e dal compiacerci delle disgrazie che incolsero i nostri nemici; anzi ci ricorda che nei giorni in cui più accanitamente ci tribolavano, D. Bosco, nel farci sperare che le cose sarebbero riuscite a bene, ci raccomandava sempre che pregassimo per essi, affinchè aprissero gli occhi a conoscere l'errore, dessero luogo a sentimenti di umanità, e così non demeritassero la divina misericordia. Pertanto, registrando qui le disgrazie ad uno di loro accadute, il facciamo con profonda commiserazione e coll'unico intento che servano di utile ammaestramento a chi legge.

Chi spiegò contro di noi uno zelo veramente degno di miglior causa, come ognun sa, fu il cavaliere, indi commendatore Stefano Gatti. Cominciò egli a darne prova sin dal 1860 come abbiamo a suo luogo narrato, e non siamo di certo debitori alla sua benevolenza, se allora e di poi le nostre scuole non furono chiuse, e disperse più centinaia di poveri giovanetti. Egli si argomentava di riuscire alla nostra rovina, come pur troppo era riuscito alla rovina di molti altri Istituti non dissimili dal nostro; ma il poveretto fu deluso nella sua speranza. Dal giorno che egli confuso non trovando più la porta andò a mettere il capo nell'armadio pare che la fortuna gli volgesse le spalle, ed un poeta direbbe che quell'armadio fu per lui un vaso di Pandóra, contenente tutti i malanni del mondo. Infatti alcun tempo dopo cominciò ad avere una dolorosa sventura nella sua moglie, che , rotolando da una scala, si ruppe tutta la vita. Nel trasporto poi della capitale da Torino, indi da Firenze a Roma il Gatti sperava dimigliorare ancor sua sorte, e la sua attività l'avrebbe meritato, ma egli aveva dei conti aperti colla divina Provvidenza, quindi è che, caduto in uggia ai superiori ed agli eguali, non solo non progredì in carriera, ma ne andò discendendo ogni dì più; anzi, dopo alcun tempo, per le mene di un suo competitore, si vide financo privato d'impiego e posto in disponibilità. Questo inatteso contraccolpo, questo crudele disinganno influì sinistramente sopra le sue facoltà mentali ; ed il pover uomo si fece da prima cupo e melanconico ; di poi ebete e folle, e infine perdette affatto il bene dell'intelletto. In questo stato ora piangeva come un ragazzo, or gridava e smaniava come un energumeno, sicchè muoveva alla più alta compassione quanti lo vedevano o lo udivano. Condotto ad una casetta presso Felizzano sua patria, che in altri tempi gli aveva servito di amena villeggiatura, invece di migliorare, il mentecatto peggiorò al punto che divenne furioso. Colà, in un momento di maggiore alienazione, diede un terribile calcio a sua povera consorte, e poscia, presala per la testa, la sbattè più volte e sì fortemente nel muro che la uccise, sfracellandole il cranio. Poco dopo finiva egli pure sua vita privo di ogni umano conforto.

Potremmo qui prolungare assai la catena dolorosa delle sventure piombate sul capo di quelli, che più irosamente assaltarono l' esistenza del nostro Oratorio; ma facciamo punto per ora , bastando il sin qui esposto a raffermare il giudizio già espresso altrove, cioè che parve Iddio aver promesso anche a D. Bosco quello, che già prometteva al patriarca Abramo : - Benedirò quei che ti benedicono e maledirò quei che ti maledicono : Benedicam benedicentibus tibi, et maledicam maledicentibus tibi (1).

(1) Nel capo precedente invece di Amari fu stampato per isbaglio Mamiani, col quale avevamo avuto da fare nell'anno 1860, scaduto dal Ministero il 22 marzo dell'anno dopo.

(1) Gen. XII, 3.

IL CUOR DI GESÙ E LA MANSUETUDINE

W. il Cuor di Gesù

Sorge nella Palestina, la più rinomata regione dell'antica Siria, un monte, che poi fu detto delle Beatitudini e da cui si scorgono così bene e Safet, e l' Hermon, e le ampie valli del Genezaret. In quel monte, o meglio in uno spianato della china di quel monte, elevantesi tra lo Szaffad e il Tabor, avveniva 1854 anni sono uno dei fatti più memorandi nella storia dell'umanità, la promulgazione cioè di un novello statuto sociale. Ma gli articoli di questo statuto son ben differenti e nella sostanza e nella forma da quelli che costituiscono il codice delle società degli uomini. Mentre i legislatori americani del 1776, mentre i riformatori francesi di tredici anni dopo pongono a preambolo e a base de' loro organamenti sociali la dichiarazione dei diritti dell'uomo, Gesù invece comincia dalla dichiarazione dei doveri. Quelli agitano innanzi i nomi santi sì, ma sacrilegamente abusati , di libertà , fraternità ed uguaglianza, e fanno ciò con pompose ed ingannatrici parole, questi invece insegna anzitutto la pratica delle virtù, su cui si fonda l'esercizio di quei diritti. E perchè tutti indistintamente comprendano, e la parola sua sia candida rivelatrice del pensiero, Gesù vi adopera voci e frasi semplici ed umili, spiranti una vera soavità e fragranza. Che più? Quando gli uomini fan le loro proclamazioni tra i fragori di città popolose e le lautezze dei banchetti, Gesù sceglie la solitudine della campagna, e il risanamento morale dell'umanità fa precedere dalla guarigion fisica de' corpi, giacché , come osserva S. Luca, Egli guarì per prima cosa tutti i malati, che gli furono portati (1) ; prima le opere, e poi le parole, se pur non si deve dire che quelle guarigioni furono la prima parola del discorso della montagna.

Or chi non vede in tutto questo non solo la sovrumana sapienza, ma la bontà ineffabile del Cuor di Gesù! E poiché la natura sua è tutta dolcezza e mansuetudine, come soavità ed amore è la nuova legge da Lui predicata, noi vediamo perciò, subito dopo la povertà di spirito, collocarsi la mansuetudine: beati i mansueti, perchè questi, possederanno la terra (2). Eran desse queste parole non solo una ripetizione, ma il compimento la perfezione di quelle che tanti secoli innanzi aveva egli detto per bocca di Davide : i mansueti erediteranno la terra e godranno l'abbondanza della pace, (3) vale a dire di tutti i beni. E perchè Gesù non dava ammaestramento, che non fosse preceduto e come rischiarato dall'esempio, noi vediamo come la vita sua sia stata una continua serie di azioni e parole improntate alla più soave mansuetudine. Mansueto è colui che sa comprimere l'ira, che gli bolle in petto, suscitata in lui talvolta dalla malvagità degli uomini, tal altra dalle debolezze sue stesse, più spesso dalla' natura medesima delle cose, e quando quest'ira diventa una necessità, sa regolarla e governarla sì che non trasmodi. E l'orgoglio è l'eccessivo amor di noi stessi che nella mansuetudine vorvorrebbe farci ravvisare una pusillaminità , una debolezza , una viltà ; governare e vincere se stesso è invece l' atto più nobile e più grande di fortezza. Il mansueto risolve col fatte suo l'ingegnoso enigma, proposto un giorno da Sansone alla brigata degli amici (1), allorchè disse che dal forte era uscito il dolce, accennando al favo di miele che aveva trovato nella bocca del leone da lui poco prima ammazzato. Non è quindi a maravigliare se la mansuetudine rendendo l'uomo signore e padrone dì se stesso, lo nobilita e lo solleva al disopra di ogni cosa, se essa espugna e guadagna i cuori più riottosi, se ad essa infine sarà dato per l'infallibile promessa di Gesù, di far cessare un dì il regno della forza per sostituirvi quello della carità e della dolcezza. Ed è appunto in questo senso che vanno anche prese le parole evangeliche. Certo Gesù volle con queste insegnarci per prima cosa che a' mansueti è promessa in eredità la terra della vita avvenire, ossia il cielo, terra che si conquista colla longanimità e la pazienza. Ma questa conquista che forma la mercede primaria, essenziale dei mansueti, non esclude punto la seconda cosa, che cioè anche la terra presente sarà di loro, come quelli che sono davvero i cooperatori di G. C. e continuatori dell'opera sua nel riunire la specie umana, crudelmente lacerata e smembrata da' violenti. Infatti è Egli stesso che ci comanda di sforzarci a preformare quaggiù un'immagine del suo regno, onde meritare di possederlo nell'avvenire.

Ed ecco perché insieme coll'umiltà volle particolarmente e ripetutamente inculcata la mansuetudine, e l'una e l'altra praticò Egli nel modo giù eminente in tutto il corso di sua vita mortale. E Gesù infatti che ci comanda di apprendere da Lui l'umiltà e la mitezza di cuore (1), è Desso che dichiara amar meglio la misericordia che non il sacrificio (2); Egli che ci propone a modello il Padre suo, che fa levar il sole e manda la pìoggia sopra i buoni e sopra i cattivi (3), e a Pietro, che ne lo interroga, risponde che non solo sette volte si dovrà perdonare, ma sino a settanta volte sette, vale a dire senza limiti e senza misura; sempre (4).

E alle parole sue come mirabilmente corrispondono i fatti! Alla bestemmia dei Giudei che gli gridano esser Egli un indemoniato, il mansuetissimo Gesù o tace (5) o semplicemente risponde non esser Egli un indemoniato (6), continuando intanto con l'usata amorevolezza ad istruirli, come se gli avessero detto un elogio. Rimprovera con volto severo Giacomo e Giovanni che nel bollore dello sdegno chiedono fuoco e fiamme sopra i duri Samaritani aggiungendo che lo spirito suo è mansuetudine, dolcezza ed amore (7). Che più? Al bacio di Giuda traditore non risponde forse il Cuor di Gesù che chiamandolo amico? Che se qualche volta fu veduto pigliar un tono severo e scendere eziandio ad acerbi castighi, ciò fu solo contro gli scandali de' farisei ed i sacrilegj de' profanatori del tempio, come per insegnarci che mansueto non vuol dire rimanersene inerte, impassibile, quando i lupi fanno strazio del gregge e quando gli scandalosi trascinano i semplici all'eterna rovina.

Ed ecco quello che dobbiam fare anche noi, se vogliamo essere davvero devoti del Cuor di Gesù, imitare cioè la mansuetudine di Lui e nelle parole e nelle azioni. Così faceva quel modello di mansuetudine e d'umiltà che fu il nostro San Francesco di Sales , il quale appunto all' eminente pratica di queste due principali virtù del Cuor di Gesù dovette l'alta sua santità, la conquista di tante anime e la propagazione così maravigliosa del regno di Gesù Cristo.

Ma praticar noi e raccomandar agli altri queste due virtù non basta a' bisogni spirituali dei nostri tempi. Fu detto, ed è vero pur troppo, che il maggior peccato del secolo XIX è quello di essere senza cuore. Or bene vogliam noi che questo gran peccatore ritorni al suo Dio, e nuovi giorni di carità e d'amore riappariscano sulla terra? Affrettiamo con le preghiere e con le limosine il giorno fortunato della consacrazione di quel tempio, dove avrà sua stanza il Cuor di Gesu umile e mansueto: quel giorno segnerà eziandio il principio d'una novella éra di soavità e di pace.

(1) c. VI, 19.

(2) Beati mites quoniam ipsi possidebunt terram. Matt. c. V. v. 4.

(3) Mansueti autem hereditabunt terram, et delectabuntur in multitudine pacis. Salmo 36°.

(4) Giudici XIV, 8.

(1) Matt. XI, 23.

(2) Matt. IX, 13.

(3) Luc. VI, Matt. V. (4) Matt. XVIII. (5) Giov. VII, 20. (6) Giov. XVIII, 49. (7) Luc. IX.

MISSIONE DELLA PATAGONIA

Concezione del Chilì, 16 marzo 1886. MOLTO REVERENDO SIG. DIRETTORE,

Dopo tanto tempo che desiderava scriverle, finalmente si offre una bella occasione onde realizzare il mio intento, e le scrivo da un punto senza dubbio il più remoto di nostra Congregazione.

Il tre dicembre dello scorso anno partivamo D. Panaro, io ed un catechista per una Missione a Malbarco. Durante il tragitto dovemmo fare più stazioni, onde proporzionare alla gente comodità di partecipare della Missione.

Avendo percorso 230 leghe, dopo d'aver sofferto le conseguenze di un sì lungo viaggio con una infermità cagionatami dal calore e dalla qualità dei cibi , infermità tanto più breve quanto più violenta, per cui dovemmo fare stazione per 5 giorni in mezzo di un campo estesissimo, arrivammo finalmente a Malbarco sul finire di gennaio. Il Signore e la Vergine vollero benedire le nostre povere fatiche, sicché potemmo battezzare già circa 400 indigeni, la maggior parte piccoli, e 250 altri figli di cristiani. Di più si autorizzarono 22 matrimoni e si distribuirono 500 comunioni. Ma ci resta ancora un lunghissimo tratto da percorrere sulle falde delle Cordigliere, dove speriamo colla grazia di Dio raccogliere ulteriori frutti di benedizione.

In due occasioni ho dovuto passare al Chili traversando le Ande in due differenti punti, onde provvedere il necessario per la Missione. Ho visitato di passo Antuco, Los Angeles, Chillan, San Carlos e ultimamente la Conception. Mi ha sorpreso udire tanti elogi al P. Bosco ed a' suoi Salesiani. Alloggiai in casa delle Suore della Provvidenza , il cui fine è di educare le giovanette povere ed abbandonate. Quelle buone Suore furono per me una singolare Provvidenza, avendomi mantenuto per più giorni e provvisto di varie coserelle per la Missione. In generale tanto il clero quanto i religiosi amano i Salesiani, e sospirano quel giorno in cui fonderanno qualche casa nel Chilì. Lo stesso presidente Santa Maria simpatizza per la nostra Congregazione. Si racconta che un giorno le Suore della Provvidenza di Santiago avendogli presentato un libro che parlava dello scopo dei Salesiani, s'intenerì, e insistendo le Suore perché chiamasse alcuna delle Congregazioni che avesse cura dei ragazzi, i quali, arrivati a una certa età, esse dovevano abbandonarli, non permettendo le loro regole tenerli, disse il Presidente : si chiamino i Salesiani. Dovunque mi trovai, fui trattato con squisita cortesia solo perchè era salesiano e figlio di D. Bosco.

Il vicario diocesano, canonico D. Domenico B. Cruz, al ricevere la mia visita, mi abbracciò, dicendo: Mi permetta che abbracci un figlio di D. Bosco, che pel primo entrò alle nostre terre. Con lui tenni una lunga conversazione sopra il fine di nostra Congregazione, sebbene ei già lo sapesse per mezzo del Bollettino. Mi fece accompagnare dal Notaio ecclesiastico a vedere la casa che già tiene preparata in un canto della città, per convertirla in una scuola d'artigiani appena che gli si mandino alcuni Salesiani. Il terreno di quella casa è un quadra quadrata che equivale a circa 130 metri quadrati. E sta in trattative per comprare altro terreno attiguo al medesimo, per maggior comodità. L'edifizio che si sta facendo e che dentro pochi mesi si terminerà è un quadrato di fabbrica di 60 metri. Dei 4 lati , 3 sono di fabbrica ed uno di muro di cinta, che serra il quadrato.

Altro sacerdote molto interessato per chiamare i Salesiani alla Concezione del Chilì è un certo D. Esperidion Herrera, segretario del Vicario e incaricato dei lavori della suddetta casa, anzi è desso che concorre alle spese dell'edifizio. Costui avendo letto sul Bollettino i principii dell'Oratorio, radunò alcuni giovanetti poveri e li va educando sul sistema di D. Bosco. Ma come le occupazioni della segreteria e le attribuzioni di cappellano delle Suore della Provvidenza gl'impediscono di prendersi di essi cura continua, desidera che presto vengano i Salesiani per ceder loro la casa, d'accordo col Vicario, al quale fu fatta la donazione del terreno.

Vorrebbe pure il Vicario dare ai Salesiani due parrocchie da istituirsi una in Traiguen (Traighen) e l'altra in Vittoria sulle rive di un fiume, il cui nome non ricordo per ora, però so che appartengono al territorio dell'Araucania, in cui i pochi Indiani rimasti sono convertiti al cristianesimo e confusi con gli emigranti europei. Sono più di 5 mila individui i quali vivono e muoiono senza l'assistenza del prete. Ciò sta molto a cuore del signor Vicario, tanto più che aumenta quella popolazione di giorno in giorno col contingente europeo, e specialmente di Svizzeri ed Italiani. Egli già ottenne dal Presidente terreno per edificare casa e chiesa.

Queste case sarebbero di sommo vantaggio per le Missioni della Patagonia, e specialmente per fornire del necessario i Missionari sulle falde delle Ande. Queste montagne presentano più passaggi in differenti punti. Perciò il Missionario trovandosi al lago Nahuel-Huapi in tre o quattro giorni, potrebbe passare a Vittoria o a Traiguen, e da Malbarco alla Concezione. Ultimamente in un giorno e mezzo di marcia sul dorso d'una mula venni al Chilì in un paese detto S. Carlo. Per le suddette ragioni faccia in modo d'interessare D. Bosco ed il Capitolo Superiore perché mandino quanto prima degli operai salesiani in questa regione.

I miei compagni le presentano i loro più cordiali omaggi e tutti insieme supplichiamo V. S. M. R. che preghi per noi e saluti per noi il comun Padre D. Bosco, D. Rua e gli altri cari Superiori, a cui auguro ogni bene.

Suo affeziona tissimo

Sac. DOMENICO MILANESIO.

PS. Se vedrà la mia cara madre, la saluti per me e le dia delle mie notizie.

ELENCO DEI COOPERATORI E COOPERATRICI DEFUNTI NEL 1885.

554 Taradini Conte Ferdinando - Modena. 555 Tarantola Cav. Giuseppe - Novara. 556 Testa Giovanni - Bra (Cuneo)

557 Thaler Liduina - Cavalese (Austria-Tirolo).

558 Titis D. Riccardo, Can. - Andria (Bari). 559 Tincatti Maria - Gallio (Vicenza).

560 Tivano D. Domenico, Prev. - Casellette (Torino).

561 Toesca Suor Maria Veronica - Stradella (Pavia).

562 Toffanin Gio. Batt. - Caldogno (Vicenza). 563 Tortone Francesco - Torino. 564 Tramarin D. Egidio - Pincara (Rovigo). 565 Traversi D. Nicola, Can. - Cave (Roma). 566 Trentin D. Giuseppe, Care. - Treviso. 567 Trevisan D. Gio. Batt., Vic. For. - S. Vito al Tagliamento (Udine).

568 Trezzi Luigi - Balsamo (Milano). 569 Trinca Pietro - Sondrio.

570 Trisoglio Francesca - Lu (Alessandria). 571 Tubino D. Felice, Can. Arcip. - S. Margherita Ligure (Genova).

572 Turriccia Mons. Ambrogio -Roma. 573 Ubicini Maria - Pavia.

574 Ugolini Carlotta - Fumane (Verona).

575 Vaccari D. Gio. Batt. - Gambano (Piacenza).

575 Vailati Gaetano - Caravaggio (Bergamo). 576 Vailati Maria - Orzinuovi (Brescia). 577 Vallero Angela - Torino. 578 Vanini D. Anselmo, Parr. - Fossolo (Bologna).

579 Vecchi D. Domenico - S. Martino in Rio (Reggio Emilia).

580 Vecchi D. Lorenzo, Can. - Orvieto (Perugia).

581 Venier D. Antonio, Can. Arcip. - Mirano (Venezia).

582 Venuti D. Gerolamo - S. Vito di Fagagna (Udine).

583 Verdi D. Angelo - Treviso.

584 Vernetti Carlo - Cuorgné (Torino).