BS 1920s|1921|Bollettino Salesiano Dicembre 1921

BOLLETTINO SALESIANO

PERIODICO MENSILE DEI COOPERATORI DI DON BOSCO

ANNO XIX - N. 12   DICEMBRE 1921

IN MORTE DI DON ALBERA

SULLE ORME DI DON BOSCO - L'ULTIMO ANNO DI DON ALBERA (GLI ULTIMI MESI = LA MORTE = ESTREME ONORANZE UNIVERSALE RIMPIANTO - IL PLEBISCITO DELLA STAMPA.

REDAZIONE L AMMINISTRAZIONE - VIA COTTOLENGO, 32 - TORINO (9)

IN MORTE DI DON ALBERA

La dolorosa notizia è già corsa da un capo all'altro del mondo, e quindi nota a una gran parte dei nostri lettori. Dopo una giornata di lavoro e di preghiera, la mattina del 29 ottobre il nostro venerato Rettor Maggiore Don Albera, il superiore, il padre, l'amico delle anime nostre, serenamente si addormentava nel Signore, in età di 76 anni, 4 mesi e 23 giorni. Da qualche tempo la sua salute era scossa, e non ci avrebbe sorpreso il suo aggravarsi da un momento all'altro; ma non ci aspettavamo davvero la catastrofe, molto meno in modo così repentino.

« Sia fatta la volontà del Signore! » ripetiamo oggi con lo strazio nel cuore e gli occhi pieni di lagrime, come il giorno in cui avvenne: Sia fatta la volontà del Signore!... Ma insieme sia Egli ringraziato e benedetto per averci dato, dopo Don Bosco e Don Rua, un terzo padre, degno di raccogliere la loro eredità.

Don Albera, dotato d'ingegno sodo e profondo e di memoria forte e precisa, fin da giovane rivolse tutta la sua attività a formare lo spirito alla pietà soda e illuminata che doveva essere la sua vita. E si formò prima e sempre alla scuola di D. Bosco; del quale studiava gelosamente tutti gli insegnamenti: conservabat omnia verba..., conferens in corde suo. Anche gli altri studi (chè era studioso assiduo e amante di ogni sana coltura) a questo indirizzò: che nutrissero la pietà e dalla pietà avessero l'impronta.

E la pietà fu il segreto della sua riuscita.

Chi non ricorda il suo zelo per nuove imprese e per assicurare florida vita alle esistenti? la sua carità, generosa ed aperta, così nella guerra, come nei terremoti, e in tanti bisogni spirituali e temporali del popolo, e specialmente della gioventù? il suo amore per gli Oratorii festivi? la cura paterna del governo della Pia Società e delle Figlie di Maria Ausiliatrice, e quel trovarsi presente a tutti i minuti ma importanti affari della Società Salesiana?

Tante opere, compiute da un uomo così parco nelle parole, così sobrio nel gesto, così misurato nei movimenti ci sorprendono quasi, ma acquistano maggior valore ed efficacia quando si riportino alla loro radice, che è la vita interna di pietà, nella quale tutta la sua vita si raccoglieva, e ne riceveva quell'impronta di semplicità e di compostezza che fu in lui così caratteristica.

Il detto di S. Paolo: pietas ad omnia utilis est, ebbe in lui la, piena prova di fatto, che si rivelava a ogni istante nella vita pratica, con la completa osservanza della vita comune, con l'esatto adempimento delle pratiche religiose, con la calma operosità, con la dignitosa semplicità del contegno, con la delicatezza del tratto, che tanta attrattiva esercitava su chi lo avvicinasse.

Oh! la bellezza dell'anima del, nostro terzo Padre! « In giovinezza - disse bene il Momento - Don Albera pareva quasi un asceta. Severo e puro, non tollerava debolezze e impurità. Incuteva rispetto e venerazione. Invecchiando, la sua purezza virginea e la sua esperienza diventavano ogni giorno più attraenti e cordiali. In questi ultimi tempi la sua serena bontà s'era fatta più commossa e quasi materna. Sorrideva a tutti, anche quando per la consolazione gli si riempivano gli occhi di lagrime.

E allora benediceva, agitando le braccia, in atto di stringere tutti al petto ».

Così la sua immagine paterna viva sempre nell'anima nostra, mite, vigilante, stimolatrice al bene... Così splenda all'anima dei nostri lettori..,

È il voto che deponiamo sulla sua tomba!...

Sulle orme dì Don Bosco.

La grandezza della figura morale. di Don Albera, come Rettor Maggiore dei Salesiani, sta tutta nel fermo proposito di calcar fedelmente, senza restrizioni e senza alcun: sottinteso, le orme di Don Bosco e di Don Rua. Questa è la vera gloria degli undici anni del suo rettorato, cui lo chiamò la fiducia dei Confratelli il 16 agosto 1910.

« Iddio sa! - egli scriveva - quale angoscia abbia torturato il mio cuore in quella congiuntura, quante lagrime abbia versate, quale senso di scoraggiamento mi abbia assalito! Appena mi fu possibile, corsi a gettarmi ai piedi del nostro Ven. Padre, lamentandomi fortemente con lui perchè avesse lasciato cadere in sì misere mani il timone della navicella salesiana. A lui, più col pianto che colle parole, esposi le mie ansie, i miei timori, la mia debolezza; e perchè mi era giocoforza portare la pesantissima croce che era stata posta sulle vacillanti mie spalle, lo pregai con tutto fervore perchè venisse in mio aiuto. Mi alzai da quel sacro avello di Valsalice, se non del tutto rassicurato, almeno più fidente e rassegnato. Non occorre aggiunga che promisi a Don Bosco e a Don Rua che nulla avrei risparmiato per conservare nella nostra umile Società lo spirito e le tradizioni che da loro abbiamo imparato (1) ».

(1) Lett. Circ. del 25 gennaio 1911.

Una preoccupazione.

La continua preoccupazione di Don Albera Rettor Maggiore, l'intimo pensiero che l'assillava, e diciam anche, lo torturava incessantemente, era il timore che per sua colpa, foss'anche involontaria, l'Opera Salesiana non avesse a perdere, pur in piccola parte, l'impronta che le aveva dato il Fondatore, e che Don Rua, in ventidue anni di paziente e illuminato lavoro e a prezzo d'incredibili sacrifici, era riuscito a perfezionare e consolidare.

« Spesse volte - scriveva l'8 dicembre 1910 - mi sorprende un pensiero che riempie l'animo mio di angoscia. Io temo che la nostra carissima Pia Società, opera meravigliosa del Venerabile Don Bosco, vasto campo irrigato da tanti sudori del compianto Don Rua, venga ad isterilirsi per la mia incapacità nel coltivarlo. Perchè ciò non succeda non la perdono ad alcun sacrificio, e poi prostrato innanzi a Dio lo prego di cuore che mi tolga di vita piuttosto che permettere che per la mia inettezza e negligenza abbia a perdersi fra di noi lo spirito del Venerabile Fondatore (1) ». Per questo motivo, senza punto preoccuparsi dei mezzi materiali per continuare tante opere e iniziarne delle nuove, abbandonato ciecamente alla Divina Provvidenza, teneva fisso il pensiero continuamente sui figli:

È immensa l'eredità che lasciarono i nostri desideratissimi Padri D. Bosco e D. Rua - scriveva trepidando il 25 gennaio 1911. - Ecco avverate le predizioni del nostro Ven. Fondatore riguardo al moltiplicarsi dei suoi figli. Da ogni parte, da ogni nazione anche lontana, molti giovani vennero volonterosi ad arruolarsi sotto la mite bandiera di D. Bosco, verificandosi il detto: fili tui de longe venient.

» Mentre io ammiro quest'abbondante messe di vocazioni che altre Congregazioni quasi c'invidiano, odo la voce che mi dice: tene quod habes. Guai se per tua negligenza qualcheduna di tali vocazioni avesse da perdersi.

» Il numero degli istituti salesiani crebbe talmente da formare la meraviglia di quanti ci amano e da eccitare l'ira e il dispetto dei nostri avversari. Se di tanta forza d'espansione provo dolcissima compiacenza, mi pare pure che mi si ripeta all'orecchio: tene quod habes. Guai se questi asili d'innocenza, queste palestre di virtù non sono ben custodite e coltivate!...

» Vedo con gioia indicibile moltiplicarsi gli Oratori, i Circoli giovanili, le Associazioni di antichi allievi. Queste sono opere veramente salesiane; sono desse la prova più perentoria che vive fra di noi lo spirito di D. Bosco e di D. Rua. Ma anche qui più che mai odo insistente la voce: tene quod habes. Pare mi metta in guardia contro qualche pericolo che minacci l'esistenza di queste provvidenziali istituzioni o ne diminuisca i frutti.

» Se poi ricordando i miei viaggi in America, considero il vasto campo che la Provvidenza affidò ai figli di D. Bosco fra quelle giovani Repubbliche e in mezzo ai poveri selvaggi che ancora vanno vagando fra quegl'immensi deserti e in quelle vergini foreste, mi sorprende il timore che venga meno fra noi lo zelo ardente dei nostri primi missionari, e che noi non corrispondiamo completamente ai disegni di Dio sulla nostra umile Società. Vedo purtroppo diminuire le domande di andare nelle missioni, e perciò mi si ripercuotono nella niente quasi colpi di martello le parole: tene quod habes... ».

(1) Pref. alle Lettere Circolari di D. Rua.

Spirito di pietà.

Con questa preoccupazione quotidiana nella niente, si propose di adoperarsi senza posa per mantener lo spirito di pietà, la vita di fede e l'esatta osservanza degli statuti della Società.

« Memori del grido di Don Bosco: Da mihi animas, spronati dall'esempio e dalla parola di Don Rua che quando si trattava di far del bene non diceva mai basta, i Salesiani ovunque piantarono le loro tende, misero mano a sì vaste imprese che parvero perfino superiori alle loro forze... Non v'ha dubbio che questo spirito d'iniziativa, questo ardore e questo non mai interrotto lavorio tornò a grande onore della nostra Pia Società e le attirò l'ammirazione e la lode di tutti i buoni... (1) ».

Ma « parlandovi col cuore alla mano, vi confesso che non posso difendermi dal doloroso pensiero e dal timore che questa vantata attività dei Salesiani, questo zelo che sembrò finora inaccessibile ad ogni scoraggiamento, questo caldo entusiasmo che. fu fin qui sostenuto da continui felici successi, abbiano a venir meno un giorno, ove non siano fecondati, purificati e santificati da una vera e soda pietà (2) ».

Tutto il sistema d'educazione insegnato da D. Bosco si poggia sulla pietà. Ove questa non fosse debitamente praticata, verrebbe a mancare ogni ornamento, ogni prestigio ai nostri istituti che diverrebbero inferiori di molto agli stessi istituti laici. Orbene, noi non potremo inculcare ai nostri alunni la pietà, se noi stessi non ne fossimo abbondantemente provvisti. Sarebbe monca l'educazione che noi daremmo ai nostri allievi, poichè il più leggero soffio d'empietà e d'immoralità scancellerebbe in loro quei principii, che con tanti sudori e con lunghi anni di lavoro abbiamo cercato di stampare nei loro cuori. Il Salesiano, se non è sodamente pio, non sarà mai atto all'ufficio di educatore. Ma il miglior metodo di insegnare la pietà è quello di darne l'esempio. Ricordiamoci che nessun elogio più bello potrebbe darsi ad un Salesiano, che quello di dire di lui, che è veramente pio. Ed è per questo che nell'esercizio del nostro apostolato noi, dovremmo sempre avere dinnanzi agli occhi il nostro Ven. D. Bosco, il quale anzitutto ci si mostra quale specchiato modello di pietà » (3).

(1) Lett. Circ. del 15 maggio 1911. - (2) ivi. - (3) ivi

Come D. Bosco

Don Albera ai Salesiani additò sempre in Don Bosco il santo.

« Far rivivere Don Bosco in noi, è il più bel monumento, con cui possiamo onorare la sua memoria e renderla preziosa e benefica anche ai secoli venturi. Leggiamo, studiamo con indefesso amore la sua vita, sforziamoci d'imitarlo nel suo zelo ardente e disinteressato per la salute delle anime, nel suo amore e nella sua illimitata devozione alla Chiesa e al Papa, in tutte le virtù di cui ci ha lasciato tanti preclari esempi. E facciamo tesoro dei suoi ammaestramenti, ricordandoci ch'essi non erano soltanto un frutto del suo non comune ingegno e della sua profonda esperienza, ma anche dei lumi soprannaturali che egli chiedeva con insistenti preghiere, e che gli erano largiti come premio della sua inalterabile fedeltà nel lavorare il campo affidatogli dal Signore (1) ».

Quest'amore e questo studio di Don Bosco lo voleva profondo specialmente nei sacerdoti. « Quanti entrano a far parte della nostra Pia Società, assumono con ciò stesso l'obbligo di vivere secondo lo spirito, gli esempi e gli ammaestramenti del suo Ven. Fondatore. Però questo dovere non obbliga tutti nella stessa misura: ai Superiori esso incombe più gravemente che ai semplici preti, a questi più che ai chierici e ai confratelli laici. Quindi solo il prete salesiano può far rivivere in sè Don Bosco in tutta la pienezza della sua personalità, perchè solo chi è prete può ricopiare integralmente un altro prete. Ma, ripeto, oltre all'averne la possibilità, egli ne ha lo stretto dovere. Se i SS. Padri della Chiesa dicevano che il sacerdote dev'essere un altro Gesù Cristo: Sacerdos alter Christus, non parati di chieder troppo ripetendo a ciascuno di voi: - Il sacerdote salesiano dev'essere in tutto e sempre un altro Don Bosco! - E aggiungo che per conseguire questo fine dobbiamo anzitutto scolpirci bene in mente quello ch'era solito dire il nostro buon Padre quando parlava dei sacerdoti: - Il prete è sempre prete, e tale deve manifestarsi ad ogni istante! »

A facilitare l'adempimento di questo dovere, solo il 19 marzo u. s. egli diramava ai suoi sacerdoti una lunga lettera su « Don Bosco modello del Sacerdote Salesiano », che è un vero trattato di perfezione sacerdotale.

(1) Lettera circolare del 6 aprile 192o.

Le grandi devozioni.

Gelosissimo dello spirito di fede tra tutti i confratelli, il caro Don Albera teneva in gran conto le pratiche di pietà; e, come Don Bosco e Don Rua, non si stancava d'inculcare sopratutto le grandi divozioni, che vorremmo dire caratteristiche, almeno per l'intimo sviluppo, della nostra Pia Società, e che sono in vero il lievito sacro della nostra vita.

« Noi sacerdoti dobbiamo amare e far amare le due divozioni che più ci ha inculcate il nostro Ven. Padre, cioè la divozione all'Eucaristia e quella a Maria Ausiliatrice. Dai suoi sogni egli aveva appreso come in questi ultimi tempi, in cui pare che il male trionfi e vada sempre più dilagando, l'Ostia Santa e l'Auxilium Christianorum dovessero ritenersi le due colonne fondamentali, i due primarii mezzi di salvezza per la società cristiana. Chi guarda la cosa superficialmente, potrà forse obbiettare che queste due divozioni sono di tutti i tempi e di tutti i fondatori di società religiose, e che perciò si esagera nel presentarle come proprie quasi soltanto dell'Opera di Don Bosco. È vero, sì, sono di tutti i tempi; ma il modo usato dal nostro buon Padre per diffonderle e per farle amare, e da lui lasciato in retaggio a' suoi figli, è nuovo e proprio tutto nostro. Questo modo, o meglio segreto, non è scritto in alcun libro, ma è diffuso nella vita e negli scritti di Don Bosco, e si respira, per dir così, in tutte le nostre case; perciò lo posseggono bene coloro che in queste hanno ricevuto la loro educazione; mentre quelli che vengono da noi in età più avanzata, più di rado riescono ad assimilarselo perfettamente. Questo semplice rilievo basta a farci capire come la diffusione delle divozioni suddette dipenda quasi unicamente dall'instillarle con azione insensibile ma costante nel cuore dei giovani, che la Provvidenza ci affida. E siccome non si può dare ciò che non si ha, così dobbiamo cominciare ad avere noi stessi questa divozione, questo vivo e fervente amore all'Eucaristia e a Maria Ausiliatrice, per poterlo comunicare agli altri (1) ».

(1) Lettera del 19 marzo 1921.

Amore al Papa.

Un altro grande amore, frutto genuino della fede profonda, avvampava nel cuore di Don Albera, e ne spronava ogni passo e lo spingeva continuamente, come Don Bosco e Don Rua, a trasfonderlo nei suoi: il rispetto, l'ubbidienza e la devozione al Papa.

« Se già è dovere di ogni buon cattolico il professare il rispetto più profondo e l'amore più intenso verso il Supremo Gerarca della Chiesa, tanto più lo debbono fare i Salesiani perchè figli di Don Bosco. Noi dobbiamo far propri i sentimenti del nostro Venerabile Fondatore D. Bosco verso la persona del Sommo Pontefice, ed è questo che sul letto di morte ci raccomandò il compianto suo successore D. Michele Rua. Quindi:

» 1° Accettiamo incondizionatamente qualunque insegnamento, qualunque decisione dottrinale del Papa. In questi atti vi è sempre la parola del Vicario di G. C., del Successore di S. Pietro, del Maestro, divinamente costituito e divinamente assistito, di tutti i fedeli. Ricordiamo che è cosa perniciosa e pericolosissima il distinguere nel Papa, quando esercita gli atti del suo ministero, la persona pubblica e la persona privata. Da noi la sua voce sia sempre venerata come la voce di Dio.

» 2° Sia da noi con filiale devozione accettata e puntualmente eseguita ogni prescrizione, ogni disposizione del Sommo Pontefice e delle SS. Congregazioni Romane, sia che riguardi la Chiesa in generale, sia che riferìscasi alla nostra Pia Società. Non solo i comandi, ma i desiderii e le raccomandazioni del Papa siano da noi accolte prontamente, sinceramente e con riverente ossequio della mente e del cuore.

» 3° Professiamo pure rispetto e prestiamo

la dovuta obbedienza al Vescovo nella cui diocesi trovasi la nostra casa, e stimiamoci fortunati quando ci è dato di rendergli qualche servizio a bene delle anime (1) ».

E insisteva, insisteva perchè i Salesiani non si limitassero a professare, individualmente, profonda riverenza e illimitata devozione al Papa, ma procurassero di diffondere gli stessi sentimenti. Quanto non godette allorchè, per mezzo dei suoi, vide la « Festa del Papa » estesa a tutte le Repubbliche Americane!

Poste queste basi, era logico e naturale che anche nelle singole manifestazioni dell'apostolato esteriore Don Albera si studiasse di ricopiare fedelmente Don Bosco e Don Rua.

Tutte le tradizioni di Don Bosco, tutte le note caratteristiche della sua figura, furono da lui amorosamente rintracciate, studiate, e inculcate con immutata fedeltà.

(1) Lett. Circolare del 25 dic. 1911.

Gli Oratori Festivi.

Tre infatti sono le grandi linee d'azione che mostrò costantemente ai suoi, tre le sue raccomandazioni più vive.

Le più care insistenze di Don Albera erano per gli Oratorii festivi.

« Fui sommamente lieto - scriveva - che il primo Congresso, da me presieduto quale Rettor Maggiore, sia stato quello degli Oratorii festivi e delle Scuole di Religione. Parventi felice auspicio, con cui Don Bosco e Don Rua si degnarono pormi in mano direttamente la Magna Charta della nostra Pia Società, perchè la facessi praticare in tutta la sua ampiezza. In quelle adunanze compresi una volta più tutta l'importanza di quest'opera prediletta da D. Bosco e quanto lungo cammino ci resta ancora prima di raggiungere la mèta intravveduta dal Venerabile Padre nei suoi sogni della salvezza della gioventù di tutto il mondo per mezzo dell'Oratorio Festivo (2) ».

E dichiarava solennemente:

« Quantunque la nostra Pia Società metta mano a svariatissime imprese, conviene però che tutte mirìno a produrre il frutto prezioso e naturale della Società stessa, che è l'Oratorio festivo: facendo altrimenti non meritiamo di essere considerati veri figli del Padre

» Quante conversioni ed insperati ritorni al bene si devono il più delle volte all'influenza che esercita insensibilmente un giovane dell'Oratorio. L'Oratorio, o miei cari, è l'opera nostra per eccellenza, e non si direbbe buon figlio di D. Bosco quegli che non avesse la passione dell'Oratorio festivo. Il Salesiano che ha tale passione farà

sempre del bene ovunque. Tutti, direttamente o indirettamente, dobbiamo amare e favorire questo genere di apostolato.

» Il più bel giorno per me è quello in cui mi si dà notizia che sorge per opera nostra un nuovo Oratorio festivo. Non solo tutte le case dovrebbero farne nascere uno, compiendo così il voto ardente del cuore dell'indimenticabile D. Rua, ma se le circostanze di tempo e di luogo lo permettessero, anche più Oratorii potrebbero essere appoggiati alla medesima casa, impiegando in essi e sacerdoti e chierici e coadiutori, perchè si esercitino in ciò che è parte principale dello scopo della nostra Società (1) ».

(2) Lettera edificante del 31 maggio 1913. (1) ivi.

Le Missioni.

Un'altra viva raccomandazione di Don Albera era a favore delle Missioni. Egli che dal 1900 al 1903 aveva visitato tutte le Case Salesiane di America, da Puntarenas a S. Francisco, che si era indugiato in Patagonia, nella Terra del Fuoco, nel Matto Grosso e nell'Equatore, ed aveva constatato de visu il fervore di quei neofiti chiamati alla fede per opera dei Figli di Don Bosco, aveva sentito in cuore avvampare lo zelo più ardente per estendere ad altre tribù ad altri popoli idolatri lo stesso benefizio. Ne son splendido pegno le sollecitudini per dotare di scelto personale il nuovo Vicariato Apostolico di Shiu-Chow nella Cina e la nuova Prefettura Apostolica del Rio Negro nel Brasile, e l'aver accettata, sol di quest'anno, un'altra immensa missione, la Prefettura Apostolica dell'Assam, dove, in mezzo a sette milioni d'idolatri che parlano più di sessanta lingue diverse, sono appena cinquemila quelli che conoscono Gesù Cristo!

Oh! come godeva il buon Padre, quando vedeva nei suoi il desiderio di andar missionari. « I bisogni così di personale come di mezzi si fanno sempre più sensibili ed io - insisteva - sento la necessità di far appello al cuor vostro, o buoni confratelli, per aiuto. Sì, vogliate ancor voi dividere con me un tanto peso, prendendo grandemente a cuore le nostre Missioni, primieramente con la preghiera e poi con l'opera» (2).

 (2) ivi.

Le vocazioni

Dare alla Chiesa molti sacerdoti, e buoni sacerdoti, fu l'ideale supremo di Don Bosco e di Don Rua: moltiplicare le vocazioni missionarie e sacerdotali fu anche un'altra grande sollecitudine di Don Albera.

« Lo sviluppo degli Oratorii festivi e delle Missioni, è in proporzione delle vocazioni coltivate, e queste, per mirabile intreccio di cose, hanno la loro naturale sorgente negli Oratorii e negli Istituti della Pia Società. Spetta a noi raccoglierle e coltivarle fino a maturità. La cultura delle vocazioni è per noi questione vitale, nè occorre ricordare le sollecitudini e gli esempi di Don Bosco, di D. Rua e di tanti altri cari confratelli per persuadercene. Chi di voi non ha impresso nella mente le meravigliose industrie dei Venerabile Padre per suscitare e coltivare nei suoi giovani la vocazione ecclesiastica? Quanti ancora fra noi possono ripetere, glorificando l'azione portentosa di D. Bosco: - Se io sono religioso, sacerdote, missionario, lo debbo unicamente a lui, che con mano esperta ha saputo sviluppare dentro di me la divina semenza e condurla a maturità! - Tutta la vita di Don Bosco è una prudente, ma premurosa, instancabile sollecitudine per le vocazioni ecclesiastiche, e ne provvide in abbondanza a molte diocesi che ne difettavano e poi alla nostra amata Società, e ben potrebbe essere appellato l'Apostolo per eccellenza delle vocazioni! (1) ».

Il pio Don Albera era convinto - e ripeteva questo pensiero negli ultimi giorni - che il bisogno più urgente della Chiesa e della Società nell'ora presente è quello di nuove vocazioni religiose e sacerdotali. Nel dilagare dell'indifferentismo religioso e nella scarsità di sacerdoti egli vedeva una stretta analogia tra i tempi di Don Bosco e i tempi nostri; e perciò vagheggiava il disegno di moltiplicare gli alunni delle nostre scuole ginnasiali, coll'accettarvi gratuitamente coloro che dimostrano vocazione al sacerdozio, per fornire la nostra Pia Società e le Diocesi di nuove vocazioni. Solo il 15 maggio di quest'anno egli diramava una lunga apposita lettera sulle vocazioni.

«La formazione delle vocazioni -- insisteva - dipende molto da noi »; « con la nostra buona condotta e carità possiamo averne quante ne vogliamo ».

Ed oh! la carità con cui egli s'intratteneva con i candidati al sacerdozio. Un buon seminarista ci scrive:

« Ritorno col pensiero a quei giorno fortunato, 11 maggio 1919, in cui ebbi la sorte di vederlo, parlargli, baciargli la sua mano di sacerdote.

Non dimenticherò mai il momento solenne, in cui egli, lo sguardo rivolto al Cielo, le mani levate, fece scendere su di me, inginocchiato ai suoi piedi, la sua benedizione. Allorchè fui per partirmi da Lui, Egli prese la mia mano fra le sue, stringendola forte forte, affettuosamente, e tutto raccolto come in atto di fervorosa preghiera pronunciò sommessamente parole di augurio per me, per la mia vocazione, che mi commossero profondamente.

» Il giorno 2 agosto 1918 m'inviava, dietro mia richiesta, un suo ritratto con scritti, di suo pugno, a tergo, questi ricordi:

» 1° Fa' di essere chierico e sacerdote secondo il cuor di Dio: dolce ed umile.

» 2° Fa' tuo il motto del Salesio e di D. Bosco:

Da mihi animas, caetera tolle.

» 3° Fa' di essere sempre degnissimo figlio del l'Ausiliatrice con la santa purità e coll'esserne ognora un fervente apostolo »,

Dolori e conforti.

Le paterne sollecitudini di Don Albera crebbero durante la guerra, che per cinque anni gli impedì ogni comunicazione con molti dei suoi figli e gli rese difficile il continuare con gli altri la santa missione. Con le sue inevitabili conseguenze la guerra rese particolarmente irto di spine e di difficoltà il suo Rettorato. Bisogna rilevarlo: se così pieno di frutti consolanti fu il suo governo, quale più ampia fioritura di opere sante non l'avrebbe allietato, se si fossero mantenuti i giorni della pace!

Per Don Albera la guerra fu la prova più dura e lagrimevole che ebbe a passare la Pia Società Salesiana.

In compenso, il Signore non mancò di dargli grandi consolazioni. Il fervore con cui si celebrò il I° Centenario dell'istituzione della Festa di Maria Ausiliatrice e della nascita di Don Bosco, le feste giubilari della Basilica di Maria Ausiliatrice e della sua Messa d'Oro, l'inaugurazione del Tempio votivo dei Becchi eretto con le offerte dei bimbi d'Italia durante la guerra, l'inaugurazione del Monumento a Don Bosco in piazza Maria Ausiliatrice, il nuovo fervore d'azione trasfuso nella Pia Unione dei Cooperatori, l'entusiasmo col quale gli Ex-Allievi, durante questi ultimi anni, si strinsero nel nome di D. Bosco attorno i loro educatori, furono per il suo cuore conforti soavissimi.

Un'altra grande consolazione egli vagheggiava... consacrare le nostre famiglie e quelle dei Cooperatori, alla S. Famiglia nel tempio di cui aveva stabilito di porre la prima pietra nelle fondamenta il 30 ottobre u. s., il giorno in cui ebbero poi luogo i suoi funerali!

*

Questa fu l'anima del nostro terzo Padre, qual vive e vivrà sempre nell'immutato programma che seguì dal 16 agosto 1910 sino alla morte: « Sulle orme di Don Bosco e di Don Rua ...! ».

L'ultimo anno di Don Albera.

A lenire in qualche modo lo stupore prodotto dall'improvviso annunzio della morte dell'amatissimo Superiore, e in compenso della mancanza dei suoi ultimi ricordi, diamo, in brevissimi appunti, i principali fatti di cronaca dell'ultimo anno della sua esistenza preziosa. Sono pagini umili, scritte con l'unico intento di far cosa gradita a tutti i figli di Don Bosco e ai loro affezionati Cooperatori, i quali, con crescente affettuoso interessamento, seguono ogni lieta e triste vicenda che ci riguardi.

Il primo attacco cardiaco. - Ritorno alla vita abituale. - La giornata di D. Albera. - Le sue lettere ai Salesiani.

I primi accenni al grave malore che doveva troncare, d'un tratto, la vita di Don Paolo libera, rimontano al 1919, e precisamente al 15 marzo, il giorno in cui si celebravano nella Basilica di Maria Ausiliatrice i funerali di trigesima in suffragio dell'anima di Don Clemente Bretto, Economo Generale della Pia Società. L'amato Superiore compiva egli stesso la mesta cerimonia; e rinnovandoglisi l'acerbo dolore sofferto un mese prima, ne provò tale stretta al cuore, che fu visto durante la messa barcollare a qualsiasi movimento. « Sorreggetemi, sorreggetemi! - ripeteva ai sacri ministri - mi sento mancare ». Finita la funzione, calmo e sorridente, tornò in camera, trascinando però il piede, e curvo bruscamente sul fianco destro. Il Dott. Battistini, chiamato d'urgenza, constatò che era stato leggermente colpito al cuore: e, cautamente, gli prescrisse un regime speciale, a base di riposo sopratutto e di tranquillità... cose semplici, ma difficili per i figli di Don Bosco, molto più per il loro Rettor Maggiore.

Infatti l'amatissimo Padre, a stento e temporaneamente, si acconciò a riposare un po' di più al mattino e a pigliare una boccata d'aria nel pomeriggio: e, non appena si sentì sveglio, tornò all'esemplarissima puntualità e laboriosità di prima. Quand'era Direttore spirituale della Pia Società, qualche riguardo richiesto dalla sua delicata costituzione soleva ancora usarselo: ma, eletto Rettor Maggiore, non soffrì più eccezione o particolarità alcuna. Invariabilmente, alle cinque del riattino era in piedi: alle cinque e mezzo alla meditazione in comune nel coro della Basilica di Maria Ausiliatrice: alle 6 all'altare con un raccoglimento che rapiva: alle 7 in ufficio alle sue occupazioni, sopratutto a sbrigare la voluminosa corrispondenza, e sino alle 9 e 9,30: poi udienze sino a mezzogiorno. Nel pomeriggio, anche nei giorni estivi, soleva ritirarsi in camera per quindici minuti o, tutt'al più, per una mezz'ora: tant'è vero che non più tardi delle 14,15, o delle 14,25, scendeva nuovamente in ufficio, dove lavorava ininterrottamente sino alle 20, frapponendo all'improbo lavoro qualche udienza ai collaboratori o a pochi intimi, talvolta qualche seduta consigliare, e, ogni giorno, una buona mezz'ora di preghiera nella Basilica di Maria Ausiliatrice.

Com'era edificante il suo semplice e profondo raccoglimento! D'ordinario s'inginocchiava nei primi banchi a metà del Santuario, e mentre l'anima sua raccomandava al Signore tutti quanti i figli e i benefattori, la sua candida e veneranda figura, con lo sguardo vigile al S. Tabernacolo o all'Immagine di Maria Ausiliatrice, attirava l'attenzione degli assidui e dei non assidui al Santuario, e valeva più di una predica sul contegno da tenersi nella Casa di Dio. Le giornate piene di Don Albera avevano quest'epilogo, questo riposo, questo conforto soave nella preghiera.

E dalla preghiera egli attingeva l'ispirazione per le suaccennate frequenti lettere intime ai Salesiani. In data 18 ottobre 1920 egli ne diramò una dolcissima « intorno a D. Bosco proposto come modello ai Salesiani nell'acquisto della perfezione, religiosa, nell'educare e santificare la gioventù, nel trattar bene col prossimo, nel far del bene a tutti ».

« Ancora una volta - ci diceva - in nome dell'affetto vivissimo che a voi mi lega, vi supplico di darvi ad uno studio costante, quotidiano della vita del nostro buon Padre, affine di poter acquistare, ciascuno secondo le proprie forze, le sue virtù.

» Ad un magnifico, indimenticabile spettacolo noi abbiamo assistito nella inaugurazione del suo monumento: abbiamo visto stringersi attorno a questo, vivente ghirlanda, le schiere irrequiete e festose dei nostri giovani (come Don Bosco dal cielo ne avrà esultato!); abbiamo visto gli ex-allievi accorrere da ogni paese a rendergli omaggio; abbiamo visto personaggi augusti, autorità ecclesiastiche e civili, delegati di numerose nazioni straniere, rappresentanti insigni delle lettere, delle scienze e delle arti, venire a inchinarsi a Don Bosco, a portargli il tributo riverente dell'ammirazione e della gratitudine universale. Abbiamo assistito a manifestazioni grandiose di fede, di amore, di santa allegrezza e concordia, a spettacoli indimenticabili, che ci hanno commossi fino alle lagrime, e che ci han fatto vedere quanto sia rispettata, onorata, amata in tutto il mondo e da tutte le classi sociali la memoria del nostro buon Padre.

» Ora questo spettacolo, omai passato alla storia, si riprodurrà e rinnoverà perennemente per opera nostra, se ciascuno di noi farà rivivere in sè Don Bosco; perchè allora continueranno ad affluire le falangi giovanili attorno al Padre, e in tutti i paesi della terra il nome di D. Bosco continuerà ad essere acclamato e benedetto, perchè vivente nei figli ».

Tra le Figlie di Maria. - A Roma. - A Frascati. - Ultimo viaggio all'Estero.

Così, lavorando e pregando, e, come sempre, diligentemente vigilando e interessandosi di tutti e di tutto, egli passò il 1919 e il 192o. A intervalli, più o meno lunghi, fu visto apparire nuovamente come sfinito e talvolta piegarsi ancora sul fianco e trascinare il piede: ma le gravi minacce svanivano presto, e a noi parevano disturbi leggeri. Le solennissime feste per l'inaugurazione del monumento a Don Bosco, e i contemporanei Congressi Internazionali dei Cooperatori, degli Ex-allievi e delle Ex-allieve, lo ebbero abbastanza in forze e contribuirono a infondergli nuove energie. È però vero che mentr'egli, avvezzo com'era a lavorare, mostrava di trovar nel lavoro il quotidiano conforto alla sua minata salute, i figli, com'avviene in ogni affezionata famiglia, pur compassionandolo nei giorni in cui lo vedevano star male, s'illudevano anche parecchio.

Fortunatamente, sul finir dell'anno, gli affari della Pia Società lo trassero a Roma, subito dopo la festa dell'Immacolata. Quel giorno volle celebrare nella chiesa dell'Oratorio delle Figlie di Maria Ausiliatrice in Torino, solennizzandosi il 25° dell'istituzione delle Figlie di Maria, e si trovò bene, veramente bene, tra tanto candore e fervore, e non potè a meno di manife starlo: « Buone figliuole, egli disse, deboli creature, lanciate nel turbine di una vita travagliata, piena di leggerezze, di vanità, di ambizioni e di libertà indecente, da cui è scomparso ogni sensi di pudore e di modestia, sappiate imporvi con la vostra serietà, col vostro contegno pio e modesto, son lo sguardo puro e sereno, con la parola dolce e soave, che solo può uscire da un labbro cristiano. Figliuole, conservate sempre la purezza della vostra anima! Gesù non può restare in voi, se il vostro cuore non è candido; osservate la bianchezza de' lini che rivestono l'altare, lo splendore, la lucentezza de' vasi sacri, in cui posa il Corpo di Gesù, il candore de' paramenti sacerdotali; tutto parla a noi della purezza di cui Gesù vuol essere circondato. Il mio cuore si commuove alla vista d'una schiera così numerosa, vestita di bianco, avvolta ne' candidi veli, prostrata ai piedi dell'altare, in omaggio alla Madre Celeste.

» Fate di assomigliare agli Angioli nella santa purezza, coltivate sempre la pietà, la dolcezza e lo zelo dell'apostolato cristiano, per condurre col vostro esempio e con l'efficacia della vostra parola molte anime al bene. Grande è il contributo che voi pure, Figlie di Maria, potete dare al rifiorimento della famiglia cristiana, tanto necessario si nostri giorni. Lavorate tutte con zelo e con fiducia a tale intento, e il Signore coronerà i vostri sforzi dei più felici risultati con la sua grazia ».

A Roma, a fianco dell'E.mo Card. Cagliero, che gli impose di usarsi qualche riguardo, passò giorni sereni, e si fermò più di quello che avrebbe desiderato. Aveva stabilito di fare le feste di Natale all'Oratorio: voleva essere coi nostri giovani almeno l'ultima sera dell'anno per dar loro la strenna, sull'esempio di Don Bosco e di Don Rua, e come egli stesso aveva fatto fino al 1918. Già il 31 dicembre del 1919 si era fermato a Roma, e il 31 dicembre del 192o avrebbe voluto, a ogni costo, essere a Torino. Si sarebbe detto che presentiva che quella sorebbe stata l'ultima volta che avrebbe parlato ai giovani dell'Oratorio!

E non potè venire. Il Card. Cagliero aveva stabilito di far l'ingresso nella diocesi di Frascati il 9 gennaio, e a Don Albera parve una mancanza di delicatezza il non fermarsi e non essergli a fianco in quel giorno solenne. E aspettò. La cerimonia venne differita di una settimana, ed egli aspettò ancora, e il 16 gennaio fu testimonio della trionfale dimostrazione di giubilo che la città e la diocesi di Frascati fecero al « prediletto figlio di Don Bosco », loro novello Pastore.

Compiuto quest'atto di deferente omaggio, contento si affrettò a tornare a Torino. Rientrò infatti all'Oratorio il 18 gennaio, e la mattina del 24, con una risolutezza che ci fece meravigliare ma insieme ci tornò cara perchè ci sembrava pegno di nuove energie, partì nuovamente alla volta della Francia, e andò a Nizza Marittima, in compagnia di Don Gusmano; e da Nizza, insieme con Don Bessière, si recò alla Navarra, a Marsiglia, a Montpellier, a Roman, a Lione, e a Chateaux d'Aix. Un viaggio così lungo, nel cuor dell'inverno, non poteva essere un viaggio di piacere: ma per Don Albera aveva una dolce attrattiva e un interesse particolare: si trattava di rivedere case e persone particolarmente care, che ansava e aveva amato tanto, quand'egli « il piccolo Don Bosco », ispettore delle Case Salesiane a Marsiglia, aveva prodigato le energie degli anni suoi più vigorosi per il fiorire e lo sviluppo dell'Opera Salesiana in Francia. Era aspettato anche a Parigi, ma con grande suo rincrescimento non potè accogliere l'invito; i giorni destinati al viaggio erano trascorsi. E tornò, come pubblicammo a suo tempo, con l'animo profondamente commosso per le festose accoglienze ricevute in tutti gli istituti visitati, dai numerosi e ben organizzati Ex-Allievi, dai Comitati di Cooperatori, e da Ecc.mi Vescovi ed Em.mi Cardinali, ai quali si fece un dovere di protestare la sua e la nostra riconoscenza.

Nuove preoccupazioni. - Distacchi commoventi. - L'inaugurazione della cappella funeraria di Don Rua. -- Minacce ed illusioni.

Ma purtroppo, al. ritorno della primavera, tornarono, a quando a quando, le preoccupazioni per la sua salute. La partenza d'un gruppo di Missionari per la Cina sul finir di marzo, la cerimonia inaugurale della Cappella funeraria di Don Rua il 9 aprile, il commiato di un altro gruppo di Missionari diretti al Rio Negro e capitanati dal Prefetto Ap. Mons. Massa dopo la metà di aprile, gravarono piuttosto sulla delicata e minacciata fibra del Padre. Sopratutto la cerimonia inaugurale della cappella funeraria di Don Rua dovette affaticarlo. Celebrare a un altare improvvisato all'aperto, sotto il portico che si allunga innanzi alle tombe a noi più care, in un'atmosfera piena di umidità, mentre pioveva da giorni e le candele a stento rimanevano accese, parve davvero un'imprudenza. Ma lo volle egli stesso per dare al venerato Predecessore l'omaggio dell'anima sua. Forse ricordò che Don Rua morì, quando s'inaugurarono le nuove decorazioni della Cappella di Don Bosco, ed ora che s'inauguravano le decorazioni della tomba di Don Rua, forse egli disse tra sè e sè: « ... Posso anch'io pensare a una tomba...! ».

D'ordinario il suo aspetto appariva buono, se non del tutto rassicurante: anche la sua memoria era in pieno vigore, limpidissima come in passato e meravigliosa. Ma divenivano più frequenti i giorni in cui il giro del sangue compivasi in modo anormale, con le accennate conseguenze. Avvenne così che, uscito per breve ora in città col venerando Don Branda, il vecchio missionario degli italiani emigrati in Germania, o col vigilantissimo segretario Don Gusmano, d'un tratto si sentiva stanco e piegandosi bruscamente sul lato destro, era costretto a rincasare, appoggiato al braccio di chi l'accompagnava. Fu di quei giorni, ai primi d'aprile, che si arrese a dir messa privatamente, nella sala del Consiglio superiore, per essere assistito senz'ammirazione dei fedeli, e sopratutto per celebrare con agio. Dopo d'allora scese solo qualche volta a celebrare nel Santuario; l'ultima fu il 29 settembre.

Il male che doveva trarlo al sepolcro continuava a minare spietatamente la vita dell'amato Superiore; ma la sua resistenza ancor vivace e le nostre filiali speranze allora non ce ne fecero comprendere tutta la gravità, come dovemmo comprenderla poi.

Contuttociò il 17 aprile tornò ancor una volta fra le Figlie di Maria Ausiliatrice, nel giorno delle feste cinquantenarie in onore di S. Giuseppe, e celebrò la S. Messa e distribuì la S. Comunione alle giovinette Oratoriane e alle Allieve delle Scuole Professionali Serali, accorse in gran numero. Presenziò pure l'apertura dell'esposizione dei lavori eseguiti da queste, cui benedisse paternamente, invocando su loro e sulla provvida iniziativa delle Scuole Serali l'abbondanza dei celesti favori.

Visita a Fossano. -- Una cerimonia commovente. - Le feste di Maria Ausiliatrice. - A Foglizzo Canavese. - La commemorazione del Servo di Dio D. Beltrami.

Durante il mese di maggio passò alcuni giorni fuori di Torino. Il 6, in compagnia dell'ispettore Don Emanuele Manassero, venuto in Italia per chiedere un forte rinforzo di personale, si recava a Fossano in occasione dei festeggiamenti centenari della Madonna della Provvidenza e del Buon Consiglio di Cussanio. Il Vescovo Mons. Travaini, non avendo potuto ottenere che l'E.mo Card. Cagliero anticipasse la sua visita annuale al Piemonte e partecipasse alle feste, volle almeno che il Rettor Maggiore dei Salesiani lo rappresentasse. E Don Albera accettò, specialmente per l'affetto e la venerazione che Don Bosco e Don Rua avevano avuto per il vescovo Mons. Manacorda, le cui spoglie si dovevano trasportare a Cussanio e tumulare nel Santuario stesso di N. S. della Provvidenza.

Egli giunse a Fossano la sera del venerdì, 6 maggio, accolto con onore principesco. Alla stazione l'attendevano nella sala di prima classe il vescovo Mons. Travaini, il sindaco cav. Bertoli con la Giunta Municipale, un centinaio dei più cospicui Cooperatori della città, e tutto il Convitto Civico in divisa. La famiglia Pittatore, discendente del Beato Oddino Barotti, la quale si vanta anche di aver ospitato Don Bosco e avuto stretta amicizia con Don Albera fin da quando era direttore a San Pier d'Arena, lo volle suo ospite. E il buon Padre prese parte a tutte le grandiosissime feste con otto Vescovi e l'E.mo Card. Arcivescovo di Torino. Gradì un trattenimento accademico, offertogli dagli alunni del Convitto, dove celebrò due volte la S. Messa, e si intenerì tanto nel ringraziare gli alunni e il Sindaco che volle ossequiarlo in nome della città, da far piangere anche i presenti. Poi partecipò alle solenni onoranze tributate ai resti mortali di Mons. Manacorda: intervenne, insieme con i Vescovi, al solenne ricevimento dato dal Municipio: e, nella cappella del Convitto, tenne una conferenza ai Cooperatori e alle Cooperatrici, nella quale, parlando delle Missioni Salesiane a favore dei poveri lebbrosi della Colombia, pianse e mosse al pianto tutti gli uditori. Egli ricordò in quell'ora le visite fatte ai Lazzaretti Colombiani, e forse gli tornò alla mente il cordiale abbraccio, che gli diede un fetido lebbroso, intenerito alle parole che gli rivolgeva nel confessarlo, cui, egli, mosso dalla carità di Gesù Cristo, non potè a meno di ricambiare cordialmente. L'argomento era tenero..., ma era anche palese lo sforzo che faceva quel caro vegliardo nel continuare la sua vita abituale.

Le feste di Maria Ausiliatrice le trascorse in calma e, vorremmo dire, attivo, sereno, sorridente. Ogni sera scendeva al Santuario, e vi prolungava le visite più divote. Il 22 maggio benedisse una piccola mostra delle Missioni della Patagonia Meridionale e in particolare della Terra del Fuoco, presenti i giovani dell'Oratorio; ma non disse alcun discorso, pur mostrandosi assai contento che i divoti accorrenti al Santuario in quei giorni trionfali per la Madonna, insieme col piccolo Museo del suo Culto, potessero anche farsi un'idea della materna protezione da Lei concessa ai figli di Don Bosco nelle terre più remote.

Certo presentiva che non avrebbe più riveduto quaggiù l'annua apoteosi di Maria Ausiliatrice. Più volte, nell'attraversare la piazza della Basilica e i cortili dell'Oratorio, fu visto indugiarsi alquanto per osservare le schiere dei divoti accorse a Valdocco per onorare la Madonna: mentre di solito, anche nelle occasioni più straordinarie, con un sol giro, quasi furtivo, dei piccoli occhi penetranti abbracciava in un attimo quanto gli stava dinnanzi, e li ricomponeva subito alla modestissima posa abituale. Pareva proprio che volesse godere di quelle scene di fede un'ultima volta!

Il 26 maggio tornò a celebrare nelle cappella delle Figlie di Maria Ausiliatrice, e fu l'ultima volta, per ammettere alla prima Comunione una piccola bimba. Fu una cerimonia molto solenne. Il buon Padre non si trattenne dall'indirizzarle alcune parole: la disse fortunata, perchè Gesù prendeva possesso così presto del suo tenero cuore: «La fanciulla; aggiunse commosso, che ha la fortuna di ricevere per tempo il Signore, deve fare il possibile perchè rimanga con lei la sua grazia santificante ». Dal cuore candido come la neve, Don Albera si trovava a meraviglia con le anime innocenti.

Le Case Salesiane di Torino e le altre più vicine, conscie dell'affievolimento della sua salute, l'avrebbero desiderato con sè a celebrare la festa di Maria Ausiliatrice: e non era nè possibile nè conveniente che accettasse tali inviti. Tuttavia non seppe dir di no a quello che gli venne dallo Studentato Teologico Internazionale di Foglizzo Canavese. Quei bravi chierici appartenenti a 17 differenti nazioni, fecero il 31 maggio al veneratissimo Padre le più festose accoglienze: ed egli ne restò fortemente impressionato. Di lì a poco, invitato ad assistere a un intimo trattenimento in suo onore, al quale erano stati ammessi i Cooperatori più affezionati e i giovani dell'Oratorio, che si produssero in iscena con l'operetta del M.° D. Attilio Garlaschi: « Don Bosco fanciullo », fu subito preso dalla commozione e cominciò a piangere così forte, che fu costretto a ritirarsi; e quella sera non fu più in grado di ricomparire in mezzo alla comunità. Il dì seguente celebrò la messa della Comunione generale, si recò a mensa con i chierici e sereno si affrettò a tornare a Torino, dove l'attendeva il conforto di ossequiare l'E.mo Card. Mistrangelo, e l'indomani quello di assistere insieme con l'E.mo Card. Richelmy ed altri Prelati e un immenso stuolo dì benefattori, alla commemorazione solenne magistralmente tenuta dal Card. Arcivescovo di Firenze sul nostro Servo di Dio Don Andrea Beltrami, in occasione dell'introduzione della sua Causa di Beatificazione e Canonizzazione.

Le commozioni profonde omai divenivano più frequenti e, di conseguenza, più fatali al cuore di D. Albera. Si pensava di sottrarlo un poco alla vita abituale: e parve prudenza che egli, annuendo al caloroso invito, rivoltogli dall'Unione Ex-Allievi dell'Istituto Salesiano di Modena, si recasse fino a quella città, ov'era vivamente desiderato per il 25° della fondazione dell'istituto. Era venuto in persona a pregarvelo il presidente stesso dell'Unione, il caro avv. Quartieri; e il buon Padre partì la mattina del 4 giugno a quella volta.

A Parma e a Modena. - A Milano. - Una dimostrazione imponente. - La pietra angolare della nuova chiesa dell'Oratorio di Monterosa. - A Lanzo Torinese.

Giunto a Parma, discese al nostro istituto. Parlò, ai confratelli, celebrò la messa della comunità, tenne anche una conferenza al Comitato delle Dame Patronesse, ma era stanco: tutti se n'accorsero, e ne furono rattristati.

La sera del 5 proseguì per Modena, dov'ebbe le più liete accoglienze. L'indomani, 6 giugno, ricorreva il suo 76° genetliaco, e la data festiva non solo non passò inosservata, ma fu ricordata di proposito da un'eletta schiera di amici e ammiratori. Ma Don Albera era ed appariva così stanco che faceva pena: doveva fare una fatica superiore alle sue forze per star desto e presente a sè stesso. Evidentemente, il sollievo sperato dal viaggio non appariva: si constatava invece l'effetto contrario: eppure il viaggiare, più che una fatica, per lui era stato sempre un sollievo. In fine dell'accademia commemorativa, nella quale si deliberò la fondazione di un Oratorio festivo, egli, pur avendo il cuore riboccante di riconoscenza, non fu capace di prender la parola, e parlò soltanto Mons. Arcivescovo.

Al ritorno passò per Milano, contento di visitare minutamente l'Istituto S. Ambrogio e la splendida chiesa di S. Agostino, nella quale, ancor una volta, volle pregare il buon Dio a benedire i generosi benefattori milanesi.

Il 12 giugno l'attendeva una grande consolazione. Diecimila giovani torinesi, levando in trionfo il vessillo federale, benedetto in quel mattino dall'E.mo Card. Richelmy, si recavano in corteo ai piedi del Monumento di Don Bosco, per ripetere all'Apostolo della Gioventù, al dolcissimo nostro Maestro e Fondatore, la loro riconoscenza e i propositi più generosi. Abbiamo già parlato, a lungo, di quell'imponente dimostrazione, e accennato anche agli entusiastici evviva innalzati al nome di Don Bosco e a Don Albera, che da una finestra dell'Oratorio, assistendo al giocondo spettacolo, ripetutamente fu fatto segno all'ammirazione devota di quella falange giovanile. Fu una scena grandiosa, solenne, commovente. Anche quei giorno Don Albera pianse, ma pianse di consolazione.

La domenica dopo, 19 giugno, fu un'altra giornata carissima per il suo cuore sacerdotale. L'E.mo Card. Richelmy, circondato da una moltitudine di nobili Cooperatori, benedisse solennemente la prima pietra della chiesa della Madonna del Rosario, presso l'Oratorio « Michele Rua » in Torino, alla Borgata Monte Rosa. Don Albera fu presente alla solenne cerimonia, cui un improvviso temporale non tolse nulla del suo splendore, e ne riportò le più dolci consolazioni. Il gran numero dei giovinetti assidui all'Oratorio, la gioia di molte delle loro famiglie presenti, la constatazione della profonda simpatia raccolta dalla nuova iniziativa, alla quale egli stesso stabilì di dare assetto stabile e definitivo, lo fecero come ringiovanire. Tornato a Valdocco, esclamava: - Moltiplichiamo gli Oratori festivi! L'Oratorio è l'Opera Salesiana par eccellenza, e Don Bosco e Don Rua continueranno a benedire i Salesiani, finchè essi lavoreranno con zelo negli Oratorii. - Insieme con i pruni, ora speriamo che ci benedirà sempre dal cielo anche il terzo amatissimo Padre!

Anche per consiglio dei medici, il domani, 20 giugno, festa della Consolata, Don Albera saliva al Collegio di Lanzo, nella speranza che la sua salute potesse rinfrancarsi alquanto. Ma non fu così: stette a Lanzo una settimana, e quei giorni furono ben tristi per lui che si sentiva mancare, e gli acuirono la nostalgia dell'Oratorio.

Qui, nella casa dove Don Bosco l'aveva accolto fanciullo, all'ombra della Basilica di Maria Ausiliatrice, dove il suo cuore di padre provava soavi conforti nella preghiera, egli voleva far ritorno al più presto: e tornò col proposito di non più allontanarsene, nemmeno nei giorni più afosi dell'estate. L'Oratorio aveva per lui l'incanto e l'attrattiva che non gli offrivano nemmeno i luoghi più deliziosi e qualsiasi stazione climatica. Si sentiva mancare e preferiva soffrire, se così voleva il Signore: e prepararsi serenamente alla morte nell'Oratorio.

Nuovo attacco cardiaco. - Triste onomastico. - A Borgo S. Paolo. - Nella partenza di un altro gruppo di Missionari. - Visite care.

E tornò a tempo. La notte dal 27 al 28 giugno ebbe un nuovo attacco al cuore. Quando la dolorosa notizia, sussurrata a fior di labbra, si sparse fra i confratelli e i giovani, un senso di sconforto e di mestizia invase l'animo di tutti. Si guardava sospirando lassù, alla cameretta dove si sapeva che il Padre soffriva dolori e languori al cuore, che aveva avuto per tutti ineffabili palpiti di tenerezza. Era la vigilia dei suo onomastico. Gli si erano preparate, come a Don Bosco e a Don Rua, liete e cordiali onoranze di famiglia: ma si temeva, anzi si riteneva da tutti che non avrebbero potuto aver luogo, trovandosi nell'impossibilità di scendere in mezzo a noi il festeggiato. I medici infatti l'obbligarono a restar coricato tutto il giorno; ma, dopo mezzodì, egli volle alzarsi per contentare i figli. Confratelli e giovani si radunarono trepidanti in teatro. Sulle labbra di tutti era il nome di D. Albera, e nel cuore di tutti l'ansia dell'attesa, il dubbio per la sua salute.

Ad un tratto apparve la candida figura. Fu un delirio di applausi, uno scoppio irrefrenabile di evviva. Gli animi si aprirono a nuove speranze, i volti si rasserenarono, la gioia parve inondare le masse giovanili. Pallido e curvo, egli rispondeva col suo dolce sorriso e col gesto paterno delle mani. Il trattenimento dell'amore e della riconoscenza venne ridotto a pochi numeri per non stancar la sua fibra. Egli non disse parola, ma volle che il suo pensiero e il suo affetto fosse espresso dal Prefetto Generale Don Rinaldi.

Il 29 partecipò alle sacre funzioni solenni, e a mezzodì volle scendere ad ogni costo in mezzo agli altri. Superiori, attorno i quali si erano radunati tutti i Salesiani dell'Oratorio. Gli si rivolsero i più lieti auguri e si cercò di tener desto il suo sorriso. Inutilmente: più volte si commosse e pianse. Nell'uscir di refettorio, con lo sguardo buono, ma tutto in lagrime, ci salutò ancor una volta, e, a stento, sorretto alle braccia altrui, salì in camera. Povero Padre!...

Per la sera gli Ex-allievi avevano preparato la tradizionale commemorazione di Don Bosco, ma un solo fu il pensiero e l'affetto dominante, il ristabilimento della salute del suo II° Successore. Egli non comparve: e Don Rinaldi colse a volo l'occasione dell'assenza, per rilevarne i meriti, per ricordare la predizione di Don Bosco che Don Albera sarebbe stato il suo II° Successere, che avrebbe reso grandi servizi alla Pia Società, e per raccomandarlo vivamente alle preghiere di tutti: figli, amici, e ammiratori.

E ben presto parve rimettersi. A poco a poco riprese le solite occupazioni, e tornò alla vita abituale in mezzo ai figli, sereno sempre e sorridente, dolce negli occhi neri purissimi. Ovunque appariva la sua veneranda figura era accompagnata con animo trepidante da tutti, confratelli e giovani, e seguita con un senso d'affetto più tenero e di venerazione più intima e divota.

Il 2 luglio, verso sera, si recò in carrozza a Borgo San Paolo. All'indomani si celebrava la festa titolare di quell'Oratorio a lui particolarmente caro, perchè fondato l'anno delle sue Nozze d'Oro Sacerdotali e del Giubileo della consacrazione della Basilica di Maria Ausiliatrice. In men di tre anni aveva già dato i frutti più consolanti! Quest'anno la festa titolare rivestì uno splendore eccezionale. L'angustia della cappella provvisoria, incapace di contener la domenica gli stessi giovani Oratoriani, consigliò d'innalzare per la festa un altare da campo nel cortile, convenientemente addobbato; e Don Albera la vigilia volle recarsi a vedere i preparativi. Il 3 vi tornò ben due volte, mattino e sera, promettendo, prima d'allontanarsi, che quanto prima avrebbe dato ordine di por mano agli scavi per la costruzione del nuovo tempio. Nel pomeriggio fu tanta la ressa del popolo attorno a lui, e così schietta la cordialità riconoscente coni cui tutti lo applaudivano, che il buon vecchio si mise a piangere.

Il pianto era omai abituale sulle sue ciglia in ogni occasione solo un po' commovente. Il 26 luglio celebrò la S. Messa nella cappelletta di Don Bosco e di Don Rua per ventiquattro nuovi Missionari che dovevano partire per gli Stati Uniti del Nord-America insieme con l'Ispettore Don Manassero. Erano tra essi quattro giovani catechisti, avviati al sacerdozio, che domandarono ed ottennero in quel mattino dalle sue mani l'abito chiericale. Il buon Padre restò tanto intenerito da quella cerimonia, che pur aveva compiuto tante volte e a centinaia di giovani, che non potè finire le preci di rito, le quali vennero integrate dagli assistenti.

Nemmeno nelle giornate più afose della scorsa stagione estiva, a niun costo il buon Padre volle allontanarsi da Torino. Preferiva uscir di casa per qualche tempo nelle ultime ore del pomeriggio e far capo ora a questa, ora. a quell'altra Casa dei Salesiani o delle Figlie di Maria Ausiliatrice. Dal 6 al 13 luglio si recò più volte a Villa De Luca, ove erano raccolte in Esercizi Spirituali le Superiore del Consiglio Generalizio e le Ispettrici dell'Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice, bramoso di compiere anche verso loro il suo ufficio di Padre.

Il 6 agosto si portò al Lingotto, a visitare quell'asilo, diretto dalle Figlie di Maria Ausiliatrice. Non appena si sparse la notizia della sua presenza, molte Oratoriane, Ex-Allieve, ed altre pie persone corsero ad ossequiarlo. Tra le altre si presentò a lui un'ex-allieva, certa Carpino Maddalena-Sivera, che da più di un anno soffriva di un male incurabile; i dottori avevano perduta ogni speranza di vederla guarita. La povera donna si accostò a Don Albera, piena di fede, e gli domandò una benedizione. Il venerato Superiore la fece sedere d'accanto, ascoltò con bontà i suoi mali e, sentendo che aveva già fatto la novena a Maria Ausiliatrice inculcata dal Ven. Don Bosco,. le osservò amabilmente: - Vi mancava un po' di fede: pregate di nuovo Maria Ausiliatrice, e avrete la grazia! Pregherò anch'io Per voi. - E le diede una benedizione. L'ammalata ubbidì, fece una seconda novena, ed è guarita.

Nello stesso giorno il signor Don Albera giunse inaspettato anche a Grugliasco, all'Istituto « Domenico Savio », dove son raccolte ed educate settanta orfanelle di guerra, a cura delle brave Figlie di Maria Ausiliatrice. Le piccine guardarono il venerando sacerdote con gli occhi pieni di stupore; ed egli, dopo alcune paterne parole, volle distribuire a tutte alcune caramelle, e in fine le benedisse dal profondo del cuore. Orfane e Suore lo assicurarono di una preghiera quotidiana per la sua preziosa salute; ed egli, sorridendo, passò in cappella, ove fece una breve preghiera, quindi ripartì.

Negli ultimi mesi egli visitò ripetutamente tutte le Case Salesiane di Torino. L'ultima volta che si recò a S. Giovanni Evangelista, pregò alquanto in quella splendida chiesa, si portò nella cappella dell'Addolorata, contemplò a lungo il nuovo quadro di M. Ausiliatrice, lavoro egregio del Cavalla, e, uscendo, ripetè ancor una volta un pensiero che gli era abituale, allorchè parlava di quella grand'opera del nostro Ven. Fondatore: - Se a dimostrare la cristiana fortezza di Don Bosco non ci fossero altre prove, oltre quelle che egli diede nella costruzione di questa chiesa, esse sole varrebbero ad attestarla eroica.

Gli ultimi mesi. = La morte.

A Nizza Monferrato. - A Valsalice. - A Bertoulla. -- A Sassi. -- A Borgo Cornalese. - Gli oratori festivi - La morte di Mons. Costamagna. - Le campane di Maria Ausiliatrice. - A Castelnuovo.

Il 17 agosto, nella sua qualità di Delegato apostolico delle Figlie di Maria Ausiliatrice, s'indusse a fare una breve visita a Nizza Monferrato, alla Casa-Madre dell'Istituto, durante il Corso degli Esercizi Spirituali delle Direttrici. La Comunità l'accolse cori gioia: ma egli non potè parlare: sorrideva, sorrideva paternamente: era commosso. Il domani scese dalla Casa Salesiana di S. Guido: celebrò la S. Messa per le esercitande: poscia tornò in sacrestia senza rivolger loro la parola, com'era solito a fare in simili occasioni. Don Gusmano lo trovò piangente per l'impressione provata al canto di una lode in suffragio delle anime del Purgatorio, che aveva già udito in America. In quel mattino si era celebrata la messa in suffragio delle Consorelle defunte. Nel pomeriggio scese nuovamente da S. Guido, parlò con qualche suora in parlatorio, mentre la Comunità e le Direttrici esercitande si radunavano nel cortiletto della chiesa, dove benedisse a tutte, e ripartì per Torino, lasciando desiderio e mestizia vivissima.

Anche a Valsalice, durante il Corso degli Esercizi Spirituali dei Direttori, ai quali prese parte l'E.mo Card. Cagliero, il caro Don Albera volle fare una visita paterna. Assistè ad un'istruzione, venne ossequiato per un istante da tutti gli esercitandi, ma non parlò: a mezzodì sedette con gli altri a mensa: ma sul principiar del pranzo si commosse, e fu costretto ad uscir di refettorio con gran pena di tutti.

Sentiva egli stesso che di giorno in giorno le forze gli scemavano, comprendeva che omai non si sarebbe più riavuto; ma se un po' d'energia rifluiva nel suo logoro fisico, tornava con slancio alle occupazioni ordinarie.

Il 2 settembre andò a Bertoulla, e sebbene a stento si reggesse in piedi volle visitare tutta la casa delle Figlie di Maria Ausiliatrice, le scuole, la cappella, il teatrino, e l'esposizione dei lavori che in quei giorni si doveva aprire al pubblico; in fine, s'intrattenne a lungo con le Suore, rievocando i tempi della beata giovinezza, vissuta a fianco di Don Bosco. La sua mente, negli istanti di riposo, rivedeva di preferenza le care immagini di Don Bosco e di Don Rua, che amava illustrare con toccanti episodi, o narrava i suoi viaggi di America.

Il 6 settembre lo videro con tenera gioia i piccoli orfani di guerra ricoverati a Sassi, ai piedi della collina di Superga, dalle Figlie di Maria Ausiliatrice. Come fu contento il buon Padre di vederli sani, vispi, contenti e affettuosi! « Questi piccini, disse, meritano davvero tutte le nostre sollecitudini: custoditeli bene; poi continueremo noi la loro educazione, a costo di qualunque sacrifizio. Tutti vedono di buon occhio questa beneficenza ».

L'8 settembre insieme con Don Francesia, accompagnò l'E.mo Card. Cagliero a Borgo Cornalese, in visita di condoglianza al nobile Barone Carlo Ricci, per la morte della Baro nessa Azelia Ricci des Ferres, nata Fassati. Da qualche giorno il pensiero della morte era fisso nella. sua niente con insistenza profonda. Si recò sulla tomba dell'estinta e sulle altre tombe di famiglia, pregò a lungo, e a lungo intrattenne i nobili ospiti sui primi tempi dell'Oratorio, sulla riconoscenza che i figli di Don Bosco hanno e avranno in perpetuo per i primi Cooperatori che assistettero il Venerabile Don Bosco nella fondazione degli Oratorii. « Gli Oratorii festivi, ripeteva Don Altera, sono l'opera salesiana Per eccellenza; e i Salesiani non possono meglio meritarsi le compiacenze di Don Bosco e le benedizioni di Maria Ausiliatrice, come lavorando generosamente negli Oratorii ».

Il 10 settembre un telegramma di Don Vespignani, Ispettore delle Case Salesiane dell'Argentina, annunziava la morte di S. E. Mons. Giacomo Costamagna, avvenuta il 9 a Bernal, presso Buenos Aires. Non si credette prudente di darne immediata comunicazione a Don Albera: e siccome il buon Padre sapeva che Monsignore era stato malato, gli si disse solo che erano giunte notizie allarmanti; e la mattina dell'11, quando anche i giornali ne davano la notizia, gliene fu annunziata la morte. Parve che l'accogliesse con fortezza, pur lamentando la scomparsa del compagno carissimo; ma non era così.

L'E.mo Card. Cagliero, che se ne accorse, per scemargli un'impressione che poteva esser pericolosa al suo spirito già sofferente, tornò ad esporre il disegno di voler provvedere il Tempio votivo dei Becchi di una bella campana, che si sentisse in tutti i dintorni. Si propose di trasportare ai Becchi una delle grosse campane di Maria Ausiliatrice, di destinare le altre al tempio erigendo di Gesù Adolescente e della S. Famiglia in Borgo S. Paolo, e di riservare le più piccole alla nuova chiesa della Madonna del Rosario in Borgata Monterosa. Così per la Basilica di Maria Ausiliatrice, finalmente, si sarebbe provveduto un nuovo concerto. Da tempo insistevano molti divoti perchè il Santuario di Valdocco avesse delle campane più armoniose delle presenti; ma Don Albera non aveva mai voluto permetterne l'acquisto, per la spesa gravissima. Anche nell'anno cinquantenario della consacrazione della Basilica, che coincideva con la sua Messa d'Oro, aveva dichiarato che sarebbe stato ben lieto in quell'occasione di sentir scendere dalle torri del Santuario più dolci e solenni armonie a onore della Madonna: ma non credeva ancor giunto il momento di far quella spesa, pur conveniente. Il suo pensiero e le difficoltà sue vennero raccolte da alcuni oblatori: cosicchè Don Albera all'udire che si era già raccolta e stanziata a questo fine una parte della somma e che il Cardinal Cagliero l'avrebbe accresciuta, purchè si provvedesse la grossa campana per il Tempio dei Becchi, mentre le vecchie campane del Santuario avrebbero risparmiato due acquisti nuovi: - Ora sì, esclamò, che anche, il Santuario di Maria Ausiliatrice può avere un concerto più armonioso di campane. Bene, bene!... fate presto, perché il Card. Cagliero le possa benedire un altr'anno, per la sua Messa di diamante!

Così, mentre tutte le campane di Buenos Aires suonavano a lutto per la morte di Mons. Costamagna, a Torino, per allontanar la mente di Don Albera da quella perdita dolorosa, si combinava di dare a Maria Ausiliatrice l'armonioso concerto da tempo desiderato.

Il 14 settembre fu un giorno per noi memorando. Castelnuovo d'Asti vedeva raccogliersi ai piedi del monumento di Don Bosco più di ottocento Cooperatori di oltre quaranta paesi dei dintorni. L'E.mo Card. Cagliero non poteva mancare al solenne Convegno, e Don Albera fu ben lieto di accompagnarvelo. Fu un giorno davvero indimenticabile. L'adunata a piedi del monumento, il corteo all'Istituto Paterno, l'assemblea e le discussioni praticissime, l'agape fraterna di circa 50o congressisti e il pellegrinaggio al Santuario dei Becchi furono altrettante dimostrazioni del grande amore che il Ven. Don Bosco riscuote nella sua patria. Don Albera non si sentì in forze di recarsi fino alla casetta ove nacque il Venerabile, e non disse una parola in pubblico: ma parlò col pianto. Al Convegno aveva, resistito; ma a mensa, al succedersi dei vari oratori che vollero esaltare Don Bosco, la sua infanzia, immacolata, il suo zelo apostolico e lo svolgersi dell'opera sua, diede ogni volta in uno scoppio di pianto.

Spine e rose. - Ultimi giorni e morte di Mons. Marenco. - Addio di nuovi Missionari. - Onoranze funebri a Mons. Marenco. - Un altro collasso. - I funerali di Monsignor Costamagna.

E il pianto gli doveva salir più vivo dal cuore: verso la fine del mese. La mattina del 28 settembre rientrava nell'Oratorio, dopo cinque anni di lontananza, il salesiano Mons. Giovanni Marenco, Arcivescovo tit. di Edessa e Internunzio Apostolico e Delegato Straordinario della S. Sede presso le Repubbliche del Centro America. Chiunque l'aveva veduto prima di partire per l'alto e delicato incarico, e lo ricordava prosperoso e nel pieno rigoglio della maestosa persona, rivedendolo ora non poteva non ritrarne un'impressione di profonda commiserazione: tanto era orribilmente dimagrato e disfatto. Era quasi irriconoscibile. Don Albera ne sentì uno strazio al cuore.

Il ritorno presso l'Oratorio, all'ombra di Maria Ausiliatrice, nel nido di tante memorie, per qualche giorno parve infondere nel caro Monsignore un alito di vita novella. A mezzogiorno scendeva a mensa con Don Albera e con gli altri Superiori, godeva della loro compagnia e, non potendo parlare, ascoltava volentieri il racconto delle cose nostre recenti e le vicende delle opere in corso. Per buona sorte era ancor tra noi il Card. Cagliero, il quale potè raccogliere dalle sue labbra l'esposizione che egli stesso avrebbe desiderato fare al S. Padre, e comunicarla a Sua Santità non appena giunto a Roma.

La partenza del Card. Cagliero avvenne la sera del 5 ottobre. Sua Eminenza, nell'atto di congedarsi, rinnovò affabilmente a Don Albera l'invito a seguirlo a Roma, e il buon Padre rispose con melanconico sorriso. Egli sentiva che la sua debolezza era persistente. Tuttavia sperava ancora; accogliendo il fervido invito degli ex-Allievi del Belgio, prometteva loro una visita per il febbraio venturo!...

Il 12 ottobre una falange di circa tremila alunni delle Case Salesiane di Buenos Ayres pellegrinava al celebre Santuario di Lujan per raccomandare alla Vergine la sua salute; dappertutto si pregava allo stesso fine.

Di quei giorni Mons. Marenco non fu più in grado di uscir di camera. Il male aveva ripreso la stia violenza, aggravandosi con precipitazione; e toccò a Don Albera, la mattina del 18 ottobre, recargli il Santo Viatico. Fu una cerimonia commoventissima. Precedeva il piccolo Clero coi ceri accesi, poi una schiera di sacerdoti, quindi Don Albera col Santissimo, seguito da un lungo stuolo di confratelli preganti. Il pietoso compito, ch'egli stesso aveva voluto riserbarsi, lo commosse intimamente, fino alle lagrime e ai singhiozzi. Per tutto il percorso fu un alternarsi di preghiere e di pianto.

Il Card. Arcivescovo di Torino, sapute le tristi condizioni di Mons. Marenco, venne a fargli visita, e Don Albera lo accompagnò al letto dell'infermo. Fu questo l'ultimo incontro con l'Eminentissimo.

Una dolce emozione lo attendeva il 19 ottobre. Dall'Uruguay giungevano quindici chierici, per compiere gli studi teologici allo Studentato Salesiano Internazionale di Foglizzo. I cari giovani, non appena furono alla sua presenza, andarono a gara nei baciargli la mano e nel rivolgergli, in lingua italiana, il più affettuoso saluto. - Filii tui de longe venient! - gli sussurrò dolcemente all'orecchio un confratello. Don Albera dilatò i piccoli occhi scintillanti e sorrise paternamente, reprimendo il pianto; poi accolse con gioia il grazie commosso di quegli americani, da lui chiamati a studiare presso la culla dell'Opera Salesiana.

Il 19 ottobre il S. Padre inviò a Mons. Marenco una speciale benedizione apostolica con indulgenza plenaria in articulo mortis; e il 21 ottobre, verso il mezzodì, Don Albera gli amministrava l'Estrema Unzione. Don Rinaldi, quando gli comunicò la convenienza di non ritardare al morente quest'ultimo conforto, vedendo le tristi condizioni del venerato Superiore, gli propose di affidarne l'incarico al Curato della Basilica; ma egli prontamente rispose: - No, è un Vescovo! - E non senza strazio compì egli stesso il sacro rito.

Mons. Marenco - di cui diremo più ampiamente un altro mese - spirava l'anima benedetta la mattina del 22 ottobre. La salma, vestita degli abiti pontificali, venne esposta la domenica 23 ottobre nella chiesa succursale della Basilica di Maria Ausiliatrice, severamente parata a lutto e trasformata in cappella ardente. Migliaia e migliaia di persone d'ogni ceto e condizione sociale passarono ai piedi del defunto, a mormorare una preghiera e implorargli l'eterno riposo.

Lo stesso giorno si celebrò nella Basilica la funzione di addio di nuovi Missionari salesiani partenti per l'Assam ed altre missioni. Don Albera con apposita circolare aveva invitato i Cooperatori della città a intervenirvi numerosi per ottenere più copiose grazie e benedizioni celesti sulle nuove imprese. La funzione, sempre pietosa, incominciò alle 16.30. Dopo il canto dei Vespri, il capo della nuova missione dell'Assam, il Sac. D. Luigi Mathias, salì il pergamo per la conferenza ai Cooperatori. Seguì la Benedizione Eucaristica, impartita da Monsignor Castrale, in rappresentanza del Card. Arcivescovo. Poi si recitarono le preghiere per i pellegrinanti. Il Santúario era stipato di divoti che con fede mormoravano orazioni e invocavano grazie sui partenti, mentre questi salivano al l'altare per ricevere il Crocifisso benedetto. Finita la distribuzione, Mons. Castrale rivolse ad essi un commoventissimo saluto. Quanti piangevano! « La Famiglia Salesiana è in lutto, diceva Monsignore, per la morte di due Vescovi missionari ». Don Albera, che poco prima era stato costretto dalla commozione a ritirarsi dal presbitero, fece uno sforzo enorme per rimaner sereno. I singoli missionari si avvicinarono a lui, a tino a uno; ne ricevettero l'abbraccio paterno e all'orecchio un'ultima raccomandazione; e gli baciarono affettuosamente la mano. Terminata la funzione, mentre scendeva i gradini della chiesa, i giovani dell'Oratorio gli improvvisarono una spontanea dimostrazione di affetto. Egli passò sorridendo tra due fitte ali di alunni, che s'alternavano a baciargli la mano e si ritirò commosso. Fu l'ultimo loro saluto.

Il 24 mattina ebbero luogo i funerali di Monsignor Marenco, e riuscirono un'imponentissima dimostrazione di compianto per il venerato Arcivescovo, che godeva vive simpatie anche in Torino. La piazza di Maria Ausiliatrice e i cortili del'Oratorio erano rigurgitanti di persone. Il lungo corteo, formato da una fila interminabile di bimbi, di giovinetti, di fanciulle, di signore, di chierici e di sacerdoti, sfilò ordinatissimo per le vie adiacenti il Santuario. Era una giornata triste. Spirava una brezza invernale. E Don Albera, insieme col Vescovo di Massa Mons. Bertazzoni, venuto appositamente a Torino per rendere omaggio al suo venerato predecessore, e Mons. Pinardi, Vescovo Ausiliare di Torino, e tutto il Consiglio Superiore della Pia Società, volle egli pure, benchè cadente, prendervi parte. Ne andò sfinito. La mesta funzione ebbe termine alle 12.15.

Tante emozioni dovevano affrettare la catastrofe. Il 25 fu un giorno di grave prostrazione: tuttavia continuò nelle ordinarie occupazioni e la mattina del 26 ebbe un nuovo collasso, che non gli permise di celebrare; ma egli stesso non volle che se ne parlasse, e tornò alle solite occupazioni.

Il 27 si celebrarono in Maria Ausiliatrice solenni funerali per Mors. Costamagna. Pontificò S. E. Mons. Filippo Perlo, delle Missioni della Consolata, Vicario Apostolico del Kenya; e il teol. Don Eusebio Vismara, salesiano, lesse l'elogio funebre. Don Albera, in mezzo ai Superiori maggiori, era accanto il tumulo. Mai apparve tanto commosso e prostrato, come quel giorno! Quanti scoppi di pianto! Mons. Costamagna era stato suo compagno all'Oratorio, era stato consacrato sacerdote nello stesso anno, e stretto con lui da un'amicizia fraterna, cresciuta e rinsaldata sotto gli occhi di D. Bosco e continuata sempre, anche nella immensa e lunga lontananza. Morto; egli lo nominava sovente, e frequentemente con accenti di commozione e di pianto. Ricordava i giorni della comune fanciullezza e mille episodii dei primi tempi dell'Oratorio, e in tutto questo mondo di ricordi affettuosissimi che tumultuavano, in questo affacciarsi continuo di persone care scomparse, sentiva venir meno il cuore...

Un saluto alle orfanelle di guerra. -- Giorno di calma e di lavoro. - « Moltiplichiamo le vocazioni al sacerdozio ». - Tenerezza paterna. - e Bisogna salvarli ad ogni costo ! ». - Triste presentimento. - La morte.

Alla sera uscì un poco a passeggio, e fu l'ultima volta. Volle recarsi alla Madonna di Campagna, e ve l'accompagnò Don Gusmano. Per via incontrò le orfanelle di guerra delle Figlie di Maria Ausiliatrice, che lo salutarono con lieti sorrisi ed inchini. Il buon Padre rispose al saluto alzando e agitando le mani, e si volse a riguardarle anche dopo che erano passate; e gli occhi suoi s'incontrarono con quelli delle orfane, che si erano rivolte anch'esse a rimirarlo: - Questa volta il sig. Don Albera ci ha salutate con più affetto! - esclamarono le bimbe, e per gioia battevano le mani.

Il 28 - l'ultimo giorno - lo passò in maniera normale. Fu davvero una giornata di relativo benessere e di lavoro. Celebrò all'ora solita e diede udienze tutta la mattina, l'ultima delle quali al Superiore Generale della Congregazione del SS. Sacramento, che volle visitarlo in compagnia di P. Fiorenzo Cesarini.

Quel giorno, avendo ricevuto buone notizie per l'ampliamento della nostra casa di formazione del Chilì, portò più volte il discorso sul nostro Studentato Teologico Internazionale, e con vari manifestò il desiderio di vederlo a Torino, perchè gli alunni potessero essere più vicini all'Oratorio, ai Superiori, e alle venerate tombe di Don Bosco e di Don Rua. - Vedi, diceva all'Economo Generale Don Conelli, noi dobbiamo far ogni sforzo per moltiplicare le vocazioni non solo per la nostra Pia Società, ma anche per le Diocesi. È questo il gran bisogno della Chiesa nell'ora presente! Se vivesse Don Bosco, se vivesse Don Rua, non si darebbero pace fino a quando non avessero provveduto a questa necessità con tutte le loro forze. Noi dobbiamo fare altrettanto. Purtroppo le offerte sono andate da alcuni mesi scemando sensibilmente... Tuttavia, teniamo fermo... se ci viene qualche offerta generosa, vediamo di consacrarla a questo scopo.

Parlando col Prefetto Don Rinaldi ripetè la sua dolce soddisfazione di poter finalmente collocare l'imminente domenica, il 30 ottobre, la prima pietra nelle fondamenta del tempio in costruzione a Borgo S. Paolo; quindi trattò del modo di svolgere decorosamente nella CasaMadre il programma generale dei festeggiamenti per il 3° Centenario dalla morte di S. Francesco di Sales, da noi pubblicato lo scorso mese. Si era stabilito d'invitare per il 1° giorno dell'anno centenario — 28 dicembre corr. - tutti gli alunni delle Case Salesiane di Torino a Maria

Ausiliatrice, mattina e sera, e di dar loro La colazione nell'Oratorio: - Oh! diamo a tutti anche il pranzo, osservò D. Albera; saremo nella brutta stagione: e poi è bene che quel giorno fraternizzino insieme sotto le camerette di D. Bosco e Don Rua presso il Santuario di Maria Ausiliatrice. - Il caro Don Albera, negli ultimi anni, aveva accentuato la sua paternità in modo commovente.

Nello stesso colloquio, venendogli riferito che due poveri giovinetti, pericolanti nella Fede, che egli aveva stabilito di accogliere nelle nostre case per salvarli, non potevano essere accolti in nessun luogo per mancanza di posti: - Accèttali egualmente, disse a Don Rinaldi: in qualche modo ti aggiusterai: bisogna salvarli ad ogni costo! - E vennero accolti di quei giorni, uno in un collegio, l'altro in un altro.

Fu proprio un giorno serenissimo. A notte il segretario accennandogli al precoce e improvviso rincrudire della stagione, lo esortava a recarsi presto a Roma, dove il Card. Cagliero l'attendeva ansiosamente. Non rispose. Ma di lì a poco, salendo in camera, volto a Don Gusmano, esclamò con sentimento: - Monsignor Costamagna è morto!... Mons. Marenco è morto!... - E tacque. Di lì a poco continuò: -- E chi di noi li seguirà il primo?

Andò a coricarsi tranquillo e passò la notte tranquillamente.

La mattina del sabato, alle quattro si alzò, sentendosi oppresso dall'affanno: il segretario accorse subito, accorsero i Superiori chiamati da lui, accorsero due medici: si sperava ancora che l'affanno passasse, come era passato altre volte, ma purtroppo i dottori dichiararono che non avrebbe resistito. Don Rinaldi gli amministrò l'Estrema Unzione, gli impartì l'assoluzione in articulo mortis, e mentre si pregava con lui e per lui, si reclinò su un lato e serenamente spirò.

Erano le 5,15 del 29 ottobre 1821.

Così, modestamente come era vissuto, Don Albera compiva l'ultimo atto della sua vita benedetta.

Accanto al letto, col capo nascosto fra le mani, immerso nel dolore e nel pianto, rimase lungamente inginocchiato D. Gusmano, l'affezionatissimo segretario, che pareva non sapesse staccarsene.

L'annuncio della morte venne immediatamente comunicato al Santo Padre, a S. Em. il Card. Cagliero, a S. Em. il Card. Arcivescovo, di Torino, alla Casa Reale, a tutte le Autorità cittadine, a tutte le Ispettorie Salesiane.

Il Prefetto di Torino Senatore Taddei, appena informato, si recò a Valdocco, esprimendo a Don Rinaldi, con parole di ammirazione e di affetto per Don Albera, le più vive condoglianze.

La salma, rivestita della talare e della stola, venne lasciata per tutta la mattinata sul letto, perchè cominciò subito un pellegrinaggio ininterrotto di tutti i membri della Società Salesiana presenti nelle varie Case di Torino, di Suore di Maria Ausiliatrice, e di Cooperatori.

Note biografiche. (1)

Paolo Albera, nato a None (Torino) il 6 giugno 1845, fu accolto da Don Bosco all'Oratorio nel 1858. È bene. che ci siano state conservate le parole con le quali il Teologo Abrate, priore di None, lo presentava a Don Bosco, perchè quelle parole ora dicono a noi assai più che quel buon sacerdote non intendesse. « Prendilo con te », aveva detto il Teologo Abrate, e Don Bosco lo prese proprio con sè; non solo lo raccolse all'Oratorio, ma l'ebbe subito tra coloro che con lui avrebbero fatto una cosa sola; e per questo, nel primo ritratto che abbiamo di Don Bosco in atto di confessare i suoi alunni (1861), egli volle che Paolo Albera gli stesse vicino: « Vieni qui, gli disse, mettiti in ginocchio, e appoggia la tua fronte alla mia: così non ci muoveremo ». - Quel ritratto è ora per noi un simbolo eloquente.

Venuto all'Oratorio quel giovinetto si fece notar subito per la sua delicata figura, che pareva rispecchiare la delicatezza verginale dell'animo: la sua serietà composta rivelava il suo spirito di raccoglimento interno e gli dava un aspetto di maturità edificante. Si poteva dire di lui come di

Tobia: cum iunior esse!... nihil puerile gessit.

Di svegliato ingegno, in tre anni compì il corso ginnasiale, e l'anno di quinta, il 1861, prima ancora che vestisse l'abito chiericale, Don Bosco lo chiamava a far parte della nascente Pia Società Salesiana, di cui erano state gettate le basi il 18 dicembre 1859.

Chierico, fu tra i primissimi ad emettere le religiose promesse di povertà, castità ed obbedienza il 14 marzo 1862. Furono 22 i generosi, dei quali due soli sono ora i superstiti: l'E.mo Cardinal Cagliero e Don G. B. Francesia.

Nell'ottobre del 1863, il chierico Paolo Albera cominciò subito a dar saggio di sè nel Piccolo Seminario di Mirabello, sotto la direzione di D. Rua.

Ordinato prete nel 1868, fu da D. Bosco richiamato all'Oratorio e, due anni dopo, fu destinato a fondare la casa di Marassi (Genova), trasportata nel 1872 a Sampierdarena, dove lasciò tale impronta di sè, che vive e dura ancora.

Nell'ottobre del 1881 andò a Marsiglia ispettore delle Case di Francia, e qual fosse colà l'opera sua, basta ad attestarlo il nome di « piccolo Don Bosco», col quale vollero chiamarlo quei ferventi ammiratori dell'Opera Salesiana.

Nominato nel 1892 Catechista generale della Pia Società Salesiana, nel 1900 ebbe da D. Rua l'incarico di visitare, come suo rappresentante, tutte le Case Salesiane delle due Americhe, la. qual visita durò fino al 1903.

Eletto Rettor Maggiore nel 191o, dal 1911 al 1915 visitò le Case di Europa.

Nel 1917 fu nominato Delegato Apostolico per le Figlie di Maria Ausiliatrice, da lui sempre comsigliate e assistite con paterna carità.

Nel 1918 celebrò le sue nozze d'oro, che portarono a lui tutto il tributo d'affetto dei Salesiani, delle Figlie di Maria Ausiliatrice, dei Cooperatori e degli Ex-Allievi.

Ancora nel corrente anno 1921 durante l'inverno visitò le case di Francia, e nel giugno fu a Parma, Modena e Milano.

Già infermo, uscendo a passeggio, prendeva volentieri per mèta una casa dei Salesiani o delle Figlie di Maria Ausiliatrice.

Il Signore benedisse ampiamente la sua vita laboriosa, piena di sollecitudini e di opere buone. Gli diede la consolazione di veder benedette le sue fatiche, nel numero dei soci aumentato durante il suo Rettorato di 7o5, nonostante i vuoti causati dalla guerra; nel numero delle case aumentate di 103; nelle nuove Missioni aperte in Africa, nel Congo belga: in Asia, nella Cina e nell'Assam: in America nel Rio Negro in Brasile e nel Chaco Paraguayo; nelle varie case di formazione di nuovo personale; e nei nuovi e fiorenti Oratorii festivi, che aggiunsero alla solennità del suo accompagnamento funebre (rievocante nella sua imponenza devota quelli di Don Bosco e di Don Rua) una nuova nota di commovente edificazione, con le numerose schiere di giovani e adulti, che dietro il suo feretro, colla corona in mano, recitavano a voce commossa il S. Rosario.

Vide dalla S. Sede onorati i Salesiani, colla porpora cardinalizia conferita a Mons. Cagliero, colla dignità episcopale conferita a cinque vescovi residenziali, a tre Vicari Apostolici, a un PrelatoNullius, colla nomina di un Internunzio e di due Prefetti apostolici.

Vide riconosciuta ed onorata anche dal mondo la modestia della sua virtù: da associazioni, da città, e dal Governo italiano, che nel 1920 lo nominava Grand'Ufficiale dell'Ordine Mauriziano.

Il Signore gli concedette infine la grazia di superare l'ardua prova della guerra, di veder la Pia Società ripigliare il rituro della sua vita, di arrivare là dove non eran potuti arrivare nè Don Bosco, nè D. Rua - alla celebrazione delle sue nozze d'oro - e di finir così la sua vita benedetta

in senectute bona.

Ora Egli riposa presso Don Bosco e Don Rua a Valsalice; ed era giusto che là avesse la tomba, dov'ebbe la mente e il cuore negli ultimi anni:

quomodo in vita sua dilexerunt se, ita et in morte non sunt separati.

Ecco, a grandi tratti, la vita del nostro indimenticabile Rettor Maggiore.

(1) Per più ampi dati biografici vedasi il nostro numero del 9 giugno 1918.

Estreme onoranze.

La dolorosa notizia si sparse immediatamente egli ambienti ecclesiastici e con rapidità grande si divulgò in città, provocando ìn tutti la più viva dolorosa impressione, e un senso di sconforto e di compianto per il sacerdote che aveva compiuto tanto bene nella sua laboriosa e pia esistenza. Di bocca in bocca, nei luoghi centrali come nelle località eccentriche, si udiva accennare con rimpianto alla scomparsa del Superiore Generale dei Salesiani, che molti avevano avuto la fortuna di avvicinare e di ottenerne protezione e aiuto.

La cappella ardente.

Verso le ore 14.30 la salma, accompagnata da una piccola folla orante di intimi e di Salesiani, venne trasportata nella chiesa succursale del tempio di Maria Ausiliatrice, parata a lutto, e collocata sul catafalco eretto nel centro, dove, vestita di cotta e stola, le mani incrociate sul petto stringenti il Crocifisso e il Rosario, pareva dormire.

Una folla di fedeli e di ammiratori attendeva già ansiosa per vederla, e subito il registro si coperse di firme di laici, di sacerdoti, di alte personalità e di umili popolani. L'E.mo Cardinal Richelmy, il Vescovo Ausiliare Mons. Pinardi, l'Arcivescovo-Vescovo di Vigevano Mons. Scapardini, il Vescovo di Colle d'Elsa Mons. Masera, e lo stesso Sindaco della città di Torino, Gr. Uff. Riccardo Cattaneo, accompagnato dagli Assessori Zanzi, Giay, Gribaudi e Bona, e molte autorità consolari si recarono a rendere l'ultimo saluto alla salma del 2° Successore di Don Bosco.

La cappella venne chiusa alle 22: ma rimasero attorno il feretro a pregare, per tutta la notte, Salesiani, Figlie di Maria Ausiliatrice, Ex-Allievi e Cooperatori.

La domenica, 30 ottobre, si rinnovò per tempissimo, il mesto pellegrinaggio. All'altare si succedettero, senz'intervallo, le sante messe celebrate dai Superiori della Pia Società per il venerato Rettor Maggiore; e « per tutta la mattina, dalle 5 - scrive il Momento - fino alle 14.30, quando il modesto feretro fu chiuso, la salma venne salutata colle preghiere, coi baci, con i più filiali e teneri gesti, da migliaia e migliaia di cittadini. Abbian notato uomini di tutte le età e di tutte le condizioni. Operai, i più, tranvieri, soldati, artigiani. E donne. E fanciulli, fanciulli, fanciulli. La puerizia di Torino, l'innocenza e la speranza della città tentacolare è passata tutta davanti a Don Albera, sorridente e soave, in punta di piedi, per non destare il dolce, indulgentissimo Padre che dormiva nel suo Signore. Abbiam assistito ad episodi di una delicatezza e di una grazia leggera, come quella di un fiore fresco e di una bella musica. Un vecchietto si avvicinò tremante alla salma, si inginocchiò, tolse dal taschino del panciotto un povero orologio di ottone e lo depose sulle mani incrociate, esclamando in dialetto: « Benedici, o Don Albera, il. poco tempo che mi resta ancora da vivere quaggiù! ». E allora tutti i presenti si avvicinarono a Don Albera chiedendo - come se potesse ancora udire - che benedicesse il Rosario, il libretto delle preghiere, l'anello nuziale, la medaglia, della Consolata, la medaglia dell'Ausiliatrice, la croce o la medaglia di guerra, segnate dall'azzurro della prodezza... Chiedevano indulgenza, come a un santo...

» E l'anima di Don Albera, nella pace del primo riposo, ha certo udito le ingenue tenerissime invocazioni di tanti cuori filiali. E le ha certo offerte al Signore a suffragio della sua anima, per il bene della sua Valdocco, di tutte le sue Case in lutto...

» Rare volte una salma di vegliardo ci si offrì così augusta e così veneranda. La morte pareva bella davvero nel venerato viso marmoreo. La bocca sottile - non contratta dallo strazio - pareva semiaperta al sorriso e alla preghiera: gli occhi, quei piccoli occhi scrutatorii e limpidi, si indovinavano sotto le palpebre: la fronte, tutta segnata dalle rughe del pensiero, nel candore della canizie aveva una maestosità da statua. Il corpo invece sotto l'umile talare e la stola non s'indovinava più. Ai nostri sguardi D. Albera era già quasi incorporeo, tutto spirituale... Le mani, le care mani incrociate e circondate dal Rosario eran diventate più bianche, più lievi, più pietose. Tutti le guardavano, quelle piccole mani delicate e inerti, che sicure avevano retto per tanti anni difficili e sanguigni il timone della Congregazione. Non sapevamo pensarle inerte per sempre...

» Le mani di Don Albera, benedicenti fino alla fine, non le dimenticheremo più ».

I funerali.

« Imponente manifestazione di cordoglio - prosegue il Momento - sono riusciti i funerali celebrati nel pomeriggio.

» Alle ore 14 cominciano ad affluire nel gran cortile dell'Oratorio le prime rappresentanze, mentre la piazza prospiciente il Santuario di Maria Ausiliatrice va, man mano, affollandosi sino a diventare verso le 14.30 un mare di teste. Le autorità giungono alla spicciolata e vanno ad attendere nel cortiletto della chiesa succursale, dove è una pergamena che in poco tempo viene ricoperta di firme illustri. La bara, già chiusa e ricoperta d'un drappo nero, attende l'ora dei funerali. Dei sacerdoti pregano silenziosamente attorno ad essa nella piccola cappella parata a lutto.

» Nel cortiletto della chiesa parrocchiale sono pure i parenti di Don Albera, i nipoti venuti da None, da Vigone e Pinerolo, a tributare l'estremo saluto al caro congiunto. Sono donnette pensose, uomini dalle mani callose, dal viso abbronzato, che sanno il duro lavoro dei campi. Guardano attoniti la numerosa schiera delle autorità, si fanno da parte rispettosi e umili quando passa qualche personaggio in cilindro. Le donne hanno gli occhi rossi di pianto, parlano del loro congiunto e lo pregano già come un santo.

» Frattanto le rappresentanze seguitano a giungere e ad ordinarsi nel grande cortile dell'Oratorio. in meno di un quarto d'ora sono già centinaia. La selva delle bandiere s'infittisce: toccano il centinaio, poi sono duecento, poi ancora di più. Prendono posto una accanto alle altre, rimangono immobili nel sole in attesa di essere incolonnate. L'elemento giovanile predomina. Sono centinaia e centinaia di giovani, sono le rappresentanze dei Circoli della città e dei dintorni, Circoli maschili e femminili, ordinati, composti, silenziosi. Verso le tre il grande cortile è zeppo di gente, sono parecchie migliaia di persone già perfettamente ordinate che attendono di sfilare. Le bande sono quattro e precisamente: Oratorio interno, Oratorio esterno, Oratorio Monterosa, e la Giovanni Cagliero.

» Nello stesso tempo, nella piazza la folla- è divenuta imponente, è il popolo che attende per mettersi alla coda del corteo ».

Il corteo funebre.

Alle 15 in punto il corteo comincia a comporsi e a sfilare per via Cottolengo, Corso Principe Oddone, Corso Regina Margherita, piazza Emanuele Filiberto, e, di nuovo, via Cottolengo sino alla Basilica. Guardie municipali e guardie regie aprono la strada, ma la loro opera è superflua; non occorre metter l'ordine; tutta quell'immensa folla è ordinata per se stessa, ordinate le cinquantamila persone che assistono reverenti alla sfilata. È folla che prega, folla che è venuta da tutte le barriere recitando forte il Rosario per le vie di Torino, folla che si rovesciava dai trams innumerevoli, raddoppiati di numero per l'occasione. Folla che si scopre senza attendere l'invito, che tace e prega, che rende l'estremo e cristiano omaggio ad un prete, ad un umile prete che non ha titoli nè grandi onorificenze, che è vissuto per il bene del popolo, che ha pensato ai poveri dimenticando se stesso.

Apre il corteo una croce bianca, avvolta in un velo nero, portata da una bimba bionda, vestita di nero. Seguono le sue compagne, tutte vestite di nero. Sono le orfane di guerra, raccolte ed educate dalle Figlie di Maria Ausiliatrice in Torino e a Grugliasco. Dopo esse sfilano gli orfanelli di guerra raccolti dalle stesse Suore a Sassi. Vengono quindi le masse degli Oratori festivi: prima l'Oratorio femminile di Maria Ausiliatrice; quindi gli Oratori maschili di Monterosa, S. Paolo, Valsalice e Martinetto. Seguono numerose Associazioni femminili in divisa, piccole bimbe in bianco, le squadre ginnastiche delle Filiae Sion e vari istituti femminili. Ogni associazione è preceduta dal suo labaro. Il sole tramonta e mette su quella folla multicolore una mirabile nota d'oro. Tutto il piccolo mondo di bimbe e bimbi, che sfilano pregando ad alta voce, passa come in un pulviscolo d'oro. Le note delle bande infondono una profonda malinconia nello stupendo quadro d'insieme, che si offre a chi guarda.

Agli istituti femminili seguono gli Oratorii maschili San Giuseppe, S. Luigi e S. Francesco; quindi gli Istituti salesiani del Martinetto e San Benigno, e le rappresentanze dei Collegi Salesiani di Lanzo, Ivrea, Cuorgnè, Alessandria, Novara, Lombriasco, Castelnuovo, seguite da altri istituti e da tutti gli alunni del Collegio pareggiato di S. Giovanni Evangelista.

Passano cento bandiere abbrunate, passa la folla dei partecipanti ininterrottamente. Si prega, si recita il Rosario ad alta voce; è un mormorio grave quello che si alza, mentre il popolo, che fa ala al passaggio, a capo scoperto, guarda commosso ed aumenta di numero ad ogni minuto.

Ecco i Circoli Universitari cattolici, maschile e femminile, l'Istituto del Suffragio, il Circolo Mazzarello, le Donne Cattoliche, le Dame di Maria Ausiliatrice, i Normalisti di Valsalice; gli alunni dell'Oratorio interno, artigiani e studenti; le bambine del Giardinetto, la Madri Cristiane; le Figlie di Maria, in divisa, di Bertoulla, del Lingotto, di S. Gioachino, e di Maria Ausiliatrice; poi molte Suore, le Figlie della Carità, le Francescane Angeline, le Francescane Missio narie, e una lunga schiera di Figlie di Maria Ausiliatrice con la loro Superiora Generale e varie Madri del Consiglio Generalizio.

Dopo la banda degli artigiani dell'Oratorio, viene il Clero, tanto numeroso che chierici e sacerdoti sfilano anch'essi a quattro a quattro: ultimi vengono i Parroci della città in mozzetta, e in abiti pontificali i Vescovi Mons. Perlo, Vicario Apostolico del Kenya, e Mons. Masera, Vescovo di Colle Val d'Elsa, che precedono immediatamente il feretro.

La salma viene trasportata al carro funebre da otto chierici salesiani, rappresentanti rispettivamente l'Italia, la Spagna, l'Argentina, il Brasile, l'Uruguay, la Baviera, l'Austria, la Cecoslovacchia, assistiti dai rappresentanti di altre 17 nazioni, dove l'Opera Salesiana ha piantato le sue tende. Più di venti simboli, più di venti nazioni, più di venti bandiere s'inchinano riverenti alla salma del mite Don Albera!

« Come significare meglio - osserva L'Unità Cattolica - l'internazionalità dell'opera d'apostolato cristiano e civile, che Don Bosco ha fondato e paternamente guida sempre dal Cielo? Qual esempio più bello e più chiaro per mostrare al mondo tutto, quanto possa la parola e la fede santa di Cristo, su tutti i cuori, e come essa sia l'unica via alla fratellanza universale, alla pace duratura, all'amore fra nazione e nazione, in nome d'un'Idea superiore, in nome del sacrificio di Colui, che ci ha voluti avanti a Lui tutti eguali, tutti fratelli? ».

Il carro, semplicissimo, senza fiori, è fiancheggiato da quattro valletti municipali in alta tenuta, da un drappello di guardie civiche e regie e da quaranta Orfani di guerra discesi da Pinerolo, dall'Istituto di Monte Oliveto, così caro al cuore di Don Albera.

Reggono i cordoni: il sindaco Gr. Uff. Avv. Riccardo Cattaneo per la città di Torino, il sindaco di None Cav. Cerutti per la patria, il Vice-Prefetto Comm. Boggio per la Prefettura, il Gr. Uff. Gonella per la Magistratura, il ViceQuestore Tabusso per la Questura, Mons. Maffei per il Clero Torinese, il Sen. Rebaudengo e l'on. Avv. Fino per i Cooperatori, l'Avv. Felice Masera per gli Ex-Allievi, e il Sac. Dante Munerati per la Famiglia Salesiana.

Dietro la salina vengono immediatamente il Prefetto Generale D. Rinaldi coi membri del Consiglio Superiore, i parenti e i conterranei di Don Albera in gran numero, il Conte Leopoldo Roero di Monticello in rappresentanza di S. A. R. e I. la Principessa Laetitia, il Conte e Prospero Balbo in rappresentanza del Duca e della Duchessa d'Aosta.

Seguono le Autorità, i Consoli e le più illustri rappresentanze, miste a folti drappelli di ExAllievi appartenenti a moltissime Unioni e ad una selva di bandiere, attorno a cui s'addensano a centinaia i membri di Circoli giovanili, di Unioni Operaie, di Associazioni Cattoliche, di Famiglie Religiose. Chiude il corteo una fiumana di popolo.

Le esequie,

Oltre cinquantamila persone hanno sfilato così per circa due ore, poichè il carro funebre giungeva alla basilica verso le cinque. Le associazioni giovanili sono entrate nel Tempio e subito, per le porte laterali, son uscite nei cortili dell'Oratorio, ad eccezione degli Alunni interni, delle Rappresentanze, e delle Autorità e del Clero che hanno circondato la bara nel tempio. Sulla porta era l'E.mo Card. Cagliero, giunto alle u della mattina da Roma, il quale, tra la commozione dei presenti, cantate le esequie, ha impartito l'assoluzione alla salma.

« La cerimonia - conclude il Momento - è finita così, religiosamente, senza discorso, con delle preghiere soltanto. E non occorreva dire di Don Paolo Albera: le centomila persone accorse ai suoi funerali sapevano già chi era l'umile prete che si accompagnava al riposo eterno.

» Terminata la cerimonia la chiesa si è lentamente sfollata, mentre sulla grande piazza, nella tristezza del crepuscolo, le associazioni si dirigevano per diverse vie alle proprie sedi. Così è stato reso l'estremo omaggio a Don Paolo Albera. La penna non può dare che una pallida idea della grandiosità della mesta cerimonia, che ha attestato quale sia l'attaccamento del popolo al Padre della Famiglia Salesiana ».

La Messa " praesente cadavere".

All'indomani, 31 ottobre, vigilia di tutti i Santi, i Superiori tutti celebrarono nuovaniente per turno all'altare di Maria Ausiliatrice in suffragio del defunto. Alle 9,3o ebbe luogo la messa solenne praesente cadavere. Il tempio era stipato di fedeli, autorità e rappresentanze. Non facciamo nomi, perche dovremmo riportare il lungo elenco dei più insigni ed affezionati benefattori.

La Messa venne pontificata dall'E.mo Cardinal Cagliero. In presbiterio assistevano in abiti pontificali le LL. EE. Rev.me Mons. Pinardi, vescovo ausiliare, in rappresentanza dell'Em.mo Card. Arcivescovo, Mons. Masera, Vescovo di Colle Val d'Elsa, Mons. Filippo Perlo, Vicario Apostolico del Kenya, e Mons. Scapardini, arcivescovo-vescovo di Vigevano. Anche il collegio dei Parroci era largamente rappresentato, e molte furono anche le rappresentanze d'istituti religiosi, maschili e femminili, di società operaie cattoliche e circoli con bandiera, che vollero rinnovare al Defunto la imponente dimostrazione dei giorni innanzi. Ai fianchi del feretro erano i Superiori Salesiani e il Consiglio Generalizio delle Figlie di Maria Ausiliatrice. La cerimonia ebbe termine alle 11,30.

L'ultimo saluto.

Alle due pomeridiane, a porte chiuse, si procedette alla chiusura definitiva della cassa funebre. Tutti i Salesiani di Valdocco e i direttori di quasi tutti gli Istituti Salesiani del Piemonte, insieme con gli Ispettori d'Italia e di Francia e i membri del Consiglio Superiore, sfilarono reverenti e commossi innanzi al feretro, momentaneamente scoperto. La salma presentava perfettamente intatti il colorito e i lineamenti, e ispirava un senso di venerazione. Anche l'Eminentissimo Card. Cagliero scese a visitarla. Prima di ricoprirla e sigillarla, venne deposto nell'urna un tubo di cristallo contenente una artistica pergamena, coperta dalle firme dell'E.mo Card. Cagliero, dei membri del Consiglio Superiore della Società Salesiana, degli Ecc.mi Vescovi Mons. Perlo, Mons. Masera e dell'Arcivescovo-Vescovo Mons. Scapardini, e di quasi tutte le Autorità civili ed ecclesiastiche che presero parte alla funebri onoranze.

La pergamena dice cosi:

« Nel nome di Dio. Amen. - Pietà di figli compose in quest'urna le lagrimate spoglie del rev.mo Sac. Paolo Abera, nato a None il 6 giugno 1845, eletto Rettor Maggiore della Pia Società Salesiana il 16 agosto 1910, deceduto all'Oratorio Salesiano il 29 ottobre 1921, l'anno VII del Pontificato di Benedetto XV e l'anno XXII del Regno di Vittorio Emanuele III di Savoia, governando l'Archidiocesi di Torino l'Em.mo Cardinal Richlemy. - Secondo successore del Ven. Don Bosco, consolidò ed ampliò nel mondo l'opera dei suoi Predecessori, fondò nuove missioni, si offerse padre a innumerevoli orfani della immane guerra, assistè all'apoteosi civile del suo Venerabile Padre nell'inaugurazione del monumento, intrecciò il proprio col giubileo di Maria Ausiliatrice ».

Il feretro, collocato in un carro funebre dell'impresa municipale, seguito da quattro carrozze, uscì dall'Oratorio, ricevendo l'ultimo saluto dagli alunni, schierati in cortile, e si diresse a Valsalice.

La tumulazione.

Nell'ampio cortile del Seminario delle Missioni Estere era convenuta una folla di Cooperatori e Cooperatrici, di rappresentanze d'istituti con bandiera, di spiccate personalità.

La venerata salma venne ricevuta dal Direttore di Valsalice e dai chierici in cotta. Al canto dell'antifona Beati mortui qui in Domino moriuntur, l'E.mo Card. Cagliero indossò il piviale nero e si formò il corteo. La lenta teoria di chierici sfilò cantando il Miserere per i portici dell'Istituto e salì alla chiesa. Dietro la salma portata dai professori dei Valsalice, erano Don Rinaldi, Don Barberis, D. Conelli, D. Fascie, D. Ricaldone, D. Piscetta, D. Gusmano, D. Munerati, con vari Ispettori e Direttori Salesiani. Seguivano le Figlie di Maria Ausiliatrice con le Superiore del Consiglio Generalizio, e una folla di Salesiani e di amici.

Nella chiesa, cantate le esequie, l'Eminentissimo impartì l'assoluzione di rito. Nell'intimità della cerimonia, il vecchio missionario, che finora aveva sempre taciuto e represso nel silenzio il suo dolore, volle rivolgere ai presenti una parola di conforto. E ricordò la morte del Ven. Don Bosco, le sue ultime parole e raccomandazioni, l'assicurazione che la Società Salesiana, essendo opera di Dio, e non dell'uomo, avrebbe continuato ad estendersi: quindi ne rilevò la meravigliosa espansione in tutto il mondo, mercè la protezione di Maria Ausiliatrice, sotto il governo dell'indimenticabile D. Rua e di Don Albera; e ne trasse argomento per animare tutti alla fiducia in Dio, nella fedeltà al programma: «lavoro e preghiera » sotto la protezione di Maria Ausiliatrice.

Le spoglie mortali del venerato D. Albera furono quindi trasportate sotto il porticato della cappella che racchiude i resti del Ven. D. Bosco, e, dopo un'ultima preghiera, tumulate in apposito loculo, a sinistra dell'ingresso alla tomba di Don Bosco, dalla parte opposta a quella in cui riposa Don Rua.

Vale e riposa in Cristo anche Tu, Padre venerato! Noi abbiam pregato e pregheremo sempre per Te, e Tu continua, anche dall'altra vita la tua vigilante assistenza sulla nostra Famiglia. Con i nostri padri dolcissimi Don Bosco e Don Rua, ai quali Tu ti sei ricongiunto, benedici ai Benefattori e alle Opere dei figli tuoi: e impetra a tutti, ad intercessione di Maria Ausiliatrice, come Tu sempre predicasti in vita, inviolata fedeltà agli esempi e agli insegnamenti dei tuoi due Predecessori, per la salvezza delle nuove generazioni!

A Borgo S. Paolo.

Per la domenica 30 ottobre, in cui ebbero luogo i funerali, Don Albera aveva stabilito di collocare nelle fondamenta dell'erigendo tempio in onore di Gesù Adolescente e della S. Famiglia, a Borgo San Paolo, la prima pietra, in forma privatissima; nè più nè meno come Don Bosco aveva collocato il primo sasso nelle fondamenta della Basilica di Maria Ausiliatrice, riservando la solennità della posa della pietra angolare alla prossima primavera.

Il pensiero di Don Albera, ad invito del Consiglio Superiore della Pia Società, venne rac colto dall'Em.mo Card. Cagliero e compiuto il giorno di Ognissanti, alle ore 11. Nessun invito, nessuna pompa, nessuno sfoggio di apparati. La cerimonia, come aveva stabilito di compierla Don Albera, così si svolse, proprio in famiglia, quantunque sieno stati molti quelli che vollero assistervi, in omaggio alla sua memoria. Noi abbiamo calcolato presenti non meno di cinquemila persone.

L'arrivo del Card. Cagliero e del Consiglio Superiore della Società Salesiana fu salutato da un reverente unanime applauso. Il Cardinale, in piedi ad un umile tavolo presso lo scavo, vestì cappa e stola : e mentre un coro poderoso di giovinotti del circolo e dell'Unione Padri di famiglia eseguiva una grandiosa antifona del maestro Cimatti, scese per una lunga scala nel profondo della fondamenta, ove, a mezzo di una gru, calava lentamente il macigno, recante scolpito il venerato nome di Don Albera e la data 3o dicembre 1921, cioè il giorno in cui il compianto Superiore, si era proposto di compiere egli stesso l'umile cerimonia.

Detta la preghiera di rito e asperso il masso coll'acqua benedetta, il Card. Cagliero risalì la scala; e subito il Presidente dell'Unione Padri di famiglia, fiorente di 300 soci, si avanzò e gli lesse un devoto ringraziamento.

Il Cardinale, stupito dinnanzi a quella moltitudine piena di riconoscenza e di fede, non potè trattenersi dall'esprimerle pubblicamente la sua cordiale ammirazione, ed augurò e pregò che il nuovo Tempio possa essere in breve condotto a compimento per l'intima rigenerazione cristiana di una così generosa popolazione.

Il Consiglio direttivo del Circolo S. Paolo e l'Unione dei Padri di famiglia comunicavano in seguito a Sua Eminenza e al Consiglio Superiore della Pia Società Salesiana un loro nobilissimo proposito. « Don Albera, dicevano, ha promesso di dare e dà a Borgo San Paolo la chiesa di cui abbiamo necessità estrema: pieno di gratitudine, Borgo S. Paolo darà alla tomba di Don Albera un marmoreo monumento, degno di star vicino a quelli di Don Bosco e di Don Rua ».

Universale rimpianto.

A completare la cronaca delle solenni onoranze funebri, tributate al desideratissimo nostro Rettor Maggiore e a meglio rilevarne tutta la grandiosità aggiungiamo, sia pure sommariamente, l'elenco delle personalità e delle istituzioni ed associazioni che vi presero parte:

Del Clero:

Rappresentanze del Capitolo e del Seminario Metropolitano, col Rettore, Professori ed alunni del corso teologico, delle Collegiate della SS. Trinità e del Corpus Domini, del Collegio dei Parroci, del Convitto Ecclesiastico della Consolata, del Seminario di Giaveno, dell'Opera diocesana del pellegrinaggi, dell'Associazione Nazionale Missionari; dei Padri Francescani, Domenicani, Gesuiti, Barnabiti, Camilliani, Preti delle Missione, Rosminiani e Sacramentini, dei Missionari della Consolata, dei Fratelli delle Scuole Cristiane e Fratelli Maristi.

del Laicato:

I Sindaci e Municipi di Torino, None e Castelnuovo d'Asti: il Vice-Prefetto e il Vice-Questore di Torino, il Presidente del Tribunale di Torino, il Procuratore Generale e il Primo Presidente della Corte d'Appello di Torino, la Deputazione Provinciale; Senatori e Deputati; Nobili Famiglie del Patriziato Piemontese, il Corpo Consolare di Torino; Professori delle Università di Torino e di Catania, del Politecnico e delle Scuole Medie e Secondarie di Torino; il Provveditore agli Studi; Autorità militari e rappresentanze dell'Unione Reduci di Guerra.

Associazioni:

Giovane Montagna, Patronato Scuole De-Amicis, la Federazione Piemontese delle Casse Rurali, la Federazione Agricola Piemontese, la Lega Magistrale Rayneri, la Banca del Lavoro e della Cooperazione, il Credito Piemontese, la S. A. Valdocco, la Lega Portinai dell'Unione del Lavoro, l'Associazione Nazionale della Stampa, le Unioni Padri di Famiglia di S. Paolo e di Monterosa.

Istituti religiosi femminili.

Rappresentanze delle Francescane Angeline, Giuseppine, Piccole Serve del Sacro Cuore, di Maria SS. Consolatrice, dell'Immacolata Concezione, della Provvidenza, delle Madri Pie, di Maria Addolorata, delle Missionarie del Sacro Cuore, delle Figlie e delle Suore della Carità e delle Missionarie dell'Imm. Cuore di Maria.

Istituti educativi:

Sociale, Cottolengo, Artigianelli, Casa Benefica, Prinotti, S. Giuseppe, La Salle, Ricovero Fanciulli abbandonati, Faà di Bruno del Suffragio, Albergo di virtù, Sacra Famiglia, S. Anna, Colombini, Chirone, Immacolata, Ricaldone, Conservatorio del Suffragio, e S. Giuseppe di Bagnolo.

Unioni Operaie Cattoliche:

L'Unione Operaia Cattolica Centrale e le Sezioni di Maria Ausiliatrice, S. Carlo, S. Gioachino, Madonna della Pace, S. Massimo, S. Cuor di Gesù, S. Secondo, Crocetta, Vanchiglia, S. Cuor di Maria, S. Agostino, S. Giovanni, Ss. Angeli Custodi, S. Maria, Lombriasco, Lucento.

Gioventù Cattolica:

Il Consiglio Direttivo della Federazione Cattolica Giovanile di Forino e i Circoli Giovanili Cattolici Maschili, dei quali la maggior parte con bandiere, Auxilium, XV Maggio, Domenico Savio, S. Filippo, Giuseppe Toniolo, Salus, Costantino, Fiamme Bianche, SS. Crocifisso, S. Donato, Fides et Robur, S. Croce, In Fide Salus, Immacolata, Piero Delpiano, Giosuè Borsi, Savonarola, S. Barbara, D. Cocchi, S. Dalmazzo, Amedeo IX, Virtus in arte, Vittorio Alfieri, S. Gioachino, Fortitudo, S. Cuor di Maria, Zappata, Antoniano, Unione Giovani, Michele Rua, Vittorio Suppo, S. Paolo, Cesare Balbo, Rerum Novarum, S. Bernardino, Michele Magone, Rosmini, Massaia, D. Nassò, P. Denza, l'Unione del Coraggio Cattolico, il Circolo di Lombriasco, Paolo Albera di None, ecc.

Trecento Esploratori Cattolici; i Circoli Cattolici Femminili, dei quali alcuni con bandiere, Maria Mazzarello, Gaetana Agnesi, S. Gioachino, Ignis Ardens, S. Giovanni Battista, S. Paolo, S. Cuore di Maria, Giovanna d'Arco, La Vedetta, N. S. di Lourdes, Chiesa della Salute, S. Maria di Piazza, S. Giulia, Aurora del Carmelo, Unione Donne Cattoliche e le Figlie di Maria di varie Parrocchie.

Parteciparono pure ufficialmente il Comitato Centrale delle Dame Patronesse delle Opere Salesiane, gli Ispettori Salesiani dell'Italia, Francia, e Spagna, gli Oratori Festivi e gli Istituti Salesiani di Torino, Foglizzo, Lanzo, Pinerolo, San Benigno Canavese; le rappresentanze di tutti i collegi salesiani del Piemonte e di alcuni della. Liguria e della Lombardia, degli Istituti delle Figlie di Maria Ausiliatrice di Torino, Lingotto, Bertoulla, Sassi, Grugliasco, Giaveno; e, in gruppo, i Salesiani rappresentanti di più di venti nazioni di origine, e cioè l'Italia, la Francia, la Spagna, il Portogallo, l'Inghilterra, l'Irlanda, l'Austria, la Baviera, la Germania, la Czeco-Slovacchia, la Iugoslavia, l'Ungheria, la Polonia, la Russia, la Svizzera, l'Argentina, il Cile, il Paraguay, l'Uruguay, il Brasile, il Messico, gli Stati Uniti, del Nord America, e l'Equatore; e molte Unioni exallievi d'Italia e dell'Estero.

Le condoglianze.

Furono innumerevoli. Ricordiamo Sua Santità Papa Benedetto XV, gli Augusti nostri Sovrani, S. M. la Regina Madre, le LL. AA. RR. il Duca e la Duchessa di Genova, S. A. R. e I. la Principessa Laetitia, le LL. EE. il Ministro dei Lavori Pubblici, il Ministro Guardasigilli, il Sottosegretario al Lavoro ;

gli Em.mi Gasparri, Richelmy, Pompilj, Granito di Belmonte, Valfrè, Boggiani, Van Rossum, Maffi, La Fontaine, Mistrangelo, Ratti, Bacilieri, Giorgi, Laurenti, Lualdi, Sbarretti, Francica Nava, Silj, Almaraz y Santos;

innumerevoli Arcivescovi e Vescovi residenziali, fra cui quasi tutti quelli delle Diocesi che hanno Istituti Salesiani;

Senatori e Deputati, Ambasciatori e Consoli di varie nazioni;

Municipi e Consigli provinciali; Assessori e Consiglieri municipali e provinciali;

molte nobili famiglie del patriziato piemontese e italiano, professori di università e istituti superiori, provveditori agli studi, dottori e magistrati insigni.

Ricordiamo anche in particolare: la Presidenza Generale della Gioventù Cattolica Italiana, con vari Consigli regionali e federali, e innumerevoli circoli giovanili, la Federazione Universitaria Cattolica Italiana, la F. A. S. C. I.;

insigni Famiglie religiose e Istituti, Capitoli di Cattedrali e di Collegiate, Collegi di Parroci, Congregazioni di Carità;

quasi tutte le Unioni dei nostri Ex-allievi d'Italia e dell'estero, molti Comitati di Cooperatori e Cooperatrici, di Dame Patronesse delle Opere Salesiane, di Donne Cattoliche, ed anche Associazioni commerciali e industriali, banche e istituti finanziari, ecc.

I telegrammi, le lettere e i biglietti di privati assommano a migliaia.

Ringraziamo commossi e chiediamo venia se non ci è dato, come vorremmo, accennar tutti nominatamente.

IL SOMMO PONTEFICE.

Santo Padre, appreso vivissima pena inopinata morte benemerito Rettor Maggiore, uniscesi suffragi Comunità Salesiana, cui implora abbondanza divini conforti, invia apostolica benedizione. - Card. GASPARRI.

I SOVRANI

(Pel tramite del Prefetto di Torino).

...Per espresso incarico delle Loro Maestà mi pregio esprimere a tutta la Famiglia Salesiana le più profonde condoglianze degli Augusti Sovrani per la grave perdita. - Il Prefetto TADDEI.

S. M. LA REGINA MADRE.

Sua Maestà la Regina Madre lui vuole interprete presso benemerita Famiglia Salesiana sue vive sincere condoglianze per il grave lutto onde fu colpita colla morte del suo Superiore Generale Don Albera. - D'ordine La Dama di Palazzo Contessa PES di VILLAMARINA. .

LE LL. AA. RR. I DUCHI DI GENOVA.

« Mia moglie ed io prendiamo viva parte al loro dolore per la perdita del compianto benemerito Don Albera. - TOMMASO DI SAVOIA.

S. A R. e I. LA PRINCIPESSA LETIZIA.

Prendo vivissima parte loro grave lutto rimpiango Don Albera modello di ogni virtù grande benefattore di tutti gl'Italiani anche nelle più lontane terre degno Successore Santo Don Bosco gloria torinese. - LETIZIA SAVOIA NAPOLEONE.

5. E. IL CARDINAL GASPARRI.

Il nuovo lutto che ha colpito la famiglia Salesiana con la inopinata morte dell'armato Rettor Maggiore ha avuto un'eco profonda anche nel mio cuore, stretto con vincoli di particolare affetto. alla grande famiglia del Venerabile Don Bosco.

Mi do pertanto premura di esprimere a tutti i membri del benemerito Istituto le più sentite e commosse condoglianze e di assicurarli che in unione alle preghiere che da tutte le parti del mondo si elevano al Signore, imploro l'eterno premio dei giusti all'anima eletta del compianto Don Albera.

IL CARD. ARCIVESCOVO DI TORINO.

Il Card. Richelmy, Arcivescovo di Torino, rinnova le più vive condoglianze alla benemerita Società Salesiana, si associa alle preghiere per la pace di quell'anima elettissima, invoca dal Cielo sopra gli orfani figli le più copiose benedizioni.

S. E. IL CARD. POMPILY.

Con vivo dolore apprendo la morte del Sig. Don Albera. Era un santo, e il Signore lo ha voluto nella sua gloria, al posto che meritava! Quanti lo conobbero e lo ammirarono in vita, ne ricorderanno con grande desiderio la virtù dolce e forte, l'attività instancabile, la carità senza limiti. Fu veramente degno successore dì Don Bosco e di Don Rua.- Nel cielo pregherà per noi, per la Società Salesiana, per le Opere alle quali egli diede tutto se stesso.

S. E. IL CARD. VINCENZO VANNUTELLI.

Ammiratore delle alte doti e profonda pietà che ornavano la bell'alma del rev.mo Don Albera, non posso dispensarmi dall'esprimere al Consiglio Superiore della Pia Società Salesiana le mie condoglianze profonde per la perdita fatta. La Società avrà nel Cielo un intercessore di più, e sia questo di conforto a tutti i figli del Ven. Don Bosco. Pace eterna all'indimenticabile defunto!

S. E. IL CARD. G. GRANITO DI BELMONTE.

La grave perdita di tanto bella figura è un'altra scossa che riceve la Società Salesiana, la quale ciò nonostante rimane ben salda, perchè ha le radici del cuore del Venerabile Don Bosco!

S. E. IL CARD. VALFRÈ.

Profondamente addolorato morte pio, zelante Rettor Maggiore Don Albera, associasi nuovo lutto cara Società Salesiana assicurando suffragi.

S. E. IL CARD. BOGGIANI.

... Ho avuto il bene di avvicinarlo più volte, e ne ho sempre avuto l'impressione ch'egli fosse. un vero santo. Il lutto e il dolore dei Salesiani deve essere grandemente alleviato dal pensiero che essi hanno presso Dio un celeste patrono di più.

S. E. IL CARD. MAFFI.

Stava telegrafando condoglianze morte amatissimo Mons. Marenco, giungemi notizia perdita Don Albera. Desolatissimo inginocchiato veneratissima salma piango prego fratello coi confratelli, dividendo immenso dolore, divine speranze.

S. E. IL CARD. LA FONTAINE.

Leggo adesso che il Signore ha chiamato a sè il carissimo Don Albera. Perdete molto in terra, ma guadagnate, assai più che non perdiate qui, in Cielo. Don Bosco, Don Rua, Don Albera fulgebunt in perpetuas aeternitates. Anime belle! Dormono nel sonno di Dio.

S. E. IL CARD. MISTRANGELO.

Mi giunge inaspettata la dolorosa notizia della morte del rev.mo Don Albera; al quale era legato da vincoli di antica amicizia. Intendo prender parte al loro dolore, innalzando preghiere a Dio per l'anima benedetta. Non dimentico di suffragare l'amico venerato, Mons. Marenco, la cui perdita anche a me ha recato vivo dolore. Il Signore conforti e protegga la Società Salesiana, che io di cuore benedico.

S. E. IL CARD. A. RATTI.

Condoglianze tanto più vive quanto più apprezzata e cara la conoscenza personale del venerato compianto, pregando ed augurando ogni bene alla benemerita Società.

S. E. IL CARD. ALAMARAZ V SANToS.

... Comprendo il dolore e la pena della Società Salesiana per la morte del terzo Successore di Don Bosco; mi considero come della medesima famiglia nel sentire tale perdita, e prego Dio per l'anima di così insigne e grande Rettor Maggiore.

S. E L'ON BoSELLi, 1° Segretario di S. M. per l'Ordine Mauriziano.

Colla più dolorosa commozione apprendo la morte di Don Albera. Ignoravo fosse malato. È perdita immensa per quanti credono che gli uomini che più sentono il Cielo sono i migliori sulla terra.

Don Albera aveva nelle sembianze e nell'anima la misticità ispiratrice; aveva nelle opere l'umanità che insegna e consola.

Quanto di D. Bosco viveva in lui ! Quanto lutto nella famiglia salesiana vicina e lontana! A questo lutto io partecipo con un compianto ch'è ammirazione verso l'estinto e fede nel proseguire di quelle istituzioni che egli tanto amò, edificò, benedisse coll'esempio, col lavoro, colla preghiera. Egli fu uno di quegli uomini che passano sualla via della santità e lasciano luce e amore. - PAoLo BoSELLI.

S. E. IL MINISTRO DEI LAVORI PUBBLICI.

Apprendo con profondo dolore notizia morte Rettor Maggiore Società Salesiana, al lutto della quale partecipo come antico alunno. - MICHELI.

S. E. IL MINISTRO GUARDASIGILLI.

Le più vive e sincere condoglianze per la morte del Sac. Paolo Albera, apostolo di bene, e degno successore dell'indimenticabile Don Bosco. - RODINò.

S. E. IL SOTTO SEGRETARIO AL MINISTERO DEL LAVORO.

Con anima profondamente commossa per improvvisa scomparsa amatissimo Don Albera, altamente benemerito della Chiesa, della Patria, partecipo al cordoglio dei confratelli suoi, mentre nel comune dolore sento accrescersi i vincoli che mi uniscono alla Società Salesiana. - LONGINOTTI.

IL PRESIDENTE DELLA GIOVENTÙ CATTOLICA ITAL.

Apprendo profondo dolore morte Venerato sig. Don Albera ammiratore grandi opere da lui compiute memore validissimo largo appoggio sempre dato gioventù cattolica italiana. Esprimo nome Consiglio Superiore intera nostra associazione che partecipa commossa lutto Pia Società Salesiana sentite vivissime condoglianze mentre assicuro copiosi suffragi per compianto estinto. - Avvocato PERICOLI.

FEDERAZIONE UNIVERSITARIA CATTOLICA ITAL.

... Accolga, Rev.mo Don Rinaldi, le condoglianze che le presento interprete del Consiglio Superiore della Gioventù Cattolica e della Federazione Universitaria, che tanti benefici hanno avuto da Don Albera e dalla Pia Società Salesiana: aggiungo ad esse le mie condoglianze personali, dolente che il mio doveroso intervento al Congresso di Casale mi impedisca di trovarmi ai funerali. - Don GIANDOMENICO PINI.

IL PRESIDENTE DEL MATTO GROSSO (BRASILE).

Cuyabà (Brasile) - Fraterne condoglianze perdita nostro Don Albera, la cui anima però rimane fra noi nelle sue ultime lettere.-- Mons. D'AQUINO, Arcivescovo di Cuyabà, Presidente Stato.

GLI EX-ALLIEVI.

Come saggio della commossa partecipazione famigliare con cui tanti carissimi ex-allievi si unirono al nostro lutto, riferiamo questee parole.

Nella morte del nostro santo Superiore Generale, il rev.mo Don Albera, ho sentito in cuore lo schianto del figlio che perde il padre suo: ma rivolto al cielo, ho esclamato: « Don Bosco non muore! ». Nelle sue istituzioni prodigiose, vive prospera, dilata meravigliosamente i suoi rami, il benefico albero salesiano... - Comm. Avv. VITTORio TREBBI, Presidente del Consiglio Provinciale di Ascoli Piceno.

IL PLEBISCITO DELLA STAMPA

Vorremmo ben riferire - se ce lo consentisse lo spazio - tutte le voci commosse della stampa nazionale ed estera, senza distinzione di partito, cui sentiamo il dovere di esprimere, dall'intimo dell'animo, i più vivi ringraziamenti.

Eccone un saggio interessante.

L'EROE DELLA CARITA'.

Sul suo lettino, con l'abito talare, con la corona del rosario in mano, Don Albera pare ancora vivo, e che, raccolto nel pensiero di Dio, continui a.pregare divotamente, fervorosamente. L'aspetto suo dice la sua umiltà profonda, la bontà bianca, immacolata che fioriva in lui, la semplicità cara e affettuosa che intorno a lui si diffondeva. Tutti quelli che hanno parlato con lui, non lo possono ricordare diversamente, da come l'ho veduto nel sonno che non ha risveglio in terra, e che apre le vie del Cielo.

Cara, santa bontà di Don Albera, che conosceva tutte le miserie e per tutte soffriva e a tutte voleva dare la parola di conforto, e per tutte cercava l'aiuto che gl ifosse possibile. In mezzo ai tumulti dell'ore nostre, sanguinose e amare, pochi come lui seppero dire la divina parola dell'amore! Pochi seppero dirla con tanta dolcezza, con tanta carità, con tanto fervore! Avendo i figli suoi, i colleghi della sua Società, sparsi in tutto il mondo, egli pregava per tutti, per la pace di tutti, e sentiva per tutti il bisogno della conciliazione degli animi. Quante volte lo vidi mentre cercava affannosamente il modo di essere presente tutto dove la carità lo chiamava: e di non poter far quanto desiderava si condoleva con i confratelli e con gli amici. Agli orfani per i terremoti, agli orfani per la guerra egli apriva collegi che affidava alla Provvidenza con la fiducia assoluta del Ven. Don Bosco e di Don Rua, e di tutti quelli che sono stati gli eroi della carità cristiana...

SAVERIO FINO.

(Il Momento di Torino, dei 30 ottobre). ACCANTO LA SALMA.

Nella modesta stanza, ove il fedele apostolo lasciò ora la sua spoglia mortale, tutto spira la semplicità, la serenità, la unitezza di chi vi abitava. Un letto di ferro, un inginocchiatoio, pochi mobili, una piccola scrivania. E sulla scrivania, ancora aperto, il Breviario, alla pagina dell'ultimo versetto, che Don Albera aveva letto la sera avanti la improvvisa malattia...

... Don Paolo Albera non è più: la salma sua è ormai arrivata al luogo già da lui designato, quando era in vita. Accanto al Maestro suo, presso il primo e più caro discepolo, Egli giunge secondo, a riposare presso il Venerabile Fondatore, che aveva conosciuto lunghi anni in vita e che aveva amato e seguito con la fede più viva e con l'entusiasmo più santo.

Nella Casa salesiana della bella collina di Valsalice tre sono ora le tombe, tre le salme care e venerate: Don Bosco, Don Rua, Don Albera...

Poche parole sulla loro tomba: molte nel libro dell'eterno Giudice.

Pochi monumenti di marmi e bronzi: molti monumenti d'anime e di cuori!

(L'Unità Cattolica di Firenze, del 7 novembre). DEGNO SUCCESSORE DI DON Bosco E DI D. RUA.

Il 16 agosto 1910 Don Albera raccoglieva dalle sante mani di Don Rua l'eredità del Venerabile Fondatore. Pio X gli telegrafava allora invocando per lui dall'altissimo ogni grazia e benedizione onde potesse « degnamente corrispondere all'ardua missione seguendo le orme gloriose dei grandi predecessori Don Bosco e Don Rua, che con ammirabile zelo e santità diedero alla benemerita Società Salesiana vita e incremento, a gloria di Dio, a vantaggio civile, religioso, morale della gioventù ».

La parola del Pontefice corrispondeva mirabilmente tanto alle doti personali di Don Albera quanto alle condizioni del delicato ed alto ufficio, ch'egli assumeva. E l'umile alunno di Don Bosco, che aveva sempre il sorriso sulle labbra, che parlava sempre con parola mite e serena, che col semplice aspetto si guadagnava infallibilmente la simpatia, la confidenza, la venerazione di chiunque lo avvicinava, nei dodici anni del suo governo accompagnò, guidò l'ascensione ininterrotta di quel monumento mirabile di pietà e di apostolato che è ai giorni nostri l'Opera di Don Bosco.

(Il Corriere d'Italia di Roma, del 3o ottobre).

Il II SUCCESSORE DI DON BOSCO.

Chi ha visto quest'uomo senza intenerirsi? Il secondo successore di Don Bosco portava in sè, come reliquia vivente del grande Padre della gioventù, tutto il fascino delle memorie e dei ricordi dell'età dell'oro della Pia Società Salesiana. Aveva ereditato da Don Bosco la vastità d'una tenerezza e d'una carità evangelica che non aveva confine, e del servo di Dio Don Michele Rua, suo antecessore immediato e padre secondo della famiglia salesiana, aveva attimo l'ascetico fervore delle anime destinate ad illuminare e dirigere lo spirito de' discepoli con la potenza d'una penetrazione meravigliosa.

Don Albera non ebbe di Don Bosco e di Don Rua la prodigiosa resistenza fisica alle fatiche e alle veglie. Ma ebbe dell'uno e dell'altro la volontà adamantina. E li mutò nella scarsezza del sonno, nella frugalità della mensa, e nella costanza delle udienze continue e laboriose. - Perchè non riposa almeno un'ora di più? - gli dicevano i suoi intimi. - Perchè altererei il costume di Don Bosco e di Don Rua! - rispondeva reciso Don Albera. E la violenza fatta alla natura, esigente almeno un poco di sonno, trapelava nell'uomo di Dio, quando, nell'intervallo brevissimo tra l'uscire e l'entrare degli ammessi all'udienza, la sua testa cadeva sul petto, sotto l'impeto d'una sonnolenza troppo acremente contrastata.

Di quest'uomo oggi si piange la perdita. Il pianto è tanto diffuso, quanto è diffusa la famiglia salesiana. Nessuno generale di ordine religioso, chiudendo la sua carriera mortale, desterebbe tanta universale tristezza, come oggi, avviene nella morte di Don Albera. Eppure il motivo di questo fatto non è da rintracciarsi nella vastità della congregazione cui Don Albera presiedeva e nemmeno dalle immense appendici che dalla congregazione derivano: i cooperatori e gli ex-allievi. Il motivo del cordoglio ha una ragione più alta. Consiste nell'essere Don Albera uno dei due primi successori di Don Bosco. E lo si piange corte nei primi stadi della Compagnia di Gesù si pianse la perdita di S. Francesco Borgia, come si piansero i primi successori di Camillo de Lellis e i primi figliuoli di Filippo Neri. Ancorche, col decorrere dei secoli, la fisionomia morale e lo spirito di Don Bosco avesse a mantenersi fresco e vivo fino nei successori più lontani, resta però il fatto che con Don Albera sparisce colui che ancora, dopo di Don Rua, poteva dire: Ho diviso con Don Bosco il primissimo pane, ho sperimentato del cuore apostolico di Don Bosco le primissime dilatazioni.

Nella sua umiltà Don Albera, rifiutando un giorno l'elogio di chi gli diceva: Voi siete il terzo Don Bosco, rispondeva così: « Don Rua era un secondo Don Bosco che di Don Bosco era diventato una copia autentica nella santità; io invece non sono santo ». Ebbene, nonostante Don Albera dicesse così, quanta parte di Don Bosco e quindi quanto raggio di santità non ha manifestato in se medesimo!

(Il Corriere del Mattino di Verona del 7 novembre).

« ANIME, ANIME, ANIME ».

Fu esempio fulgido di abnegazione, di sacrificio, di carità, poiche fu perfettamente fedele al motto salesiano: « Da mihi animas, caetera tolle ». Anime, e solo anime, egli chiese sempre, da quando entrò - fanciullo delicato, mite, sereno - nella Casa di Don Bosco, fino all'istante in cui - vecchio stanco, logorato - reclinò la fronte per l'ultimo riposo... Anime sempre, e solo, egli chiese: non ricchezze, non gloria; visse come un frate, come un anacoreta, umile nella sua gloria che pareva ignorare, senza riposo nel lavoro, che pareva non sentire... E pure dominava su quattrocento istituti salesiani, su più di centomila alunni degli istituti di Don Bosco, e sapeva il suo nome noto fino nell'India, nella Cina e tra i selvaggi del Mattogrosso: e vedeva moltiplicarsi le case salesiane, crescere le missioni, rassodarsi la compagine della sua Società; ed aveva l'amicizia di capi di governi, la stima di molti illustri uomini d'ogni parte del mondo, l'affetto di centinaia di migliaia di cuori, dall'uno all'altro confine della terra! Ma egli ebbe sempre l'anima di fanciullo, quell'anima che gli luceva sul volto semplice, buono e sorridente, che gli fulgeva negli occhi piccoli, penetranti, limpidissimi, che gli vibrava nella voce velata e gonfia d'affetto e di pietà.

Anima di fanciullo! Era l'anima plasmata da Don Bosco, con quella sicurezza di artista della fede e dell'educazione che nessun santo forse ebbe uguale nei tempi moderni.

(La Gazzetta di Parma, del 9 novembre).

Il Sacerdote Filippo Rinaldi

Prefetto Generale, a nome del Consiglio Superiore della Società Salesiana, rinnova i più vivi ringraziamenti alle Autorità Ecclesiastiche, Civili, Giudiziarie, Militari e Cittadine, agli Istituti, alle Associazioni e Società Commerciali, ai singli Benefattori e ammiratori delle Opere Salesiane, che in qualunque modo parteciparono alla solenne dimostrazione di rimpianto data al venerato Rettor Maggiore Don Paolo Albera, e chiede venia a chi involontariamente non fosse stato compreso nel particolare invio di lettere e biglietti di ringraziamento.

Ai nostri Benefattori.

Sentiamo il dovere di assicurare i cari Benefattori e le pie e zelanti Benefattrici che nelle imminenti Feste natalizie e di Capo d'Anno in tutte le Case Salesiane s'innalzeranno fervide preghiere per la prosperità spirituale e temporale delle loro Famiglie, secondo le loro intenzioni.

Vogliano anch'essi ricordarsi benevolmente di noi, delle nostre Missioni, dei nostri Ospizi, delle numerose Case di formazione all'apostolato salesiano, e dei nostri poveri orfanelli.

Le offerte sieno indirizzate al rev.mo DON FILIPPO RINALDI, Prefetto Generale dei Salesiani, Via Cottolengo, 32 - Torino.