BS 1890s|1890|Bollettino Salesiano Marzo 1890

ANNO XIV - N. 3.   Esce una volta al mese.   MARZO 1890

BOLLETTINO SALESIANO

DIREZIONE nell'Oratorio Salesiano - Via Cottolengo, N. 32, TORINO

Sommario. - S. Francesco di Sales e Don Bosco. - Don Bosco nel II anniversario dalla sua morte. -Guarigione ottenuta per intercessione di Don Bosco. - La luce nelle tenebre, ossia l'Enciclica Sapientiae Christianae di Papa Leone XIII. - Conferenze in onore di S. Francesco di Sales: Genova e Torino. - Notizie dei nostri Missionari : dall'Uruguay e dall'Equatore. - Mons. Pietro Rota. - Una bella festa. - Bibliografia. - Cooperatori defunti. - Avviso importante.

S. FRANCESCO DI SALES E D. BOSCO

Il giorno 29 gennaio le campane dell'Oratorio suonavano a festa e la chiesa di Maria Ausiliatrice imparadisava i divoti con lieti cantici. Si celebrava la festa di S. Francesco di Sales. - Due giorni dopo l'aria in Valdocco era scossa da funebri rintocchi e nella chiesa si udivano risuonare sulle labbra dei giovani cantori le classiche e meste armonie del Cherubini. Si commemorava il secondo anniversario della morte di D. Bosco.

Nell'una e nell'altra solennità il tempio era addobbato colla maggior pompa possibile. Mons. Leto tenne pontificale in tutti e due i giorni : numerosissimo fu il concorso alle sacre funzioni.

Nel primo giorno la faconda parola del Teologo D. Tosini porgeva uno splendido elogio del santo Vescovo di Ginevra; nel secondo la muta eloquenza del maestoso catafalco, quello stesso nel quale fu riposta la salma di Don Bosco, parlava al cuore della morte del giusto, stato sulla terra l'angelo della Provvidenza, il padre di tanti orfanelli, l'apostolo di molte regioni, il patriarca di sodalizi religiosi, il figlio amantissimo del Romano Pontefice, il lavoratore instancabile nella vigna del Signore, il predicatore delle glorie di Maria Ausiliatrice, nel cui nome aveva operate tante meraviglie.

L'una e l'altra solennità furono e sono per noi piene dei più grandi ricordi. San Francesco di Sales fu il modello di Don Bosco : la dolcezza di cuore, l'amore a Dio ed alle anime, la padronanza di se stesso in ogni occasione, la compostezza mirabile della persona., la vita socievole, benigna, paziente, tutto a tutti, senz'ombra di austerità che agli altri fosse di peso, sì da rendere amabile la virtù a chiunque lo avvicinasse, tutto egli aveva ricopiato dal Sales.

La bandiera del suo primo Oratorio portava l'immagine del Vescovo di Ginevra, la prima chiesa da lui innalzata a S. Francesco fu dedicata, e da S. Fran cesco intitolò la Pia Società Salesiana, e colle massime e cogli esempi di questo caro Santo infiorava sempre le esortazioni ai suoi figli. E la festa di S. Francesco di Sales fu l'ultima che D. Bosco celebrò sopra la terra. Il 29 gennaio del 1888 non pochi ancora s'illudevano fermi nella speranza che avesse a guarire. Ma i sacri riti in onor di S. Francesco profetavano la sua morte. Quando alla Messa pontificale di Mons. Cagliero il Suddiacono con voce chiara e sonora prese a cantare l'epistola di S. Paolo a Timoteo, sembrò che la voce del Signore dicesse: - Il peregrinaggio di D. Bosco è finito ! - « Il tempo del mio scioglimento è imminente, cantava il Suddiacono; ho combattuto nel buon arringo, ho terminata la corsa, ho conservata la fede. Del resto è riserbata a me la corona della giustizia, la quale a me renderà il Signore giusto giudice in quella giornata. Nè solo a me, ma anche a coloro che desiderano la sua venuta » (1). E a questo canto molte fronti si abbassarono, le lagrime rigarono le guancie, ed abbiamo udito più d'uno esclamare : - D. Bosco non vivrà più sulla terra ! - Ed egli, come se facesse eco alle parole di S. Paolo, aveva esclamato : - Dite ai miei figli che io li aspetto in Paradiso. -

Oh! caro D. Bosco; la memoria di te, delle tue virtù, dei tuoi benefizi, del tuo amore non si scancellerà mai dalle anime nostre. Il dolore che provammo nel venir divisi da te sarà un potente stimolo per seguire sempre i tuoi consigli, i tuoi precetti, il tuo ultimo saluto e così essere un giorno con te ricongiunti nell'eternità.

Il pensiero di quest'eternità, che Don Bosco ognor ci ricordava e dalla quale prendeva norma in tutte le sue azioni , fu come la conclusione in quest'anno delle sue funebri onoranze. Dopo aver sciolto il dovere de' figli verso del loro amato padre all'altare di. Maria Ausiliatrice, sul pomeriggio del 31 gennaio i giovanetti studenti dell'Oratorio si recavano a Valsalice per pregare innanzi alla tomba di lui. Fu una scena commoventissima. Dopo un po' di preghiera, il sacerdote Stefano Trione, catechista, lesse un prezioso indirizzo a D. Bosco, che poi chiuso in busta fu deposto sull'avello del più caro dei padri. Quindi il Teologo D. Giulio Barberis, direttore di quel Seminario per le missioni, diresse loro alcune parole, esortandoli a cogliere nel passare dalla tomba di D. Bosco un pensiero, quel pensiero che D. Bosco stesso . lasciò ad una distinta persona di Marsiglia. Trovandosi egli un anno in quella città, erasi recato in casa di una persona nostra benefattrice. Conversando con essa nel giardino, ad un tratto fermossi presso di un'aiuola, curvossi e colse una sempreviva., cui presentò al suo ospite, dicendo

- Eccole un pensiero !

- Qual pensiero?

- Il pensiero dell'eternità. Si ricordi che questo solo non dobbiamo mai perdere di vista in questa vita. Tutto ciò che faremo e diremo sia sempre inspirato dall'eternità. Tutto passa in questo mondo, ricchezze, onori, piaceri. Solo l'eternità non ha termine , e col far del bene ai nostri fratelli procuriamo che questa sia per noi felice e piena di ogni contentezza. - Supponete ora, cari giovani,. diceva poi D. Barberis, che a voi pure D. Bosco dalla tomba dia questo pensiero dell'eternità. Prendetelo ed abbiatelo sempre innanzi agli occhi, in ogni momento della vita, in ogni vostra azione e specialmente quando il nemico delle anime cercherà di tendervi insidie.

La domenica seguente si recavano pure presso la tomba di D. Bosco i giovani artigiani dell'Oratorio, per suffragarne l'anima e rinnovare le proteste di fedeltà ai suoi insegnamenti.

(1) Tim. II, 4° 6.

DON BOSCO nel II anniversario dalla sua morte.

Il 31 gennaio u. s. la strenua Unità Cattolica consacrava due lunghe colonne del suo numero alla memoria del nostro amato Padre. Noi siamo ben lieti di poterne riportare l' intiero articolo.

« Spuntava l' alba del 31 gennaio 1888, ed una grave notizia diffondevasi rapidamente per Torino. Era morto Don Bosco! A quell'annunzio parve commuoversi la città tutta quanta come percossa da pubblica sventura. Ci pare ancor di vedere quel pellegrinare a torme a torme per due giorni all' Oratorio del suo cuore per contemplarne la venerata salma, baciare quella mano che tante volta eressi alzata a benedirci. Abbiamo ancor innanzi quello , anzichè funerale , splendide trionfo, con cui fu accompagnata all'estrema dimora la salma dell'uomo di Dio. Nè questo divoto entusiasmo scema punto, dopo pure due anni dacché, la sua bell' anima volò al cielo. L'orma, che stampò di sè Don Bosco, fu troppo vasta e profonda; la memoria dei santi è in benedizione. Ed oggi che Salesiani , alunni, Cooperatori e Cooperatrici, nella Chiesa di Maria Ausiliatrice, in quell' Oratorio, che fu la casa del suo cuore, alla solenne festa, che celebrarono ier l' altro pel loro santo patrono San Francesco di Sales, fanno seguire il solenne funerale pel II anniversario del loro fondatore e padre, noi vogliamo pure offrire il nostro tributo di affetto e di venerazione. E lo faremo ricordando semplicemente i tre punti principali, intorno ai quali si svolse la missione provvidenziale di Don Bosco nel secolo xix, quale fu di nobilitare il lavoro, santificare la scuola e allietare Chiesa e società d'una nuova famiglia.

» È un fatto innegabile che gli studi. professionali, di cui la civiltà moderna si vanta come di cosa sua, sono invece uno dei più preziosi frutti del Cristianesimo, che primo rialzò le arti e le industrie , servili sotto il Paganesimo di nome e di fatto, dall' abbiezione in cui giacevano : santificò il lavoro e sublimò la condizione del povero artigiano, sulla cui fronte fe' riverberare un raggio dell'aureola immortale di Gesù di Nazareth. Il che tanto è vero che da Costantino, o meglio dalla conversione di Costantino, data appunto il primo sviluppo degli studi professionali, coltivati per parecchi secoli quasi esclusivamente dal Clero , specie regolare, smessi non mai. La religione ebbe sempre in alta stima il lavoro e proseguì con materno . amore e con affettuosa sollecitudine l'operaio. Gli operai, diceva giorni sono al Cardinale Langénieux l' augusta voce di Leone XIII, sono i miei figli dilettissimi, forza viva e perenne della Chiesa, la grande santificatrice del lavoro. Or quest' amore, questa sollecitudine per l'operaio fu potentissima in Don Bosco; diremmo anzi che nacque con lui. Bastano , a persuadercene , le centinaia di Case che egli ha istituito per loro, i molti e grandiosi saggi che ne diedero e danno ripetutamente ; ce lo dice quell'affetto veramente straordinario , con cui i figli del suo cuore, interni come esterni, piccoli e grandi, giovani e adulti lo amarono in vita e lo amano , lo invocano incessantemente anche ora dopo morte. Chè l'operaio di Don Bosco non è l'operaio cupo e fremente delle sètte ; il principio del lavoro, divenuto il carattere e la divisa dell' Oratorio, s' immedesima in lui con quello dell'allegria, sicchè egli canta e canterà sempre la cara strofa del suo fondatore e padre

Chi più suda e più lavora, Vive ancor più allegramente.

» Ma non meno di quella, che chiamano questione operaia, si è fatta tremenda ai giorni nostrì la questione della scuola. La società attuale è minata nella sua base, come nella sua essenza, dal razionalismo e dal naturalismo, i due più potenti nemici dei giorni nostri. Essi cospirano entrambi ad un solo e medesimo fine, vale a dire alla negazione del soprannaturale, benchè diverso ne sia il processo , diretto e aperto nel primo , indiretto e mascherato nel secondo. Or questi due nemici han fatto e fanno tuttodì della pedagogia quello strazio, a cui pur troppo assistiamo. Udimmo, non è molto, levarvisi contro la voce del Vicario di G. C. nell' Enciclica Immortale Dei, e udimmo pure, noi Torinesi soprattutto, il venerando nostro Pastore, eco fedele del sapiente Pontefice, additare in essi il verme roditore dell'età nostra (1).

» Don Bosco intravvide per tempo i malori del secolo, e per tempo pure si affrettò ad apprestarvi ìl rimedio in quel modo che l'indole sua naturale e i bisogni dell'età richiedevano. Uomo essenzialmente pratico, Don Bosco contrappone scuole a scuole, Collegi a Collegi, libri a libri, stampa a stampa. I Collegi e le società segrete, lasciò scritto il famoso Orsini , sono i due focolari della Rivoluzione. Ed ecco Don Bosco concentrar sulla scuola, sul Collegio, sulla stampa un'attività, un'energia che ha del prodigioso, e quest' attività, quest' energia lasciarla in retaggio doveroso.

» Ma la scuola di Don Bosco è nel concetto di lui essenzialmente cristiana ; il Collegio deve aver per base il timor di Dio, per istrumento educativo la carità vigile e preveniente, per anima la pietà nelle sue pratiche più vitali, per divisa la divozione a Maria; sì di Maria, poichè nel cielo di Don Bosco splende prima e la più luminosa attorno al sole di Gesù C. la vaga stella dell' Ausiliatrice; il libro ha da riverberare la soave bellezza della fede e della morale cattolica , mentre la stampa piglia a patrono l' apostolo della soavità e della fortezza armonicamente contemperate, S. Francesco di Sales. Non è quindi a maravigliare se l' opera sua pedagogica si allarga e si estende, anche già lui vivente, maravigliosamente così da rinnovellare i prodigi della Scuola Italica di Pitagora e quelli anche migliori della Giocosa di Vittorino da Feltre. Chè dalla scuola di Don Bosco sorgono uomini, egregi cittadini per tutte le gradazioni della carriera sociale ; sorgono soprattutto numerosi leviti del santuario a ristorare le desolate diocesi d' Italia, d'Europa, del mondo intero. Labor et amor.

» Ma l' opera del servo di Dio non ha da morire con lui; Don Bosco ne sente così il bisogno, come il dovere. D'altronde il secolo XIX ha un trasporto particolare, direi quasi febbrile, per lo spirito d' associazione. Mentre fa guerra alle Congregazioni religiose, mette su associazioni d' ogni fatta e dappertutto. Si è perchè la sociabilità è nella natura dell'uomo, e Naturam expellas furca, tamen usque recurret.

» D. Bosco l'intende questa prepotente tendenza del suo secolo, l' attrae a sé, la divinizza per così dire, la fa strumento alla perpetuità de' suoi vasti disegni. E dico vasti, poichè Don Bosco non restringe il suo apostolato al Po e -alla Dora ; nella dilatazione della sua mente vede il mondo intero e tutto quanto il mondo si propone con la grazia di Dio di rinnovare ; la carità di Cristo non conosce confini. Ed ecco quindi uscirne la Società Salesiana, l'Associazione delle Figlie di Maria Ausiliatrice , l' Unione dei Cooperatori, e spandersi rapidamente per ogni parte. Non pur l' Italia, ma Francia, Spagna, Inghilterra, Svizzera si allietano delle istituzioni dell'umile prete di Valdocco. Non basta; dal continente antico si travalica nel nuovo, e l'America del Sud si va popolando di tanti e sì svariati Istituti Salesiani, quanti in sì poco tempo parrebbero umanamente impossibili, se non fossero storicamente veri. Charitas numquam excidit.

» E la carità è il segreto, come il movente, delle imprese di Don Bosco ; carità vera, che non conosce accettazione di persone, nè variabilità di umore, nè soddisfazioni di amor proprio; carità che si estende a tutti e a tutto, buoni e cattivi, nazionali e stranieri, siano Italiani o Tedeschi, Francesi o Inglesi, Americani o Spagnuoli ecc., perchè in tutti ravvisa l' immagine di Dio e un' anima da salvare ; carità insomma cattolica, radicata nella fedé e confortata dalla speranza : omnia credit, omnia sperat. Dio diede a Don Bosco un gran cuore; amò potentemente, e ne fu riamato con tale intensità e costanza, quanta parrà incredibile a chi non ha provato. Sono i miracoli dell'amore di Gesù Cristo.

» Oh! faccia il Cuor di Gesù, per cui il buon servo di Dio ha lavorato, ha sofferto cotanto, faccia che se ne mantenga sempre viva la memoria e se ne perpetui lo spirito. Faccia che, adempiuti i voti di tanti cuori, possiam presto, qui nel Santuario delle grazie di Maria Ausiliatrice, colà nel tempio mondiale a Lui dedicato inneggiare all' umil prete di Valdocco con le grandezze ineffabili del culto cattolico. Fiat, fiat. »

(1) ALIMONDA, La Pentecoste e due suoi nemici, il Razionalismo e il Naturalismo. - Tipografia Salesiana,Torino, 1886.

GUARIGIONE, OTTENUTA PER INTERCESSIONE DI DON BOSCO.

Bellinzona, 25 gennaio 1890.

Nel mese di novembre p. p. mia nipote Candida Baggi, Cooperatrice Salesiana, si indirizzò a Lei, pregandola di far celebrare sulla tomba di Don Bosco, di venerata memoria, una santa Messa , onde ottenere la guarigione di un'inferma, madre di tre bimbi, ammalata da sette mesi, con poca speranza di guarigione coi soli mezzi che offre la scienza. -

Quell'inferma era io, ed ora compio con gaudio il sacro dovere di annunziarle che Don Bosco non lasciò inesaudite le nostre preghiere. _Appunto in quell'epoca cominciò il mio miglioramento e lentamente progredii fino ad oggi, in cui sono quasi totalmente ristabilita. La mia riconoscenza verso il buon Dio e la dolce Madre sua , non che verso l'indimenticabile Don Bosco è immensa e sarà eterna ; e non sapendo come meglio dimostrarla, La prego. Molto Reverendo signor Don Rua, a volermi, inscrivere nel bel numero delle sue Cooperatrici, se me ne trova degna, sperando così far cosa grata al cuor del Padre e Fondatore di questo benefico Istituto. Le unisco L. 20, mio tenue obolo, e secondo le mie forze cercherò sempre di dimostrare la mia riconoscenza per la segnalata grazìa ricevuta.

Aggradisca, Molto Reverendo signor Don Rua, i sensi della mia più alta stima e considerazione , e pregandola di benedirmi, mi professo di Lei umilissima

GIULIA GIANELLA ANDREOLI.

È uscita coi tipi della nostra Tipografia la riduzione a due voci con accompagnamento d'organo del mottetto L'ULTIMA PREGHIERA Dl D. BOSCO del maestro Gerolamo Suttil. Fu cantato l'anno scorso per la prima volta presso la tomba a Valsalice il 22 giugno.

È una musica che scende al cuore inspirata da una felice idea. Il prezzo netto è di centesimi 80.

LA LUCE NELLE TENEBRE

OSSIA

LA PAROLA Di PAPA LEONE XIII NELLA SUA ENCICLICA SAPIENTIAE CHRISTIANAE

in data del 10 Gennaro 1890

Il giorno 15 gennaio compariva alla luce la nuova Enciclica Pontificia intitolata : Dei principali doveri dei cittadini Cristiani. La sua parola fu in un momento ripetuta dai giornali a tutte le nazioni della terra, e gli stessi nemici della Chiesa rimasero ammirati a tanta verità e sapienza di dottrine. I cattolici esultarono, perchè ebbero una novella prova di fatto, aggiunta alle mille e mille altre, della divina vitalità del Pontificato Romano. Quale splendida figura è quella di Leone XIII allorchè si asside in cattedra per farsi maestro al mondo intero ! Di lui si deve dire ciò che afferma il Vangelo di Nostro Signor Gesù Cristo: Stupebant super dottrina eros. Erat enim docens eos quasi potestatem habeas - Restavano stupefatti della sua dottrina; imperocchè insegnava loro come uno che abbia autorità(MARC. I, 22). E il Papa sente in sè questa podestà non tanto come diritto, quanto come dovere; sente la sicurezza in se appoggiato all'assistenza infallibile dello Spirito Santo; ricorda le parole dette a Lui nella persona di Pietro « E tu all' occorrenza rivolto conferma i tuoi fratelli. » E il Papa ha parlato anche questa volta, e la sua parola fu simile ad un raggio di vivida luce disceso dal Cielo a rischiarare le menti ottenebrate. In questi tempi nei quali sono invalsi tanti errori, e tanta confusione di idee sull' autorità e sui diritti dei Governi, sulle relazioni tra la. Chiesa e lo Stato, sui doveri dei cittadini verso l'una e verso l'altro, era necessario che fosse messa in chiara luce la dottrina di Gesù Cristo su questi importantissimì punti ; poichè altrimenti nulla più rimane di stabile nella società civile , tutto si sfascia , tutto va in rovina. Si cercherà nelle migliaia e nei milioni di baionette un appoggio alle autorità costituite ed al mantenimento dell' ordine materiale, ma la forza è ben debole senza il presidio della religione. Il secolo scorso e il secolo nostro già produssero vicende, delle quali è ben trista la ricordanza. Perciò il Papa richiama ora tutti all' osservanza dei precetti della religione in quanto sono cittadini cristiani.

Egli desidera che sia data alla sua parola la maggior diffusione possibile, e noi in varii numeri del Bollettino presenteremo ai nostri Cooperatori l'Enciclica Papale, ac ciocchè sia letta attentamente e con quello spirito di venerazione e di obbedienza che animò sempre il nostro caro D. Bosco verso il Vicario di Gesù Cristo.

DE' PRINCIPALI DOVERI DEI CITTADINI CRISTIANI.

Ai venerabili Fratelli Patriarchi, Primati, Arcivescovi, Vescovi e altri Ordinarii aventi pace e comunione con la Sede Apostolica.

LEONE PP. XIII.

VENERaBILI FRATELLI, SALUTE E APOSTOLICA BENEDIZIONE.

Necessità di ritornare alla vita cristiana sia per gli individui, sia per la società.

Ritornare ai principii schiettamente cristiani, conformando in tutto ad essi la vita, i costumi e le istituzioni de' popoli, è cosa di che ogni giorno apparisce più chiaro il bisogno. Dappoichè dall'averli messi in non cale tanta peste derivò di mali, che niun saggio può senza sollecitudine e pena sopportare il presente, nè spingere senza tema lo sguardo nell'avvenire. - Si è fatto in vero non mediocre progresso quanto ai beni che riguardano il corpo; ma tutta la natura sensibile e il possesso delle agiatezze, della forza e delle dovizie, se può moltiplicare le comodità e le dolcezze della vita, non basta ad appagare chi nacque a più alti e gloriosi destini. L'aver di mira Iddio e indirizzarsi a Lui è la legge suprema della vita dell'uomo ; il quale, creato a immagine e somiglianza del suo Fattore, vien dalla stessa natura gagliardamente incitato a possederlo. Se non che a Dio non si va con i passi del corpo, ma con la conoscenza e con l'amore, che sono atti dell'anima. Imperocchè Dio è il primo e sommo Vero, e del vero non si pasce che l'intelletto; Egli è la santità perfetta e il Sommo Bene, a cui la sola volontà può aspirare e con la scorta della virtù pervenire.

Quello che si dice degli individui, intendasi detto ancora della società, vuoi domestica, vuoi civile. Non generolla punto la natura acciocché l'uomo la seguisse come ultimo fine, ma perchè in essa e per essa si procacciasse aiuti acconci al perfezionamento di sè stesso. Se avvi adunque società, che a nient'altro miri se non agli agi e alla raffinata eleganza del vivere, ed abbia in costume di negligere nel suo governo Iddio e trascurare le leggi morali, essa bruttamente devia dal suo scopo e dalla prescrizione della natura; nè è tanto civil consorzio e comunanza d'uomini, quanto ingannevole simulacro e parodia di società.

Ora ogni dì vegliamo per dimenticanza o per uggia ecclissarsi negli animi umani que' beni spirituali, che accennammo, e che mai non si trovano se non nella pratica della vera religione e nella costante osservanza de' cristiani precetti; cotalchè sembra in certa guisa che quanto più monta il progresso delle cose spettanti al corpo, tanto più verso l'occaso dechini tutto ciò che allo spirito appartiene. Della menomata e assai svigorita fede grande indizio sono gli stessi affronti, che in piena luce e sugli occhi di tutti bene spesso si fanno alla cattolica religione, affronti che un secolo religioso a niun patto avrebbe mai tollerato. - Per le quali cose non è a dire il gran numero d'uomini che corrono rischio di perdere la loro eterna salute! Senonchè gli stessi Stati e gl' imperii non possono lunga pezza conservarsi incolumi, dacchè decadendo le istituzioni e i costumi cristiani, forz'è che ruini il più solido fondamento dell'umana società. Alla tutela della pubblica tranquillità e dell'ordine non rimane che la forza; la quale è ben debole senza il presidio della religione; e porta in sè stessa racchiusi i germi di grandissimi sconvolgimenti, come quella che è più adatta a imporre il giogo della servitù che quello dell'ubbidienza. Il secol nostro già produsse vicende ben tristi a ricordare ; e non sappiamo abbastanza se non sieno per accaderne delle eguali nell'avvenire. Pertanto la stessa condizione dei tempi ci avvisa ad attingere, donde si conviene, il rimedio : a ristabilire, cioè, il modo di sentire e di operare cristiano, sia nella vita privata, sia in ogni parte del corpo sociale, il che è l'unico mezzo tutto in acconcio a cessare i mali che ci opprimono, e ad allontanare i pericoli che ci sovrastano. A questo, Venerabili Fratelli, è d'uopo attendere, in questo con ogni sforzo e industria possibile affaticarsi; e per questa ragione, avvegnachè siasi da Noi di siffatte cose in altri luoghi trattato , come ce ne veniva il destro, sembraci tuttavolta utile l'esporre più chiaramente in queste lettere i doveri de' cristiani : doveri che, ben osservati, giovano mirabilmente alla salvezza e al ben essere sociale. Noi incorremmo in tempi di violentissima e presso che giornaliera lotta di sommi interessi, nella quale malagevol cosa torna a molti non essere abbindolati, nè dare in fallo, nè cadere di cuore. È nostro ufficio pertanto, Venerabili Fratelli, ammonire a tempo e luogo, ammaestrare ed esortare ut viam veritatis nemo deserat a che niuno abbandoni il sentiero della verità. »

L'importanza dei doveri dei cristiani.

Non è a dubitarsi che sieno nell'uso della vita maggiori in numero e in gravità i doveri de' cristiani che non di coloro, i quali malamente credono, o non credono punto. - Quando, già redenta l'umanità, Gesù Cristo comandò agli Apostoli che predicassero il Vangelo a ogni creatura, impose in pari tempo a tutti gli uomini il dovere di apparare e di credere le cose insegnate; col quale dovere va strettamente unito l'acquisto della salvezza eterna. Qui crediderit et baptizatus fuerit, salvus erit; qui vero non crediderit, condemnabitur (1). « Chi crederà e verrà battezzato, sarà salvo; chi poi non crederà, sarà condannato. » Ma abbracciata che l'uomo abbia, com'è suo debito, la cristiana fede, per questo medesimo è soggetto come figlio alla Chiesa, e divien membro di quell'amplissima e santissima società, che sotto l' invisibile Capo Cristo Gesù deve essere dal Romano Pontefice per debito di ufficio e con suprema potestà governata.

Doveri verso la Chiesa e verso la patria.

Ora se la legge di natura ci comanda di amare e difendere specialmente la società, nel cui seno vedemmo la luce, e di amarla tanto, che ogni buon cittadino non dubiti di dare per la patria il sangue e la vita : è di gran lunga maggiore l'obbligo che incombe ai cristiani di amare con pari affetto la Chiesa. Imperocchè la Chiesa è la città santa di Dio vivente, opera immediata dello stesso Dio e da lini medesimo organizzata; la quale benché pellegrina in terra, chiama tuttavia e addestra e guida gli uomini alla sempiterna felicità del cielo. Cara adunque ci deve essere la patria in cui nascemmo; ma più cara ancora la Chiesa, a cui dobbiamo la vita immortale dell'anima; essendo cosa giusta preferire ai beni del corpo quelli dello spirito e ai doveri verso il prossimo quelli, a gran pezza più santi, che ci vincolano a Dio.

Del resto, se giudicar vogliamo rettamente delle cose, l'autore soprannaturale della Chiesa e la natural carità della patria sono due amori che scaturiscono da un istesso sempiterno principio, essendo dell'uno e dell'altro autore e causa l'istesso Dio; donde Villi e che l'un dovere non può mai cozzare con l'altro. Sì, noi possiamo e dobbiamo fare l'una e l'altra cosa, amare cioè ordinatamente noi stessi , voler bene al prossimo ; aver cara la patria e il potere che la governa, e all' istesso tempo venerare la Chiesa come madre, e con tutto l' ardore, di che è il nostro cuore capace, amare Iddio.

Poveri nella lotta tra la Chiesa e lo Stato.

Malgrado ciò, quest'ordine di doveri è tal fiata per la malvagità dei tempi, o per la volontà ancor più malvagia degli uomini, sconvolto. Accade infatti che una cosa richiegga lo Stato, e un'altra ne esiga la religione cristiana ; e ciò per la sola ragione che i reggitori dello Stato o dispettano, o vogliono a sè soggetta la sacra autorità della Chiesa. Di qui la lotta, e in quella l'occasione di far prova di valore. Poiché due diversi poteri incalzano, ai quali è impossibile allo stesso tempo ubbidire, quando comandano cose contrarie : nemo poteri duobus dominis servire (Matth. vi, 24.), « niun può servire a due padroni » ; poichè se fa a senno dell'uno, forz'è che dell'altro non gli caglia. Qual poi de' due sia da anteporsi, non dee cader dubbio a veruno. - È empietà, per piacere agli uomini, declinare dall'ossequio dovuto a Dio; è delitto infrangere le leggi di Gesù Cristo per ubbidire ai magistrati, ovvero sotto colore di conservare i diritti civili violare quelli della Chiesa. Obedire oportet Deo magis quam hominibus (Act. v, 29), « bisogna ubbidire piuttosto a Dio che agli uomini. » Quello che un tempo Pietro e gli altri Apostoli solevano rispondere ai magistrati, quando comandavano cose illecite, si ha sempre da rispondere senza esitanza in simile occasione. Niun cittadino in pace o in guerra è migliore di un cristiano memore del suo dovere ma egli deve voler tutto patire, anche la morte, piuttostochè abbandonare la causa di Dio e della Chiesa.

Per la qual cosa non ben conoscono la forza e la natura delle leggi coloro, i quali riprovano cotesta costanza nella scelta del dovere, e chiamanla sedizione. Diciam cose a tutti note e da noi medesimi altre volte spiegate. La legge non è altro che il dettame della retta ragione dalla legittima autorità, pel ben comune, promulgato. Ma non avvi vera e legittima autorità se non deriva da Dio sommo Re e Signore di tutte le cose, che solo può dare a un uomo sugli altri l'impero; nè retta ha, da riputarsi la ragione, che dalla verità e dalla ragion divina dissenta ; nè vero bene, che al sommo ed immutabil bene ripugni, e torca e dilunghi la volontà degli uomini dall'amore di Dio. - Sacro adunque ai cristiani è il nome dell' autorità, in cui, anche allora che da uom indegno è portato, essi riconoscono una certa immagine e somiglianza della maestà divina, e stimano esser giusto e doveroso il rispetto alle leggi, non dalla forza e dalle minacce, ma dalla coscienza del dovere imposto: non enim dedit nobis Deus spiritum timoris; « dacchè Dio non ci diè uno spirito di timidità. » (II Timoth. I, 7.) Però se le leggi dello Stato apertamente dissuonino dal dritto divino, se impongano offese alla Chiesa, o contrarino i doveri religiosi , o manomettano l'autorità di Gesù Cristo nel suo Vicario, allora è dovere il resistere, è colpa l'ubbidire; colpa che va unita all' offesa della stessa società; perchè peccare contro la religione è delinquere contro lo Stato.

Di qui novellamente si chiarisce quanto ingiusta sia l'accusa di ribellione; dacché cotesto non è uno scuotere da sè l' ubbidienza dovuta al Principe e ai legislatori, ma un allontanarsi dalla loro volontà soltanto in que' precetti, ch' essi non hanno potere d' imporre; perché le leggi fatte in onta di Dio sono ingiuste, e però tutt'altro che leggi. - Voi sapete, Venerabili Fratelli, esser questa la stessissima dottrina del beato Apostolo Paolo; il quale, avendo scritto a Tito doversi ammonire i cristiani principibus et potestatibus sub ditos esse, dicto obedire (Tit. III. I) , « che siano soggetti ai Principi e alle potestà, e ubbidienti ai loro comandi, » soggiunse tosto, ad omne opus bonum paratos esse, « e pronti a ogni opera buona, » acciocchè si facesse chiaro e palese non esser giusto ubbidire alle leggi umane, ove alcuna cosa decretino contraria all'eterna legge di Dio. All' istesso modo il Principe degli Apostoli con forte ed eccelso animo rispondeva a coloro che volevangli rapire la libertà di predicare il Vangelo, si iustum est in conspectu Dei, vos potius audire, quam Deum, iudicate: non enim possumus quae vidimus et audivimus, non loqui (Act. iv, 19, 20) ; « se sia giusto dinanzi a Dio l'ubbidire piuttosto a voi che a Dio, giudicatelo voi. Imperocchè non possiamo non parlare di quelle cose che vedemmo e, udimmo. »

Egli è adunque precipuo dovere d'ogni cristiano, e, direm quasi, fonte da cui tutti gli altri doveri scaturiscono, amare amendue le patrie, quella di natura e l'altra della città celeste, per forma però che l'amor di questa più che di quella ci stia a cuore, né mai vengano ai diritti divini anteposti gli umani. E in vero il Salvatore dell' umanità disse di sè stesso : Ego in hoc natus sum et ad hoc veni in mundum, ut testimonium perhibeam veritati (Io. xviii, 37.) « a questo fine io nacqui, a questo fine venni al mondo per rendere testimonianza alla verità » e similmente: ignem veni mittere in terram, et quid volo nisi ut accendatur ? (Luc. xii, 49,) « venni a portar fuoco in terra, e che vogl' io se non che si accenda ? » Nel conoscimento di questa verità, che è somma perfezione dell'intelletto, e nella carità divina, che perfeziona in egual modo la volontà, è riposta tutta la vita e la libertà cristiana. Delle quali cose, della verità, cioè, e della carità, la Chiesa coi perenne zelo e vigilanza conserva e difende il nobilissimo patrimonio affidatole da Gesù Cristo.

Della guerra ora mossa alla Chiesa e de' doveri che impone ai cristiani.

Se non che qual fiera e qual multiforme guerra contro la Chiesa siasi accesa, appena è qui luogo di menzionare. Imperocchè, come venne fatto alla ragione di scoprire, mercè scientifiche investigazioni, più cose occulte e nel mistero della natura involte, e di applicarle acconciamente agli usi della vita, gli uomini inorgoglirono siffattamnente, che già avvisano di poter bandire dalla vita sociale l'autorità e l' impero di Dio. - Dal qual errore ingannati trasferiscono all' umana natura il principato a Dio rapito : dalla natura, gridano, doversi ripetere la sorgente e la norma d'ogni vero; esser quella il principio e l' obbietto di ogni religione. Quindi negazione di ogni verità rivelata: negazione della morale cristiana, e della Chiesa; non aver questa il potere di legislare nè dritto alcuno; anzi non convenir neppure dare luogo alla Chiesa nelle istituzioni civili. Per poter poi a norma di coteste dottrine modellare a tutt'agio le leggi ed educare i popoli. argomentansi con ogni sforzo possibile d' impadronirsi della cosa pubblica e di sedere al timone degli Stati. E così la religione cattolica comunemente viene a visiera calata aggredita, o di soppiatto impegnata; concessa a ogni fatta di erronee e perverse dottrine piena balìa, e la pubblica professione della fede cristiana da molte pastoie sovente inceppata.

Della fede.

In questa rea condizione di cose ognun deve anzi tratto rientrare in sè stesso, e aver sommamente a cuore di serbare con ogni studio altamente radicata nell' animo la fede; cansando i pericoli, e stando specialmente in armi contro le varie insidie de' sofismi. A tutela di questa virtù riputiamo eziandio util cosa, e sommamente consentanea ai tempi nostri, l' applicarsi con diligenza, e secondo il potere e l' ingegno di ciascuno, allo stadio della religione cristiana; e imbevere il più possibile la mente della scienza di quanto la religione abbraccia, ma che conoscere si può con la ragione. E perché fa di mestieri che la fede non solo vigorisca negli animi incorrotta, ma con assidui incrementi cresca, si ha da reiterare di frequente a Dio la supplichevole ed umile domanda degli Apostoli : Adauge nobis fidem, (Luc. xviii, 5).

Dell'insegnamento della Chiesa.

Senonchè in quest'ordine di cose, che riguardano la cristiana fede, avvi pur altri doveri, la cui attenta e scrupolosa osservanza, se mai per l' innanzi f'u duopo ognora alla salute, lo è soprattutto ai tempi nostri. - È officio della Chiesa prendere, in mezzo a tanto e così universal farneticare di opinioni, le difese della verità e sradicare dagli animi gli errori; il che devesi in ogni tempo e religiosamente da lei osservare ; poichè alla sua tutela è affidato l'onore di Dio e la salvezza umana. Però, quando stringe il bisogno, non pure ai prelati incombe il dovere di tutelare l'incolumità della fede, ma quilibet tenetur fidem suam aliis propalare, vel ad instructionenn aliorum fidelium sive confirmationem, vel ad reprimendum infidelium insultationem (S. Thom. 2-2 qu. III, art. II ad 2.) : « ciascuno è tenuto a propagare negli altri la sua fede, sia per istruire o raffermare i fedeli, sia per reprimere la baldanza degli infedeli ». Cedere al nemico, o non fiatare, mentre da ogni banda levasi cotanto schiamazzo per opprimere la verità, egli è proprio d'uom infingardo e dappoco, ovvero che dubita della verità de' principii che professa. L' una cosa e l' altra è turpe, ingiuriosa a Dio, ripugnante alla salvezza, vuoi dell'individuo, vuoi della società, e sol profittevole ai nemici della fede; perchè la snervata opera degli onesti rafforza l'audacia de' malvagi. - E tanto più biasimevole torna la dappocaggine de' cristiani, in quantochè sfolgorar via le calunniose imputazioni e gli errori puossi il più delle volte con lieve sforzo; con qualche maggior fatica, sempre. Da ultimo niuno, assolutamente niuno, è dispensato dall'avere e mostrare quella fortezza cristiana, contro la quale non di rado fiaccansi gli animi e i divisamenti degli avversarii. Oltrecchè il cristiano nacque per la lotta; di cui quant'è maggiore l' asprezza, tant' è più certa con l'aiuto divino la vittoria : confidite, ego vici mundum (Io. xvi, 33): « confidate, io ho vinto il mondo » dice Cristo. Ne' qui ha luogo l'obbiezione di taluni che il tutore e vindice della Chiesa, Gesù Cristo, non ha mestieri dell'umana cooperazione. Imperocchè non già per manco di potenza, ma per grandezza di bontà egli vuole che anche noi prestiamo la debole opera nostra a fine d'impetrare e conseguire i frutti della salute, ch'egli stesso ci ebbe partorita.

Di questo dovere il capo principale si è professare a viso aperto e costantemente il Vangelo e per quanto il permettono le forze di ciascuno, propagarlo. Poichè, come più fiate e con tutta verità fu detto, nulla nuoce tanto alla dottrina di Cristo, quanto il non essere conosciuta. In fatti ben compresa che sia, basta per sè stessa a dissipare gli errori; essendochè la stessa ragione dètta il dovere di aderirle, se con animo semplice e spregiudicato s'abbraccia. Ora la fede, in quanto virtù, è dono grande della bontà e grazia divina ma in quanto è determinazione delle cose da credere, essa ordinariamente non si conosce, che mediante la predicazione. Quomodo credent ei quem non audierunt ? Quomodo autem audient sine praedicante?... -Ergo fides ex auditu, auditus autem per verbum Christi (Rom. X, 14, 17) : « Come crederanno in uno, di cui non hanno sentito parlare? come poi ne sentiranno a parlare, senza chi predichi ? La fede adunque dall'udito, l'udito poi per la parola di Cristo ». E perchè la fede è necessaria alla salute, ne conseguita doversi assolutamente predicare la parola di Cristo. Ma il ministero di. predicare, ossia d'insegnare spetta per dritto divino ai Maestri, che Spiritus Sanctus posuit Episcopos regere .Ecclesiam Dei (Act. xx, 23) « che lo Spirito Santo ha costituito Vescovi per governar la Chiesa di Dio »;

specialmente appartiene al Pontefice Romano, Vicario di Gesù Cristo, preposto con suprema potestà alla Chiesa universale, e Maestro di quanto si ha da credere e da predicare. - Nulladimeno niun si avvisi che l'adoperarsi con qualche diligenza in questo ministero sia vietato ai privati, specialmente se trattasi di coloro che furono da Dio forniti d'ingegno, congiunto con vivo desiderio di ben meritare dell' umanità; i quali, sempre che lo porti il bisogno, ben possono, non già dottoreggiare, ma porgere altrui le cose da essi apprese, ripercotendo quale eco la voce dei Maestri.. Che anzi l'opera de' privati parve ai Padri del Concilio vaticano così opportuna e fruttuosa, che stimarono ben fatto il richiederla. « Noi scongiuriamo, per le viscere di Gesù Cristo, tutti i fedeli, massime i reggitori e maestri, e ordiniam loro, in nome di Dio e del nostro divin Salvatore, che mettano ogni opera e cura in cessare dalla Santa Chiesa e tòrre di mezzo gli errori e nel diffondere la luce della purissima fede (Const. Dei Filius sub fin) ». Del resto ognuno si ricordi ch'egli può e deve disseminare con l' autorità dell' esempio la cattolica fede, e con la costante professione predicarla. - Tra i doveri pertanto che a Dio ci legano e alla Chiesa, questo va principalmente annoverato, che ognuno secondo sua possa, si studii ed argomentisi di propugnare le verità cristiane, e di ribattere gli errori.

Dell'unione dei Cattolici.

I quali doveri non così bene ed efficacemente, quanto richiede la bisogna, verranno da essi forniti, se gli uni dagli altri divisi scenderanno nell'arena. - Gesù Cristo già predisse dover l'opera da sè instituita incorrere nella stessa avversione ed odio degli uomini, che egli ebbe pel primo a sostenere; cotalchè a molti sarebbe di fatto tolto il conseguire la salute, che egli aveva arrecata al mondo. Però non volle solamente allevar seguaci della sua dottrina, ma riunirli eziandio con socievol vincolo e acconciamente organizzarli in un sol corpo, quod est Ecclesia (Colos. 1, 24), di cui egli stesso fosse il capo. Penetra pertanto la vita di Gesù Cristo in tutta la compagine di cotesto corpo, nutre e sostenta i singoli membri, e tienli conglutinati insieme e all'istesso fine cospiranti, avvegnachè non sia uno stesso l'operare degli individui (1). Per la qual cosa non solo la Chiesa è società perfetta e di gran lunga più nobile d'ogni altra, ma venne anche naturata così dal suo Autore, che debba per la salute del genere umano combattere, ut castrorum acies ordinata (2), « a guisa d'oste schierata in campo. » Cotesto organamento e cotesta forma della società cristiana non può essere di modo alcuno mutata ; nè è lecito a veruno di operare a sua voglia o di seguire nel combattere quella tattica che meglio gli garba: peroechè dissipa e non raccoglie, chi non raccoglie con Gesù e con la Chiesa ; e veramente pugnano contro Dio quei che con lui e con la Chiesa non guerreggiano (3).

Ora per questa unione di animi e conformità di azione, ai nemici del cattolicisnlo non senza ragion formidabile, anzitutto fa mestieri l' uniformità de' sentimenti, a cui veggiamo Paolo Apostolo con grande ardore e singolar gravità di parole esortare i Corinti Obsecro autem vos, fratres, per nomen Domini nostri leso Cliristi, ut idipsum dicatis omnes et non sint in vobis schismata : sitis autori perfeeti in eodem sensu et in cade ai sententia (4) : « vi scongiuro, o fratelli, pel nome del Signor nostro Gesù Cristo, che diciate tutti lo stesso e non siano scisme tra voi; ma siate perfetti in uno stesso sentire e in un medesimo pensare. » - Del quale precetto vedesi ben chiara la sapienza. Dappoichè il pensiero è il principio dell'azione; cotalchè né le volontà esser possono concordi, nè simili le operazioni, se diversi saranno i pareri. Di quo' che seguitano la scorta della sola ragione mal sarà, se pur sarà, uniforme la dottrina ; dacchè assai malagevole è il sentiero della scienza, essendo la mente di sua natura inferma, dalla varietà delle opinioni distratta e dalla fantasia non di rado illusa ; oltre alle passioni, clio troppo di frequente attutiscono o scemano al certo la facoltà di scorgere il vero. Per questa cagione nel governo degli Stati si fa spesso opera di cercar nella forza quell' unione, che non si ha nelle menti. - Ben altrimenti i cristiani : essi apprendono dalla Chiesa quanto è d' uopo credere; e sanno con certezza di attingere, mercè la sua autorità e la sua guida, il vero. Laonde, siccome una è la Chiesa, perchè uno è Gesù Cristo, così una è, ed esser deve in tutto il mondo la dottrina de' cristiani. Unus Dominus, una fides (5) ; « un Signore e una fede. » Habcntes autem eumdem spirituln fidei (6) ; « tutti avendo lo stesso spirito di fede... » posseggono un salutare principio, donde spontaneamente deriva in tutti un medesimo volere e un istesso modo di agire.

(1) Siete enim in uno corpore multa membra habemus; omnia aotem membra non eumdem actum habent ; ita multi unum corpus sumus in Christo, singoli autem alter alterino membra (Rout. xii, 4, 5). Imperocchè siccome in un sol corpo abbiamo molto membra, e non tutte le membra hanno I'istessa azione: così siamo molti un sol corpo in Cristo, e a uno a uno membra gli uni degli altri.

(2) Cantic. vi, 9.

(3) Qui non est mecum, contra me est; et qui non colligit meeum dispergit (Luca xi, 23o. Chi non è meco, è contro di me. Chi meca non raccoglie, disperde.

(4) Corinth. 1, 10.

(5) Ephes. iv, 5.

(6) 11. Cor. tv, 13.

Obbedienza alla Chiesa.

Ma conviene, come Paolo Apostolo comanda, che questa unanimità sia perfetta. - E poichè la fede cristiana non si appoggia all'autorità dell'umano, ma della divina ragione; essendochè quanto Dio rivelò « riputiam vero, non per l' intrinseca verità delle cose col lume naturale della ragione conosciuta, ma per l'autorità dell'istesso Dio rivelante, il quale non può ingannarsi nè ingannare » ( Conc. Vat. Const. Dei Filius, cap. III.), ne conseguita essere necessario un pieno ed eguale assenso a tutte le singole verità, che sappiamo essere da Dio rivelate; chè il negarlo ad una, varrebbe quasi altrettanto che ripudiarle tutte. Onde divelgono l' istesso fondamento della fede que' che negano avere Iddio parlato agli uomini, o mettono in forse l' infinita veracità e sapienza sua. - Lo stabilire poi quali sieno le dottrine rivelate è ufficio proprio della Chiesa insegnante, a cui Dio commise la custodia e l'interpretazione della sua parola; e il sommo maestro nella Chiesa è il Pontefice romano. Quindi, siccome l'unione degli animi esige una perfetta concordia in una stessa fede, così pure domanda che le volontà sieno soggette e ubbidienti alla Chiesa e al romano Pontefice, non altrimenti che a Dio. La quale ubbidienza ha da essere perfetta ; perchè è di fede ed ha con là fede di comune l'essere indivisibile: anzi se non sarà perfetta ed assoluta, sarà più veramente ubbidienza di nome che di fatto. A cotesta perfezione di ubbidienza viene dalla cristiana consuetudine attribuito tanto valore, che essa fu sempre avuta ed bassi tuttora per tessera da riconoscere i cattolici. Il che fu mirabilmente spiegato da s. Tommaso d'Aquino con le seguenti parole : « Formale... obiectum fidei est veritas prima secundum quod manifestatur in Scripturis sacris, et dottrina Ecclesiae, quae procedit ex veritate prima. Unde quícumque non inhaeret, sicut infallibili et divinati regulae, doctrinae Ecclesiae, quae procedit ex ventate prima in Scripturis sacris manifestata, ille non habet habitum fidei : sed ea, quae sunt fidei, allo modo tenet quam per fidem... Manifestum est autem, quod illo, qui inhaeret doctrinis Ecclesiae tamquam infallibili regulae, omnibus assentit, quae » Ecclesia docet: alioquin si de his, quae Ecclesia docet, quae volt tenet, et quae non vult non tenet, non iam inhaeret Ecclesiae doctrinae sicut infallibili regulae, sed propriae voluntati (Sum. Theol. 2. 2. qu. V, art. III.). » Una fides debet esse totius Ecclesiae, secundum illud (I. Corinth. 2) : Idipsum dicatis omnes et non sint in vobis schismata ; quod servari non posset nisi quaestio fidei esorta determinetur per eum, qui toti Ecclesiae praeest, ut sic eius sententia a tota Ecclesia firmiter teneatur. Et ideo ad solam auctoritatem Summi Pontificis pertinet nova editio Symboli, sicut et omnia alia, quae pertinent ad totam Ecclesiam » (ib. qu. I, art. X.). - « Il formale oggetto della fede è la prima verità, in quanto nelle sacre Scritture ci si rivela e nella dottrina della Chiesa, che dalla prima verità procede. Ondechè, chiunque non aderisce, come a divina e infallibil regola, alla dottrina della Chiesa, che procede dalla verità prima nelle sacre carte rivelata, egli non ha l'abito della fede, ma possiede le verità della fede d'altro modo che non è per fede... t poi manifesto che chi aderisce alla dottrina della Chiesa, come a regola infallibile, consente a tutto ciò che la Chiesa insegna; d'altra guisa, se degli insegnamenti di lei egli ritenesse sol quanto gli garba, e rigettasse quanto gli disgrada, ei non seguirebbe, corree norma infallibile, la dottrina della Chiesa, sì bene la propria volontà. Una dev'essere la fede di tutta la Chiesa, secondo il detto dell'Apostolo ai Corinti (I Corinth. I, 10) Vi scongiuro, o fratelli, che tutti diciate lo stesso enon siero scisme tra voi: la quale unità non potrebbesi conservare, ove ogni questione sorta intorno alla fede non venisse decisa da chi presiede alla Chiesa universale; acciocchè questa con fermezza ne ritenga la definitiva sentenza. Quindi alla sola autorità del Sommo Pontefice appartiene l'approvare una nuova edizione del simbolo, tomo ogni altra cosa che riguardi tutta la Chiesa. »

Sottomissione ai Vescovi ed al Papa.

Nel determinare i limiti dell'ubbidienza niun si dia a credere doversi ubbidire all'autorità dei sacri Pastori; massime del romano Pontefice, soltanto in ciò che spetta al domma, il cui pertinace ripudio non può sceverarsi dal peccato di eresia. Che anzi, neppur basta l'accettare con sincero e fermo assenso quelle dottrine, le quali, avvegnachè non definite da un solenne giudizio della Chiesa, tuttavolta vengono dall'ordinario e universal magistero della medesima proposte alla credenza dei fedeli come divinamente rivelate ; ed hannosi a credere, secondo il decreto del Concilio Vaticano, con fede cattolica e divina. Ma questo ancora dev' essere annoverato tra i doveri de' cristiani, che si lascino reggere e governare dalla potestà e direzione dei Vescovi- e sopratutto dall'Apostolica Sede. Il che quanto sia ragionevole, si fa ad ognun chiaro ed aperto. Poiché parte delle cose contenute nella rivelazione si riferiscono a Dio, e parte all'istesso uomo e alle cose necessarie alla sua felicità sempiterna. Or questo doppio ordine di cose, cioè quanto si ha da credere e quanto si ha da operare, viene, come dicemmo, dalla Chiesa e in essa dal Sommo Pontefice, per dritto divino decretato. Il perchè il Pontefice in virtù della sua autorità deve poter giudicare quali sieno le cose contenute nella parola di Dio, quali dottrine con essa consuonino, e quali no: e all'istesso modo additare ciò che è onesto o turpe, e quello che si ha a fare o fuggire per ottenere la salute eterna: altrimenti egli non sarebbe per l' uomo nè certo interprete della divina parola, nè duce al vivere sicuro.

La Chiesa è una società autonoma, indipendente dalla società civile.

Oltrechè addentrandoci più profondamente nella natura della Chiesa, veggiamo che questa non è una fortuita unione e comunanza di cristiani, ma una società con eccellente organamento da Dio costituita, il cui fine diretto e prossimo si è la pace e la santificazione delle anime: e perchè essa sola tiene da Dio i mezzi a tal uopo necessarii, ha sue leggi o suoi doveri ben determinati e certi, e segue nel governo dei popoli cristiani un metodo e una via consentanea alla sua natura. - Però l'andamento di questo governo lotta con molte difficoltà e frequenti contraddizioni. Poichè la Chiesa regge popoli disseminati per tutta la terra, di schiatta differenti e di costumi; ciascun de' quali vivendo nel suo paese secondo le patrio leggi, ha il dovere di sottostare a un tempo alla civile e alla ecclesiastica potestà. Or questi due doveri sono, come dicemmo, nelle stesse persone congiunti, ma non pugnanti tra di loro, nè confusi; perchè l' uno riguarda la prosperità dello - Stato, l'altro il ben comune della Chiesa, ed entrambi sono di lor natura ordinati al perfezionamento di tutto l'uomo.

Posta cotesta limitazione di dritti e di doveri, si fa manifesto essere i reggitrici degli Stati nell'amministrare la cosa pubblica liberi e indipendenti ; nel che la Chiesa lungi dall'essere loro avversa, è ottima coadiutrice, come quella che, inculcando soprattutto l' osservanza della pietà religiosa, che è giustizia verso Dio, per questo medesimo promuove la giustizia verso il Principe. Ma con ordinamento di gran lunga più nobile il governo della Chiesa mira a reggere gli animi umani, tutelando regnum Dei et iustitiam eius (Math. vi, 33.), al quale officio ell'è tutta intesa. Dubitar poi non si può, salva la fede, che sia alla sola Chiesa assegnato cotesto governo delle anime, di guisa che niun luogo rimanga in esso al politico potere essendochè non a Cesare, ma a Pietro Gesù Cristo affidò le chiavi del regno dei cieli. - Con siffatta dottrina politico-religiosa connettonsi alcune cose di non lieve momento, che non vogliamo qui passare in silenzio.

(Continua)

CONFERENZE in onore di San Francesco di Sales

GENOVA.

I buoni Genovesi, tanto affezionati a Don Bosco e all' Opera Salesiana, l' antivigilia della festa del nostro Patrono s. Francesco di Sales numerosi si radunavano nel lor magnifico tempio di S. Siro per la solenne funzione annuale. S' era annunziato che avrebbe tenuta la conferenza il sig. D. Rua, successore dell'incomparabil nostro D. Bosco. Di quei giorni Don Rua trovavasi a Roma in attesa di un'udienza privata dal S. Padre Leone XIII, per parlargli delle cose riguardanti la nostra Pia Società e le Missioni Salesiane e chiedergli una benedizione per sè, per i suoi figli Salesiani, per i nostri benemeriti Cooperatori e Cooperatrici e per i giovanetti alle nostre cure affidati. Là sappiamo che ha tenuta conferenza ai Cooperatori romani. Prevedendo allora di potersi recare ritornando nel nostro Ospizio di San Pier d'Arena per il 27 gennaio scorso, mostrò desiderio di tener anche quivi la conferenza ai Cooperatori di Genova, i quali in folla accorsero per udirne la soave parola.

« Pronunziò, come s'esprime l'egregio Eco d'Italia, un bellissimo e commovente discorso, nel quale con amor di padre e con carità di fratello raccomandò la benemerita Opera Salesiana, vera provvidenza del nostro secolo, per la gioventù abbandonata.

» Assisteva S. E. R.ma Monsignor Vescovo d'Ascoli, che predicava in quella chiesa per la novena solenne di san Francesco di Sales.

» Si distinsero , come sempre, i giovani e la Direzione dell'Ospizio Salesiano di San Pier d'Arena nel bellissimo mottetto e Tantum ergo in musica.

» La questua, fattasi in favore dell'Ospizio medesimo di San Vincenzo de' Paoli, che trovasi in gravi strettezze, fruttò la bella somma di L. 1342,40. »

TORINO.

Continuando l'uso introdotto dal venerato Don Bosco, dopo la fondazione della chiesa di S. Giovanni Evangelista, di tenere quivi la conferenza prescritta in quest' epoca ai zelanti Cooperatori di Torino , e interrotto l' anno scorso per la congiuntura della partenza di Mons. Cagliero, Don Rua ci aveva colà invitati per il sabbato 1° febbraio.

» Verso le 3 pomer. la navata di mezzo di quella maestosa chiesa era già ripiena. In seguito alla lettura di un tratto della vita di s. Francesco di Sales ed il canto di un mottetto, eseguito dai giovani dell' Oratorio, compariva sul pulpito la scarna e veneranda figura di D. Rua.

» Dopo aver protestato di voler imitare Don Bosco nella semplicità del dire, come l'avea imitato nell' invitarci in detta chiesa per la conferenza in onor di s. Francesco di Sales, ci diede una lieta notizia. Che egli era stato a Roma e che il S. Padre Leone XIII l' aveva incaricato d'impartire a tutti i Cooperatori Salesiani l'Apostolica Benedizione, cui allora di tutto cuore implorò su di noi e sulle nostre famiglie. Passò quindi a parlare delle Opere dei Salesiani.

» Accennò anzitutto all'aumento degli Oratori festivi ed al bene che in essi si fa alla povera gioventù. Tanti e tanti giovanetti del popolo che nel mondo, nelle officine , nelle scuole, nelle famiglie non vedono, non sentono che scandali, bestemmie, maldicenze contro la nostra santa Religione, contro la morale cristiana, negli Oratori festivi trovano un'àncora di salute. Mentre s'intrattengono in onesti divertimenti, quivi respirano un' aria tutta pura, tutta santa: imparano a pregare, a lodare, a ringraziare il Signore, odono la soave parola di Dio, apprendono quali sono i doveri del cristiano, del cìttadino, s'addestrano, in una parola, a menare vita onesta in società. E quanto grandi siano i vantaggi che ne ritraggono ben lo conoscono quei molti che li frequentano , i quali sospirano la domenica per accorrervi ìn frotte a passare bene almeno una giornata la settimana, come ebbero ad affermare non pochi di essi.

» Non di minor importanza sono gli Ospizi, i Collegi salesiani. In essi si raccolgono per lo più giovani poveri, abbandonati, giovani che lasciati liberi diverrebbero il flagello della società e finirebbero per popolare le carceri. Per l' opposto raccolti negli ospizi di Don Bosco , sotto le amorevoli cure dei Salesiani, mentre s'educano col santo timor di Dio, apprendono un' arte, un mestiere, o se atti agli studi , a questi si applicano in modo da rendersi utili a sè , alla famiglia, alla società. E Don Rua aveva il piacere di significarci come, dopo un po' di sosta, quest'anno scorso si è incominciato di nuovo ad ingrandire i già esistenti, per le tante domande che gli si fanno, e ad accettarne dei nuovi in parecchie località, come a Terracina in Italia, a Mendrisio in Isvizzera, a Rossignol in Francia, senza parlare degli altri aperti dalle Suore di Maria Ausiliatrice per il sesso femminile.

» Venendo poi a dire dei progressi che hanno fatto le missioni, passò a rassegna le nuove Case o Residenze di Pringles, di Roca e di Chos-Malal o Malbarco, stabìlitesi in questi anno sul Rio Negro - le due di Montevideo e Canelones nell' Uruguay ; le grandi proporzioni che presero quelle del Chilì e di Quito. A questo proposito manifestò come gli Equatoriani entusiasmati per quanto fanno i Salesiani a Quito, hanno già fatte pratiche presso la Santa Sede per affidare loro un Vicariato Apostolico con Vescovo nella loro Repubblica, e che sta ai Salesiani l' accettarlo. Sarebbe questo il secondo Vescovo Salesiano!

» È pure un incremento per le missioni l'ultima spedizione fattasi per volontà del Santo Padre Leone XIII nella Colombia. Di questa sacra spedizione già si lamenta una vittima. Un bravo missionario partiva da S. Nazaire coi compagni, benchè si sentisse un principio d' influenza. Era robusto e coraggioso e non temeva. Ma per telegramma si è ricevuto la dolorosa notizia, che al primo porto americano, nella, Venezuela, egli ha dovuto scendere dal bastimento ed è spirato nel bacio del Signore, tra le braccia di colui che guidava la missione.

» Assai difficoltà per altro incontra il missionario nella Terra del Fuoco. Là ha da trattare colla indigenza non solo, ma colla barbarie ancora: gente rozza, bestiale. di cuor duro, insensibile a' sacrifizi del povero missionario, anzi ingrata ai benefizî che ne riceve. L'impresa è di cangiare i cuori colla pazienza: cosa facile nei giovanetti, ma ardua e quasi impossibile negli adulti. E però ivi si è sempre soggetti a mille pericoli. Non ha guari i selvaggi dell'isola Dawson, pe' quali già tanto avevano faticato i Missionarii, hanno fatta una insurrezione, ed a stento il sacerdote ed il catechista che vi risiedevano, hanno potuto sottrarsi vivi alle loro furie, ricevendone gravi ferite e spargendo molto sangue : sangue, sperasi, fecondo di grandi frutti.

» Il signor D. Rua prendeva occasione per ringraziare di tutto cuore i Cooperatori e le Cooperatrici della loro cooperazione data anche in quest'anno scorso; e li pregava a volergli continuare il loro valido aiuto, perché le opere che rimangono a compiersi sono ancora molteplici e grandiose. Oltre quelle già da lui accennate nel Bollettino di gennaio, altre molte ve ne sarebbero. Immaginatevi : in un sol giorno gli si fecero cinque domande di aprire nuove case. Egli non diede ancor parola, ma ne vede la necessità e vorrebbe quanto prima porvi mano. Tanto più che parecchi de' richiedenti si rivolgono al Sommo Pontefice, e quando il Vicario di Cristo parla, bisogna che i Salesiani rispondano coll'opera.

» Donde proviene la necessità di personale e di mezzi materiali. E D. Rua faceva un caldo appello alla carità de' Cooperatori, perchè volessero pregare il Padron della messe che mandi operai nella messe sua, e perchè volesse ciascuno porgere il suo contributo per la salute di molti poveri giovanetti e per l'estensione del regno di Gesù Cristo sopra la terra.

» Nè alcuno qui dica che i Salesiani si accingono a troppe e troppo grandi imprese ; non si obbietti che le campagne sono andate male e che non si è potuto trarne quegli abbondanti raccolti degli altri anni ; che le banche hanno chiusi gli sportelli ed i capitali rimangono morti senza fruttar alcuni reddito; che a tutto ciò s'aggiungono le malattie, l'influenza, per cui bisogna spendere quei pochi quattrini che si hanno. Chi ha sentito parlare D. Rua dirà : Più le annate vanno male e più si fa sentire il bisogno di aprire nuovi ospizi, onde soccorrere alla miseria; risparmiamo adunque e facciamo tutto il possibile per diminuire tanta indigenza.

» Sentite. Un giorno, nel breve spazio di due ore circa, D. Rua ebbe ad assistere a quattro scene dolorosissime. Eran le 9 del mattino. Non appena ebbe finito di celebrare la santa Messa, gli si presenta nella sagrestia di Maria Ausiliatrice una povera donna, all'aspetto molto afflitta, con a lato quattro ragazzini smunti e cenciosi, de' quali il maggiore avrà avuto dieci anni. Inginocchiatasi a' suoi piedi, coll'angoscia nel cuore, gli manifesta come il fatal morbo dell'influenza l'ha resa vedova e misera, e quei putti orfani di padre, e che ella è nell'impossibilità di mantenerli. Quindi colle lagrime agli occhi lo supplica a volergliene ricoverare almeno qualcuno ne' suoi ospizi. - Poco stante, ritiratosi nella sua camera, ecco venirgli un uomo in sui trentacinque anni a pregarlo della stessa cosa. Gli è morto il fratello ed ha lasciata nella miseria la moglie con due figli. Benché, egli abbia numerosa figliuolauza, a costo di qualunque sacrifizio, è pronto a raccogliere in sua famiglia la vedova cognata con un bambino ; ma ei non si sente forze bastevoli per prendersi anche il nipotino maggiore. Prega pertanto D. Rua a volerlo egli accettare nelle Case Salesiane. - Non ha per anco costui discese le scale, che ne arrìva un terzo. È un giovanotto in sui ventidue anni, rimasto orfano con un fratello di quattordici. Viene a raccomandarsi a D. Rua, perchè voglia collocare in un suo laboratorio il povero fratello che ancor non sa alcun mestiere. -

Partito costui, ne giunge un quarto. È un giovane di diciott'anni, sparuto della persona e sofferente per mancanza di cibo. Ei si rivolge a D. Rua per aver pane e lavoro. - E D. Rua che farà? Li rimanderà tutti senza consolarli? Il suo cuore non può reggere a tante sventure. Sa che la divina Provvidenza, benchè qualche volta si sia fatta sospirare, pure nelle estreme necessità non gli è mai venuta meno. E però ingrandisco gli ospizi esistenti, altri ne innalza, e stende la mano ai Cooperatori ed allo Cooperatrici Salesiane e chiede pietà. Chiede pietà poi poverelli e dice : - Miei buoni Cooperatori, parecchie migliaia di poveri giovani chiedono a voi l'elemosina per mezzo nostro. Essi son orfani, son miseri, deh ! soccorreteli. L'elemosina vi otterrà il perdono de' peccati, prospererà i vostri affari temporali e vi assicurerà un posto glorioso nella beata eternità. »

U. C.

NB. Avremmo voluto porre qui di seguito le relazioni pervenuteci da varie città e paesi di conferenze fattesi in onor del santo nostro Patrono : ma la necessità di lasciar posto ad altra materia non meno importante non ce l'ha permesso. Assicuriamo però quei zelanti Decurioni, che ce ne hanno data contezza, che non li dimenticheremo nei numeri seguenti; la riconoscenza verso di loro ce ne fa un dovere.

NOTIZIE DEI NOSTRI MISSIONARII.

Dall' Uruguay.

La Paz, 16 Agosto 1889.

AMATISSIMO SIG. D. RUA,

Le scrivo per renderla consapevole del bene grande che Iddio opera in questo paese per mezzo de' suoi figli.

Anzitutto premetterò come doppiamente a torto si sia dato il nome di La Paz a questo paese e di Las Piedras all'altro poco distante, ove risiedono i nostri Confratelli. Las Piedras vuol dire paese delle pietre; ma la cava di pietre, più rinomata di questa Repubblìca si trova a La Paz, dove presentemente lavorano più di 500 scalpellini, quasi tutti italiani. S'immagini : vi sono mucchi di pietre in ogni parte, per le vie, nelle piazze, e persino ne' cortili delle case. Più di una volta avvenne che, forastieri diretti a Las Piedras, giunti a questa stazione, ingannati all'aspetto di tante pietre, discesero credendosi alla lor destinazione. Questo accadde, non molti anni prima che i Salesiani si stabilissero a La Paz, a due Padri Cappuccini di Montevideo, nostri carissimi amici. Andavano essi a trovare i nostri confratelli di Las Piedras; giunti alla stazione di La Paz, vedendo tante pietre, chiesero se fossero a Las Piedras, e o per malizia o per ignoranza, ebbero in risposta un sì. Discesero e cercarono del Collegio Salesiano, ma questo a La Paz non c'era ancora, sibbene era a Las Piedras. Conobbero l'errore o l'inganno, come si vuole; e tuttochè fossero sessagenarii ambidue e battesse più che mai il sol d'estate, essendo il treno già partito, dovettero appigliarsi ai cavalli del loro beato San Francesco e tirare avanti ancora due miglia per giungere alla lor meta. Quali risate si fecero allora, e ancora adesso quando i due buoni Padri s'incontrano con un Salesiano, cui ricordano con piacere la strana avventura

La Paz poi vorrebbe dire paese della pace. Ma contraddizione! Mentre il paese più tranquillo, più cristiano di questa Repubblica è sempre stato ed è tuttora Las Piedras, il ricettacolo di tutte le malvagità, di tutti i vizi era La Paz. Qui più che altrove aveva da fare la polizia: ogni momento risse, feriti, morti; e fortunata essa se sapeva far valere la propria autorità nelle contese! Le domeniche ed i giorni festivi non erano per niente osservati; il Sacerdote, che per obbligo, stava alla cura di quella Chiesa, dipendente dalla Parrocchia di Las Piedras, era mal veduto ed oltraggiato: ebbe a soffrire estrema miseria, villanie d'ogni sorta e persino battiture: una mano sacrilega ebbe l'ardire d'alzarsi e dargli uno schiaffo! La porzione prediletta al Cuore di Gesù, le speranze della società, i fanciulli stessi insultavano al santo ministro di Dio, nè c'era verso di poterne indurre alcuno pur con denaro a fargli da serviente nella celebrazione della santa Messa. Non è a meravigliare di ciò ove si consideri quale fosse l'elemento componente la popolazione di questo paese, tutta gente data al bel tempo, che quanto guadagnava, altrettanto sprecava in gozzoviglie ne' giorni sacri al Signore, gente addetta la maggior parte alle società segrete, che qui però di segreto non portavano che il nóme, poichè il campo era quasi tutto loro. I protestanti vi tenevano pure il loro posto d'onore: vi erano due scuole, una comunale libera e quindi in mano ai primi, l'altra era esclusivamente di questi ultimi. Di buono non vi era che qualche rara famiglia cattolica. Il buon prete, vedendo dall'una parte di non poter far niente di bene e dall' altra forzato, dovette abbandonare questo paese, che meglio si sarebbe potuto chiamare della guerra.

Intorno a quel tempo il Vescovo affidava alla cura dei Salesiani la Parrocchia di Las Piedras, e per conseguenza anche la Chiesa della Pace, come dipendente da quella. Da principio veniva qua alla domenica un prete Salesiano per celebrarvi la santa Messa e fare un po' di dottrina. Ma oh! quanta difficoltà per attirare questa gente alla Chiesa. Si suonava la campana, ed essi scappavano come il diavolo dall'acqua santa. Al tempo della Messa la Chiesa era quasi sempre vuota, alla dottrina peggio che peggio. Pareva non ci fosse più alcun mezzo per sollevare questo popolo dall'abbrutimento in cui giaceva e dall'indifferentismo, anzi dai pregiudizi contro la nostra santa Religione. Nondimeno Iddio la pensava e disponeva diversamente : gli furono graditi, io credo, i sacrifizî di colui, o meglio di coloro che ci venivano nei giorni di festa e provvedeva al bene di questa popolazione.

Essendoci scarsezza di preti, il destinato per questa missione non poteva essere sempre il medesimo: ora se ne mandava uno da Las Piedras, ed ora un altro da Villa Colon. Però venisse dall'una o dall'altra residenza, era sempre uno stato occupatissimo lungo la settimana e nell'assistenza e nella scuola e nei doveri del sacro ministero. Comunque già affaticato, la domenica di buon mattino trovavasi disposto ad insellare un cavallo e partire, facesse bel tempo o piovesse a catinelle. Qui giunto, ponevasi a dìsposizione di qualche buona persona che voleva confessarsi, poi celebrava una Messa, e più tardi una seconda e predicava in tutte e due. Intanto si faceva mezzogiorno, ed il povero missionario doveva pensare a prepararsi il desinare. Il più delle volte prendeva qualche cosa così asciutta, e poi di nuovo all'opera. Chiamava per la dottrina : quantunque per le prime domeniche i fanciulli fossero ritrosi, e ben pochi accorressero, pure colla pazienza giobetica e con la dolcezza del nostro Patrono S. Francesco di Sales, diminuì quella ripugnanza che si aveva nell'accostarsi al prete, ed il numero poco per volta andava aumentando. Il Catechismo lo faceva ai fanciulli ed alle fanciulle in sezioni separate; poscia insegnava loro a cantare alcune lodi sacre e specialmente quelle richieste per la Benedizione col Santissimo; e così li intratteneva più che poteva, ritraendoli dalle strade e dalle piazze, ove non imparavano che il male. Quindi era finita la sua giornata montava di nuovo a cavallo, e via se ne ritornava al Collegio.

In questo modo si andò avanti per cinque anni circa. Chi più sovente aveva la fortuna di sostenere questa fatica. era Don Boido, come quegli che era di grande animo e di una salute robustissima. Il paese in questo frattempo cominciava a cambiare di aspetto. Ma la morale influenza, di un sol sacerdote una volta per settimana era ben poca cosa: ciò che insegnava nei giorni festivi ai ragazzi era perduto durante la settimana, specialmente nelle scuole, dove non s'insegnava niente di bene, quando non s'insegnava il male.

Allora il nostro Rev.m° Ispettore D. Lasagna pensò di lasciare stabile a La Paz Don Boido, il quale in breve tempo aprì una scuola, fece abbellire la Chiesa e la fornì di tutto il necessario. Il recinto annesso a questa, che prima era tutto ingombro di ruderi e coperto di male erbe, ora è divenuto un bel cortile piano e senza un fil d'erba per la moltitudine dei giovani che frequentano le scuole e l'Oratorio festivo. Il paese cangiò veramente d'aspetto. Mentre prima pareva chiamarsi La Paz per ironia, ora parmi che tal nome gli convenga più che ad ogni altro. Non più risse, non più sangue come prima. Tutti gli scalpellini che lavorano alla cava vivono in santa armonia: alla festa numerosi vengono ad assistere la santa Messa, e la Chiesa è quasi sempre piena anche per la Benedizione che si dà alla sera. V'è ancora qualcuno che lavora in giorno di festa, ma speriamo che anch'egli cesserà vinto dal buon esempio di tutti gli altri

Non è a credere però come taluno si penserebbe, che in questo paese, dominato ora dalla nostra santa Religione, non vi regni l'allegria. Tutt'altro! Alla sera delle feste, per non istare oziosi, questi bravi Italiani formano delle brigate e si mettono a cantare allegramente canzoni popolari. Che belle voci robuste ed intonate! Talvolta si fanno accompagnare da qualche strumento, ed in mancanza del tamburo bene spesso si sente il sordo e rauco suono di un cassone o l'acuto e stridente della latta. Ed in queste radunanze neppur un inconveniente: quando sono stanchi si danno la buona notte e si ritirano alle proprio case. Pare proprio di trovarci in uno di quei paesi d'Italia, ove si vive ancora alla patriarcale.

Un certo numero di questi nostri connazionali alla sera, dopo il lavoro, vengono da noi per imparare a leggere, scrivere e far di conto; e noi approfittiamo dell'occasione per ricordar doro le verità della fede che già appresero in Italia e che qui dimenticherebbero, come pur troppo avviene a tanti altri meno fortunati di loro.

Le maestre protestanti, per lo scarso numero di giovanette che da loro ancora andavano, dovettero partirsi dal paese; ed al loro posto, proprio nella stessa casa, vennero a stanziarsi le Suore di Maria Ausiliatrice in sul principio di questo anno. Inaugurarono il loro Collegio con una commoventissima funzione : prepararono un bel numero di fanciulle per la prima Comunione. Al vedere questi angeli bianco-vestiti, coronati di fiori, con una candela accesa in mano, accostarsi alla Sacra Mensa, ed altre intanto far risuonare l'aria delle loro argentee voci, questi abitanti ne rimasero sommamente commossi, e si ebbero subito grande stima per queste figlie di Maria. Simile funzione si ripetè in quest'anno più altre volte, e sempre produce buon effetto : anche gli adulti in queste circostanze si accostano numerosi ai SS. Sacramenti.

Tutto questo bene a chi si dovrà attribuire? Ah ! senza dubbio alla bontà di Dio ed alle fervide orazioni degli innocenti fanciulli e fanciulle di questi due Collegi; le preghiere incessanti poi loro genitori hanno fatto violenza al Cuore di Gesù, ed Egli ha bene-detta l'opera dei Missionarii Salesiani.

Armatissimo Padre, scusi alla mia lungaggine. Queste notizie, credo, la consoleranno. Intanto benedica i Salesiani e le Suore della Paz, e preghi per il suo.

Af.mo figlio in G. e M.

Sac. PAOLO MAZZONI.

Dall'Equatore.

I nostri confratelli dell'illustre Repubblica dell'Equatore, pieni di gratitudine per la squisita benevolenza che incontrano nella nazione privilegiata del Sacro Cuore di Gesù, ci hanno trasmesso un numero del Dardo , diario quitese, contenente la relazione di una straordinaria manifestazione di pubblico e solenne omaggio, celebrata a Quito in onore di D. Bosco, il 4 agosto scorso. Eccone la relazione del giornale

« Il 4 agosto ebbe luogo l'accademia letterario-musicale che i Salesiani celebrarono in onor del santo ed illustre lor Fondatore D. Bosco. Si doveva cominciare alle ore 12 antim., ma alle 11 numerosissima ed eletta adunanza riempiva già il vasto salone ed esaminava piena di meraviglia i lavori eseguiti dagli alunni...

» Diede principio all'accademia il Reverendo D. Calcagno, direttore della Casa, con un discorso semplice al pari che eloquente e tenero : fu la parola dell'Evangelio, l'accento sublime della carità, il sospiro che la riconoscenza e l'amore strappano dal cuore di un buon figlio, al richiamar alla mente la cara memoria del venerando suo padre.

» I pezzi di musica maestrevolmente eseguiti dalla banda del Collegio, i cori e le parti a solo con gusto e grazia cantate, resero sì ameno l'omaggio, che tutti i convenuti ne rimasero sommamente soddisfatti.

Alle composizioni letterarie presero parte il celebre poeta e letterato Colombiano, Belisario Peña ed il ragguardevole nostro compatriota Quintiliano Sanchez. Questi lesse, colla solita sua abilità, una bellissima poesia intitolata : Ultime parole di D. Bosco, che per i suoi bei pensieri e per l'armonioso verso fu calorosamente applaudita; quegli, colla sua ode : A Don Bosco , ripiena di elevati concetti, adorna di brillantissime immagini, corretta nella sua forma e sublime, commosse siffattamente gli uditori, che entusiasmati fecero ampii applausi al poeta cattolico, che sì bene seppe dipingere l'amore sublime di Dio e la grandezza del cuore acceso dal sacro fuoco della carità

» Finita l'accademia si fece la distribuzione dei premi agli alunni de' varii laboratorii, che riuscì una cosa veramente tenera e commovente. I premi, che consistevano in libri, lavori in ferro ed altri attrezzi utili secondo i varii mestierì che vi sono nello stabilimento, non poterono essere più proprii nè di maggior importanza per i giovani che li meritarono.

» Poscia tutti gli spettatori, tra cui trovavansi S. E. il Vice-Presidente della Repubblica, l'Ill.m°. ed Ecc.m°. Vescovo di Ibarra, l'On. Sig. Ministro dell'Azienda, il Sig. Governatore della Provincia, il Capo politico del Cantone, parecchi Consiglieri municipali, ragguardevoli signori e signore, passarono a visitare la Casa, ammirando in ogni parte l'ordine, la pulizia delle sale e dei laboratori, ed anche i notevoli ed importantissimi miglioramenti fatti nell'edifizio stesso, nel breve tempo dacchè fu affidato ai Salesiani.

» Certamente così bella festa attirerà l'attenzione di tutti gli Equatoriani, amanti della patria, a questo sacro recinto destinato per dare soda e cristiana educazione alla parte necessitosa del popolo, ai fanciulli dell'operaio ed a quegli infelici che, abbandonati da padri snaturati , hanno trovato madri affettuose nelle zelantissime figlie di S. Vincenzo de' Paoli e solleciti ed amanti padri nei generosi figli di D. Bosco , che infiammati dal fuoco di ardente carità, vennero nella nostra patria per contribuire alla grand'opera del progresso cattolico e dell'unica vera cìviltà.

» Nutriam fiducia che il Governo continuerà, come fece finora, a prestare generoso e valido appoggio a questi eroi del bene,, finché raggiunga il suo completo svolgimento la grandiosa opera di Garcia il Grande, portata a buon punto dal benefico regime del Dr. Caamaño, il quale ancorchè non avesse altri fatti gloriosi, basterebbe pure questo solo, perchè la storia scrivesse il suo nome tra i benefattori della Chiesa e della Patria.

» Gradiscano i Salesiani il voto della nostra riconoscenza, ed i cordiali applausi che loro tributiamo come Equatoriani e come cattolici. »

Mons. PIETRO ROTA.

Il 3 febbraio moriva in Roma S. E. Rev.ma Mons. Pietro Rota pieno di anni e di meriti. Fino all' ultimo respiro faticò per la gloria di Dio, e fu uno dei più magnanimi difensori della verità cattolica e dei dirìtti della Chiesa. Nato in Correggio , diocesi di Reggio, il 30 gennaio 1805, fu parroco della stessa diocesi; quindi dalla Santità di Pio IX fu promosso Vescovo di Guastalla nel Concistoro del 30 marzo 1855. Pel suo zelo apostolico e per la fermezza dei suoi principii essendo incorso nell'odio dei tristi, fu condotto a domicilio coatto in Torino, dove venne ospitato per circa quattro mesi da D. Bosco, edificando colle sue virtù il nostro Oratorio. Trasferito nel 1871 alla sede di Mantova, si ritirò dal governo di questa diocesi nel 1879 e fu dal Santo Padre Leone XIII nominato Canonico vaticano e promosso Arcivescovo titolare prima di Cartagine e poi di Tebe. Zelante Cooperatore Salesiano, nutrì sempre tenero ed operoso affetto per D. Bosco e per le opere sue.

UNA BELLA FESTA nella chiesa di S. Giovanni Evangelista in Torino.

Domenica (2 febbraio) con grande solennità nella stupenda chiesa di S. Giovanni Evangelista, si è festeggiato il nome di S. Francesco di Sales. E poichè la stampa cattolica ha scelto a suo protettore questo Santo, vi convennero i rappresentanti di quei giornali torinesi che ogni giorno combattono per la Chiesa e per la verità, invitativi dalla squisita cortesia del rettore della chiesa, Don Francesco Dalmazzo. Alle ore 10 del mattino fu celebrata la santa Messa , durante la quale i giovani dell'Oratorio Salesiano, diretti dal non meno valente che modesto maestro Dogliani, eseguirono in modo veramente superiore ad ogni elogio le armonie del Cherubini.

Nel pomeriggio poi, mentre la folla riempiva la chiesa, il Molto Rev. canonico Grossi salì sul pergamo. Il valente oratore, dopo essersi rallegrato del numeroso pubblico che lo circondava, fece del Santo il più splendido elogio. Ricordò come Francesco di Sales, dopo essere stato nella prima gioventù il modello dello studente cristiano, spinto dalla vocazione celeste, avesse intrapreso la carriera ecclesiastica. Dipinse i tempi nei quali egli visse, accennando ai decreti della Provvidenza, pei quali, tre anni appena dopo morto Calvino, nasceva Francesco, l'apostolo del Chiablese. Il cuore del Santo, pieno di zelo grandissimo, non poteva vedere senza immenso dolore il danno che l'eresia calviniana aveva recato a quella disgraziata provincia. Egli chiese di recarvisi per portarvi la vera luce, e l'ottenne.

In mezzo a pericoli e difficoltà senza fine, il santo suo entusiasmo non gli venne meno un solo istante ; e pochi anni dopo, là dove prima non vi erano che eretici, si contavano a molto migliaia i ferventi cattolici. L'oratore descrisse con molta eloquenza le virtù del Santo, fermandosi specialmente a quelle che, per così dire, lo hanno fatto in singolar modo popolare; cioè la sua angelica bontà, che gli faceva prediligere i suoi nemici, e lo zelo per la salvezza delle anime, che quasi fuoco ardente lo animava. Con molta opportunità parlò quindi di Francesco come scrittore grandissimo, e come colui che forse più d'ogni altro ha saputo adattarsi allo spirito ed alle esigenze dei tempi moderni.

Corichiudendo si rallegrò che nel nome di Lui la stampa cattolica avesse anche una volta affermati i legami di fraterna tenerezza che la stringono, e si augurò che altri molti possano sorgere a glorificare e difendere la Chiesa in questi giorni non certo migliori di quelli in cui S. Francesco di Sales ha fatto un bene così grande. La bellissima festa si chiuse colla SS. Benedizione, impartita da S. E. Rma Mons. Bertagna , Vescovo di Cafarnao, e Lasciò in tutti una grata e soave impressione.

(Dall' Unità Cattolica)

BIBLIOGRAFIA.

Ioannis Bosco Sacerdotis Epitome Historiae Ecelesiasticae in latinum sermonem convertit G. B. FRANCESIA. - Augustae Taurinorum , ex officina Salesiana an. MDCCCXC.

Niuno tra i moderni meglio del venerando DoN Bosco sentì il bisogno della chiarezza per farsi capire dal popolo. La perspicuitas, tanto raccomandata da Quintiliano, è la dote propria di tutti i suoi libri ; ma rifulge specialmente nella Storia d'Italia, e nella Ecclesiastica , della quale ora ci porge la versione in latino il sacerdote Gio. Batt. Francesia, dottore in lettere; conosceva il desiderio grande dell'autore di vedere quando che sia convertita in facile latino questa sua storia; e con amore si accinse a compiere la volontà del santo uomo. Come esso sia riuscito nell'intento non è a dire. Nudrito di studi clas sici, e pratico sopratutto della lingua casalina dei Romani, la quale si rispecchia nei due sommi commediografi e nelle epistole famigliari di Cicerone, il Francesia ci presenta la Storia Ecclesiastica di Don Bosco latinata, per così dire, con lo stile che adoperato avrebbe Don Bosco istesso quando accinto si fosse lui a scriverla latinamente. Leggano gli studiosi questa bella Epitome con la scorta di savi maestri; e la mandino eziandio a memoria.

Avranno sott'occhi esempi d'ogni virtù imitabili ; avranno inoltre un testo di quella - schietta latinità, che, per la nuova barbarie dei tempi, strapazzata nelle scuole minori , ed espulsa affatto dalle aule universitarie, torna per ultimo scampo a rifugiarsi in grembo della Chiesa.

Il nitido volume del Francesia costa L.1,50_ Rivolgersi alla Libreria Salesiana.

(Estratto dall'Unità Cattolica di gennaio, 23, giovedì).

PR. LUIGI BoTTARO. Conversazioni e letture. - Sampierdarena, Tipografia Salesiana, 1889. - Serie prima: Prezzo cent. 70. - Serie seconda : Prezzo cent. 80. - Serie terza: Prezzo cent. 70.

Le tre serie insieme lire 2. Vendibili a tutte le nostre Librerie.

È questa che annunziamo una bella raccolta di ottime letture, opportunissime a contrapporsi a tante letture irreligiose che corrono le vie. Il nome del Bottaro, uno dei bravi nostri Cooperatori, è già noto ed apprezzato da gran numero dei lettori nostri. In queste sue conversazioni egli tratta di argomenti svariatissimi, ma tutti destinati a combattere i principali errori moderni, a confermare nella fede cattolica, a dare i più savi consigli di vita pratica. Noi le raccomandiamo dunque caldamente , certi che grande e salutare Sarà il profitto che ne ricaveranno i lettori.

Elenco dei Cooperatori defunti nel Gennaio e Febbraio

1 Pandolfi D. Michele parr.- Belforto del Chienti (Macerata).

2 Piras D. Angelo vice parroco - -Uras (Cagliari).

3 Pomba suor Vincenzina dell'Ospedale di Carità - Vigevano (Pavia).

4 Primatesta D. Antonio cav. arcipr. - Stresa (Novara).

5 Racca Teresa - Volvera (Torino).

6 Risso D. Felice arciprete - Sale (Pavia).

7 Rivarolo D. Gaudenzio - Borgo La: vezzaro (Novara).

8 Rizzo Antonio - Stanghella (Padova).

9 Rizzo Giovanni - Torino.

10 Rocchietti Gian Domenico cassiere ferrovia Ciriè-Lanzo - Torino.

11 Rondani D. Gio. Battista - Mezzano de' Rondani (Parma).

12 Sacco D. Giovanni parroco - Ccsino (Genova).

13 Sartori Luigia - Bassano Veneto (Vicenza).

14 Serra D. Antioco provicario - Siris (Cagliari).

15 Stasa contessa Domitilla nata Corto - Torino.

16 Stefanelli padre Stanislao provinciale - Camerino (Macerata).

17 Tenevella Cunegonda - Torino.

18 Tomasini Tomaso - Pelugo (Austria).

19 Varalli Giovanni fu Stefano - Con. fienza. (Pavia).

20 Vignali Angela - Borgotaro (Parma).

21 Volponi conte Cesare - Montefano (Macerata).

22 Anfossi Margherita-Molare. (Alessandria).

23 Angelini D. Angelo - Riva (Austria).

24 Aprosio Brigida - Torrione (Porto Maurizio).

25 Badellino Margherita nata Magliano - S. Vittoria d'Alba (Cuneo).

26 Ballarini D. Vincenzo Tullio arcipr. - Mornbazano (Mantova).

27 Ballocca D. Francesco - Brusnengo (Novara).

28 Ballocco D. Gaspare canonico - Alessandria.

29 Barbaroux conte Federico - Torino.

30 Bartoli D. Bernardo part. - Tenno (.

31 Basso-Petrino Giuseppa ved. Raineri - Torino.

32 Bazzi D. Gian Domenico parroco - Fontanella (Bergamo).

33 Belletto. D. Bortolo parroco   Castagnero (Vicenza).

34.Bermond D. Pietro Gerolamo canon. - Susa (Torino).

35 Besozzi D. Pietro - Milano.

36 Bignami D. Aurelio parroco -- Novara.

37 Bivi D. Francesco parroco - Carlino (Udine).

38 Bouansea D. Michele parroco - Viltar l'erosa (Torino)..

39 Bonaria Catterina - Molare (Alessandria).

40 Borgogno D. Giuseppe cappellano - La Morra (Cuneo).

41 Dorsi Luigia Saper. Collegio S. Orsola - Parma.

42(U-uno D. Giacomo - S. Francesco e" Campo (Torino).

43 Bruschi D. Tmuuraso priore S._(Giuseppe - Firenze.

44 Butto di Perrero nobile damigella Emilia -- Torino.

45. Calfese D. Gio. Battista prevosto - Zoagli (Genova).

46 Cmnesso Elisa vedova 'Vigliardi - l'orino.

47 Canigiani D Giuseppe parroco - Carnpiglio (Pistoia).

48 Caraffa D. Carlo prev. - Masone (Reggio Emilia),

49 Garaglio D. Gio. Battista priore - Rocca Sparvera (Cuneo).

50 Carbone Francesco - Novara.

51 Carponi D. Pietro - Bosisio (Como). 52 Casarotti D. Giacomo arciprete - Casale di Seodosia (Padova).

53 Cassini D. Antonio canon. cav. teol- Ventimiglia (Porto Maurizio). 54;.Cavallini Pietro,-- ['ronzano (Vercelli).

55 Cavallo Giuseppe - Rocchetti; Palafea (Alessandria).

56 Cavriani Monsig..Corradino mareh. Arcivesc. di Adana - Chiesi (Torino).

57 Ceresini D. Luigi arciprete - Noceto (Parma).

58 Clementi D. Domenico - Vicenza. 59 Dal Mas D. Giovanni Batt. - Vittorio (Treviso).

60 Dalla Massara D. Giorgio parroco - Villaganzerla ) Vicenza).

.61 Da Via D. Carlo parroco -Perarole (Belluno).

62 Della Croce Luigia Giosoppa abbadessa monastero S. Chiara - Rapalle   -   (Genova).

63 Della Santa D. Nicola parroco - Lacca.

64 Donati D. Gio. `Battista parroco - Cerveno (Brescia).

65 Elti. D. Filippo - Udine.

66 Filetti nobile Giulio cav. -Torino. 67 Faverzani D. Francesco parroco - Gussola (Cremona).

68 Ferlari - Iiiocoueo (Vicenza).

69 Frate Elia di Narallao sac. cappuccino - Cagliari,.

70 Piattini D. Francesco rett. - Valliano (Rimini:).

71 Fichera Marietta - Acireale (Catania).

72 Fontanieri D. Angelo priore - Orvieto (Perugia).

73 Gatesio Nicola - Torino.

74 Galimbonti D. Francesco - Alzate (Como).

75 Galli Mano. Vitale Vescovo - Forni (Perugia).

76 Gallino Felice - Genova.

77 Galluppi Rosa maritata Flangini - Legnago (Verona).

78 Gaifasl'ornenica-Rovereto (Austria). 79 Garaccioni Camilla - Aprile (Porto Maurizio).

80 Garbarini Cocilia nata Perando - Sassello (Genova).

81 Gaspardis D. Urbano - Sonsmardeuchia di Pozzuoli (Udine).

82 Ghivarello Pietro - Venasca (Cuneo) 83 Giacomazzi D. Alfonso - Manerba (Brescia).

84 Gianella Rosa Lina vedova Crosa - Torino.

85 Gianni D. I?r©diano canon. - beaci. 86 Giardini D. Pietro parroco - Villa Raverio (Milano).

87 Giliborti D. Donato canon. - Solofra (Avellino).

88 Gioanetto Gio. Datt. - Tavagnasco (Torino). -

89 Goggia D. Francesco can. - Biélla (Novara).

90 Gorgeri D. Luca parroco - Agliana

(Firenze).

AVVISO IMPORTANTE.

Coloro che manderanno la somma di Lire QUARANTA per l'acquisto di libri annunziati sulla co. perlina, riceveranno in dono MILLE Silografie religiose (a scelta della Libreria) da distribuirsi ai più diligenti nello studio del Catechismo. Mandando Lire

VENTICINQUE ne riceveranno CINQUECENTO : Mandando Lire DODICI ne riceveranno DUECENTO.

Il tutto franco di porto per tutta l'Italia.

N. B. Chi già gode qualche sconto sulle nostre edizioni non ha più diritto ai doni. - Si pregano i Signori committenti, nel far domanda dei libri, di ricordar pure il dono che spetta loro.